«Tutta la storia dell’alpinismo è stata una ricerca (una nostalgia?) della sfida romantica pura». Spesso sfogliando le riviste della Biblioteca Canova ciò che maggiormente mi affascina e colpisce non sono gli articoli, quanto gli scritti più brevi, gli editoriali o le lettere dei lettori. Gli articoli hanno quasi sempre lo scopo di comunicare una salita o descrivere una montagna o un impresa, la loro struttura è sempre più o meno simile, a tratti persino scontata. Questi “pezzi minori” hanno invece la straordinaria capacità di cogliere e trasmettere il “sentire” dei propri tempi. Questo pezzo, un editoriale di Enrico Camanni, su ALP numero 78, mostra come la discussione sullo spit, e più ampiamente sul trapano, fosse ancora viva negli anni 90, ma sopratutto mostra un’inaspettato equilibrio nell’affrontare tale discussione.
LA LEGGE DEGLI SPIT
Enrico Camanni (ALP n° 78 / Ottobre 1991)
Affermato in falesia come un insostituibile supporto dell’arrampicata sportiva, lo Spit rischia di colonizzare i territori dell’alpinismo e di livellare le montagne a variopinti baracconi.
Tutta la storia dell’alpinismo è stata una ricerca (una nostalgia?) della sfida romantica pura. Ogni progresso si è espresso in uno scontro dialettico tra i difensori di questa concezione – talvolta ottusamente ancorati al passato – ed i fautori di nuove tendenze, come il chiodo di assicurazione, il chiodo di progressione, lo stile himalayano e così via. Chi ha avuto ragione? I “conservatori” (come ad esempio Paul Preuss) hanno avuto il merito inestimabile di porre in primo piano l’essenza originaria dell’alpinismo, dove l’uomo sostanzialmente tende a migliorare se stesso in rapporto alla montagna e dove uomo e montagna restano i due soggetti insostituibili. I “progressisti”, dal canto loro, hanno invece dimostrato come una tecnica o un materiale più raffinato possano spostare i confini della sfida e aprire nuovi orizzonti, senza necessariamente tradire lo spirito originario. Entrambi hanno avuto ragione e un solo sconfitto esce miseramente dalla storia: il fautore del tecnicismo a senso unico. Tutte le volte che l’uomo ha cercato di addomesticare la montagna abbassandola al suo livello, tutte le volte che un materiale ha assunto il ruolo di prim’attore, l’alpinismo è stato umiliato e degradato al ruolo di attività secondaria. Credo che nella strisciante “guerra degli spit” abbiamo raggiunto il punto critico. I conservatori sono stati battuti su tutta la linea delle falesie, dove l’arrampicata sportiva rivendica legittimamente un’attrezzatura a prova di bomba. I progressisti “storici”, come Michel Piola, hanno dimostrato che si può ancora evolvere in linea con la tradizione, purché l’armonia della montagna non sia sopraffatta dai tasselli luccicanti piazzati dall’alto. Ma intanto l’onda delle falesie sale inarrestabile sulle grandi pareti e non trova altro contenimento che quello dei valori ereditati dal passato.
Sulla mitica parete sud dell’ Aiguille du Fou Pascal Colas e Philippe Grenier avevano trovato una nuova linea di grande fascino: “Les ailes du désir”. Ora l’itinerario è stato addomesticato con gli spit e Grenier scrive malinconicamente su “Vertical”: «Il mondo della falesia prende possesso del Fou. Io non dubito che questa attrezzatura apra le porte di una via magnifica, e che la collochi alla portata di numerosi arrampicatori che vi si esprimeranno con intensità, ma resta una questione importante che tocca l’essenza della montagna, e di conseguenza la verità che noi vi cerchiamo. Pensiamo veramente che l’uomo sia più forte della montagna, che Samivel abbia visto giusto nei suoi disegni e che questa montagna, considerata inaccessibile soltanto un quarto di secolo fa, sia diventata un alpinodromo da consegnare a coloro che vogliono viverlo senza il sale dell’avventura e senza la sua ricchezza?».
E’ tempo che i “conservatori” come Grenier facciano sentire la loro voce. Se l’intermediazione culturale di chi ha compreso il senso della storia non si sovrapporrà alla sportivizzazione a tutti i costi, le montagne non potranno che trasformarsi in una grande arena dove i defunti valori dell’alpinismo aleggeranno come retaggi preistorici. Non si tratta di vagheggiare o meno il bel tempo che fu: si tratta semplicemente di scegliere tra un’attività e l’altra, tra una storia e il suo contrario. Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma nessuno ha il diritto di mischiare le carte a tal punto da confondere una fila di spit con una linea di fessure.
Enrico Camanni
Note del Birillo.
Cercando immagini della Aigulle du Fou mi sono imbattuto in una foto che è leggendaria. La foto che ho inserito mostra gli apritori della Via americana, da sinistra: John Harlin, Tom Frost, Gary Hemming e Stewart Fulton al Rifugio de l’Envers des Aiguilles nel 1963. Qui sotto invece trovate le principali vie sulla Aigulle e più sotto un vecchio articolo pubblicato su “Cima”.
Aiguille du Fou Parete sud
- Cresta sud-ovest – agosto 1933 – Prima salita di Pierre Allain e Robert Latour, 135 m/TD-.
- Voie des Genevois – 18 luglio 1937 – Prima salita di René Aubert, René Dittert, Marcel Grütter e Francis Marullaz, 500 m II/D.
- Classica americana – 17 e 25-26 luglio 1963 – Prima salita di Tom Frost, Stewart Fulton, John Harlin e Gary Hemming, 300 m/ABO, 7c max, 6a obbl.
27 luglio 1983 – Prima salita in libera di Eric Escoffier e P. Mailly. - Les ailes dù desir – 1988 – Prima salita di P. Grenier e P. Colas, 300 m/ABO, 7c max, 6b+ obbl.
1991 – Prima salita in libera di Eric Escoffier e Alain Ghersen