Pakistan OffRoad

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Piove e la Grigna è “chiusa per legge”. Mentre un inverno viscido e traditore scorre sulle montagne io me ne resto rintanato al buio proiettando sul muro ricordi coperti di muffa. “Ma te lo ricordi il Pakistan?”. Saranno almeno dieci anni che non vedevo quelle foto:  nonostante i segni del tempo abbiano aggredito la pellicola i ricordi riemergono intensi e violenti. “Accidenti quanto eri giovane… che ranocchio allo sbaraglio sembravi!!” Birillo, anni 22, destinazione ignota all’alba del nuovo millennio: che idea fulminata!!

Mentre ancora sistemo le foto ecco qualcosa che si è visto forse poco all’epoca ma che fu parte integrante di quella strana avventura. Oggi sono molti gli appassionati di OffRoad che per divertimento affrontano lunghi viaggi a bordo di fuoristrada. Quella volta per noi fu certamente uno “spasso” anche se “riportare il culo a casa” fu il problema principale di quei giorni.

Quell’estate i monsoni spazzarono le montagne del Karakorum ed in cinque lunghissimi giorni di pioggia travolsero ogni cosa. Noi eravamo al Campo Base di Cima-Asso metre  imperversavano le pioggie, quando si presentarono due giorni di sereno attaccammo la montagna conquistandone la cima. Discesi nuovamente al campo base impacchettammo tutto e cominciammo da subito a puntare verso la civiltà.

Dopo solo poche ore di riposo affrontammo una gloriosa ed interminabile marcia: 15 ore sotto un sole cocente circondati solo da acque scure senza avere altro che mezzo litro a testa di acqua pulita. Quando finalmente raggiungemmo una strada scoprimmo che tutti i ponti erano stati spazzati dalla piena. Per superare il primo fiume dovemmo affidarci ad una carrucola sospesa sulla corrente. Poi trascorremmo la notte accampati cercando di bollire e ripulire un paio di litri d’acqua potabile a testa: dopo la salita quella fu davvero una durissima prova di resistenza.

Raggiunto il primo villaggio trovammo una Jeep e due autisti disposti a guidarla. Tutte le strade erano state infatti travolte dell’acqua e nessuno sembrava disposto ad affrontarle. I due però erano giovani, tutto ciò che possedevano era quel mezzo ed erano disposti a giocarsi il tutto per tutto.

L’acqua aveva scavato trincee profonde più di un metro attraversavano le strade all’interno dei villaggi rendendo difficoltoso ogni passaggio. Quando era possibile guadavano i torrenti, ma se la corrente era troppo forte eravamo costretti ad allungare la strada risalendo il fiume in cerca passaggi percorribili.

Confesso di essermi divertito un sacco anche se spesso, quando la strada strapiombava o la corrente sembrava trascinare via la jeep, qualche dubbio sul mio futuro si faceva più che insistente. I due autisti si davano il cambio alla guida e sembravano anche loro divertirsi un sacco: “Quelli del Camel Trophy non lasciano più gareggiare noi Pakistani perché siamo troppo forti!”. Come dargli torto,  quella scassata jeep sembrava inarrestabile!

Poi però arrivammo ad un punto morto: un fiume enorme  che allegramente scorreva sopra il ponte che avrebbe dovuto permetterne l’attraversamento. Non vi era modo di passare né in jeep né a piedi. Eravamo fregati, bloccati in una regione sperduta a sud del confine con l’Afghanistan.

L’unica soluzione possibile era risalire il fiume molto più a nord fin dove si restringeva in una profonda gola. Sopra quell’orrido era stato costruito un ponte di legno che apparteneva ad un politico locale, un generale che governava  un’area grande come la Lombardia.

Non ci restò altro che provare quella via. Così, un paio d’ore più tardi, ci ritrovammo davanti al portone intarsiato del generale pakistano padrone del ponte. Vestiti da alpinisti e coperti di fango stavamo incontrando la massima autorità politica e militare della zona con il chiaro intento di raccontargli un sacco di balle!

Io ero un membro della spedizione perché parlavo inglese ed il mio ruolo era soprattutto quello di essere l’interprete del gruppo. L’inglese, materia in cui al liceo ero negato, l’avevo appreso imbucandomi  alle serate universitarie per stranieri che venivano organizzate in un locale milanese. In tal senso la mia più grande conquista come interprete fu Ramona, una mora svedese con intensi occhi verdi. Onestamente non so se fu vera conquista, tutto ciò che ottenni fu un singolo, intenso ed indimenticabile bacio d’addio poco prima che partisse: “Ho un ragazzo che mi aspetta a casa. Ho commesso un errore: avrei dovuto baciarti prima”. Strana la vita: chissà, forse avrei potuto essere a pescare in un fiordo oggi.

Ouch… mi sono distratto! Lasciamo perdere la Svezia e torniamo al Pakistan: bene, eravamo tutti e cinque seduti in un piccolo giardino bevendo The con questo signore distinto e barbuto che, indossando il tradizionale vestito pijama, era circondato da severe guardie del corpo armate di kalashnikov (non ci si annoia mai in Pakistan!!)

Eravamo riusciti ad avere udienza perché avevamo spiegato al segretario del generale che il mio capospedizione era un celebre alpinista italiano di fama mondiale e che, in una collaborazione tra Italia e Pakistan, avevamo fatto rilievi topografici di un territorio inesplorato prima della piena dei fiumi. In realtà tutto era abbastanza vero ma ovviamente avevo, nemmeno troppo leggermente, enfatizzato alcuni aspetti della questione. La carta vincente fu la nostra amicizia con Ashraf Aman, uno dei primi pakistani a salire sul K2 durante una gara alpinistica militare contro i rivali idiani: in pratica eravamo amici dell’eroe nazionale pakistano e questo aveva davvero giocato a nostro favore.

Così, seduti come esploratori inglesi, raccontavo in inglese del lago di Como e di come fosse importante che il mio capo spedizione, di cui ero modesto segretario ed interprete, raggiungesse Islamabad in tempo nonostante i ponti fossero crollati. Angelo si limitava ad annuire mentre io facevo una colossale supercazzola ad uno che avrebbe potuto farci sparire del pianeta con il gesto del mignolo.

Alla fine, con garbo, tatto ed esagerazioni, riuscii a convincerlo. Il generale mi disse che avrebbe potuto prestarci il ponte ma che purtroppo l’acqua ne aveva danneggiato alcuni piloni e non voleva correre il rischio che questo pregiudicasse la nostra incolumità. Forse avevo perfino esagerato nel darci importanza!!

La realtà era che purtroppo il ponte era davvero danneggiato e che alcuni piloni erano caduti nella profonda gola sottostante: tecnicamente era in piedi ma non si sapeva se avrebbe retto il passaggio di un mezzo.

Alle nostre spalle, quasi sull’attenti, c’erano i due autisti. Ci siamo girati verso di loro chiedendo semplicemente: “Ve la sentite?”. Forse furono quei quattro soldi che gli avevamo promesso o forse l’opportunità di guadagnarsi la fiducia del generale, sta di fatto che quei due fecero una tra le più folli scelte che io abbia visto fare in vita mia. Accettarono.

Scaricammo la jeep di tutti i bagagli ed attraversando il ponte a piedi trasbordammo tutti i pesi dall’altra parte. Il generale, per stare sicuro, salì a bordo di un moderno fuoristrada Mercedes e lasciò in fretta  la sua residenza con il chiaro intento di non essere presente (o responsabile) qualsiasi cosa accadesse.

Attorno al ponte si radunò una folla di gente mentre il motore della jeep rossa prendeva giri come sulla linea di partenza di una gara automobilistica. Poi giù gas ed in una nuvola di polvere partì la folle corsa. Il ponte era completamente di legno e lungo una quindicina di metri. Quel giorno vibrò e si scosse come un essere vivente mentre quella scheggia rossa ed i suoi folli autisti l’attraversavano tra i fremiti e gli incitamenti dei presenti. Un istante infinito vissuto con il fiato sospeso. Poi lo stridore delle gomme che mordono la polvere in una furiosa frenata sull’altro lato della gola. Erano passati ed il ponte, che ancora tremava, era rimasto in piedi: una delle cose più folli che abbia visto fare in vita mia!

Welcome Back in Pakistan!

Davide “Birillo” Valsecchi
(Simone Rossetti, Luciano Giampà, Cristian Cattivelli ed il Capo Angelo Rusconi)

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