“Dite amici ed entrate” questa è la famosa frase di Tolkien incisa sulla porta di ingresso delle miniere di Moria: forse questo motto può valere anche per l’Isola Senza Nome. Mi è infatti naturale, quasi istintivo, considerare “amico” chiunque venga qui ad arrampicare: quelle vie, così diverse, così inconsuete e misteriose, inevitabilmente creano un legame tra coloro che si avventurano a ripeterle. Si diventa parte di una “ricerca” comune e, anche se queste persone tra loro spesso quasi non di conoscono, nasce spontanea un’alleanza, un’amicizia. Sono i Corni a fare da garante: fino ad oggi non hanno mai sbagliato nel giudizio.
Io e Giovanni Giarletta non ci siamo mai incontrati, ma curiosamente ci siamo scambiati spesso i saluti attraverso comuni amici nel Soccorso Alpino. Il nostro primo contatto è stato attraverso Internet, condividendo impressioni e ricordi del Pizzo d’Eghen: Giovanni, ad inizio Luglio, aveva infatti ripetuto la Cassin trovando i chiodi che noi avevamo lasciato a Giugno, fuggendo sotto il temporale. Da allora ci siamo tenuti spesso in contatto.
Quando Giovanni mi hanno scritto di aver ripetuto insieme a Luca Danieli la Stella Alpina al Corno Orientale è stata per me una gioia ed una sorpresa. Ero felice fossero approdati all’Isola Senza Nome ed ero felice di rivivere attraverso il loro racconto la nostra salita attraverso la Grande Onda.
Ora fanno parte anche loro di questa nostra strana e piccola comunità: benvenuti! Le nostre montagne sono rimaste a lungo avvolte da una “nebbia” che le ha conservate e preservate dai grandi e violenti cambiamenti che sono avvenuti altrove. I “vecchi” sono stati davvero bravi nel proteggerle ed è merito loro se oggi possiamo vivere queste piccole ma intense avventure: qualcosa di cui dobbiamo essere grati, una tradizione che dobbiamo raccogliere e perpetrare.
Ho chiesto loro di scrivere una piccola relazione, sia da pubblicare su “Cima” che da inviare a Gianni Mandelli che, proprio in questi giorni, sta organizzando una specie di diario dell’Isola dove annotare le salite e le nuove vie.
Questa è la loro storia:
Stella Alpina – Corno Orientale
Ripetizione di Giovanni Giarletta e Luca Danieli il 02/04/2016.
A parte la classica e divertente cresta OSA, il mio primo approccio con l’attività alpinistica della zona risale a quasi tre anni fa durante una delle poche ripetizioni della via OSA lungo l’imponente e severa parete del Moregallo. Successivamente altri obiettivi hanno distolto la mia attenzione dalla cosiddetta “Isola senza nome”, di cui però nel frattempo ho continuato ad informarmi, leggere e sentirne parlare.
L’idea che mi ero fatto di questa zona era di un alpinismo diverso da quello praticato in Grignetta (montagna alla quale sono particolarmente legato perchè quella che più ha contribuito con le sue guglie e le sue vie di arrampicata alla mia formazione alpinistica). Un’arrampicata classica mista artificiale, faticosa e mai scontata con una forte componente psicologica era il quadro che infatti avevo dipinto nella mia mente. Così, incuriosito e desideroso di voler verificare di persona storie/anneddoti letti e sentiti, ho accolto volentieri la proposta del mio compagno di cordata Luca di ripetere la via Stella Alpina al Corno Orientale di Canzo.
La giornata è grigia e la nostra destinazione avvolta da un ammasso di nubi basse. Sebbene le premesse non siano delle più invitanti, spinti dalla curiosità e dalla voglia di scoprire un posto nuovo a due passi da casa, raggiungiamo Valmadrera e in men che non si dica siamo sul sentiero verso la sorgente di Sambrosera. Al cospetto della parete, il diedro con quel caratteristico andamento a forma di onda appare evidente e una targhetta alla base dello zoccolo elimina ogni dubbio circa lo sviluppo: le prime due lunghezze sono su rocce affioranti e prato verticale reso assai più insidioso dall’umidità della giornata… ma questi sono i Corni di Canzo e le regole del gioco che abbiamo accettato.
Superato lo zoccolo, a causa della fumosità della relazione in nostro possesso e della scarsa conoscenza del luogo, ci accorgiamo di essere sulla fessura sbagliata quando ormai è difficoltoso tornare indietro. Ci troviamo di fatto sulla prima lunghezza di Arsene Lupin (via sportiva a spit) al termine della quale per raccordarci con Stella Alpina occorre superare il tratto da cui nasce il diedro, composto da una fessura svasa rovescia nella quale riusciamo a proteggerci con due friend e un chiodo piatto puramente psicologico. Superato l’inghippo, i chiodi diventano numerosi ma da verificare e tirare (se necessario) con cautela mentre la colata d’acqua della parte destra del diedro obbliga ad una progressione più precisa e limitata nei movimenti. L’ultima lunghezza (l’unica veramente godibile in completa arrampicata libera) è una larga lama ben proteggibile con materiale da incastro.
Arrivare in cima e sentire il tepore del sole completamente assente per via dell’esposizione della parete è stata davvero una bella sensazione e proprio come un surfista al termine di una gran cavalcata nel tunnel di un’onda, usciamo soddisfatti ed entusiasti per l’itinerario e il posto appena scoperto. Dopotutto, l’unica certezza che avevamo prima di partire per questa avventura era che una volta terminata la via ne saremmo rimasti delusi o, come fortunatamente è successo, completamente esaltati.
Giovanni e Luca.