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HindoKush

HindoKush

Una spedizione alpinistica italiana è stata recentemente travolta da una slavina in Pakistan. I quattro componenti italiani, feriti ma vivi, sono stati recuperati oggi dall’esercito pakistano con un elicottero mentre, purtroppo, una guida locale ha perso la vita. Ciò che mi ha particolarmente colpito di questo incidente è dove sia avvenuto. Già, curiosamente la “valle remota ed inaccessibile” di cui parlano ora i giornali è niente meno che la stessa valle in cui si trova Cima-Asso, una montagna di 5100 metri che ho avuto il privilegio, con i miei compagni, di scalare e battezzare il giorno del mio compleanno ormai una ventina di anni fa: il 5 Agosto 1999.

Quanto tempo è passato! Qualche anno fa, verso la fine del 2017, scrissi a Frantz Rota Nodari per congraturarmi con lui per la sua prima salita al Jinnah Peak, una montagna inviolata 6.177 metri proprio in quella valle. Nelle sue fotografie avevo riconosciuto alcuni luoghi passaggi della nostra spedizione e così gli scrissi soprattutto speravo perchè mi potesse fare la cortesia di inviarmi qualche foto più recente della montagna a picco sul lago, Cima-Asso appunto. Frantz mi rispose in modo molto gentile, estremamente sorpreso del fatto che conoscessi quei luoghi. Così gli raccontai del nostro viaggio e della nostra salita, di come all’epoca avessimo solo una cartina, acquistata ad Islamabad, in cui tutta quella zona appariva come una macchia bianca. Mi chiese le coordinate GPS e gli risposi ridendo perchè, all’epoca, non avevamo nulla di simile. Gli girai la piccola relazione che fu pubblicata sull’American Alpine Club Journal (link) e lui mi confermò, nonostante alcune correzioni linguistiche sui nomi, che quella era la stessa valle. Io non conoscevo Frantz ma quella “chiacchierata” in una chat di facebook fu molto divertente per entrambi. Lui era colpito da quei piccoli ma significativi dettagli del nostro viaggio “analogico” ed io non potevo che essere felice nel sapere che un alpinista esperto come lui (Franz ha salito tutti i 4000 delle Alpi) apprezzasse quei luoghi che io, da assoluto inesperto, avevo visto in gioventù.

Ci ripromettemmo di incontrarci ma il destino era in agguato: purtroppo prima della fine dell’inverno successivo Franz fu tradito da un chiodo durante una discesa in doppia e non ci siamo più incontrati. L’ultima ma volta che si eravamo sentiti aveva risalito una cascata a Sappada, il paese a monte di Forni Alvotri: una coincidenza nella coincidenza. Non ci conoscevamo, ma fui davvero rattristato dalla sua scomparsa.  

Quando ho letto dell’incidente di Tarcisio Bellò, che fu compagno di Franz e che dedicava questa salita a Narni e Ballard, sono rimasto davvero colpito. Gli alpinisti Vicentini sono assolutamente forti (ho conosciuto qualcuno di quelle zone al Congresso TTT) e non mi stupisce che siano stati attratti dalle montagne attorno a Cima-Asso, sono davvero giganti alla fine del mondo. Noi nel ‘99 eravamo laggiù alla fine di Luglio, la stagione invernale era finita da un pezzo ma eravamo incalzati dalle piogge monsoniche. Angelo Rusconi, che guidava la spedizione, scelse quindi tra quelle cime inviolate l’unica non coperta dalla neve tentando una salita su roccia di due giorni. Con il senno di poi non posso che essere felice di questa scelta per due motivi: il primo che oggi come allora la mia esperienza sulla neve è pari a ZERO, il secondo è che ancora oggi quelle montagne innevate mi appaiono come ”calci in culo fuori scala”.

Ciò che è difficile spiegare è quanto fuori dal mondo fosse quel posto. Oggi, nel 2019, l’elicottero dell’esercito è intervenuto a meno di 24/48 ore dall’incidente. Nel ‘99 ci sarebbero voluti quattro giorni a piedi solo per dare l’allarme. Probabilmente questa è la lezione d’alpinismo più importante imparata in quel viaggio: “In Montagna è proibito sbagliare”. Sarebbe bastata una gamba o un braccio rotto per trasformare quel viaggio in un vero incubo. Ricordo che i monsoni distrussero tutti i ponti sulla via del ritorno e quella marcia, forzata e sfrontata tra la polvere ed il sole battente, è tra le cose più terrificanti ed epiche abbia mai fatto. Tuttavia se qualcuno di noi fosse fosse stato anche solo minimamente ferito non ce l’avremmo mai fatta. Oggi, con un po’ più maturità, ripenso alle scelte compiute da Angelo, il capo spedizione a cui spettava la responsabilità per tutti noi, con grande rispetto e profonda stima.

Ma sto divagando tra i ricordi e forse nella nostalgia. Spero che Bellò e tutti i membri della sua spedizione possano rimettersi presto e che possano mostrarci qualche immagine di quei luoghi che sono indelebili nella mia memoria ma che iniziano ormai a sbiadire nelle pellicole delle vecchie diapositive.

Davide “Birillo” Valecchi

THE AMERICAN ALPINE CLUB JOURNAL
Asia, Pakistan, Hindu Kush, “Cima Asso,” First Ascent
Climbs And Expeditions
Climb Year: 1999
Publication Year: 2000

“Cima Asso,” First Ascent. For the third year in a row, the Club Alpino Italiano—Asso supported an expedition to Pakistan. The leader was Angelo Rusconi. The aim of the expedition was to reach an unknown valley in the mountain chain of the Hindu Kush. The people selected to the team were Luciano Giampi, Simone Rossetti, Cristian Cattivelli and Davide Valsecchi. We started on July 28 from Gilgit driving two 4 × 4 cars to Gakuch along the Gilgit River, then passing through Iskoman towards Gugulti with the Iskoman River on the right-hand side. After choosing the porters, we started our journey on the morning of the 29th. We passed through the Handis Valley, following the Iskoman River to where it joins the Mathan Ther River. Always keeping the Mathan Ther River on the right-hand side, we walked through the valley, noticing impressive granite walls more than 1000 meters high, all easily reachable. Crossing a bridge, we arrived at Mathan Ther village, located on a green plateau at the junction of two rivers, one from the Suncighi Valley, the other from a western region called Bhari. From the locals, we learned we were the first foreigners to have reached their village. On July 30, we walked through the west valley to Bhari, a medium-sized village in a field close to a big green lake overlooked by two big mountains. We placed our Base Camp near the lake, at 3850 meters. Our BC was in a good position to observe the numerous peaks around us. At the lowest level of these mountains we could see widespread gravel fields beneath vertical granite walls. Many of these mountain had crests and edges covered by ice and snow. Among these was the 5100-meter peak straight above the right-hand side of the lake. We named it “Cima Asso,” the name of our home town in Italy. All the members of the expedition made it to the top on August 5. The locals showed us Kampur and Gharmush peaks, the only known peaks over 6000meters. All the members who took part in the expedition agree that the valley is ideal for expeditions and trekking. It is possible to easily reach a comfortable base camp surrounded by granite stone walls and untouched peaks.

Club Alpino Italiano—Asso

11°Compleanno

11°Compleanno

“In questo momento sei un ammasso di circuiti aggrovigliati e programmi antiquati. Dovremmo revisionare i tuoi vecchi modi di agire, pensare, sognare e vedere il mondo. Sei un groviglio di cavi e cattive abitudini”. Cima-Asso.it compie 11 anni. In questo lungo lasso di tempo sono stati pubblicati quasi 3000 articoli: avventure in quattro continenti, dagli oceani alle montagne himalayane, dalle profondità ipogee ai grandi laghi, bla bla bla… Internet è fin troppo affolata di “pifferai magici” perchè io sprechi tempo e dignità unendomi al “coro”, anche solo tessendo le lodi questa piccola “corazzata” tra le onde del web.

Cima gode di una strana notorietà: a qualcuno piace mentre altri lo detestano in modo significativo. La cosa è abbastanza curiosa. E’ un vecchio blog, non ha sponsor nè fini di lucro, tecnicamente è pressochè immutato e nella forma piuttosto limitato. Si tratta per lo più di qualche foto artigianale e del testo “giustificato”, spesso fin troppo prolisso per gli standard attuali. Non ha nemmeno pubblicazioni regolari e si appoggia ai Social Network in modo arcaico e svogliato. Insomma, nel mare magnum di Internet appare, a me per primo, come davvero poca cosa, una piccola insignificante Isola.

Le persone che trovano qui qualcosa di interessante sono le benvenute: entrate, fruite di ciò che è condiviso e fatene buon uso. E’ come un giardino in grado di ampliarsi all’occorrenza, non importa quanti decidano di accamparsi ad ascoltare una storia: ci sarà sempre spazio per stare tutti comodi. Certo, essendo io il custode di questo giardino c’è da tener conto dei miei umori, del mio stato d’animo o delle mie stramberie. Cima è sempre stata un esperimento e quindi l’ingresso, assolutamente volontario, comporta qualche rischio: come recita una canzone “Siate preparati, perchè ciò a cui potete assistere potrebbe cambiare il vostro modo di pensare, per sempre”.

“The phenomenon your about to witness could well revolutionize your way of thinking. We are presenting the startling facts & evidence that pick up where other explanations leave off. Some of these revelations may very well go against things you have been taught & perhaps believed all your life. Prepare yourself for the evidence which will follow” – Intro to Rancid’s 1998 album “Life Won’t Wait”

A me piace fare “giardinaggio” tra le idee, ma in questi 11 anni a sorprendermi è stata soprattutto la straordinaria quantità di “rompipalle” con cui Cima ha dovuto confrontarsi (e a cui le ha sempre suonate ndr.). Gente infoiata che si spinge adirata fino ai confini dello spazio esterno per contraddire un’idea sussurrata sottovoce nel remoto sottoscala di una villa abbandonata e circondata da alti rovi. Incredibile. Eppure accade, accade spessissimo. Così non posso che domandarmi cosa abbia fatto loro credere che “Cima” fosse tanto importante da essere contrastata, che quelle mie quattro idee siano tanto pericolose da essere necessariamente contestate.

Mi viene in mente la favola “I vestiti nuovi dell’imperatore”. In quella favola un potente Re, ingannato da un imbroglione ma soprattutto dal proprio animo irrisolto, finisce per sfilare per la città in mutande convinto di indossare il più bel vestito del mondo. I sudditi, ormai abituati a dare ragione al Re e soggiogati dal pensiero comune, si prostrano in inchini ed ammirazioni per un vestito che in realtà non esiste. Quindi un bambino, probabilmente con un deficit d’attenzione, se ne esce urlando “Il Re è nudo!”. A quel punto la folla, caprona e pecorona, inizia a sfottere il Re.

Su questa storia ci sarebbe un sacco su cui discutere. Certo, l’ego e le insicurezze del Re lo hanno reso facile preda all’inganno del vestito invisibile agli sciocchi ma, per quanto io non apprezzi la nobiltà, essere il figlio della cugina di tuo padre non aiuta certo ad essere scaltri o acuti, così come non aiutano i mille vizi e le lusinghe di corte. Probabilmente il Re era solo un idiota privilegiato e la sua vita, per quanto dorata, era tutt’altro che invidiabile. L’imbroglione, in quanto tale, è semplicemente un agente del fato: la pioggia di rane in “Magnolia”, l’intervento divino, l’imprevisto imprevedibile che sostiene e genera tutta la storia. Il bambino, quello con il deficit d’attenzione e l’incapacità di stare zitto quando è opportuno, potrebbe sembrare l’eroe della storia. In realtà avrebbe sicuramente preferito essere altrove a giocare piuttosto che presenziare annoiato ed infastidito alla sfilata del Re, inoltre non credo se la sia passata poi tanto bene dopo la “sparata”. No, tutti i personaggi della storia sono in realtà vittime innocenti, tutti ad eccezione dell’unico non-personaggio: la folla.

Sfottere un Re che passeggia nudo per la propria città non è decisamente una bella pensata, soprattutto se gli possono girare i cinque minuti ed alla passeggiata successiva, sempre nudo, la via verrà lastricata di crani ed addobbata con ghirlande di corpi impalati. La folla ride, quindi, perché gli era ben chiara la debolezza del Re, così come gli era ben chiaro che il vestito non esistesse. Tuttavia, per il proprio tornaconto, era disposta a contraddire e negare l’ovvio. Anzi, se il Re guardandosi allo specchio prima di uscire aveva avuto qualche dubbio, la folla nel suo adularlo non ne aveva avuto nessuno.

Quindi, quando “quelli che vanno in montagna con il trapano” vengono qui a lamentarsi per quello che scrivo, non me la prendo tanto con loro. Vengono fin qui, in pellegrinaggio, perché sono i primi ad aver dubitato delle proprie ragioni. In cuor loro hanno più dubbi di quante colpe possa attribuirgli io. Nei miei scritti probabilmente non sono stati offesi dalle mie parole, ma spaventati dalle proprie incertezze, ecco perché ringhiano le proprie ragioni. Tanto più che, nell’annaspare dei propri pensieri, perdono di vista il messaggio di fondo delle mie parole: “Hey! Siamo nel 2019! Se puoi, per piacere, evita di fare altri inutili buchi…”. Povere bestie, io quasi li comprendo, ma il problema è questa folla, questa massa che mi obbliga a stare in fila ed assistere ad una ridicola sfilata densa di opportunismi ed ipocrisie. La folla che, per il quieto vivere, accetta ogni cosa, sempre pronta a deridere i potenti inoffensivi e schiaffeggiare i bambini. Perchè la folla non prende mai rischi …per questo arrampica “plaisir” a fittoni. Ma, ancora una volta, non è il vestito del Re il problema.

Folla e Follia: binomio pericoloso. Mai come in questi tempi la folla sovrasta, come un invasione di zombie, ogni cosa. Mai come in questi tempi è facile manipolarla. Per questo motivo, per celebrare l’anniversario di Cima, mi dedicherò un po’ alla cura del mio giardino piuttosto che al pensiero comune (“Attento perché il messaggio subliminale è: fottiti, lasciami in pace e vaffanculo!” – Il Grande Lebowski 1998). Come il Piccolo Principe, quello schizoide che viveva da solo su un piccolo pianeta, mi prenderò cura della mia rosa, incurante del fatto che possa essere io l’unico a vederla o che la rosa davvero esista.

Nel futuro potrete quindi aspettarvi due cose da me: la prima è che affronti la cura della mia povera caviglia letteralmente con una “terapia da cavallo”, la seconda è che finalmente metta un po’ di ordine nei 3000 articoli perchè, francamente, si spazia davvero dagli oceani alle grandi montagne. “Traveling without moving” cantava Jamiro Quei nei lontani anni ’90. In realtà, lo confesso, spero di aggiustare gli acciacchi aspettando che un nuovo viaggio si presenti all’orizzonte. Vedremo cosa accadrà. Con dieci giorni di ritardo: “Buon Compleanno Cima!”.

Davide “Birillo” Valsecchi

Well I won’t back down, no I won’t back down. You can stand me up at the gates of Hell, but I won’t back down. No I’ll stand my ground: won’t be turned around and I’ll keep this world from draggin’ me down. Gonna stand my ground. Hey baby, there ain’t no easy way out. Well I know what’s right, I got just one life in a world that keeps on pushin’ me around. But I’ll stand my ground and I won’t back down. – Tom Petty And The Heartbreakers

Back to the Mothers’ Route

Back to the Mothers’ Route

DSCF2267“Nel 2015 torniamo in Pakistan?” Questo è quello che mi hanno chiesto qualche sera fa. La cosa mi ha particolarmente stupito perché, da qualche giorno, avevo iniziato a spulciare  tra le vecchie foto e mi ero messo a fare un po’ di ricerche con le immagini satellitari. Attivandomi attraverso Internet avevo persino preso contatto via Facebook con alcuni ragazzi nativi della valle di Iskoman e studenti ad Islamabad.

Le coincidenze non esistono ma curiosamente le idee, specie quelle strambe, sembrano aleggiare nell’aria e raggiungere persone diverse, in luoghi diversi, ma allo stesso tempo. Una specie di intelligenza distribuita o collettiva che interagisce attraverso canali che probabilmente ancora non comprendiamo.

“Il problema laggiù non è la montagna. Il problema è che quella terra è il cuore del caos” Abbottabad, dove hanno “freddato“ Osama Bin Laden, è praticamente a due passi. “Laggiù ci vai in missione, non in spedizione: se una volta dovevamo preoccuparci dei briganti, ‘sto giro saremmo bersagli mobili. Nemmeno il nome di Ashraf Aman può proteggerci nel Pakistan moderno: non potremmo fidarci di nulla e di nessuno. Sotto quel cielo avremmo tutto contro…” Poi smetto di elencare le difficoltà perché, mentre lo faccio, la mia mente già esplora le possibili soluzioni (ed è male).

Ormai sono un paio d’anni che non organizzo nulla all’estero. Dopo il Congo ho deciso che era tempo di smetterla di trafficare con le guerre civili ed i paesi pronti ad esplodere. In fondo il mondo è pieno di posti magnifici (e terribili)  che mi piacerebbe “affrontare” senza dover sempre trafficare con Muslim o Kalashnikoff..

Il mio attuale sogno nel cassetto si chiama “Alaska”, ma per spingermi lassù devo allenarmi ancora e mettere da parte un bel po’ di fondi: ad essere onesti è un sogno piuttosto gigantesco, uno di quelli che per imbarazzo si tengono segreti.

Tuttavia il Pakistan  …buttato sul tavolo verde così all’improvviso. ”Quella terra è il cuore del caos”. Una verità che impone riflessione in effetti. ”Meglio regnare all’inferno che essere servi in paradiso”: ecco la natura della tentazione.

Qualcosa su cui davvero devo riflettere ma, fortunatamente, il 2015 è lontano: vediamo cosa accadrà.  Nel mentre ecco alcune fotografie della “Via della Mamme”, la via di roccia tracciata per salire alla vetta di Cima Asso nel 1999. “Alpinismo esplorativo”, qualcosa che oggi è davvero difficile da sperimentare. Solo il tempo insegna a comprendere appieno i doni del destino.

Davide “Birillo” Valsecchi

MapLink

Pakistan OffRoad

Pakistan OffRoad

Piove e la Grigna è “chiusa per legge”. Mentre un inverno viscido e traditore scorre sulle montagne io me ne resto rintanato al buio proiettando sul muro ricordi coperti di muffa. “Ma te lo ricordi il Pakistan?”. Saranno almeno dieci anni che non vedevo quelle foto:  nonostante i segni del tempo abbiano aggredito la pellicola i ricordi riemergono intensi e violenti. “Accidenti quanto eri giovane… che ranocchio allo sbaraglio sembravi!!” Birillo, anni 22, destinazione ignota all’alba del nuovo millennio: che idea fulminata!!

Mentre ancora sistemo le foto ecco qualcosa che si è visto forse poco all’epoca ma che fu parte integrante di quella strana avventura. Oggi sono molti gli appassionati di OffRoad che per divertimento affrontano lunghi viaggi a bordo di fuoristrada. Quella volta per noi fu certamente uno “spasso” anche se “riportare il culo a casa” fu il problema principale di quei giorni.

Quell’estate i monsoni spazzarono le montagne del Karakorum ed in cinque lunghissimi giorni di pioggia travolsero ogni cosa. Noi eravamo al Campo Base di Cima-Asso metre  imperversavano le pioggie, quando si presentarono due giorni di sereno attaccammo la montagna conquistandone la cima. Discesi nuovamente al campo base impacchettammo tutto e cominciammo da subito a puntare verso la civiltà.

Dopo solo poche ore di riposo affrontammo una gloriosa ed interminabile marcia: 15 ore sotto un sole cocente circondati solo da acque scure senza avere altro che mezzo litro a testa di acqua pulita. Quando finalmente raggiungemmo una strada scoprimmo che tutti i ponti erano stati spazzati dalla piena. Per superare il primo fiume dovemmo affidarci ad una carrucola sospesa sulla corrente. Poi trascorremmo la notte accampati cercando di bollire e ripulire un paio di litri d’acqua potabile a testa: dopo la salita quella fu davvero una durissima prova di resistenza.

Raggiunto il primo villaggio trovammo una Jeep e due autisti disposti a guidarla. Tutte le strade erano state infatti travolte dell’acqua e nessuno sembrava disposto ad affrontarle. I due però erano giovani, tutto ciò che possedevano era quel mezzo ed erano disposti a giocarsi il tutto per tutto.

L’acqua aveva scavato trincee profonde più di un metro attraversavano le strade all’interno dei villaggi rendendo difficoltoso ogni passaggio. Quando era possibile guadavano i torrenti, ma se la corrente era troppo forte eravamo costretti ad allungare la strada risalendo il fiume in cerca passaggi percorribili.

Confesso di essermi divertito un sacco anche se spesso, quando la strada strapiombava o la corrente sembrava trascinare via la jeep, qualche dubbio sul mio futuro si faceva più che insistente. I due autisti si davano il cambio alla guida e sembravano anche loro divertirsi un sacco: “Quelli del Camel Trophy non lasciano più gareggiare noi Pakistani perché siamo troppo forti!”. Come dargli torto,  quella scassata jeep sembrava inarrestabile!

Poi però arrivammo ad un punto morto: un fiume enorme  che allegramente scorreva sopra il ponte che avrebbe dovuto permetterne l’attraversamento. Non vi era modo di passare né in jeep né a piedi. Eravamo fregati, bloccati in una regione sperduta a sud del confine con l’Afghanistan.

L’unica soluzione possibile era risalire il fiume molto più a nord fin dove si restringeva in una profonda gola. Sopra quell’orrido era stato costruito un ponte di legno che apparteneva ad un politico locale, un generale che governava  un’area grande come la Lombardia.

Non ci restò altro che provare quella via. Così, un paio d’ore più tardi, ci ritrovammo davanti al portone intarsiato del generale pakistano padrone del ponte. Vestiti da alpinisti e coperti di fango stavamo incontrando la massima autorità politica e militare della zona con il chiaro intento di raccontargli un sacco di balle!

Io ero un membro della spedizione perché parlavo inglese ed il mio ruolo era soprattutto quello di essere l’interprete del gruppo. L’inglese, materia in cui al liceo ero negato, l’avevo appreso imbucandomi  alle serate universitarie per stranieri che venivano organizzate in un locale milanese. In tal senso la mia più grande conquista come interprete fu Ramona, una mora svedese con intensi occhi verdi. Onestamente non so se fu vera conquista, tutto ciò che ottenni fu un singolo, intenso ed indimenticabile bacio d’addio poco prima che partisse: “Ho un ragazzo che mi aspetta a casa. Ho commesso un errore: avrei dovuto baciarti prima”. Strana la vita: chissà, forse avrei potuto essere a pescare in un fiordo oggi.

Ouch… mi sono distratto! Lasciamo perdere la Svezia e torniamo al Pakistan: bene, eravamo tutti e cinque seduti in un piccolo giardino bevendo The con questo signore distinto e barbuto che, indossando il tradizionale vestito pijama, era circondato da severe guardie del corpo armate di kalashnikov (non ci si annoia mai in Pakistan!!)

Eravamo riusciti ad avere udienza perché avevamo spiegato al segretario del generale che il mio capospedizione era un celebre alpinista italiano di fama mondiale e che, in una collaborazione tra Italia e Pakistan, avevamo fatto rilievi topografici di un territorio inesplorato prima della piena dei fiumi. In realtà tutto era abbastanza vero ma ovviamente avevo, nemmeno troppo leggermente, enfatizzato alcuni aspetti della questione. La carta vincente fu la nostra amicizia con Ashraf Aman, uno dei primi pakistani a salire sul K2 durante una gara alpinistica militare contro i rivali idiani: in pratica eravamo amici dell’eroe nazionale pakistano e questo aveva davvero giocato a nostro favore.

Così, seduti come esploratori inglesi, raccontavo in inglese del lago di Como e di come fosse importante che il mio capo spedizione, di cui ero modesto segretario ed interprete, raggiungesse Islamabad in tempo nonostante i ponti fossero crollati. Angelo si limitava ad annuire mentre io facevo una colossale supercazzola ad uno che avrebbe potuto farci sparire del pianeta con il gesto del mignolo.

Alla fine, con garbo, tatto ed esagerazioni, riuscii a convincerlo. Il generale mi disse che avrebbe potuto prestarci il ponte ma che purtroppo l’acqua ne aveva danneggiato alcuni piloni e non voleva correre il rischio che questo pregiudicasse la nostra incolumità. Forse avevo perfino esagerato nel darci importanza!!

La realtà era che purtroppo il ponte era davvero danneggiato e che alcuni piloni erano caduti nella profonda gola sottostante: tecnicamente era in piedi ma non si sapeva se avrebbe retto il passaggio di un mezzo.

Alle nostre spalle, quasi sull’attenti, c’erano i due autisti. Ci siamo girati verso di loro chiedendo semplicemente: “Ve la sentite?”. Forse furono quei quattro soldi che gli avevamo promesso o forse l’opportunità di guadagnarsi la fiducia del generale, sta di fatto che quei due fecero una tra le più folli scelte che io abbia visto fare in vita mia. Accettarono.

Scaricammo la jeep di tutti i bagagli ed attraversando il ponte a piedi trasbordammo tutti i pesi dall’altra parte. Il generale, per stare sicuro, salì a bordo di un moderno fuoristrada Mercedes e lasciò in fretta  la sua residenza con il chiaro intento di non essere presente (o responsabile) qualsiasi cosa accadesse.

Attorno al ponte si radunò una folla di gente mentre il motore della jeep rossa prendeva giri come sulla linea di partenza di una gara automobilistica. Poi giù gas ed in una nuvola di polvere partì la folle corsa. Il ponte era completamente di legno e lungo una quindicina di metri. Quel giorno vibrò e si scosse come un essere vivente mentre quella scheggia rossa ed i suoi folli autisti l’attraversavano tra i fremiti e gli incitamenti dei presenti. Un istante infinito vissuto con il fiato sospeso. Poi lo stridore delle gomme che mordono la polvere in una furiosa frenata sull’altro lato della gola. Erano passati ed il ponte, che ancora tremava, era rimasto in piedi: una delle cose più folli che abbia visto fare in vita mia!

Welcome Back in Pakistan!

Davide “Birillo” Valsecchi
(Simone Rossetti, Luciano Giampà, Cristian Cattivelli ed il Capo Angelo Rusconi)

Old Bad Frames

Old Bad Frames

La mia generazione ha vissuto una serie di strani fenomeni di “digital divide”, frontiere tecnologiche che hanno diviso la storia in un “prima” e “dopo”  e che spesso hanno generano “gap” quasi insormontabili.  Uno di questi, per finirla con i termini anglofoni ed arrivare al punto, sono le diapositive.

Penso che le generazioni future non crederanno mai che in un tempo mitico esistesse il VHS e che le fotografie fossero spezzoni di pellicola incorniciati in un frame di plastica e che, in gruppo, venissero viste  al buio su di un muro. Già, a pensarci bene sembra di parlare di dimenticate forme di pittura rupestre.

Comunque sia, visto che il tempo era piuttosto inclemente, oggi ho rovistato tra gli armadi di casa uscendone coperto di polvere ma anche stringendo tra le mani un oggetto quasi mitico: il proiettore per le diapositive. Quella che state leggendo è quasi una confessione perché quando mio padre scoprirà che sto armeggiando con il suo proiettore dovrò fare fronte ad una serie di divieti infranti che risalgono probabilmente alla mia adolescenza!

Quell’aggeggio risale al 1992 e, confesso, ero piuttosto preoccupato nel usarlo, specie quando all’inizio produceva strani e sinistri rumori senza emettere alcuna forma di luce. Grazie ad Internet ed al potere degli idrocarburi di origine fossile ho recuperato un paio di lampade nuove (quella originale era allegramente scoppiata al primo avvio) ed ho iniziato a trafficare a “cofano aperto” sull’aggeggio. Il bello della tecnologia analogica è che si aggiusta con un paio di neuroni ed un cacciavite, forse è anche per questo che l’esplorazione spaziale è terminata con l’avvento del digitale…

Quando finalmente tutto sembrava funzionare non è rimasto che scegliere tra le migliaia di foto ed iniziare ad esplorare il passato. Mi è sembrato giusto cominciare da dove ha avuto inizio tutta questa storia: Cima Asso, 5100metri, Pakistan.

Le diapositive ufficiali di Cima Asso le conserva Ciano in una valigetta nera ammantata di mistero. Nel mio armadio infatti c’erano solo alcune delle tante foto “venute male” o “scartate”. Tuttavia la prima che ho estratto (quella che vedete in alto) era talmente curiosa che tutto mi è sembrato avere un senso.

Il mio piano era infatti provare ad acquisire un po’ di immagini proiettando sul muro e scattando con una macchina digitale. Per questo, con una frontale  attaccata alla testa, ho iniziato a trafficare come un operatore di un cinematografo d’altri tempi.

Quello che seguono sono alcuni degli scatti acquisiti. Va detto che spesso le foto originali erano sfuocate, buie o mosse, tuttavia credo che l’ esperimento di acquisizione sia stato positivo (anche se si può davvero migliorare!!). Io credo che queste immagini, nella loro ruvidità impalpabile, conservino una strana magia.

Ecco a voi il Pakistan del 1999 e qualche scheggia della grande avventura che fu l’esplorazione e la conquista di Cima Asso. Saranno almeno dieci anni che non vedo queste foto!

La foto di apertura è un omaggio al mio amico Cristian (che forse da troppo tempo non vedo, purtroppo). Quella volta in una valle sorvegliata da un ingente presidio militare abbiamo percorso quasi quattro ore di jeep attraverso distese sterminate di piante di Marijuana, pianta che in quei territori cresce infestante come le ortiche.

Angelo, il nostro capo spedizione, ci avrebbe tagliato le mani se solo avessimo pensato di avvicinarci: già, su permesso del Governo esploravamo spazi bianchi sulle mappe al confine tra Afganistan e Pakistan, eravamo tutti giovani ma in un paese mussulmano come quello non potevamo assolutamente combinare la ben che minima pirlata.

Tuttavia quel giorno eravamo in una specie di Eldorado della Cannabis ed Angelo, visto che ai militari non sembrava interessare troppo la cosa, ci lasciò scattare qualche foto documentaristica. Cristian, che era una montagna d’uomo, voleva fare l’asino ed insistette per farsi scattare una foto mentre con la testa sbucava da una di quelle verdeggianti siepi.

L’idea era divertente ma ebbe risvolti davvero imprevisti: il guaio fu che il “gigante amico” inciampò. Già, mentre scendeva in un canale di irrigazione, inciampò precipitando a braccia aperte sulle piante ed abbattendo due metri buoni di siepe.

La nostra preoccupazione iniziale fu che i contadini si infuriassero per il disastro ma tutti i presenti si limitarono a ridere divertiti del nostro sfortunato compagno. Ciò che non ci aspettavamo era che le piante, scosse dal gigante, liberassero una colossale nuvola di polline giallo che avvolse (e probabilmente travolse) il nostro povero amico: per le ore successive, nonostante gli scossoni della jeep sulle strade dissestate, il nostro gigante si limitò a sorridere con lo sguardo allegramente perso tra le colline del Karakorum. Chissà che viaggio il suo!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Pakistan: Cima Asso 5100metri

Pakistan: Cima Asso 5100metri

Questa foto è emersa dagli scatoloni come un gioiello perduto, è uno scatto sulla parete che porta alla sommità di Cima Asso, la vetta conquistata e battezzata nel lontano 1999 in Pakistan da cui prende il nome questo sito.

Eravamo in Hindu Kush, sulla catena montuosa che separa la piana dell’Afganistan, dai territori tribali del nord del Pakistan. Eravamo in uno degli ultimi “spazi bianchi” sulle cartine del mondo e che, nel giro di pochi anni, sarebbe diventato uno dei punti caldi dello scacchiere internazionale.

La salita verso la cima era una prima assoluta e la squadra, composta da cinque alpinisti, si era divisa in due cordate per cercare la via migliore per salire. Nella foto si vede Angelo Rusconi, con il casco blue, seguito da Cristian Cattivelli, con il casco rosso. Io ero legato in fondo a questa cordata da tre. La foto l’ha invece scattata Simone Rossetti o Luciano Giampà che, legati nella seconda cordata, sondavano la parete più a sinistra.

Era il 5 Agosto 1999, il giorno del mio 23° compleanno per la precisione. Io ero il più giovane della squadra e non ero mai andato così lontano da casa in vita mia. Quanti ricordi! Che mondo spettacolare e selvaggio ci circondava!

All’epoca non c’erano ancora le macchine fotografiche digitali e tutte le immgini di quell’avventura sono conservate in diapositive. Dopo dodici anni trovarne una stampata è stata una piacevole sorpresa: prima o poi dovrò decidermi a digitalizzare anche quelle storia così analogia e nostalgica.

Qui sotto invece un’immagine più nota: la foto di foto di gruppo a 5100 metri  sulla vetta di CIMA ASSO. In senso orario dal centro: Angelo Rusconi, Cristian Cattivelli, Luciano Gimpà, Simone Rossetti e Davide Valsecchi.

eBooK: Due di Asso – Himalaya

eBooK: Due di Asso – Himalaya

Era il 20 Maggio del 2008 quando “Cima” iniziò a pubblicare sul web ed il suo primo articolo era dedicato ad Asso ed al FAI.

Da allora sono passati tre anni ed attraverso 770 articoli abbiamo esplorato ben tre continenti senza mai dimenticare di sostenere e valorizzare anche il nostro territorio.

Tibet, Africa, ma anche Cedri e Vallategna risalendo il Lambro o attraversando il Lario insieme ai più disparati artisti o agli entusiasti ragazzi delle nostre scuole.

Libri fotografici, mostre, ricerche storiche, cultura e scoperta: ecco il senso dei tre anni di “Cima-Asso”.

La squadra di “Cima”, sempre diversa e sempre in trasformazione, ha affrontato viaggi, incontri e persino “scontri” quando era necessario farsi valere. Abbiamo conosciuto tante persone, visto posti incredibili ed ogni volta abbiamo speso tutta la nostra passione per raccontare ciò che ci circondava.

Ora a me, che ho il gravoso compito di “guidare” questa squadra, tocca l’onere e l’onore di dirVi “GRAZIE, è bello saperVi con noi!”

Per commemorare il terzo compleanno di Cima ho deciso di pubblicare un piccolo libro in formato digitale, un eBook che raccoglie tutti i racconti del viaggio in Ladakh attraverso le montagne del piccolo Tibet: Due di Asso – Himalaya.

Questo, che è il primo di una serie di eBook, vuole essere un regalo per tutti coloro che ci hanno seguito in questi tre anni e per chi ha conosciuto “Cima” solo da poco.

L’eBook è disponibile, in forma totalmente gratuita, presso uno dei maggiori e più affidabili distributori di eBook internazionali, FeedBooks,  nei più comuni formati, dall’ePub al Pdf.

Per scaricare il libro basta visitare questo link (FeedBooks: Due di Asso – Himalaya) oppure utilizzare il lettore di codici a barre di uno SmartPhone sull’immagine QRCode qui riportata.

Un saluto a tutti Voi con il rinnovato impegno di  raccontarVi ancora nuove ed affascinanti avventure tra le pagine virtuali di questo nostro piccolo Blog.

Tanti Auguri “Cima”!

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps. Se per voi SmartPhone, Tablet o eBook Reader sono “diavolerie” sconosciute potete scaricare il libro semplicemente in formato Pdf usando questo link.

American Alpine Journal: Cima-Asso

American Alpine Journal: Cima-Asso

Lake Bhari – Pakistan Hindokush – Campo Base Cima Asso

In questi giorni sto organizzando l’iniziativa Flaghéé, un viaggio tra le montagne apparentemente più semplice di quelli raccontate in passato ma che conserva, a mio avviso,  un fascino profondo e sincero: le montagne del Lario riunite in un’ unica avventura.

Nel 2009 abbiamo condiviso il viaggio in Ladakh lungo il confine tra il Tibet Cinese e l’India, siamo saliti in cima allo Stock Kangri (6130 metri) e attraversato la valle del Markha ed il valico del Kangmaru La (5150 metri). Era il primo viaggio delle Bandiere che sarebbero diventate le Flaghéé ed accompagnavo un fotografo nella sua prima esperienza tra i monti. Le foto di quel “pellegrinaggio” ora sono raccolte in un libro fotografico: «Contrabbandieri del Nirvana».

Il viaggio per me è sopratutto scoperta e la montagna non è una competizione o un impresa che si esaurisce nell’esito di una salita, nella ricerca di un risultato importante. La vetta di una montagna spesso è un solo posto inospitale e solitario a cui ci si arriva dopo grande fatica e rischio, un regno di immensi spazi vuoti: lassù non troverete nulla  se non quello che avete portato con voi, nel vostro zaino come nel vostro cuore.

Per qualcuno è la quota, per qualcuno è il grado di difficoltà o l’importanza del nome. Per me è la ricerca, la scoperta, e diventa più appassionante quanto più appare comune e lontana dai clamori:  mi piace cercare tra le cose ovvie trovando qualcosa di speciale. Ecco perché voglio fare il giro del lago passando dai monti: esploriamo casa nostra.

Laghi e montagne, in fondo è quasi una costante: il lago Tanganica ed il monte Hanang in Africa, il lago Dal in Kashmir e lo Stok Kangri in Ladakh. Una consuetudine che ha avuto inizio quasi dieci anni fa con il lago Bhari ed il monte Cima Asso in Pakistan.

Forse non tutti sanno che questo sito prende il nome da una montagna, Cima Asso, conquistata e battezzata il 5 Agosto 1999, il giorno del mio compleanno: era il mio primo viaggio all’estero, la prima volta che prendevo un aereo per giunta.

Quell’anno esplorammo una zona di mondo di cui quasi non si conosceva nulla. Per una volta in vita mia ho avuto la fortuna di spingermi là dove le cartine erano ancora bianche e tutto era ancora da scoprire. Un viaggio che oggi sarebbe irripetibile per mille ragioni.

Nel 2000 fu pubblicato sull’American Alpine Journal, la rivista americana che tiene traccia delle salite più importanti, la relazione della spedizione del nostro viaggio in Pakistan: nonostante Cima Asso sia alta solo 5100 metri fu inserita nella rivista proprio per la sua natura esplorativa in una zona di mondo ancora sconosciuta. [Cima Asso (Hindu Kush, Pakistan) edizione 2000: pagina 322-323]

Ecco la traduzione in italiano:

Cima Asso“: prima salita. Per il terzo anno consecutivo, il Club Alpino Italiano di Asso ha supportato una spedizione in Pakistan. Il capo-spedizione era Angelo Rusconi e l’obbiettivo era raggiungere una valle inesplorata nella catena montuosa del Hindokush. Le persone selezionate per la squadra erano Luciano Giampà, Simone Rossetti, Cristian Cattivelli e Davide Valsecchi.

“Siamo partiti il 28 Luglio da Gilgit guidando mezzi 4×4 verso Gakuch lungo il fiume Gilgit, abbiamo poi attraversato Iskoman verso Gugulti seguendo la riva destra del fiume Iskoman. Scelti i portatori abbiamo cominciato la nostra avanzata la mattina del 29. Abbiamo attraversato la valle di Handis seguendo il fiume Iskoman alla sua congiunzione con il fiume Mathan Ther. Sempre mantenedo il fiume alla nostra destra abbiamo attraversto la valle incontrando impressionanti pareti di granito alte più di 1000 metri, tutte facilmente raggiungibili. Attraversato un ponte siamo arrivati al villaggio di Mathan Ther, posizionato su un promontorio verde alla congiuzione di due fiumi, uno dalla valle di Suncighi e l’altro da una una regione ad ovest chiamata Bhari. Dai locali abbiamo appreso di essere i primi stranieri che raggiungevano il loro villaggio. Il 30 Luglio abbiamo imboccato la valle ad Ovest verso Bhari, un villaggio di medie diemsioni posto in una piana adiacente ad un grande lago verde sovrastato da due grandi montagne. Abbiamo posto il nostro Campo Base vicino al lago, a quota 3850. Il nostro BC era in una buona posizione per osservare le vette attorno a noi. Ai piedi di queste montagne erano visibili ampi ghianioni al di sotto di parti verticali di granito. Molte di queste montagne hanno creste e spigoli coperte da ghiaccio e neve. Tra queste vi era una cima di 5100 metri a picco sulla sponda destra del lago. Abbiamo battezato la montagna “Cima Asso”, il nome del nostro paese in Italia. Tutti i membri della spedizione hanno raggiunto la vetta il 5 Agosto. I locali ci hanno mostrato il Kampur ed il Gharmush, le uniche cime conosciute al di sopra dei 6000metri. Tutti i menbri della spedizione concordano che la valle è ideale per spedizioni e trekking. E’ possibile raggiungere facilmente un confortevole campo base circondato da pareti di granito e cime inviolate.”

I ricordi sono ciò che raccogliamo lungo il nostro viaggio. La valle che vedete nella foto oltre il lago conduceva i pastori in una transumanza con l’Afganistan ed era una zona di confine di cui nemmeno l’esercito possedeva informazioni. Oggi la nostra montagna è nel cuore del ciclone, in una delle zone meno accessibili e più remote del Pakistan. Prima o poi torneremo a vederla e quando riusciremo a farlo il mondo sarà forse diventato un posto migliore.

Davide “Birillo” Valsecchi

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