Corni: via Cuori Infrangibili

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Una via nuova ai Corni di Canzo, una via che per tanti aspetti è una “prima” assoluta. Innanzitutto è la prima via che traccio ai Corni, oltre a questo è la prima via multi-tiro che Bruna abbia mai affrontato. Ma ciò che rende davvero speciale “Cruori Infrangibili” probabilmente è il messaggio che racchiude, la piccola rivoluzione che rappresenta.

I Corni sono stati definiti una “palestra d’alpinismo”, sulle sue grandi pareti le relazioni di  V° spesso nascondono passaggi di VI° e di VII° quando non costringono alle staffe. (“quando aprivamo, un passaggio duro lo valutavamo V o al massimo V+ perchè all’epoca il VI lo faceva solo Messner”).

Da tempo la mia sfida personale era riuscire a tracciare ai Corni delle vie nuove, delle vie che fossero formative e propedeutiche alle salite sulle nostre grandi pareti. Credo di esserci riuscito e di essermi spinto anche un po’ oltre!

Arrampicare e confrontarmi con Ivan Guerini ha radicalmente cambiato il mio punto di vista e per alcuni aspetti la visione stessa che avevo dell’arrampicata. Per questo “Cuori Infrangibili” è una via assolutamente estemporanea, protetta unicamente a friend e fettucce, una via che è esistita solo nel momento in cui l’abbiamo percorsa e che per questo sarà irripetibile e “nuova” per chi chiunque verrà dopo di noi.

Ma andiamo per ordine: prima voglio raccontarvi delle “Rocce Sperdute”, la parete nascosta e segreta dove corre la via. Durante l’inverno Insieme a mio fratello e a Simone mi sono lanciato nell’ennesima esplorazione e, quasi per caso, ci siamo imbattuti in una grande parete nascosta dalla vegetazione. La roccia è verticale ma non strapiombante, percorsa da clessidre e fessure. Lungo la parete sono cresciuti numerosi alberi che con le loro bitorzolute radici trabordano dai buchi nella roccia. Sono proprio le piante e la densa vegetazione a nascondere questo grande paretone alto settanta metri e largo probabilmente altrettanto.

Quell’incontro è stata una rivelazione. Sebbene la roccia sia quasi nascosta dalle foglie e dalla terra è perfetta affinchè i “Badgers” possano imparare ad usare friend e nat.  Le clessidre e le piante offrono la solida possibilità di sostare in sicurezza senza bisogno di ricorrere a chiodi o spit.

Qualche giorno più tardi ne parlai ad Ivan e, con una certa sorpresa, anche lui conosceva quel posto. “Ho aperto un paio di vie su quella roccia. E’ un posto bellissimo ma Davide fai attenzione a raccontarlo in giro. Se non stai attento arriveranno con il trapano a riempire la roccia di buchi, taglieranno le piante, snatureranno e trasformeranno ogni cosa in una sterile e svuotata falesia”. Come era prevedibile Ivan aveva lasciato “naturalmente” intatta e “vergine” la parete. Ieri sera quando al telefono gli ho raccontato della nostra nuova via era molto contento e per questo ho fatto la mia promessa: “Non lascerò che accada!”

Ecco la storia della nostra via: Sveglia presto io e Bruna ci siamo messi in marcia partendo dall’ExTennis e risalendo sotto le Rocce Rosse. Per un paio d’ore risaliamo pazientemente scivolando tra crinali assolati e versanti buii ancora coperti di neve. Poi, finalmente, siamo alla base delle “Rocce Sperdute”. (Comprensibilmente al momento non voglio rivelare come arrivarci… portate pazienza)

Nella parte più a destra della parete c’è un grossa spaccatura di rocce rotte che risale tutta l’altezza e che, dal basso, sembra quasi strapiombante sull’uscita. Alla sinistra della spaccatura vi è una placca compatta e roccia esposta che si innalza  formando piccoli tetti. A destra invece la roccia è più rotta e nella parte iniziale ci sono numerose e robuste piante. Per “fare amicizia” decido di attaccare a destra, lungo il lato più facile della parete, alzandomi per scoprire cosa si nasconda più in alto dietro la vegetazione.

Bruna non ha mai usato in vita sua un reverso e questa è la sua prima via: è divertente, e forse un po’ scriteriato, pensare che sia lei a farmi sicura nell’apertura della mia prima via “trad”. La mia sola consolazione è una frase di Ivan “In val di Mello io e Monica arrampicavamo sopratutto per il piacere di stare insieme. Facevamo solo quello che ci sentivamo di fare, senza mai dover dimostrare nulla o prendere rischi inutili. Forse è anche per questo che non ci è mai successo niente in quegli anni”.

Quando arrampichi sulla via di qualcun’altro, quando attraversi la roccia in apnea tra uno spit ed il successivo, forse arrampichi in “libera” ma non sei “libero”. Arrampicare su una parete “vuota” è qualcosa di assolutamente diverso, terribilmente più bello. Ogni difficoltà si trasforma in un opportunità da comprendere, in un’esperienza da intrepretare.

Ti alzi, ti guardi in giro, sposti le foglie, scavi, tasti la roccia cercando di capire dove ti condurrà. Tutto rallenta e si espande, poco importa quanto “lasca” sia la corda o quanto “lontana” sia l’ultima fettuccia che ti lega ad una clessidra. Non hai paura di cadere, tra le tante possibilità hai scelto il passaggio che ritenevi più adatto a te ed ora, senza alcuna forzatura, sei semplicemente appoggiato alla roccia. Stai semplicemente arrampicando.

Piazzo un cordino su di una pianta, poi una fettuccia in una clessidra. Piazzo quelle protezioni pensando più a Bruna che mi seguirà che alla mia progressione. Mi alzo su una lama che emerge tra le foglie. Il passaggio non è difficile ma l’ultima clessidra è sotto e tutta a destra. In una spaccatura piazzo un piccolo friend: questo invece lo piazzo per me! Risalgo la lama e sento che la corda inizia a pesare e a strozzarsi: è ora di fare sosta.

Guardo in alto e vedo una bella pianta sulla destra. Mi alzo ancora un po’ e poi sulla sinistra vedo una strana conformazione rocciosa illuminata dal sole: una concentrazione incredibile di clessidre!! Smetto di salire verso destra e scavalco una lama verso sinistra. Riposiziono la corda ed inizio a preparare la sosta.

Bruna, una trentina di metri sotto di me, inizia a salire mentre la recupero. Mentre salivo ho testato tutti i sassi e rimosso quelli pericolosi. Ho pulito gli appoggi e cercato la linea più naturale e logica. Nonostante questo la via è assolutamente selvaggia! Forse è solo la sua assoluta inesperienza che la spinge a ridere divertita e serena mentre sale. Forse davvero non si rende conto di quanto “diversa” sia la nostra via.

“No, devi appenderti alla sosta! Se non metti in tiro la lounge fai solo fatica e rischi di scivolare! No, non importa se non hai appoggio per i piedi. Appenditi, è sicura, ti tiene!”. Due cordini e tre clessidre, questa è la sua prima sosta appesa nel vuoto. “Sì, però è scomodo!” Brontola lei.

DSCF4175Piano piano prende confidenza con quell’inconsueta posizione ed inizia a restituirmi il materiale che, diligentemente, ha recuperato lungo la salita. Le passo la corda, le sistemo il reverso e mi appresto a ripartire.

Sopra la sosta c’è una placca che risale fino ad una piccola pianta: è una bella placca, potrei alzarmi sopra la sosta e studiarla cercando di capire se posso proteggere nel mezzo. Se scivolo rischio di piombare su Bruna. Non avendo esperienza con il reverso rischierei di passare di sotto, oltre la sosta, e lei di sicuro prenderebbe uno spavento terribile. Scarto la placca “eroica” e scavalco nuovamente la lama a sinistra: “…mmm, se faccio un traverso troppo lungo però può diventare pericoloso per Bruna”.

Semplicemente appoggiato mi fermo un istante e mi guardo intorno assolutamente rilassato “Vediamo cosa c’è in giro…”. Sposto un po’ di foglie, libero dalla terra qualche buco e, finalmente, trovo quello che stavo cercando. In alto, sopra di me, c’è una bella clessidra su cui rinvio proteggendo il passaggio di Bruna. “Molto bene! Andiamo avanti!”

Con i piedi appoggiati sulle radici di una pianta mi trovo davanti un’altra placca. In quel punto la roccia si libera della vegetazione formando un lungo scivolo che corre aperto verso il basso.  Vorrei risalire la placca direttamente sopra la pianta su cui sono appollaiato ma dal ripiano a cui vorrei arrivare trabocca una cascata di rovi. Non c’è modo che riesca a toglierli di mezzo e l’unica soluzione è buttarsi a sinistra, allo “scoperto” sulla placca.

“Bhe, se non c’è altro modo, vediamo di capire come farlo bene”. La placca di calcare sembra compatta ed po’ complicata da affrontare in aderenza. “Bruna! Mi fermo un istante a studiare il passo! Non ti preoccupare”. In passato, arrampicando, ci sono state molte occasioni in cui mi sono sentito “non all’altezza”. Una sensazione davvero brutta. Mentre studiavo quella placca non ero affatto preoccupato, anzi, mi sentivo piuttosto sereno: l’unica via possibile è semplicemente la sola che sono in grado di percorrere. Facile, no?

Sempre in equilibrio mi sono abbassato per studiare un grumo di foglie che sembrava appoggiato sulla placca. In realtà sotto le foglie si nascondeva una grossa clessidra piena di terra che ho ripulito con le mani. Poi, dopo essermi raddrizzato, ho provato ad infilarci un piede “Toh, va che bel basello! Chi cerca trova!” Con un passo sono stato in placca e, disteso verso l’alto, ho iniziato a studiare il passaggio successivo.

Dalla placca ho visto una grossa pianta una decina di metri più in alto ed era lì che intendevo fare sosta. Dopo il traverso ed i rovi conveniva che Bruna trovasse la corda il più verticale possibile, quindi quei metri dovevo coprirli senza giri strani o protezioni che strozzassero.

Trovo una buona presa per la mano ed un buon appoggio su cui fare il passo ed oplà, sono fuori dalla placca. Nella cengia c’è una grossa protuberanza che a destra forma uno stretto e friabile diedro con un pinnacolo roccioso mentre a sinistra sfila tra rocce rotte ed accumuli di terra.

Decido di passare a sinistra ma devo essere certo che non ci sia roba grossa e mobile che Bruna possa tirarsi addosso. Mi attacco a piccole tacche solide e lasciando sfilare il bacino rimonto, quasi sedendomici sopra, oltre la pancia rocciosa. Nonostante l’aspetto è tutto fortunatamente molto solido. Copro gli ultimi metri e piazzo la sosta al piede di una pianta.

Bruna inizia a risalire dandomi voce ogni volta che stacca e recupera una protezione. Quando arriva ai rovi passa veloce senza lamentarsi “Vedi che ho fatto bene a tenere le maniche lunghe!” Quando arriva in placca ride e mi rimprovera scherzosa “Sei un bastardo!”Non è colpa mia: la via passava di lì”. Senza troppa fatica supera quei due passaggi, un po’ complicati ed esposti, raggiungendomi in sosta.

Il terzo tiro in realtà è un’uscita tra rocce e cenge erbose che tuttavia conviene affrontare legati. Mi alzo tra le piante ed adocchio una bella cengia pianeggiante circondata da rocce,a strapiombo sulla parete ed illuminata dal sole. La raggiungo ed inizio a recuperare Bruna facendole sicura a spalla.

A metà del tiro davanti a mè, scavalcando il crinale roccioso, appare una grossa volpe. Ancora avvolta nella muta invernale è assolutamente sospresa dal vedermi. Io invece sono seduto e bloccato a terra dalla corda a cui è legata Bruna.

Per un istante ci guardiamo immobili, poi sono io a fare la prima mossa, a prendere in mano la situazione. Senza toglierle gli occhi di dosso urlo profondo. “Hey Bruna, guarda un po’ la volpe!” La volpe si volta e vede Bruna, si volta ancora un istante verso di me e poi come un lampo scappa tra le rocce da cui era venuta. “Nooooo, ho visto solo la coda!” Protesta Bruna continuando a salire. Le volpi sono selvatiche e tra animali selvatici ci si è intesi al volo.

Dalla cengia si può uscire superando un facile muretto roccioso e così, visto che Bruna aveva infilato il sacchetto del “pick-nick” nel mio zaino, ci sediamo al sole per fare uno spuntino. Le rocce sono calde, l’erba morbida  ed il contrasto con i versanti innevati davanti a noi è davvero stupefacente. Ci togliamo l’imbrago ed anche qualche sfizio prima di addormentarci al sole. “Volevo durasse” è la storica frase di Ivan parlando del suo bivacco durante l’apertura de “Il Risveglio di Kundalini”. Già, il buon Guerini è uno che ha davvero capito il vero senso delle cose.

“Coraggio, Bru, è ora di andare” Sistemiamo gli zaini e superiamo l’ultimo muretto oltre il quale ci attende la neve. Questa è la storia di “Cuori Infrangibili” la prima via che ho aperto ai Corni, una delle innumerevoli ed irripetibili vie che possono essere tracciate alle “Rocce Sperdute” se avremo l’inteligenza e la sensibilità di conservare intatto e “vergine” quel piccolo angolo dei nostri Corni. Una “riserva” alpinistica dove non permettere che spit e megnesite ci sottraggano il diritto di arrampicare in libertà.

Davide “Birillo” Valsecchi

Cuori Infrangibili – Rocce Sperdute – Corni di Canzo
6/03/2015 Apritori: Davide “Birillo” Valsecchi, Bruna Galli
Due lunghezze da 30 metri + uscita.
IV grado (gradazione Corni di Canzo), solo protezioni veloci su roccia vergine.
(NoSpitZone)

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