AsenPark e BadgerTeam: le bestie sono a piede libero in Grignetta! Era tanto che volevo organizzare qualcosa insieme e, finalmente, l’occasione si è presentata. Davide “Girabachin” Bernasconi è uno dei ragazzi del Canalone Comera, un membro della pattuglia AsenPark che nell’inverno del 2013 ha affrontato l’impegnativa discesa dal canale del Resegone (JollyComera). Per lavoro ci si vede sempre più spesso e così, asini e tassi, ne hanno approfittato per un giretto insieme in Grignetta.
Davide, la scorsa stagione, ha centrato in pieno un albero ed questo lo ha costretto ad un lungo e forzato stop. La nostra non solo era la prima uscita insieme sulla roccia, ma anche la sua prima salita dopo l’inofortunio. Per questo, visto che anche io sono inconfessabilmente “scarico” per via del Pizzo d’Eghen, ci siamo dati una meta impegnativa il giusto e non terrificante: lo Spigolo di Vallepiana sul versante SW della Torre Casati.
La via, tracciata nel 1933 dal Mitico Gandin e dal Conte Vallepiana, mi interessava molto. Sul nostro Corno Occidentale esiste un repulsivo ed ostile camino che porta il nome Gandin proprio perchè nel 1934, la celebre Guida Alpina delle Grigne, vi tracciò la “Direttissima alla parete Sud”. Una via misteriosa ma evidente con i suoi quaranta metri di V attraverso erba e roccia friabile che risalgono al Passo della Vacca: prima o poi Mattia ed io dovremo dargli un’occhiata e quindi volevo “conoscere” il signore Gandin.
L’avvicinamento, attraverso la Direttissima prima ed il sentiero Giorgio poi, è una piacevole passeggiata tra le straordinarie architetture della Grignetta. Oltre il lago i Corni ed il Moregallo mi strizzano l’occhiolino mentre “flirto” con quell’universo di guglie e torrioni.
Troviamo senza troppa difficoltà l’attacco ed iniziamo ad imbragarci. Davide, così come è abituato, vorrebbe tirare a sorte per decidere chi parte per primo. Io però sono fatto a modo mio e sono davvero poche le persone con cui mi lego, a cui concedo tale fiducia. Cerco di essere delicato ma taglio corto: “Naaa, faccio io. Poi al massimo ci diamo il cambio…”
Il primo tiro si impenna senza tuttavia essere troppo severo: in trenta metri ci sono due fittoni e vedo di farmeli bastare. Davide mi raggiunge senza difficoltà ma mi accaparro anche il tiro successivo dall’aspetto più severo. Credo che la linea originale passi sulla destra, seguendo una comprensibile linea di rocce rotte. Un nuovo fittone resinato invita invece a puntare più sulla sinistra dove la roccia si fa più solida ma aumenta l’esposizione e la difficoltà.
Accetto l’ingaggio verso sinistra sebbene quello non sia affatto un passaggio di IV ma sia parente stretto del V. Mi muovo lentamente, non ho le energie mentali per sfidare la gravità, per “reggermi”. Così mi rilasso, scelgo solo movimenti senza sforzo ed inizio a guadagnare ogni passo con piccoli spostamenti. Tasto ogni appiglio attardandomi e frammentando ogni passaggio. Quando arrampico in quella maniera Ivan dice che assomiglio ad un orsacchiotto: un orsacchiotto che riesce ad essere goffo e delicato allo stesso tempo.
Ogni volta che stacco un piede o una mano dalla roccia ne ascolto il movimento. Se il gesto è fluido e lineare, accompagnato dall’equilibrio di tutto il corpo, so che è un buon gesto, che la mia posizione è buona. Ivan e Joseph associano spesso l’arrampicata allo “Yoga”, io invece credo di essere più “Zen”: scompaio e mi muovo attraverso il “vuoto”.
Immerso nella mia arrampicata sento Davide, sotto di me, accompagnare i movimenti più complicati con un “Alè!”. Sono sorpreso, non è la nostra consuetudine, non ci sono abituato e la cosa a tratti mi diverte: le differenze sono il cuore di un incontro.
Mattia, quando affrontiamo passaggi difficili, mi descrive quello che vede e quello che intende fare affinchè io possa manovrare le corde. Allo stesso modo io gli descrivo il mio punto di vista dandogli conferma, rapida e chiara, ai suoi comandi ed alle sue domande. La nostra cordata è un carro armato: lui pilota, io carico il cannone. Ivan, quando la faccenda si fa spessa, si limita a dire “ora seguimi bene”. Joseph invece entra in modalità “alieno” e semplicemente “passa” in barba alla logica. In sosta ciacoliamo come zabette ma mentre si arrampica siamo per lo più in silenzio. Quello di Davide è probabilmente il primo “Alè duro!” della mia vita e la cosa non mi dispiace perchè c’è dell’affetto sincero in quell’incitamento.
Arrivato alla sosta inizio a recuperare la corda. Dall’alto l’esposizione verticale della via appare in tutta la sua magnificenza. Davide risale e finalmente appare come un sorriso appeso nel vuoto oltre la roccia: ”Accidenti: hai capito il signor Gandin!”.
Di nuovo in sosta insieme capisco che è carico e scalpita. “Dai, fattelo tu il prossimo passaggio che io in camino ho dato abbastanza di recente” Davide riparte e da subito capisco che non ho motivo di preoccuparmi. Senza difficoltà si mangia il tiro, piazza saggiamente un paio di protezioni veloci, e mi recupera alla sosta. “Un tiro bello speleo, no?”.
Arrampicando da secondo sale a galla tutta la stanchezza ma la giornata è luminosa ed il mio compagno di cordata è più che affidabile. Me la godo e lascio che si diverta anche nel quarto tiro: “Sono un vecchietto al suo confronto! Va più di me!”.
“Beh, ora siamo pari e l’ultimo tiro è mio!” Mancano poco meno di dieci metri ad uscire dalla cresta. C’è un evidente lama che Davide mi consiglia di tirare in Dulfer. Io obbietto “Sono troppo vecchio per appendermi, ora ti faccio vedere come passo a modo mio!”. Per evitare la mini-dulfer mi incarto in un movimento senza senso fatto di raccapriccianti opposizioni ed incastri. Davide scoppia a ridere: “Come direbbe il buon Gigi che Sbatta: sembri un vecchio che cerca di scopare!”. Incastrato cerco di ridere senza venire a basso: “Pischello, conosco gagliardi settantenni che si scopano quarantenni che tu nemmeno ti immagini!” Con uno scatto d’orgoglio, in appoggio sul casco, esco da quel movimento insensato e passo oltre ghignando.
Dalla cresta, in conserva protetta, raggiungiamo l’obelisco metallico della vetta. Ci accoliamo tra le rocce godendoci il sole e le poche vettovaglie nei nostri zaini. Nessuno di noi due era mai stato lassù: “Accidenti! Certo, non sono i Corni, ma il posto è assolutamente notevole!” Sghignazziamo insieme prima di scendere lungo il crinale opposto verso il sentiero dello scarettone.
Sono più stanco di quanto sarebbe opportuno ma la giornata è stata piacevole e chiacchieriamo lungo il cammino di ritorno. Al 2184 Sara ci riempie i boccali di birra e gazzosa e mi presenta come “La persona in grado di sparare il maggior numero di cagate nel minor tempo possibile”. Riesce a farmi ridere mentre affondo il naso nel bicchiere, ma Davide obbietta “No! No! Dovresti vederlo Birillo in montagna: si trasforma, non hai idea di come faccia il serio!”. Povero me, comunque la si metta ho una pessima reputazione!
La nostra arrampicata è stata un vero piacere: MOS!
Davide “Birillo” Valsecchi
Curiosità: Davide usa la parola “scalare” mentre io uso il termine “arrampicare”. La differenza tra le due espressioni è piuttosto singolare. Arrampicare deriva da rampàre del quale è requentativo: proprio degli animali che salgongo aggrappandosi con forza agli artigli; indi per similitudine salire per luoghi erti aggrappandosi con le mani e coi piedi. Scalare invece deriva da “montare con scale”, specialmente nel linguaggio militare, per sorpresa o di viva forza sulle mure nemiche. Come ho detto: le differenze sono il cuore di un incontro!!