Il caso “Piacco”

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In questi giorni, tramite il Forum di PlanetMountain.com, ho avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con GianMaria Mandelli. Sul forum avevo riportato l’elenco delle vie che abbiamo percorso in modo che foto e racconti potessero essere utili a chi puntasse ai Corni. Quello che davvero non mi aspettavo era di imbattermi in una figura storica come Mandelli su uno strumento tanto inconsueto come un Forum Internet.

Mandelli, insieme a Tessari, è l’autore dei libri pubblicati da Valmadrera sui Corni e sul Moregallo. I suoi libri, tre in totale a partire dal 1979, sono la fonte storica da cui attingere avvicinandosi alle nostre montagne. Quei libri sono fissi sulla mia scrivania ormai da oltre un anno e credo di averli letteralmente divorati e consumati. Mandelli è un’autorità, per certi versi il custode (ed un po’ il Sindaco) dei Corni.

L’incontro ha però rischiato di diventare uno scontro perché, soprattutto nei primi scambi, sono volate scintille. Mandelli, senza troppo giri di parole, mi accusava di essere un “racconta panzane senza un minimo di conoscenza storica o dei luoghi” e di descrivere i Corni di Canzo più difficoltosi di quanto non fossero in realtà. Io ho cercato di trattenermi ma, per indole, ne sono uscito dandogli della “vecchia ed eroica cariatide ottenebrata dalle medaglie” proseguendo con “abbaii quanto vuole tanto la pelle sulla roccia è la mia e non ho nulla da renderle conto”.

Tutto era apparecchiato perché si scatenasse una guerriglia ma, fortunatamente, è apparso evidente come la passione, l’affetto ed il rispetto per Corni sia forte in entrambi e questo ha reso possibile superare i contrasti e le divergenze. Alla fine, come due fidanzatini, abbiamo cominciato a farci complimenti a vicenda.

Tra l’altro aver attirato la sua attenzione (o la sua ira) per me è stato quasi un vanto: significa infatti “avere fatto abbastanza” da poter iniziare a confrontarmi con chi “ha fatto la storia”. Non è cosa da poco!

Motivo del contendere la “Via Attilio Piacco”, una via che per certi versi è la “tempesta perfetta”. La via infatti è dedicata al fondatore dell’omonima scuola alpinistica di Valmadrera, un scuola che vanta tradizione ed eccellenza. Solo il parlare di quella via rende il discorso simile ad uno di quei vecchi film di “Bruce Lee”. Il problema è che io non sono “Chen” e non ho nè la volontà nè le capacità per sfidare una simile scuola o i suoi maestri.

L’altro aspetto importante di questa via sono la sua significativa difficoltà e le sue attuali condizioni che ne fanno una questione irrisolta. Oltre a questo la via è caratterizzata da un diedro magnifico che la rende tremendamente attraente!

Dopo il nostro piccolo bisticcio il Signor Mandelli mi ha chiesto di scrivere due righe sulla nostra salita ed eccomi qui a svolgere il mio compito:

Io e Mattia abbiamo fatto due tentativi e nel secondo ho davvero temuto ci stessimo per rimettere la pelle. A metà del diedro vi è una variante, la variante Tessari, che traversa verso sinistra ed esce (più o meno) raggiungendo la C.R.I.S su roccia buona. La via originale invece esce dritta dal diedro superando sulla sinistra due tetti aggettanti. Il problema è che la roccia di quei tetti è in pessime condizioni (ripeto pessime) ed una volta superati si deve allungare ed esasperare il tiro fino all’uscita.

Quel giorno su quell’ultimo tiro siamo rimasti inchiodati per tre lunghe ore. Mattia era riuscito, osando come non mai, a passare. Oltre ai tetti ci aspettavano di trovare una sosta con cui proteggere quel terribile passaggio ma non trovammo nulla. Le corde erano bloccate e la precarietà della roccia rendeva azzardato ogni tentativo. Mentre il mio socio piantava chiodi immaginavo l’elicottero giallo del soccorso mentre faceva una passaggio davanti alla Fasana prima di vericellare la squadra sopra la parete. Ma era una fantasia ottimistica: se Mattia fosse caduto o se la roccia avesse franato avremmo probabilmente strappato tutto e ci saremmo ritrovati entrambi sessanta metri più a basso.

Alla fine Mattia ha piazzato tre chiodi, si è ancorato alla parete e si è slegato: “mi fido di te”. Il sole stava tramontando ed io dovevo lasciarlo solo, calarmi, girare la montagna (quindi senza più vederlo o sentirlo) per recuperarlo dall’alto prima che facesse buio. Vi assicuro che non è stata paglia…

Fortunatamente ce la siamo cavata, ne siamo “venuti fuori”. Tutto il nostro materiale era appeso come una ghirlanda dentro la via: cordini, rinvii, friend, fettucce, chiodi. Non avevamo più nulla se non l’equipaggiamento da speleo. Il giorno successivo siamo tornati a riprenderci la nostra roba “con le cattive”.

Mandelli, nella sua guida, riporta la via Piacco come “ripetuta e consigliabile”. Tuttavia grazie al nostro piccolo battibecco è emerso che in realtà la via in 35 anni “avrà sì e no 10 ripetizioni”. Signor Mandelli: io ho una grande stima per lei, ora siamo quasi amici ed è tutto risolto, però in amicizia un “Mandelli vaffanculo!” glielo dobbiamo da tempo (non ne abbia a male).

Superata questa “formalità” andiamo alla pratica. Ho trovato infatti le foto di quel passaggio e credo possano essere utili. Mattia è un istruttore speleo con grande esperienza nelle esplorazioni del nostro territorio. Per questo ha armato, frazionato e protetto la sua calata con malizia ed accortezza che probabilmente non troverebbero pari in un alpinista puro. Quando però ha appoggiato i piedi sul tetto è venuto giù il mondo: sassi grandi come palloni da calcio sono filati sessanta metri nel vuoto esplodendo sul ghiaione. Roba spaventosa!

Per evitare che la corda smuovesse altri sassi Mattia ha frazionato subito sotto il tetto con un fix del 8. Il fix, senza piastrina, è ancora in loco. Sempre in quel punto abbiamo messo un nastrino bianco e rosso a segnalare il pericolo. La nostra idea era che nel futuro sfruttando il fix, la clessidra ed un chiodo sulla destra si possa organizzare una sosta decente che permetta di calarsi (fuggire) o proseguire (e forse morire).

Anche calandoci dall’alto non abbiamo trovato traccia di come la via originale proseguisse fino all’uscita. Ancora oggi Mattia ed io non abbiamo certezze su quale sia la sua linea finale.

Ulteriori informazioni sono disponibili nell’articolo orginale di quella giornata:
https://www.cima-asso.it/2013/09/attilio-piacco-secondo-round/

Tutto questo racconto, riemerso dalle avventure di anno fa, solo perché in molti mi hanno chiesto di quella via: puntare alla Piacco è qualcosa di estremamente attraente, un bel diedro in mezzo alla parete Fasana non passa inosservato. Mandelli dice “ripetuta e consigliabile”, io sebbene ne subisca il grande fascino la considero “il male assoluto”. Sono due campane diverse (la mia sicuramente meno autorevole): scegliete voi la vostra musica.

Forse, ripeto forse, si potrebbe aggirare sulla destra, rimontare lo spigolo del diedro inseguendo la roccia buona fino alla cresta. Tuttavia si dovrebbe superare gradi di difficoltà altissimi che sarebbe impensabile affrontare senza le giuste protezioni (sia in libera che in artificiale). Curiosamente sarebbe necessario coniugare il meglio del passato con il meglio del presente per “risolvere” quel nuovo passaggio.

Ho rimarcato la questione perché a nessuno venga voglia di fare l’idiota. E’ una via storica che merita rispetto e che va temuta: non è un arena per galli, quindi niente sciocchezze o eroismi. Il bello dell’alpinismo è anche comprenderne i “limiti”.

L’Attilio Piacco è una via strepitosa ma, a ragion veduta, non è né ripetuta né consigliabile. Una via per pochi (forse ormai per nessuno) che rappresenta la “tempesta perfetta” dei Corni: probabilmente la via migliore per omaggiare il Signor Piacco. Per certi versi sono contento ci abbia respinto senza però annientarci: ognuno di noi ha bisogno della sua “balena bianca”.

Prima di pensare alla Piacco godetevi le altre vie che, con la dovuta prudenza, sanno essere magnifiche.

Davide “Birillo” Valsecchi

Per stemperare un po’: ecco i brevi filmati fatti quel giorno.
Fortunatamente,con il senno di poi, fa molto ridere  😉

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