Renzo Zappa è stato il presidente della sezione Cai Asso che, quando avevo otto anni, ha firmato la mia tessera d’iscrizione: membro emerito del Soccorso Alpino, istruttore della Scuola d’alpinismo Alto Lario ma sopratutto pioniere e custode dei Corni di Canzo. Lui, Giorgio Farina e Pietro Paredi sono le figure che in questi anni hanno saputo trasmettere a noi “Bagai” l’affetto e la passione per i Corni, aiutandoci e consigliandoci lungo la via che ripercorreva le loro gesta sulla roccia.
Dopo forse vent’anni d’oblio è stato un grande piacere, per me e Mattia, ripetere una via “storica”: Valbrona89 al Corno Occidentale. La via è stata tracciata alla fine degli anni ’80 ed è una delle primissime sul versate Sud (prima di loro probabilmente solo figure leggendarie come Eugenio Fasana e Giovanni Gandin).
Gli apritori sono Marco Lattuada, Giacomo “Mino” Fugazza e Renzo Zappa aiutati anche da M.Bellotti e G.Masciadri.
Confesso che per me questa è stata la mia “prima volta” nel grande ed inaccessibile anfiteatro della “Fessura Gandin”: bagai, che posto incredibile si nasconde lassopra!! Ecco a Voi i Corni di Canzo come forse non li avete mai visti!
Mattia ed io lasciamo la neve del lato nord immergendoci nel sole del lato sud: la giornata sembra preannunciarsi anche più calda di quanto fosse previsto. La Val Ravella è completamente illuminata e la roccia sembra perfettamente asciutta. Attraverso la cengia attrezzata raggiungiamo l’attacco della via, la prima alta muraglia che rimonta fino alla grande conca sovrastante.
Valbrona89, una piccola grande emozione. In maniche di maglietta ci imbraghiamo ed attacchiamo il primo tiro: Mattia è il capo cordata e l’uomo di punta, io il suo fidato e casinista secondo. Ancora una volta “Due di Asso”.
Dopo il primo passaggio ci si immette a sinistra alla base di un diedro prima di risalire verso destra seguendo un fessura e superando uno strapiombo. “Qua è pieno di terra” Mi informa Mattia ”Non è brutto ma mi serve una protezione, vedo di aggiungere qualcosa. Provo un chiodino”. Poi scoppia a ridere. “Volevo mettere un chiodo in una fessura, ho tirato via una zolla d’erba e sotto ho trovato uno dei chiodi originali.” La via è infatti abbandonata probabilmente da oltre vent’anni ed è invasa dalla terra e dalle erbacce dove la roccia non è compatta. “Bhe, almeno è certo che la pensiamo allo stesso modo degli apritori!” Gli apritori della via, Renzo soprattutto, sono le persone che ci hanno avvicinato alla montagna ed insegnato le basi: sono i dettagli che fanno un Clan, una famiglia.
Mattia dà battaglia sullo strapiombino e si dà un gran da fare a liberare la via da tutti i sassi che possono cadere. A protezione del passaggio più esposto aggiunge un chiodo in una fessura verticale. Finalmente passa il tetto ed organizza la sosta su una pianta. Quando è il mio turno sullo strapiombo quel piccolo chiodo posto da Mattia saluta la roccia appena provo ad estrarlo. Per un attimo, sorpreso dal cedimento improvviso, rimango appeso per braccio tutto sbilanciato all’indietro: il primo di una lunga serie di brividi!
Il secondo tiro è un semplice passaggio tra i sassi e le piante: prendendo in giro Mattia sono io a tirarlo da primo fino alla successiva grande placca. Una scritta “Valbrona89” segna il punto d’attacco dove la via torna ad essere arrampicata dura.
L’ambiente attorno a noi è incredibile, neppure io mi sarei aspettato ci fosse così tanto “spazio” su quel lato della montagna. Siamo dentro una specie di anfiteatro semicircolare completamente isolato, raggiungibile solo arrampicando dal basso oltre i 30 metri di scogliera o scendendo dall’alto attraverso rocce e placche. Nel centro dell’anfiteatro vi è la grande spaccatura a camino che risale culminando nella grotta passante del passo della vacca. E’ in quel punto, secondo i diari, che Giovanni Gandin, pioniere e guida alpina delle Grigne, compì la sua poco nota risalita del Corno Occidentale.
Il tiro successivo è molto godibile e rimonta roccia sana alternando un piccolo tetto ad una lunga placca densa di clessidre e maniglie di roccia. La sosta è una catena attorno ad un vecchio albero da cui si può poi risalire di un’altra decina di metri fino ad una comoda cengia munita di una solida catena a spit: è in questo punto che ci siamo fermati a mangiare e a tirare fiato. Sulla sinistra vi è un vecchio cavo metallico che protegge un passaggio con cui lasciare la via riparando sui prati che risalgono fino alla scala metallica della Ferrata del Venticinquennale.
Il terzo tiro, il quarto contando anche il passaggio nel bosco, è il più “bastardo”. Probabilmente il meno bello della via e quello che richiede più cautela ed attenzione. Secondo lo stile aggressivo di Marco Lattuada il tiro si lancia a sinistra sulla parte strapiombante ignorando il passaggio a destra forse più docile ed intuitivo. Rimontato il primo strapiombo si attraversa verso sinistra guadagnando la base di un diedro. Superato questo si prosegue ancora verso sinistra rimontando un ultimo sbalzo di roccia invaso dalla terra e dall’erba prima di giungere sulla cengia alla base dell’ultimo tratto della ferrata. In questo punto Mattia ha dovuto piazzare integrare con un chiodo perchè c’era poco o nulla di sano a cui fosse salutare attaccarsi.
Anche sulla destra del diedro c’è una grossa lama di roccia alta quasi due metri che, quando ho appoggiato il peso in spaccata, ha oscillato in modo ragguardevole e tremendamente preoccupante. Tutto il tiro va affrontato con la massima attenzione perché c’è davvero tanta roba che si muove e che rischia di crollare.
Giunti fino a quel punto non ci restava che il gran finale: quello che probabilmente è il tiro più bello di tutta la via e che la rende probabilmente una “classica”. A destra del tracciato della ferrata si innalza infatti il quarto tiro: ancora una volta alla base una scritta “Valbrona89” indica il punto d’attacco.
Per Mattia è il momento di furoreggiare e dare spettacolo! Quando siamo partiti la mattina il sole era caldo e noi sudavamo in maglietta, quando abbiamo attaccato il tiro l’aria si era fatta tanto fredda che per non tremare indossavamo i gilet imbottiti ed il K-way. “E’ una figata! Dobbiamo tornarci con un po’ più di caldo perché è magnifica!” Questo era quello che mi ripeteva divertito Mattia ogni volta che era costretto a fermarsi per scaldarsi le mani infreddolite. “Voglio provarla con il caldo. Con il caldo deve essere strepitosa!”
La roccia è magnifica, compatta e lavorata ma assolutamente non banale. Sul primo tettino volo e resto appeso. La corda, quasi completamente distesa, si allunga facendomi perdere i metri duramente conquistati. “Ohhh! Ma è dura!!” urlo a Mattia lasciandomi investire dalla sua consueta vagonata di allegri sfottò.
Al tentativo successivo mi scivola il piede destro ma con la mano sinistra tengo e resto appeso il tempo che serve per fare il passo. Piano piano risalgo la fessura fino a giungere sotto il successivo strapiombo. Oltre lo strapiombo la via segue prima una piccola fessurina sul sinistra e poi traversa su una placca verso destra fino alla sosta.
“Hey Mattia! Ma qua se volo mi sparo un pendolo senza fine!” Mattia, flemmatico, mi esorta “Ma va! Basta non cadere!” Stacco l’ultimo rinvio lasciando che la corda si distenda ed attacco il passaggio. Provo a restare appeso sulla sinistra con una manciata di dita nella fessura ma non riesco a girarmi verso destra e a rimontare di slancio. “Hey! Guarda che ci sono! Due secondi e vado!”. Sento la forza delle braccia disperdersi e per un secondo sono solo mie nocche incastrate a sorreggere il mio peso. “Vado!” Pedalo sulla roccia e pendolo verso destra finendo cinque o sei metri sotto la sosta nel vuoto.“Visto! Te l’avevo detto che andavo!!”
Una delle due corde si tende su una piccola lama di roccia dando quel giusto tocco di brivido che mancava. “Ci sei?” “Ci sono” “Trova dove appoggiarti che scarichiamo la rossa” “Okay, ho un appoggio, falla saltare”. Le due corde si ridistendono parallele appoggiate sulla roccia piatta. “Aspetta che ti faccio una foto!” “Pirla sono appeso!” “Ma smettila, sono le mie povere corde quelle che hanno sofferto di più!”. Sdrammatizzare in sicurezza è la regola.
Spiaggiato su una placca non restava che affidarmi ai metodi più beceri. Blocchiamo la corda rossa mentre Mattia recupera sulla gialla. “Naaa, così ci mettiamo una vita a tirarmi su! Buttami giù il lasco della piastrina che mi paranco da solo!” Mattia ride e mi cala le corde a cui, come un salame, mi appendo mentre lui controlla che scorrano e si blocchino correttamente. “Pare non ci sia modo che io ne esca in modo dignitoso da una via!” Ridiamo insieme tirando fiato alla sosta.
L’ultimo tratto rimonta una placca appoggiata ed un muretto aggettante prima di ripiegare su roccette rotte fino all’uscita della ferrata. Finalmente fuori dalla via ci appoggiamo alla roccia ed osserviamo il tramonto rosso all’orizzonte. Prendo il cellulare e faccio un numero: “Ciao Renzo! Sì sì, abbiamo fatto! Siamo usciti ora! Sì, sì, tutto bene! È un posto incredibile! Un vero Spettacolo!!”
Questi sono i Corni Canzo, l’avanguardia e la tradizione del Cai Asso. Sono davvero felice.
Davide “Birillo” Valsecchi
Via Valbrona89 Corno Occidentale, ripetizione del 28 marzo 2014.
Mattia Ricci (primo di cordata), Davide “Birillo” Valsecchi
Note: oltre a materiale da incastro e chiodi sui primi tiri servono 12/14 rinvii.
Sul terzo tiro la roccia è spesso fragile con molta terra ed erba.
Le soste sono su solide piante o su ottime soste a catena.
Sono presenti chiodi originali e pistrine fix resinate ed in ottimo stato.
La via ha numerose possibilità di uscita.