Spigolo Palferi

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«E’ l’unica via che meriti la valutazione più alta nella scala delle difficoltà. Anche se non si può dire che tocchi il culmine resta comunque una salita, sebbene breve, di intenso impegno» Questo è ciò che scrissero Tessari e Mandelli nella loro guida ai Corni del 1976 definendone la difficoltà d’insieme con grado ED inf. (Estremamente Difficile) con due passaggi di VII- (Tremendamente difficile).

Una delle vie più intense ed aeree non solo della Torre Desio ma di tutto il gruppo dei Corni. Il primo a tracciare una via sulla Torre fu Eugenio Fasana nel 1931 attraverso lo stretto camino che la separa dalla parete sud del Corno Centrale. Solo nel 1946 un “dream team” composto da Carlo Rusconi, Darvino dell’Oro e Luciano Corti riuscì a superare le difficoltà dello spigolo tracciando una via ardita e spericolata che sarebbbe rimasta inviolata per anni.

La “leggenda” vuole che all’età di 16 anni il giovanissimo Carlo Rusconi abbia superato alcuni tratti a piedi nudi (all’epoca arrampicavano con gli scarponi) mentre altri tratti siano stati superati grazie ad una vera e propria piramide umana in parete.

Lo spigolo e la via portano oggi il nome “Palferi” perchè questo è il soprannome della famiglia Rusconi a Valmadrera. Palfieri sono anche Gianni e Antonio Rusconi, fratelli di Carlo e cui dedicarono la straordinaria “Via del Fratello” sulla parete ENE del Pizzo Badile.

A compiere la prima ripetizione integrale furono proprio Giorgio Tessari e Gian Maria Mandelli nel 1973: ben 42 anni dopo! Dopo aver affrontanto lo spigolo posso confermarvi che qui duei (“meno chiodi c’erano più eri bravo”) sono due pazzi integralisti ma all’epoca dovevano essere davvero straordinariamente forti!

Se non si comprende il loro punto di vista, unico ed eccezionale, la nota che pubblicarono nel 2005 apparirebbe come follia: “La via è stata per molti anni una tappa fondamentale per tutti gli alpinisti valmadresi, poi una mano maldresta ha rovinato i tratti più impegnativi con una chiodatura a dir poco abbondante ed ora, con il passare degli anni, si sono aggiunti anche i fix. Sarebbe interessante riportare la roccia al suo stato naturale per vedere quanti fortissimi di oggi sarebbero in grado di superare senza affanno quelle difficoltà.” I due, oltre alla nota, calarono  un ulteriore mazzata su questa via, che in buona misura è anche una loro creatura, declassandola da ED- a TD.

Quello che posso dirvi è che la “mano maldestra” appartiene probabilmente ad un altro “pezzo da novanta” dell’alpinismo locale e che i tre fix presenti (sui 75 metri complessivi di via) non sono di aiuto alla progressione ma posti, saggiamente, alla base dei passaggi più critici in modo da offrire protezione qualora una rovinosa caduta causasse lo “strappo” dei chiodi a monte (che ormai hanno dai 30 a 70 anni!)

“Birillo, ma che diavolo ci fai tu in mezzo a tutti questi nomi e a queste difficoltà?!” Questa è inevitabilmetne la domanda che mi sono posto alla base della torre. Dalla mia parte avevo però il grande talento di Mattia ed un po’ di tecnologia moderna: la torre sarebbe stata il battesimo per le mie scarpette nuove, la nuova “gommatura” con cui sostitutivo le mie gloriose scarpette del 1995.

La roccia in molti tratti, soprattutto all’inizio e verso la fine, è friabile e traditrice (per questo è importante proteggere). Nel resto della via spesso si dimostra “molto buona” fino ad “estrema”: ci sono infatti due passaggi in cui si deve smontare dalle staffe e buttarsi in placca che sono davvero spaventosi! Il primo è il traverso verso a destra su una panciuta placca che porta alla prima sosta (solito rischio pendolo che mi fa gli agguati!) ed il secondo è una placca verticale nel centro del secondo tiro.

Sul primo tiro abbiamo integrato le protezioni con cinque chiodi, la maggiorparte ad U abbastanza grossi ed uno a foglia, che abbiamo ovviamente recuperato. Sempre sul primo abbiamo piazzato un friend piccolo ma solo perchè desse la parvenza di supporto al piccolo chiodino a foglia. Sul secondo tiro abbiamo piazzato due chiodi ed un friend viola nella grossa spaccatura finale.

Durante la salita il tempo è stato abbastanza inclemente tanto che, sebbene sia agosto, abbiamo dovuto infilare il K-Way per proteggerci dal vento freddo che continuava a tirare sullo spigolo. La mia preoccupazione era che il tempo girasse e ci sorprendesse la pioggia che, fortunatamente, è caduta solo mentre comodamente eravamo sulla via del ritorno.

Mattia ed io arrampichiamo insime ai Corni ormai da oltre un anno. Mandelli recentemente ha scritto “Arrampicare ai Corni è si difficile ma non poi così tanto quando si è presa l’abitudine”, tuttavia prendere l’abitudine a quelle difficoltà ed alla peculiarità di quelle salite richiede davvero un lungo percorso formativo. Oggi, piacevolmente, non provo più l’ansia e l’incertezza che stringevano le budella quanto tentavamo le prime vie ma, ancor’oggi, seguo i lenti movimenti del mio compagno attraverso i passaggi critici con una tensione violentemente fisica.

Questa è un po’ la croce del secondo: laddove possiamo lavorare e coordinarci insieme emerge tutto l’affiatamento costruito nel tempo, ma nel momento decisivo, quando siamo soli ognuno al proprio capo della corda, posso solo sperare e confidare nelle sue capacità. Un fix quattro chiodi più sotto aiuta a soffocare quest’incertezza? Forse no, ma non si può che essere silenziosamente grati a quella mano “maldrestra” che, forse mettendosi l’altra mano sulla coscienza, lo ha posto nella roccia.

Le soste sono buone, fix e catena con anello di calata. E’ possibile vedersi e comunicare lungo entrambi i tiri, questo aiuta parecchio nei tratti da azzerare. Noi avevamo una sola coppia di staffe: per il primo tiro Mattia me le ha lanciate a terra mentre per il secondo abbiamo attrezzato una specie di “teleferica” con cui che le siamo passate.

Nel secondo tiro c’è una coppia di chiodi ravvicinati, uno dei due ha l’anello spezzato ma lo si capisce solo quando ci si alza quasi sopra: attenzione quindi!. Sempre nel secondo tiro sopra la placca c’è un cordino quasi nuovo che probabilmente non avrà più di cinque o sei anni. In tutto il gruppo dei Corni quella la testimonianza più recente che abbiamo trovato.

Per fare due tiri abbiamo impiegato quattro ore. Mandelli invitava “i fortissimi di oggi” a provare questa via. Io, che sono un’eccellente “meza sega”, vi invito a ripercorrere questa bellissima via densa di storia con adeguata consapevolezza. Che sia ED o TD poco conta, non prendetela sotto gamba perchè l’ultima cosa che voglio scoprire è se quei chiodi reggono o meno un volo. Tenete a mente: ai Corni, qualsiasi cosa voi facciate, è proibito sbagliare.

Prima di lasciarvi alle foto voglio concludere facendo i complimenti, ancora una volta, a Mattia Ricci e complimentarmi, ancora una volta, con Mandelli e Tessari: “Gianni, dannazione, eravate davvero dei pazzi furiosi! Fa impressione pensare a quanto foste forti!! Ancora complimenti ma quando stilerai la prossima guida pensa anche ai comuni mortali e proteggili, se non con i fix, con i giusti consigli: uomo avvisato mezzo salvato!!”

Davide “Birillo” Valsecchi

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