La Grande Cengia Verde

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“What have been seen cannot be unseen”. Quasi tutte le mattine, da quando vivo a Valmadrera, esco di casa e mi incammino verso la mia “Subaro Impreza 2001”, l’auto più vecchia e scassata di tutto il parcheggio. Alzo lo sguardo e butto l’occhio verso le pareti del Coltignone che, sull’altro lato del lago, troneggiano davanti ai miei occhi. Quasi tutte le mattine guardo quella muraglia di roccia e mi chiedo “Ma ‘sta cengia verde?”. Trasversalmente sulla parete vi è un’evidente linea verde che, seguendo un’ancestrale movimento geologico, disegna un cammino di piante attraverso la roccia. “Come si fa a non vedere una cosa simile?”. Chiedo spesso a qualche amico, ma la risposta è quasi sempre la stessa: “Birillo, che senso avrebbe passare di lì?”. Quale è il senso? Dannazione, non la vedi? Perchè è lì stampata, in bella mostra davanti agli occhi. Nella mia mente percorro quella cengia in un tripudio di corde e fettucce che, appese alle piante, tracciano un fotonico traverso degno della Prima Guerra Mondiali. Perchè? Perché è lì…Dannazione! Perchè è lì e non posso fare a meno di vederla! Forse ho la stessa sindrome degli orsi: dicono infatti che i plantigradi siano abituati a seguire pedissequamente invisibili sentieri nella foresta e che per questo, quando si confondono con le strade dell’uomo, finiscano per cacciarsi nei guai in città. Così non mi resta che rimuginare attendendo il giorno, che potrebbe tranquillamente non arrivare mai, in cui andrò lassù a vedere di persona.

Per certo conosco alcune persone che, nei tempi andati, hanno intersecato la cengia risalendo integralmente quelle pareti. Tuttavia non conosco nessuno che l’abbia mia percorsa tutta o almeno in parte. Magari esistesse! Sai quanti problemi mi eviterebbe! Ma niente, nessuna informazione. Una faccenda un po’ sorprendente, soprattutto perché la base della parete in questione pullula ormai di falesie sportive di ogni tipo, ma sembra che nessuno di quei numerosi frequentatori abbia mai alzato lo sguardo oltre la prima lunghezza di corda. Niente, nessuna informazione utile. Ovviamente, quando e se attraverserò la cengia, apparirà una fila di gente pronta ad abbaiare che della cengia c’è già persino la relazione, scritta in geroglifico antico, che la cencia è già percorsa con i Koflak, in solitaria bendata all’indietro senza più le mezze stagioni… Niente di nuovo sotto il sole del Lario.

Che io osservi la cengia dal Moregallo o dall’amaca sul mio terrazzo, sono sempre scarsi i dati che posso ottenere dal Basso, specie nella complessa prospettiva di quei luoghi. Anche dall’Alto è difficile acquisire informazioni, spingersi sul ciglio del bosco a strapiombo sulla parete non aiuta, in nessun senso. A dar man forte alla mancanza di coraggio e fantasia contemporanea può provvedere la tecnologia, a colpi di foto aree rielaborate come proiezioni tridimensionali: “GoogleEarth, da Giavacca alla Patagonia, il mondo in una scatola 3D”.

Ciò che ne emerge è incredibile. Innanzitutto la cengia esiste, ed è molto più marcata di quanto avrei pensato. Inoltre è possibile trovare riferimenti con il Sentiero dei Pizzetti, rilevando che la cengia è molto più “vicina” di quanto potrebbe sembrare. Il canale che scende dal Rifugio piomba direttamente sulla cengia ed è incredibile che nessun “supernacio” con il trapano si sia calato dal sentiero nell’anfiteatro che caratterizza la parte più alta della cengia. Droni e paracadutisti? Niente supereroi moderni per la misteriosa cengia? Dovrò mica andarci davvero io?

O forse mi sbaglio, e quella cengia misteriosa è in realtà nota e stranota ed indegna di interesse alpinistico in quanto “inutile ravanata priva di grado ed estetica”. Anche in questo caso non sarebbe niente di nuovo sotto il sole del Lario. Vediamo un po’ cosa abbocca…

Davide “Birillo” Valsecchi

E chiudiamo con un po’ di punk-rock perchè, fanculo, il punk-rock è lì che aspetta… come la cengia!

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