Category: Cornizzolo

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No Spit No Party

No Spit No Party

In realtà non è colpa mia: io non volevo mettermi nei guai, anzi! Probabilmente è il Karma che stuzzica la mia vera natura sopita. Settimana scorsa avevo fatto una piacevolissima passeggiata dal Sasso Preguda fino a San Pietro al Monte lungo il sentiero “Luisin”: un tracciato logico ed elegante che, a mezza costa, attraversa Moregallo, Corni di Canzo, Monte Rai, Prasanto raggiungendo poi il Cornizzolo. Mi ero quindi messo in testa di continuare in “orizzontale”,  cercando un modo di raggiungere Campora, sopra Eupilio, mantenendomi tra i 600 ed i 700 metri di quota: il piacere di camminare tra i monti ma “in piano” e all’infinito! La zona del Cornizzolo tra Civate, Suello ed Eupilio – sebbene sia parte dell’Isola Senza Nome – mi è però poco familiare. Inoltre è in gran parte “incasinata” dalle Cave e per questo anche le relative carte sentieristiche sono per lo più scarse ed incomplete. Toccava andare a vedere di persona! San Pietro al Monte è molto bello, ma l’idea di tornarci solo per continuare la ricerca non mi allettava e così, passando per la Val dell’Oro, ho puntato al Crotto del Capraio. Il piano, da qui, era risalire lungo la Cresta Raton fino al Ceppo della Guardia, poi cercare di traversare in piano. Fin dall’inizio sentivo la voglia andare a zonzo e così sono passato prima dalla Baita Linate per poi farmi un giretto alla Falesia dei Laghetti (mi piace quel posto!). L’idea di puntare verso il “Priel” era buona ma al bivio successivo avrei dovuto tenermi alto seguendo il Sentiero Curnen per poi provare a “tagliare” ancora a quota 600. Invece, purtroppo, sono sceso fino al Priel e a quota 470: quindi mestamente basso! Per continuare la mia ricerca non mi restava che imboccare la “direttissima” e tornare in alto per vedere dove si poteva passare. Alzandosi fino a 900 metri è più facile concatenare i vari sentieri, ma io cercavo una “soluzione” che fosse prevalentemente in piano, su un sentiero più o meno ben battuto e all’incirca tra i 600  ed i 700 metri: una specie di “prolungamento” del Sentiero Luisin. Mentre risalivo la Direttissima – tallonato da un ragazzone con un enorme zaino/parapendio sulle spalle – un inaspettato cartello mi si para davanti: “Palestra di Roccia”. «Cos’è questa stramberia sul Cornizzolo?!» Così decido di andare a vedere, spinto anche da una teoria abbastanza strampalata: «Birillo, chi se la fa tutta sta strada – la direttissima per di più – per una falesia sportiva? Secondo me, visto che il sentiero traversa in piano, dall’altra parte c’è una via d’accesso più comoda che fa al caso nostro!». Non saprei dirvi del perchè mi vengano idee simili… ma ero intenzionato a verificare la mia teoria! Il sentiero che porta alla falesia è abbastanza buono: non è evidentissimo ma degli ometti aiutano a non sbagliare. Tuttavia nel tratto finale, quando si raggiunge la grande placconata su cui si arrampica, si abbassa di una trentina di metri sfruttando catene e grossi pioli metallici arancioni. Una tipologia di tracciato “fuori target” per il mio piano! Tuttavia, visto che ero lì, sono sceso comunque a curiosare. In verità ricerche fatte successivamente (mentre vi scrivo ora) riportano che quella è la falesia “Val Cepelline”, attrezzata più o meno nel 2009 da un ragazzo di nome M.Suriano per il Gruppo Difesa Natura Suello. Cinque o sei tracciati tra il 5b ed il 6a (credo). 

Più o meno sapete come la penso, “fittonare” una montagna che ha già subito tanto come il Cornizzolo non mi sembra una gran pensata. Al giorno d’oggi  usare il trapano per arrampicare lo considero piuttosto anacronistico, di sicuro denota una mancanza di “creatività” nell’approcciare e risolvere il problema, oltre ad una spiccata indole al consumismo. «Lo faccio per gli altri! Dovreste dirmi persino grazie!» e’ la giustificazione più gettonata. Un’altruismo “peloso” che spesso serve solo a gratificare se stessi. Di questo però ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento, non ho intenzione di mettermi a bisticciare con le solite “represse prime donne inespresse” che montano su per difendere il diritto al proprio “giocattolo a batteria” (…parlo del trapano). Quindi possiamo sancire “pace plenaria” dichiarando la Val Cepelline come una delle “falesie storiche dell’Isola” e che come tale vada tutelata e compresa inquadrandola nel suo periodo storico. Inoltre, visto che all’epoca in cui è stata realizzata la Cava era ancora in espansione, credo avesse persino il nobile scopo di arginarne l’avanzata sostenendo la difesa del Cornizzolo. Quindi nessuna obiezione… salvo forse per i nomi! Tutto lo sbattimento di realizzare una piastrina inox incisa e fissata con quattro bulloni per un nome come “Banana Spit”? Certo, non è una pattonata come i “sassetti pitturati” alla hippie-freak, ma “No spit no Party” non è che brilli per poesia o inventiva…  Probabilmente solo i vecchietti si ricordano del giovane George Clooney e del tormentone pubblicitario a cui fa riferimento… Seriamente: mi fa specie perchè sembra portare il “mezzo”, lo spit, ad avere più rilevanza del “fine”, la via o quanto meno il suo nome o la sua identità.  Rimarca la pretestuosità di come forse, senza spit, la via – o la distinzione tra le varie vie ad un metro l’una dall’altra – non avrebbe neppure ragione d’essere. Invece “Cava la Cava” mi piace già di più, ha un tocco ribelle….

Orbene, tornando a noi: sul fondo della falesia viè, ormai inghiottita dalla vegetazione, una catena che scende ulteriormente verso il basso accompagnata da un paio di pioli. In qualche modo mi sembrava che avessero tentato di ampliare ulteriormente la falesia o che avessero davvero provato a tracciare un sentiero d’uscita sull’altro lato o quanto meno verso il basso. Così mi sono calato sulla catena e sono andato a vedere. Le piante mi impedivano di vedere eventuali salti e così, attraversando sul bordo di una placca, ho tagliato di lato. Quando ormai era evidente che la mia teoria era sballata e che mi ero infilato in una “ravanata”, ho iniziato a ridere: ”Party vuol dire festa, ma anche gruppo – No spit No Party – Io spit non ne ho, ecco perchè mi metto nei casini da solo!!”. Traversando sempre verso sinistra ho raggiunto il bordo di un canalone decisamente agghiacciante ma a suo modo incredibilmente affascinante: il lato sinistro del canale era una compatta placca che risaliva tutta la sua lunghezza, il lato destro invece una serie di stratificazioni, come pagini di un libro, che sono collassate utilizzando la placca dell’altro lato probabilmente come scivolo verso il basso! Come dice sempre il vecchio Guero: “Nel dubbio vai verso l’alto!”. Così, divertendomi un sacco, ho cominciato salire cercando i punti deboli di quella “parete” (tale per via della pendenza) fatta di radici, terra e rocce che affiorano verticali al terreno: un susseguirsi di lame verticali, a volte anche alte, che si alternano con terrazzi o ballatoi erbosi. In pratica gli strati calcarei si sono ribaltati inpennando verso l’alto: quelli che hanno resistito si stagliano verticali come lame o placche, quelli collassati formano invece ripiani o balaustre percorribili comodamente in orizzontale. Salire era quindi come rimontare enormi gradini fuori scala con “alzate” e “pedate” delle dimensioni più svariate. Ovviamente non è un posto da prendere alla leggera: se fiondi giù arrivi infondo, ti fai tra i 30 e 50 metri di piomba. Tuttavia quel tipo di ambiente e progressione è probabilmente ciò che mi diverte di più: non arrampichi, non cammini, “nuoti” fluido – ed in costante equilibrio – attraverso le difficoltà. Bisogna – con grande serenità – ponderare ogni passo, evitare di “tirare” ma limitarsi a “spingere”, lasciare che il proprio peso si “innalzi” verso l’alto rimanendo distribuito su tutti i punti d’appoggio. Per ironia della sorte, o forse per telepatia, è proprio il Guero a scrivermi in quel momento! Per fare prima a rispondergli gli mando un selfie e lui, divertito, comincia a prendermi in giro per i baffi: “Baffo Kid, che fai? Cornizzoleggi?!”.

La salita piano piano si abbatte formando un dosso erboso sempre più appoggiato. Con grande sorpresa trovo un sentiero, ben marcato, falciato di fresco ed orizzontale. Forse fa al caso mio! Così lo percorro prima verso destra raggiungendo una casotta – dove sono riposti pale e picconi in buono stato – e successivamente il sentiero della Direttissima. Quindi potrebbe davvero fare al caso mio! Lo ripercorro nuovamente verso sinistra ma, giunto nella valletta, torna ad essere assediato dalla vegetazione: chiunque lo stia sistemando probabilmente si è per ora fermato prima. Tra i rovi ed i rami intravedo una specie di parapetto formato da pali e da tre linee di catene: più che un sentiero escursionistico sembra un sentiero di servizio della vecchia cava,  oggi abbandonato. Le protezioni sono datate, ma decisamente abbondanti e relativamente in buono stato. Nonostante la vegetazione e le spine continuo a seguirlo sebbene si abbassi di quota rapidamente. E’ una situazione strana: tornare indietro sarebbe un vero sbattimento, ma proseguire alla cieca – e magari finire dentro la cava o in qualche vicolo cieco – può diventare un problema, specie con la quantità di canali che si incontrano. Lungo la traccia incontro una specie di collettore dell’acqua dove tubi, proveniente da ogni dove, confluiscono in un unico grosso tubo che, semisepolto, scende verso il basso. Questo è incoraggiante perchè, quantomeno, garantisce la presenza di un qualche sentiero – probabilmente semi abbandonato – che ne permetteva la manutenzione. La quantità di catene e parapetti infatti aumenta e mi imbatto persino in una grossa scala metallica a gradini. Guardandola ero sorpreso: portare fin lì un affare del genere non è uno scherzo! A lato di questa scala a gradini, su una placca rocciosa, era posizionata una vecchia scala a pioli a modi ferrata. Credo che nessun associazione escursionistica possa approntare un lavoro simile e di sicuro quello doveva essere un sentiero di servizio realizzato dalla Cava.



Tuttavia più in basso il tracciato corre all’esterno delle recinzioni che delimitano la cava. Recinzioni ormai inglobate dalla vegetazione e sui sono ancora visibili i cartelli “divieto d’accesso zona mineraria” e “pericolo mine”. Ancora più in basso il sentiero, così come la recinzione, un po’ si perde ed un’ultima serie di catene mi porta – piacevolmente – a degli orti ed al ponte di legno da cui parte la via Crucis per il Priel. L’idea di scendere sull’asfalto non mi alletta, taglio quindi per un sentierino, una puntata veloce al “Sasso Bicicola”, alla Cava Vecchia e quindi nuovamente al Crotto del Capraio chiudendo l’anello verso casa.


Conclusioni: Birillo devi imparare a restare sul sentiero! Non hai più l’età per bighellonare fuori traccia! Il mio piano, la ricerca del “passaggio orizzontale”, è per il momento fallito. Tuttavia, visto che non vado spesso fin da quelle parti, è stato comunque piuttosto interessante come giretto. Le carte disponibili sono davvero scarse ma le informazioni oggi raccolte sono molto utili per meglio interpretare i tracciati su OpenStreetmap MTB. Molto probabilmente esiste un tentativo per raggiungere la falesia dal basso senza passare dal Priel, ma la valletta in questione pare davvero ostica. Quello che è certo è che posso finalmente confrontarmi con i Kahuna della zona che e – a quanto pare – ad itinerari del genere hanno già pensato da tempo! Quindi la possibilità di trovare una buona linea che colleghi il “Senterun” da Canzo con San Pietro al Monte e Sasso Preguda c’è davvero: tocca cercare!

Nota Bene: Le informazioni qui raccolte hanno valore prettamente storico/documentaristico. Sono luoghi – quelli NON inseriti nella sentieristica ufficiale o NON ben tracciati e segnalati – decisamente pericolosi. Non andate a curiosare da quelle parti se non avete ben chiaro quello che state facendo: in passato si sono verificati molti incidenti seri – anche mortali – in quei canaloni verticali.  

Per Campi Solcati

Per Campi Solcati

Uno dei luoghi dove da tempo volevo andare a curiosare sono i Campi Solcati, la particolarissima formazione rocciosa sul versante sud-est del Monte Pra-Santo. Normalmente si può ammirarla da un punto di osservazione allestito sulla cresta opposta ma non mi ero mai spinto oltre il crinale per darle un’occhiata più da vicino.

A spasso con Nicola, durante il Grand Tour dei giorni passati, ho colto l’occasione per una piccola deviazione esplorativa. Premetto che non so se vi siano limitazioni d’accesso all’area, tutto il territorio appartiene alla Riserva Naturale del Malascarpa dove vigono spesso diviete speciali: “E’ vietato svolgere attività sportive di qualsiasi tipo che possano arrecare disturbo agli animali e all’ambiente, in particolar modo lungo le pareti rocciose dove nidificano l’Aquila reale e il Falco pellegrino.”  Cartelli o altre indicazioni non ne ho viste ma, per la natura ed i pericoli impliciti in una scogliera rocciosa, è sconsigliabile andarci a zonzo in modo sconsiderato: il pericolo di farsi male o di precipitare nel vuoto è da non sottovulatare.

Detto questo: “I campi solcati sono una figata incredibile!!”. Se da lontano possono incuriosirvi da vicino cattureranno la vostra più assoluta attenzione: un’enorme placca inclinata “solcata” da canne d’organo, canali, clessidre e lame rocciose!

Sul lato ovest la roccia precipita veritcale per oltre settanta metri mentre ad est, al di sotto della parte inclinata, si fa nuovamente verticale precipitando nel bosco dopo aver formato alcuni piccoli tetti. Per questo motivo, per non correre rischi, ho lasciato Nicky a fare la guarda alla sommità dei “campi” avventurandomi  in un free solo che si è dimostrato più intrigante ed impegnativo del previsto.

“I campi solcati rappresentano una particolare forma di carsismo superficiale. Lo scorrimento dell’acqua sul calcare ha infatti determinato la formazione di una fitta serie di solchi tortuosi, talora piuttosto profondi, orientati perfettamente lungo la linea di massima pendenza della parete rocciosa.” Questa è la definizione che ne fa l’ERSAF nelle sue pubblicazioni.

Ci si trova davanti a dei canali, perfettamente levigati, scavati nella roccia ed affiancati da sottili lame di calcare tutte parallele tra loro. Ogni tanto questi canali si interrompono sprofondando in in inghittitoi che possono essere anche molto grossi. Un tripudio di scaglie e clessidre magnifico!

Inizialmente pensavo che, visto la scarsa inclinazione, si potesse quasi camminarci sopra ma di fatto è impossibile riuscirci. Dove la roccia non sprofonda in canali è accuminata e spigolosa rendendo quasi impossibile trovare appoggi abbastanza grandi su cui fare il passo: inevitabilmente ci si ritrova quasi sdraiati ad arrampicare.

Percorrerli in salita è un vero spasso, un tripudio di prese ed appigli fantastici. In discesa invece è più complesso, sia per le difficoltà proprio della disarrampicata, sia perchè sulle lame gli scarponi tendono a scivolare e si finisce a lavorare tutto di braccia. Intendiamoci, non si supera il II o III grado, ma rotolare su quelle rocce significa conciarsi da sbatter via, anche senza ribaltare di sotto.

Mentre esploravo quelle forme incredibili mi sono sistemato il berretto e, dimentico di aver gli occhiali da sole parcheggiati sopra, mi sono caduti sulla roccia. I miei gloriosi Oakley hanno cominciato a rotolare dentro uno dei canali come una biglia in un tubo di gomma. Aggrappato immobile li osservavo sbattacchiare verso il basso per cinque o sei metri arrestandosi poi sul fondo di un inghiottitoio. Per recuperarli ho dovuto scendere, sdraiarmi ed allungare il braccio braccio il più possibile per recuperali da quel piccolo abisso. La mia preziosa plutonite era comunque intatta!

Sempre sulle placche ho trovato dei piccoli bulloni d’ancoraggio che probabilmente sono stati infissi per qualche strumento di monitoraggio. Voltandosi il colpo d’occhio su Corni di Canzo era davvero inconsueto: non avevo mai avuto occasione di vederli alle spalle della grande placca che forma la “Cresta del Referendum”.

Se volete osservare i Campi Solcati il suggerimento migliore è di farlo dalla piazzola di osservazione. Se invece volete avvicinarvi un po’ di più dovete a) trovarvi la strada da soli b) non dire che vi ci ho mandato io c) rimanere nel bosco senza addentrarsi troppo sulla roccia. Chiariti questi dettagli posso assicurarvi chè sono davvero un luogo spettacoloso!

Davide “Birillo” Valsecchi

LaFusa: nelle viscere del Cornizzolo

LaFusa: nelle viscere del Cornizzolo

L’agguerrita squadra che si ritrova a Canzo domenica mattina è composta da veterani e matricole dello Speleo Club Erba: Pier, Pam, Stefano, Daniele, Alberto (cugino di Stefano) ed io. L’obbiettivo è “La Fusa”, o la “Fuss” in dialetto, un’inghiottitoi verticale come un “fuso” che sprofonda nelle profondità del lato nord del Cornizzolo.

L’avvicinamento è da spedizione extraeuropea: stipati su un land cruiser risaliamo lungo una stretta mulattiera attraverso il bosco fin dove la strada (ed il nostro permesso) ci consentono di proseguire, poi zaini in spalla e su per i cinquecento metri di dislivello che ancora mancano.

Sul groppone abbiamo una montagna di materiale: oltre 180 metri di corda statica, trapano, batterie, fix, una ghirlanda di moschettoni in acciaio, il necessario per gli armi, mazzette, viveri e tutto l’equipaggiamento speleo personale: era davvero parecchio che non riempivo il mio zaino  da 80 litri con tanto peso!

La dolina in cui si apre la grotta è esattamente a ridosso di un vecchio sentiero che corre lungo il fianco della montagna. Un’ inghiottito subito verticale ed infido che precipita verso il basso per 22 metri prima di formare un primo ripiano. Alcune grosse piante  circondano l’ingresso invitando i curiosi a dare un occhiata ma è davvero pericoloso muoversi sul bordo di questo voragine senza adeguate protezioni. Attenzione, la Fusa non restituisce gli incauti che inghiotte!!

Superati i 22 metri della prima calata si raggiunge un lungo scivolo fangoso che conduce al primo pozzo interno di nove metri. Qui si deposita gran parte del materiale che viene “inghiottito” ed il pavimento di questo grande spazio iniziale è invaso dal fogliame e dalla terra precipitata dentro con la pioggia.

Il primo ad arrivare qui e a spingersi oltre fu tale “Signor Radice” nel 1901 e successivamente, nel 1931, un gruppo speleo di Desio.  Nel comprensorio dei Corni e del Cornizzolo questa è sicuramente (per quanto sappiamo oggi) la più grande e la più profonda.

Oltre il pozzo di nove metri infatti, attraverso una finestra in una quinta di roccia, si accede al pozzo principale molto più grande ed ampio. Superando un ulteriore salto di 9 metri ci sia appoggia su di un grosso piano che, in realtà, si dimostra essere un terrazzo sospeso a mezza altezza sul grande pozzo.

In epoche antiche un masso gigantesco è crollato dal soffitto ed incastrandosi tra le pareti  ha creato questa mastodontica piattaforma che, nel tempo, ha raccolto tutte le altre rocce precipitate dall’alto: tra questi detriti anche un altro masso gigantesco che svetta nel centro di questo piano come un Menhir alto 14 metri! (il sasso di Obelix)

La nostra squadra arma alcuni passaggi ancora da esplorare verificando se alcune nicchie sulle pareti danno vita a nuovi cunicoli. La roccia, a tratti ottima ed a tratti marcia, rende difficile la risalita ma, nonostante il grande sforzo, le nicchie si dimostrano purtroppo cieche.

Per nulla affranto il gruppo affronta la successiva calata da 30 metri per raggiungere il fondo del pozzo. Oltre la finestra di roccia la corda precipita nel vuoto attraverso un ampio cunicolo dalle pareti verticale e concrezionate: senza una corda dall’alto uscire da qui sarebbe impresa impossibile!

Grazie ai nuovi armi realizzati per l’esplorazione, in questo pozzo, allestiamo ben due distinte calate da trenta: una completamente nel vuoto ed una seconda attraverso un bel canale che, dopo alcune finestre di roccia, si tuffa anch’essa in verticale.

Fino ad oggi questa è la calata nel vuoto più lunga che abbia affrontato. Il discensore, per via dell’attrito con la corda della discesa, diventa dolorosamente caldo: con una certa inquietudine scopro che è “normale”! (…se a voi sembra normale essere appesi nel vuoto aggrappati ad una corda sintetica trattenuta da un aggeggio che diventa bollente?!?!?!)

Raggiunto il fondo lo apro e lo lascio raffreddare mentre faccio conoscenza con il vero protagonista della grotta: “il cinghiale sfortunato”. Ad una profondità di quasi centro metri dall’ingresso vi è uno scheletro di cinghiale che, per sua terribile sfortuna, è caduto dentro la Fusa. A differenza degli altri animali vittima dell’inghiottitoi lui ha avuto il vigore (e la disperazione) per superare, pozzo dopo pozzo, tutti grandi salti fino a quello fatale.

L’animale, al buio e via via sempre più gravemente ferito, è caduto dapprima per 20 metri, poi si è trascinato precipitando per altri 9 metri ed i successivi 9. Ormai all’estremo si è trascinato nelle tenebre in cerca di una via d’uscita  precipitando invece per gli ultimi fatali 30 metri. Qui il suo corpo si è via via consumato lasciando le sue ossa a testimonianza della posizione esatta ed immutata in cui è morto. Spero che le sue spoglie scoraggino chi possa avere la bella pensata di “cazzeggiare sull’ingresso de La Fusa”!!

Dal fondo di questo enorme pozzo la grotta prosegue in un’ambiente di piccole dimensioni e completamente concrezionato diviso in due camere sovrapposte da massi frantati. Il passaggio dalla camera superiore a quella inferiore richiede la capacità di scivolare con una certa flessuosità attraverso i massi ormai coperti di materiale concrezionale.

Per passarci ho dovuto lasciare indietro la macchina fotografica e per questo non posso mostravi il vero tesoro de la Fusa: la piccola sala finale, un tripudio di piccole stalattiti e concrezioni che circondano un’enorme colata compatta. Davvero bella!

Piano piano la nostra squadra affronta la risalita riguadagnando quota ad ogni pozzo fino a rivedere la luce oltre l’inghiottitoio iniziale. Ai piedi dell’ingresso, 22 metri sotto la superficie, il sole illumina le foglie dell’albero su cui avevamo realizzato il primo ancoraggio. La luminosa luce verde e la fiamma rossa delle lampade a carburo danno vita all’oscurità che ci avvolge: questa è La Fusa, il cuore del Cornizzolo.

Davide “Birillo” Valsecchi

Notturna con il tasso

Notturna con il tasso

La giornata non era stata né buona né cattiva. Non era successo nulla di grave ma era stata costellata da ritardi, da occasioni mancate e da qualche rammarico. Forse era soprattutto per quello che io e mio fratello avevamo cominciato a fare scintille stringendoci sui ferri corti. Francesco ha vent’anni e ben sedici anni di differenza ci separano: praticamente siamo di due generazioni diverse.

Quando arriviamo allo scontro il più delle volte è perché qualcosa bolle in pentola e non riesce a venire a galla. Il mondo di oggi infastidisce anche un cinico come me, credo sia davvero dura per i giovani trovare una via nella giungla di ignoranza e cupidigia che li circonda: stravolti dagli ormoni devono difendersi dall’esercito di opportunisti che li considerano solo come facili prede a cui spacciare falsi modelli e false priorità.

Il mio fratellino, “Keko”,  se l’è sempre cavata bene anche se spesso è stato costretto a navigare a vista tra alti e bassi. Certo, ha un caratteraccio insopportabile ed impertinente ma credo che alla sua età il mio fosse anche peggiore!

Così ieri sera, dopo esserci presi a male parole, ci siamo infilati in macchina partendo insieme per un’avventura notturna. Superato il Segrino siamo saliti fino a Campora, sui prati ad ovest del Cornizzolo e da lì abbiamo puntato sulla cresta verso la cima.

Il buio calava in fretta ed il bosco si animava dei rumori e dei versi della notte mentre la piana si accendeva come un albero di natale. Siamo a Maggio ma il tempo è completamente imprevedibile ed attraverso il buio cercavo di tenere d’occhio le nuvole che minacciose coprivano le Grigne. Il vento, forte e freddo, sembrava tenerle a distanza soffiando alla mie spalle ma, raggiunta la manica del vento a Pessora, ha cambiato direzione ed in una manciata di minuti siamo stati investiti dalla nebbia.

Giunti alla croce il buio era completo e la luce del flash rimbalzava sull’umidità della bruma. Speravo di offrire a mio fratello uno scorcio oltre il lago ma il tempo era precipitato. Non avendo con me un berretto (avevo infilato nello zaino quello che mi era capitato a tiro sul divano di casa) gli avevo messo in testa una specie di turbante realizzato con una  maglietta per riparargli la testa dal vento e dal freddo (…io sono il fratello maggiore, quello “tosto” che il freddo lo porta a casa tutto  😉 )

Scesi quasi di corsa sull’altro versante abbiamo raggiunto il rifugio SEC e, nel buio completo, abbiamo incominciato a scendere lungo la strada. In tasca avevo la frontale ma viaggiavamo a luci spente seguendo il serpentone d’asfalto e sfruttando il riverbero della città.

Chiacchieravamo quasi in silenzio marciando veloci in discesa. Keko non viene spesso in montagna ma il passo è rimasto quello buono: ha perso un po’ di peso ed è fuori forma ma non aveva problemi a tenermi testa.

Poi un ombra e un rumore. Apro la mano fermando Keko senza proferire parola. Lui capisce e si sposta in silenzio alle mie spalle. Davanti a noi c’erano due tassi, uno più grosso ed uno probabilmente più giovane. Ad occhio nudo si vedevano solo le sagome, gli occhi e l’ombra delle caratteristiche macchie bianche sul muso.

Il più grosso scappa di corsa mentre il più piccolo, e probabilmente inesperto, si attarda nascondendosi dietro una radice. In silenzio mi sono avvicinato ed ho acceso la luce frontale che avevo in tasca. Sorpreso dal bagliore il tasso si è arrestato immobile. Piano piano ha iniziato ad abituarsi alla luce ed anche alla mia presenza iniziando ad annusare e scavare attorno alla radice. Sembrava davvero cercasse di far finta di non avermi visto! Era davvero buffo.

Visto che era quieto mi sono avvicinato a lui arrivandogli ad un metro e mezzo di distanza. Per scattargli qualche foto dovevo però prendere la “mira” nell’oscurità più completa e sperare che la macchina riuscisse a mettere a fuoco nel breve attimo in cui il flash illuminava a giorno quell’angolo di sottobosco.

Alla fine qualche scatto buono ne è uscito sebbene fatti totalmente alla cieca:

Non volevo spaventarlo oltre con il flash e così dopo averlo osservato ancora per un po’, lo abbiamo lasciato in pace sentendo il suo amico che, ben nascosto, ancora girava da presso nel bosco.

Partiti alle nove eravamo nuovamente a casa alle undici e mezza. Una bella sgroppata per sciogliere le tensioni ed un magnifico premio sotto forma di tasso. Io e mio fratello avevamo bisticciato aprendo la bocca più del dovuto: fortunatamente la giornata si era chiusa nel migliore dei modi.

Grazie per il giretto Keko!

Davide “Birillo” Valsecchi

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La Sovraintendenza interviene per il Cornizzolo

La Sovraintendenza interviene per il Cornizzolo

Il Sovraintendente per i beni architettonici e paesaggistici Alberto Artioli, già intervenuto in passato a tutela dei Cedri di Asso e della Cascata della Vallategna, si è pronunciato attraverso una missiva ufficiale sulla “Questione Cornizzolo”.

Una breve lettera indirizzata ai sindaci dei comuni di Civate, Suello e Cesana, oltre agli assessorati competenti della provincia lecchese e all’Arcidiocesi di Milano competente per il complesso di San Pietro.

Artioli insieme all’Architetto Chiara Rostagno, funzionario di zona della Sovraintendenza, interviene quindi nella stesura del Piano Cave provinciale comunicando la volontà di “condurre attività istruttorie per la definizione di misure di tutela indiretta per la preservazione delle condizioni di ambiente, prospettiva e decoro del compendio monumentale di San Pietro al Monte, tutelato con Decreto Ministeriale 26.5.1912”. Un ampliamento dunque del secolare provvedimento di tutela del sito civatese, tra i più importanti e meglio conservati simboli dell’architettura romanica in Italia e in Europa.

Nel documento, infine, i funzionari chiedono sin da subito “la leale collaborazione degli Enti in indirizzo per il perfezionamento delle procedure di legge, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Poche righe con cui la Soprintendenza non specifica però l’entità dell’ampliamento del vincolo, attualmente limitato alle immediate vicinanze di San Pietro al Monte. La presenza del Comune di Cesana fra gli enti destinatari della comunicazione farebbe tuttavia pensare a un ingrandimento cospicuo dell’area sottoposta a tutela monumentale: il territorio cesanese, infatti, si estende sino ai margini settentrionali della Cava Alpetto, a grande distanza dalla basilica civatese. Un dato che farebbe pensare a un progetto di vaste dimensioni, capace di coinvolgere mappali comunali molto lontani dall’attuale area sottoposta a vincolo nell’ormai lontano 1912.

La procedura, tuttavia, non è destinata ad esaurirsi nel breve termine: una volta accordata la disponibilità degli enti coinvolti territorialmente – e a tal proposito Suello, Civate e Cesana hanno fatto sapere di non avere nulla in contrario all’ampliamento del citato vincolo – sarà la volta di notificare l’estensione del vincolo ai proprietari dei mappali esistenti sulla montagna, una procedura che potrebbe incontrare parere negativo e conseguente ricorso al Tar da parte dei soggetti privati potenzialmente contrari alle limitazioni imposte dal vincolo sui terreni.

Si tratta, comunque, di una strada ancora aperta a sviluppi. Per prima cosa la Soprintendenza dovrà chiarire agli enti coinvolti l’entità dell’allargamento vincolistico proposto, la natura di una simile richiesta che comunque andrà a coinvolgere territori già soggetti in passato all’apertura di piccoli o grandi fronti estrattivi. Un più ampio vincolo potrebbe infine giocare a favore della partita che da mesi vede schierati cittadini e amministratori contro l’apertura di una nuova cava sul Cornizzolo, una montagna che grazie al nuovo vincolo uscirebbe maggiormente tutelata acquisendo un più ampio status di bene “monumentale”.

Fonte: www.casateonline.it

Live from CornizzoloDay 2012

Live from CornizzoloDay 2012

[Aggiornamento] Purtroppo questa mattina un fulmine ha colpito un’escursionista sul costone ovest del Cornizzolo.

Ora splende il sole ma é un momento molto triste.

Gli aggiornamenti Live sono stati rimossi e l’evento sospeso:

Vicinanza alla famiglia dell’escursionista è stata espressa dal portavoce del Coordinamento Cornizzolo Giuseppe Stefanoni:“Nonostante il meteo eravamo presenti in tantissimi ma, dopo aver appreso di questa fatalità, ci è parso giusto sospendere tutto, anche se non si è trattato di un partecipante ma di un escursionista presente sulla montagna per altre ragioni. Dopo la messa celebrata nel suo ricordo abbiamo deciso compatti di rimandare ad altra data gli eventi in programma, incluso il concerto di Valmadrera”.

Aspettando il CornizzoloDay 2012

Aspettando il CornizzoloDay 2012

Oggi, Sabato 21 Aprile, il sole splende sulla valle mentre l’azzurro si staglia alle spalle delle montagne: il sole è tornato!

Domani le previsioni sono ancora più favorevoli e tutto sembra preannunciare la grande festa del CornizzoloDay 2012.

Domani una “montagna di gente” tributerà il proprio affetto al Cornizzolo festeggiando come ogni anno la primavera e la bellezza della nostra terra fatta di morbide colline, imperioriose guglie e splendidi laghi.

A domani, ci si vede in cima al Cornizzolo!

Cornizzolo: parte lo scarica barile

Cornizzolo: parte lo scarica barile

Mi hanno inviato un articolo pubblicato su Il Giorno che descrive alcuni “curiosi movimenti” relativi al futuro piano cave che ancora, nonostante l’irragionevolezza, minaccia il Cornizzolo.

Forse ancora credono che mischiare le carte o giocare sul “silenzio assenso” ?! Signor Signorelli, gli elementi ostativi siamo noi e le posso garantire che Domenica 22 Aprile, durante il CornizzoloDay, faremo così tanto “rumore” e talmente tanta “festa” che non le servirà alcun documento o rapporto scritto per capire che non siamo nè silenziosi nè assenzienti.

Tutti al Cornizzolo: difendiamo la nostra montagna!

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