Moregallo Express

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Una sera Luigino, dopo una delle sue sue proiezioni, mi ha raccontato che quella parete incuriosiva Cassin, che era persino venuto a fare un sopralluogo ma che poi, per un motivo o per l’altro, non vi era più tornato. Solo nel 1965 qualcuno è riuscito a passar su: Giorgio Tessari,  Antonio Rusconi, Castino Canali e Pietro Paredi. Da allora, per i Duri della Valle, questa parete è il gioiello della loro corona: monito e monumento per un ideale di alpinismo che non intendono lasciar corrompere. La Nord del Moregallo, spavalda sulla sponda sbagliata del lago, esige ed impone rispetto.

Per me e Mattia questa parete è la più lontana e la più misteriosa dell’Isola. Da Asso era lunga venire a curiosare fin qui mentre ora, da Valmadrera, il viaggio è breve sebbene obbligato attraverso le gallerie. Parcheggio il Subaru al Rapanui: il sole è caldo ma io mi avvio verso le ombre.

Rimonto, devio dal sentiero. Sono già stato qui in passato, in un ricordo denso di nebbia risalgo impacciato un ripido ed esposto prato erboso e, dall’alto, mi infilo nella forra che forma la grotta alla base dello zoccolo. Ricordo un grosso sasso incastrato, la forra ghiaiosa che frana verso il basso e che prosegue verso l’altro in un camino. Non ricordo chi fosse con me, ricordo solo che eravamo slegati, inesperti e che avevo prestato al mio compagno uno dei miei gilet rossi in pile. Ricordo chiaramente la paura nel ridiscendere, all’indietro, quel ripido tratto di prato. Ma era successo davvero?

Mentre mi sforzo di ricordare attacco sotto la verticale della grotta. Le roccette che mi separano dalla prima cengia sono fragili: sono passato di qui? Mi sembra improbabile. Mi riabbasso e mi guardo intorno. Trovo nella roccia sulla destra delle onde familiari, conosciute. Le seguo e senza rendermene conto aggiro le difficoltà raggiungendo la prima cengia erbosa: “Forse allora ero solo più furbo di quanto lo sono oggi…”

Rimonto il prato erboso che sale verso sinistra. Devo solo superare lo spigolo e risalire il successivo prato che rimonta invece verso destra. “Forse davvero sono passato di qui…”. Ma per aggirare lo spigolo devo superare una nicchia a sbalzo nel vuoto. Devo abbassarmi, quasi strisciare, per infilarmi nella nicchia e rimontare dall’altra parte. Il ricordo del prato successivo si rianima sempre più intenso ma quel passo, quel singolo passaggio, è davvero “tanto”. Mi siedo a guardarlo: “Ma davvero sei passato di qui?”

Trovo una clessidra “quasi” solida ed una più piccolina in cui infilare il cavetto di un Nat. Se armassi il passaggio potrei proteggermi con una corda, almeno un poco. Mi guardo attorno ma la mia mente si perde in ricordi che appaiono sempre più irreali. Immagini, visioni, dubbi.  Se davvero ero passato di lì, senza rendermene conto, avevo aggirato lo zoccolo di base della Via “Gioventù 77” raggiungendo il grande canale che taglia poi verso l’alto. Davvero “tanto”. Ero con Fabrizio o con Emanuele? Non riesco a ricordare. Guardo il passaggio e mi chiedo se sono pronto ad affrontarlo due volte, andata e ritorno. Già, perchè anche se davvero è possibile raggiungere la grotta non posso pensare di proseguire oltre, di avventurarmi solo e slegato su quel lato della Parete Nord. “Birillo sei davvero sicuro di essere stato qui?” “Non lo so, credo di sì: riconosco dei dettagli ma questa montagna mi confonde. Non lo so, davvero non sono sicuro. Servirebbe un pezzo di corda o forse l’ingenuità di un tempo.”

Non era quello il piano originale: ero stato attratto fin lassù come una falena confusa. Ora si trattava di non bruciarsi le ali ed accettare che quello strano ricordo appariva sempre più come un sogno. Mi guardo intorno, osservo la montagna: ”Birillo, i guai ti trovano anche senza andare a cercarli: fatti un giro comodo oggi. Ci pensiamo su, cerchiamo nelle foto in archivio, e poi torniamo qui belli decisi. Magari con uno dei Tassi a farti sicura su quelle due clessidre…”         

Con calma e senza troppe difficoltà ridiscendo alla base della parete. Lascio alle spalle quel curioso ricordo e mi addentro nel cuore della Parete Nord. Questa volta invece sono certo: la mia prima volta! Punto alla base del grande canale, voglio scoprire di più su quell’affascinante orrido verticale che segna il confine destro di quel mondo strapiombante fatto di tetti sporgenti e colate nere.

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La solitudine di quel luogo è palpabile. Non è ancora mezzogiorno, il lago e le Grigne brillano al sole ma io e la montagna siamo immersi nelle ombre. Il vento freddo si agita nella gola e dall’alto lo stillicidio lascia la roccia precipitando come pioggia. La via dei Panda corre sul lato destro, tutte le altre vie sul lato sinistro, al centro solo un universo vuoto ed illogico, fatto di ombre che confondono forme inafferrabili. Guardo in alto e mi colgono le vertigini. Mi sento come se volessi ridere e piangere allo stesso tempo. Questa montagna mi confonde. Mi sono alzato sulla roccia fino alle grotte ma la solitudine ed il buio si sono fatti opprimenti: devo allontanarmi, riguadagnare il sole.

I miei 84kg mettono a dura prova la roccia fragile. Fantastico sul mio corpo che rotola giù da quelle balze, ne studio le cause, gli effetti, i rimbalzi. Persino i suoni. Faccio i miei calcoli. Arrampicando in discesa carico il piede su uno spuntone, la roccia rimane immobile ma una sensazione cieca e sorda corre fino alla testa: “no”. Riassetto il mio corpo senza cambiarne la posizione e chiudo il movimento attraverso equilibri diversi. Dopo essermi abbassato guardo lo spuntone, apparentemente solido ed intatto, e lo schiaffeggio con la punta delle dita mandandolo in pezzi. Scoppio a ridere: “Alla fine qualcosa hai davvero imparato in questi anni!”

Riguadagno il sole e mi infilo in un canale pieno di piante. Potrei tornare a valle ma punto ad uscire in alto. Se fossi un alpinista migliore le mie avventure sarebbero su roccia solida, ma sono quello che sono e questo, tra il marcio e l’incerto, è il mio mondo. Il canale si impenna in un muretto erboso. Rimonto sulla sinistra attraverso una grotta di roccia gialla e giunto alla nicchia finale tento di rimontarne lo spigolo per rinfilarmi nel canale al termine del muro. Mi devo tenere con la mano sinistra spingendo la destra oltre la nicchia. Sposto il piede destro cercando qualcosa che tenga ma trovo solo il dorso di una radice erbosa. Troppo largo per fare opposizione, troppa erba per vedere bene. Le prese sono buone ma gli appoggi scarsi. Se crollano posso tenermi ma quando mollo la sinistra, sulla verticale del muretto, o vado o vengo.

“Non attaccare frontalmente senza un piano” Guardo oltre l’erba, cerco di capire come prosegue il canale, sempre più stretto tra le pareti verticali. “Anche se non piombi di sotto, dopo puoi solo andare avanti”. Riporto il piede destro nella nicchia e mi guardo intorno. Il lato opposto del canale è ripido ma delle piccole piante, come isole, offrono riparo. Da lì posso di certo vedere meglio. Disarrampico la grotta ed attraverso il canale rimontando sull’altro lato. “Cazzo!”. Oltre il muretto il canale si incassava, sarei stato prigioniero di pareti rognose, mi sarei messo in trappola da solo. Guardo in alto: piante, erba, terra, roccia che si sfalda. Però l’azzurro che svetta oltre il crinale si intravede tra le foglie: “Dai Birillo, usciamo di qui!”

Raggiungo il crinale, il sentiero Osa, il lago azzurro, Bellagio, le Grigne, il sole. Mi  lascio cadere sull’erba e mi sdraio sullo zaino. Per un istante mi abbandono: vinto e vincitore. Se fossi un alpinista migliore le mie avventure sarebbero su roccia solida, ma sono quello che sono e questo, tra il marcio e l’incerto, è il mio mondo.

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps. per scendere ho esplorato un’altro canale, ma quello che ho scoperto è troppo intrigante per raccontarvelo ora!

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