Labirinto di Calcare

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Dalla pila di riviste impilate appare all’improvviso il rosso maglione di Riccardo Cassin, ultraottantenne, con le mani sulla roccia: “Più forti della tempesta!”. La figura di Cassin mi ha sempre affascinato sebbene  – probabilmente  uno dei pochi indigeni appassionati di montagna della mia generazione – NON l’abbia mai incontrato di persona, neppure ad una serata o ad un evento. Non è mai capitato, o forse ero troppo piccolo per ricordarlo. Anzi, a dirla tutta mi è tornata la passione per la montagna – ed ho lasciato la città – più o meno nello stesso periodo in cui Lui, ormai centenario, se ne andava. Tutto quello che so su Cassin l’ho appreso dai libri, dalle riviste, dalle sue vie (quello che ho potuto ripetere) ma soprattutto  osservando ed ascoltando uno dei suoi alievi, Luigino Airoldi. (Che poi è il modo migliore per apprezzare la qualità di un Maestro). Così, intrigato dalla copertina, ho cominciato a sfogliare il numero 52 di ALP, Agosto 1989. Tra le sue pagine ho trovato un articolo di Mirella Tenderini che, nonostante le premesse della rivista, non era incentrato solo su Cassin quanto sulla storia e la “vita” della Grignetta a cavallo di quegli anni. Anche il mio rapporto con la Grignetta è particolare: credo di non aver mai trovato una giornata di bel tempo prima di avere trent’anni! Pioveva sempre, ogni volta! Ancora oggi, quando vado da quelle parti, le probabilità si materializzi il mal tempo sembra sempre preponderante. Ormai ci ho fatto l’abitudine, anzi, quando piove c’è meno gente e ci si diverte di più! Tuttavia, quelli più fortunati con il sole, raccontano di grandi incontri e grandi storie che in qualche modo possiamo riscoprire in questo articolo di ormai trent’anni fa.

UN LABIRINTO DI CALCARE
Mirella Tenderini ALP 52 – Agosto 1989

«Che bella la Grignetta! Ho girato per tante montagne, ma ogni volta che vengo qui mi sento finalmente a casa. La Grignetta è… tutto: la mia. giovinezza, la fidanzata, la mamma…». Gli occhi del Vaschino brillano mentre mi accoglie con queste parole, seduto su un sasso della Direttissima, il sentiero per niente diretto che attraversa la Grigna Meridionale, o “Grignetta”, diagonalmente, da est ad ovest, costeggiando le guglie più belle. In quanti alpinisti anche famosi e in quanti modesti escursionisti la Grigna suscita gli stessi sentimenti!

Questa montagna di calcare dalle forme dolomitiche che fa da sfondo ai paesini del Lario Orientale attorno a Lecco, a poco più di un’ora d’auto da Milano (traffico permettendo), è frequentatissima da almeno centocinquant’anni: la prima salita alla vetta della Grigna Settentrionale o “Grignone” risale infatti al 1897. Generazioni di alpinisti e escursionisti si sono avvicendate sui suoi sentieri ripidi, faticosi per i sassi divallanti in perenne rovinìo. I primi salitori venivano dai paesi del Lago, ma ben presto arrivarono i Milanesi e, forti di numero e di mezzi finanziari, costruirono sentieri e rifugi.

C’è sempre stata rivalità tra Lecchesi e Milanesi su questa montagna. I Lecchesi — e per Lecchesi si intendono anche gli alpinisti dei paesi attorno a Lecco — aprirono le vie più belle sulle guglie della Grignetta, e le più dure sulle grandi pareti del Sassocavallo e del Sasso dei Carbonari al Grignone. Erano avvantaggiati. dalla vicinanza e contavano personaggi “fortissimi”, come Mario Dell’Oro (il famoso “Boga”), Vittorio Panzeri, Vittorio Ratti, Augusto Corti, per non parlare di Riccardo Cassin, lecchese di adozione e per elezione che dalla Grigna andò direttamente al Monte Bianco, visto solo in cartolina, e soffiò la Walker ai più forti alpinisti di mezza Europa che le facevano la corte da tempo. Il Riccardo è un fenomeno. A quasi ottant’anni lo vedi ancora, nelle domeniche di bel tempo, sulle vie più difficili della Grigna. Lo accompagnano giovani amici dai bei nomi lariani: Castelnuovo, Valsecchi… Lui dice che con le scarpe e le imbragature che cì sono adesso, e da secondo, chiunque può salire su qualsiasi via. Sarà anche vero…

Negli anni Sessanta incontravi Giuseppe Alippi (il “Dèt”), Gigi Alippi, i fratelli Zucchi, ì fratelli Rusconi, i fratelli Chiappa, Casimiro Ferrari e tanti altri ancora. I Lecchesi hanno imparato la Grigna a memoria prima di impegnarsi in durissime invernali o di misurarsi con le immense pareti ghiacciate dell’Alaska e del Sud America. Carlo Mauri, il popolarissimo “Bigio”, arrampicava con Bonatti, considerato milanese come tutti gli alpinisti che venivano da Monza, da Sesto e dalla bassa Brianza. Erano Oggioni, Aiazzi, Taldo, Nusdeo. Un bel po’ di anni prima, il milanese Nino Oppio, aveva aperto la via più impegnativa al Sasso Cavallo, ricorrendo anche a mezzi artificiali per allora avveniristici.

In Grigna arrivavano alpinisti da tutte le parti delle Alpi. Mary Varale veniva per arrampicare con Cassin, e ci aveva portato anche Comici. La via di Comici, al Nibbio, è rispettatissima tutt’oggi. La parete nord est del Nibbio è una delle poche zone della Grignetta frequentate dalla giovanissima generazione, perché ci sì arriva camminando pochissimo, come andare alle Placche di Introbio o all’Antemedale. Marco Ballerini, Stefano Alippi, sono nati e cresciuti ai piedi della Grigna, ma, figli del loro tempo, più che all’alpinismo classico preferiscono dedicarsi all’arrampicata sportiva, con eccellenti risultati, bisogna dire. Di poco più anziano di loro, Marco Della Santa, anche lui cresciuto ai Piani Resinelli, fa la guida di professione ma aiuta anche il padre, che è il fornaio della zona. In spedizione, in Himalaya o in Patagonia, Marco porta farina e lievito e fa il pane per tutti. Deve essere bello sentire il profumo del pane alla mattina, in un campo base in mezzo ai ghiacciai.

Ai Resinelli, 1350 metri sul livello del mare, punto di partenza di tutte le escursioni e le arrampicate sulla Grigna Meridionale, ci sono il prestinaio, due negozi di articoli sportivi, uno di alimentari. Ci sono tre o quattro alberghi-locande e tre rifugi. Quando alla fine dell’estate si svuotano le centinaia di villette e case di vacanza, rimangono solo gli abitanti dei Resinelli, quei quattro gatti che abitano e lavorano in questi rifugi e negozi. C’è anche una chiesa ma non c’è medico, non c’è farmacia, non ci sono scuole. Quando c’erano un po’ di bambini in età scolare, avemmo per qualche anno una pluriclasse, con una maestra sola per tutte e cinque le classi elementari. Però i bambini non erano mai più di sette o otto in tutto. Si insegnavano a vicenda e venivano a casa a metà mattina a prendere il gatto per la lezione di scienze naturali. Nelle ore di scuola li trovavi in giro in gruppo per il paese che cantavano “noi andiamo alla caccia del leòn”, oppure scatenati sulle piste di sci. Sembrava che facessero tutto tranne che studiare, ma quando poi andarono alla scuola media nessuno di loro si trovò indietro rispetto ai bambini provenienti dalle scuole normali. Quando il Marco Ballerini era piccolo non c’erano altri bambini per giustificare la scuola pluriclasse, e gli fece la scuola in casa la zia, la “sciura Nene”, che gestiva l’Albergo Italia con il marito. Il Marco sciava molto bene e la sciura Nene tremava ogni volta che lui vinceva una gara perché aveva paura che diventasse un “campioncino”, si montasse la testa e trascurasse gli studi. Invece che campione di sci, il Marco divenne il reuccio locale dell’arrampicata, non si montò la testa, ma gli studi li trascurò lo stesso. In compenso, oltre che arrampicare e sciare sì butta dalla Grigna col parapendio: altro sport che sta prendendo piede in zona.

I Piani Resinelli appartengono amministrativamente a quattro comuni diversi che una trentina d’anni fa, consorziati, costruirono la strada che tuttora costituisce l’unico accesso carrozzabile ai Piani. Fino a due anni fa c’era una barriera all’inizio della strada e si pagava un pedaggio per salire. Per anni gli abitanti dei Resinelli si sono lamentati di questo balzello fino a che fu tolto. Era ora, ma in qualche modo si è persa una caratteristica che contribuiva all’unicità del luogo. Era come se la barriera salvaguardasse dalla banalità gli abitanti dei Resinelli e le loro stravaganze. Tutti personaggi un po’ particolari, quelli dei Resinelli, specialmente quelli di una volta. Il Cavaliere Redegalli se lo ricordano ancora tutti, con il suo baracchino a forma di chalet e i «salamini di asinelli che fanno crescere forti e belli». Ma chi si ricorda più del “Farina”, che forniva i suoì gatti grassi per il salmì dei “giovedì letterari” al rifugio SEM (epperò che qualcun’altro provvedesse a tirar loro il collo, perché lui non poteva, ci era troppo affezionato), o del Giovanni che la domenica vendeva vino e bibite in vetta alla Grigna e che per risparmiarsi un po’ della fatica del trasporto aveva costruito una teleferica rudimentale, azionata dal motore di un “Galletto” Guzzi? I rottami del Galletto sono ancora lì da vedere, su una piazzuola della Cresta Cermenati. Adesso c’è il Guido, al posto del Giovanni, che porta su vino, bibite e panini fino in cima. In spalla; e sì porta giù i vuoti, e già che c’è si carica anche un po’ di scatolette abbandonate dai maleducati. È più il vino che regala o che beve lui stesso di quello che vende. Qualcuno si scandalizza a trovare una specie di osteria in cima alla montagna, ma adesso che il Guido si è rotto un piede e in vetta sì incontrano solo i gracchi e i turisti, sì sente molto la sua mancanza. Speriamo che guarisca presto.

C’è un “igloo sacro”, in cima alla Grigna: un bivacco fisso di lamiera, ingombro di rifiuti di varia natura, come tutti i bivacchi incustoditi. Ormai ci si è abituati anche a lui, come al grattacielo giù ai Piani: fa parte del paesaggio e la sua vista non offende più. L’igloo è bruttino e abbastanza inutile, ma qualcuno lo predilige per passare una notte di San Silvestro un po’ speciale.

Anche al rifugio Rosalba, in fondo alla Direttissima, e un po’ in tutti i rifugi dei Resinelli, le notti di San Silvestro sono sempre state molto speciali. Del resto non occorre attendere San Silvestro per fare di una serata una festa, specialmente se si è un bel gruppo di amici. Adesso le compagnie numerose e affiatate sono sempre meno frequenti e non so se succede ancora che con la luna piena qualcuno parta alle dieci di sera per fare la Segantini di notte con l’amorosa.

La Cresta Segantini è facile, secondo e terzo grado, ma è lunga e divertente e arriva proprio in vetta. Qualcun altro, con o senza la luna, ci andava da solo. Se lo ricordano ancora in tanti, il Walter Bonatti, che da ragazzo ha vissuto qualche anno in un rifugio ai Resinelli con suo padre: stava su con gli altri fino a tardi a cantare e a scherzare con le ragazze, e poi quando gli altri andavano a letto lui usciva e andava a bivaccare chissà dove, e chissà se solo per allenarsi o più per abbandonarsi a quel lato selvatico della sua natura che lo doveva portare in giro da solo nei luoghi più remoti della terra.

Quando viene l’autunno, i faggi e i sorbi ricamano di bruno e scarlatto la gonna della Grignetta e tutta la strada si copre di monetine d’oro e di rame. Appena si diradano le automobili, saltano fuori gli scoiattoli e le lepri. La volpe non si vede più da anni, ma sono tornati i caprioli e d’inverno scendono alle sorgenti basse ad abbeverarsi. La neve di solito dura poco: vicino al lago il clima è abbastanza mite, e in primavera ricominciano presto le processioni su per i sentieri e le code alle vie più classiche o più alla moda.

Tutti sanno che la Grigna è affollatissima nelle belle giornate di primavera, e che il rischio di prendersi un sasso in testa, che sì arrampichi o si cammini per un sentiero, è piuttosto alto. Ma come rinunciare ad una gita in Grigna?

È come rinunciare alla mamma, alla fidanzata, alla propria giovinezza… Ma lo sapete, quanto è bella la Grignetta?

Mirella Tenderini

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