No Spit No Party

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In realtà non è colpa mia: io non volevo mettermi nei guai, anzi! Probabilmente è il Karma che stuzzica la mia vera natura sopita. Settimana scorsa avevo fatto una piacevolissima passeggiata dal Sasso Preguda fino a San Pietro al Monte lungo il sentiero “Luisin”: un tracciato logico ed elegante che, a mezza costa, attraversa Moregallo, Corni di Canzo, Monte Rai, Prasanto raggiungendo poi il Cornizzolo. Mi ero quindi messo in testa di continuare in “orizzontale”,  cercando un modo di raggiungere Campora, sopra Eupilio, mantenendomi tra i 600 ed i 700 metri di quota: il piacere di camminare tra i monti ma “in piano” e all’infinito! La zona del Cornizzolo tra Civate, Suello ed Eupilio – sebbene sia parte dell’Isola Senza Nome – mi è però poco familiare. Inoltre è in gran parte “incasinata” dalle Cave e per questo anche le relative carte sentieristiche sono per lo più scarse ed incomplete. Toccava andare a vedere di persona! San Pietro al Monte è molto bello, ma l’idea di tornarci solo per continuare la ricerca non mi allettava e così, passando per la Val dell’Oro, ho puntato al Crotto del Capraio. Il piano, da qui, era risalire lungo la Cresta Raton fino al Ceppo della Guardia, poi cercare di traversare in piano. Fin dall’inizio sentivo la voglia andare a zonzo e così sono passato prima dalla Baita Linate per poi farmi un giretto alla Falesia dei Laghetti (mi piace quel posto!). L’idea di puntare verso il “Priel” era buona ma al bivio successivo avrei dovuto tenermi alto seguendo il Sentiero Curnen per poi provare a “tagliare” ancora a quota 600. Invece, purtroppo, sono sceso fino al Priel e a quota 470: quindi mestamente basso! Per continuare la mia ricerca non mi restava che imboccare la “direttissima” e tornare in alto per vedere dove si poteva passare. Alzandosi fino a 900 metri è più facile concatenare i vari sentieri, ma io cercavo una “soluzione” che fosse prevalentemente in piano, su un sentiero più o meno ben battuto e all’incirca tra i 600  ed i 700 metri: una specie di “prolungamento” del Sentiero Luisin. Mentre risalivo la Direttissima – tallonato da un ragazzone con un enorme zaino/parapendio sulle spalle – un inaspettato cartello mi si para davanti: “Palestra di Roccia”. «Cos’è questa stramberia sul Cornizzolo?!» Così decido di andare a vedere, spinto anche da una teoria abbastanza strampalata: «Birillo, chi se la fa tutta sta strada – la direttissima per di più – per una falesia sportiva? Secondo me, visto che il sentiero traversa in piano, dall’altra parte c’è una via d’accesso più comoda che fa al caso nostro!». Non saprei dirvi del perchè mi vengano idee simili… ma ero intenzionato a verificare la mia teoria! Il sentiero che porta alla falesia è abbastanza buono: non è evidentissimo ma degli ometti aiutano a non sbagliare. Tuttavia nel tratto finale, quando si raggiunge la grande placconata su cui si arrampica, si abbassa di una trentina di metri sfruttando catene e grossi pioli metallici arancioni. Una tipologia di tracciato “fuori target” per il mio piano! Tuttavia, visto che ero lì, sono sceso comunque a curiosare. In verità ricerche fatte successivamente (mentre vi scrivo ora) riportano che quella è la falesia “Val Cepelline”, attrezzata più o meno nel 2009 da un ragazzo di nome M.Suriano per il Gruppo Difesa Natura Suello. Cinque o sei tracciati tra il 5b ed il 6a (credo). 

Più o meno sapete come la penso, “fittonare” una montagna che ha già subito tanto come il Cornizzolo non mi sembra una gran pensata. Al giorno d’oggi  usare il trapano per arrampicare lo considero piuttosto anacronistico, di sicuro denota una mancanza di “creatività” nell’approcciare e risolvere il problema, oltre ad una spiccata indole al consumismo. «Lo faccio per gli altri! Dovreste dirmi persino grazie!» e’ la giustificazione più gettonata. Un’altruismo “peloso” che spesso serve solo a gratificare se stessi. Di questo però ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento, non ho intenzione di mettermi a bisticciare con le solite “represse prime donne inespresse” che montano su per difendere il diritto al proprio “giocattolo a batteria” (…parlo del trapano). Quindi possiamo sancire “pace plenaria” dichiarando la Val Cepelline come una delle “falesie storiche dell’Isola” e che come tale vada tutelata e compresa inquadrandola nel suo periodo storico. Inoltre, visto che all’epoca in cui è stata realizzata la Cava era ancora in espansione, credo avesse persino il nobile scopo di arginarne l’avanzata sostenendo la difesa del Cornizzolo. Quindi nessuna obiezione… salvo forse per i nomi! Tutto lo sbattimento di realizzare una piastrina inox incisa e fissata con quattro bulloni per un nome come “Banana Spit”? Certo, non è una pattonata come i “sassetti pitturati” alla hippie-freak, ma “No spit no Party” non è che brilli per poesia o inventiva…  Probabilmente solo i vecchietti si ricordano del giovane George Clooney e del tormentone pubblicitario a cui fa riferimento… Seriamente: mi fa specie perchè sembra portare il “mezzo”, lo spit, ad avere più rilevanza del “fine”, la via o quanto meno il suo nome o la sua identità.  Rimarca la pretestuosità di come forse, senza spit, la via – o la distinzione tra le varie vie ad un metro l’una dall’altra – non avrebbe neppure ragione d’essere. Invece “Cava la Cava” mi piace già di più, ha un tocco ribelle….

Orbene, tornando a noi: sul fondo della falesia viè, ormai inghiottita dalla vegetazione, una catena che scende ulteriormente verso il basso accompagnata da un paio di pioli. In qualche modo mi sembrava che avessero tentato di ampliare ulteriormente la falesia o che avessero davvero provato a tracciare un sentiero d’uscita sull’altro lato o quanto meno verso il basso. Così mi sono calato sulla catena e sono andato a vedere. Le piante mi impedivano di vedere eventuali salti e così, attraversando sul bordo di una placca, ho tagliato di lato. Quando ormai era evidente che la mia teoria era sballata e che mi ero infilato in una “ravanata”, ho iniziato a ridere: ”Party vuol dire festa, ma anche gruppo – No spit No Party – Io spit non ne ho, ecco perchè mi metto nei casini da solo!!”. Traversando sempre verso sinistra ho raggiunto il bordo di un canalone decisamente agghiacciante ma a suo modo incredibilmente affascinante: il lato sinistro del canale era una compatta placca che risaliva tutta la sua lunghezza, il lato destro invece una serie di stratificazioni, come pagini di un libro, che sono collassate utilizzando la placca dell’altro lato probabilmente come scivolo verso il basso! Come dice sempre il vecchio Guero: “Nel dubbio vai verso l’alto!”. Così, divertendomi un sacco, ho cominciato salire cercando i punti deboli di quella “parete” (tale per via della pendenza) fatta di radici, terra e rocce che affiorano verticali al terreno: un susseguirsi di lame verticali, a volte anche alte, che si alternano con terrazzi o ballatoi erbosi. In pratica gli strati calcarei si sono ribaltati inpennando verso l’alto: quelli che hanno resistito si stagliano verticali come lame o placche, quelli collassati formano invece ripiani o balaustre percorribili comodamente in orizzontale. Salire era quindi come rimontare enormi gradini fuori scala con “alzate” e “pedate” delle dimensioni più svariate. Ovviamente non è un posto da prendere alla leggera: se fiondi giù arrivi infondo, ti fai tra i 30 e 50 metri di piomba. Tuttavia quel tipo di ambiente e progressione è probabilmente ciò che mi diverte di più: non arrampichi, non cammini, “nuoti” fluido – ed in costante equilibrio – attraverso le difficoltà. Bisogna – con grande serenità – ponderare ogni passo, evitare di “tirare” ma limitarsi a “spingere”, lasciare che il proprio peso si “innalzi” verso l’alto rimanendo distribuito su tutti i punti d’appoggio. Per ironia della sorte, o forse per telepatia, è proprio il Guero a scrivermi in quel momento! Per fare prima a rispondergli gli mando un selfie e lui, divertito, comincia a prendermi in giro per i baffi: “Baffo Kid, che fai? Cornizzoleggi?!”.

La salita piano piano si abbatte formando un dosso erboso sempre più appoggiato. Con grande sorpresa trovo un sentiero, ben marcato, falciato di fresco ed orizzontale. Forse fa al caso mio! Così lo percorro prima verso destra raggiungendo una casotta – dove sono riposti pale e picconi in buono stato – e successivamente il sentiero della Direttissima. Quindi potrebbe davvero fare al caso mio! Lo ripercorro nuovamente verso sinistra ma, giunto nella valletta, torna ad essere assediato dalla vegetazione: chiunque lo stia sistemando probabilmente si è per ora fermato prima. Tra i rovi ed i rami intravedo una specie di parapetto formato da pali e da tre linee di catene: più che un sentiero escursionistico sembra un sentiero di servizio della vecchia cava,  oggi abbandonato. Le protezioni sono datate, ma decisamente abbondanti e relativamente in buono stato. Nonostante la vegetazione e le spine continuo a seguirlo sebbene si abbassi di quota rapidamente. E’ una situazione strana: tornare indietro sarebbe un vero sbattimento, ma proseguire alla cieca – e magari finire dentro la cava o in qualche vicolo cieco – può diventare un problema, specie con la quantità di canali che si incontrano. Lungo la traccia incontro una specie di collettore dell’acqua dove tubi, proveniente da ogni dove, confluiscono in un unico grosso tubo che, semisepolto, scende verso il basso. Questo è incoraggiante perchè, quantomeno, garantisce la presenza di un qualche sentiero – probabilmente semi abbandonato – che ne permetteva la manutenzione. La quantità di catene e parapetti infatti aumenta e mi imbatto persino in una grossa scala metallica a gradini. Guardandola ero sorpreso: portare fin lì un affare del genere non è uno scherzo! A lato di questa scala a gradini, su una placca rocciosa, era posizionata una vecchia scala a pioli a modi ferrata. Credo che nessun associazione escursionistica possa approntare un lavoro simile e di sicuro quello doveva essere un sentiero di servizio realizzato dalla Cava.



Tuttavia più in basso il tracciato corre all’esterno delle recinzioni che delimitano la cava. Recinzioni ormai inglobate dalla vegetazione e sui sono ancora visibili i cartelli “divieto d’accesso zona mineraria” e “pericolo mine”. Ancora più in basso il sentiero, così come la recinzione, un po’ si perde ed un’ultima serie di catene mi porta – piacevolmente – a degli orti ed al ponte di legno da cui parte la via Crucis per il Priel. L’idea di scendere sull’asfalto non mi alletta, taglio quindi per un sentierino, una puntata veloce al “Sasso Bicicola”, alla Cava Vecchia e quindi nuovamente al Crotto del Capraio chiudendo l’anello verso casa.


Conclusioni: Birillo devi imparare a restare sul sentiero! Non hai più l’età per bighellonare fuori traccia! Il mio piano, la ricerca del “passaggio orizzontale”, è per il momento fallito. Tuttavia, visto che non vado spesso fin da quelle parti, è stato comunque piuttosto interessante come giretto. Le carte disponibili sono davvero scarse ma le informazioni oggi raccolte sono molto utili per meglio interpretare i tracciati su OpenStreetmap MTB. Molto probabilmente esiste un tentativo per raggiungere la falesia dal basso senza passare dal Priel, ma la valletta in questione pare davvero ostica. Quello che è certo è che posso finalmente confrontarmi con i Kahuna della zona che e – a quanto pare – ad itinerari del genere hanno già pensato da tempo! Quindi la possibilità di trovare una buona linea che colleghi il “Senterun” da Canzo con San Pietro al Monte e Sasso Preguda c’è davvero: tocca cercare!

Nota Bene: Le informazioni qui raccolte hanno valore prettamente storico/documentaristico. Sono luoghi – quelli NON inseriti nella sentieristica ufficiale o NON ben tracciati e segnalati – decisamente pericolosi. Non andate a curiosare da quelle parti se non avete ben chiaro quello che state facendo: in passato si sono verificati molti incidenti seri – anche mortali – in quei canaloni verticali.  

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