Sono nato negli anni settanta, ho vissuto gli anni ottanta, gli anni novanta, il nuovo millennio, la prima decade, raggiunto gli anni venti. Mio padre è in vantaggio solo per gli anni cinquanta e sessanta, ormai ho quasi il doppio degli anni che ci dividono, ho una moglie, due bambine. Questa rivelazione mi coglie all’improvviso, alla sprovvista: “Cristo … e nonostante tutto questo, Birillo, sei ancora un tale coglione!” Mia moglie sta preparando la cena cucinando della carne sulla piastra. Forse è l’odore, forse lo sfrigolio sulla ghisa, ma si riaccende un ricordo lontano. Un ricordo che risale ai tempi in cui vivevo in città, affascinato dai misteri delle metropoli, della vita urbana ed underground. Un ricordo di notti analogiche, senza gsm, con le cabine telefoniche e le schede prepagate. Notti passate in giro per la città, per locali e bettole segnate a penna sul Tuttocittà sgualcito. Notti di battaglia vagando sul pavè bagnato. Quando la musica si spegneva ed i buttafuori gettavano gli ultimi disperati sui marciapiedi tutto sembrava acquietarsi, ma in realtà iniziava il campionato hard-core per i nightriders. Stravolti e sconvolti ci si trascinava verso gli incroci e le rotonde di periferia in cerca di un “baracchino aperto”, di un’isola luminosa nel buio delle strade deserte. Un panino con la salamella calda ed una birra in bottiglia: una promessa sensuale come un bacio languido! Quei baracchini, nelle zone più deserte della città, erano crocevia di umanità notturna tra le più disparate. Gente di ogni tipo, qualcuno sobrio, qualcuno arrabbiato. Falene attratte dalla luce. Leoni e gazzelle che cercano di bere alla stessa pozza d’acqua nella notte africana. Io ero quasi sempre il più casinista del mio gruppo, lo stramboide con lo sguardo folle che saltella come un clown. Sorridevo al proprietario del baracchino e poi, con la bottiglia in mano, urlavo qualche sciocchezza, un brindisi strampalato per far ridere tutti i presenti. Così, prima di bere sereno, potevo farmi un idea di chi c’era, di chi aveva riso, di chi no, di chi ti aveva già squadrato, di chi poteva provare a derubarti tornando alla macchina, di chi voleva fare a botte per noia, di chi voleva solo gustarsi il finale della notte, magari chiacchierando con qualche sconosciuto. Già, birra e salamella dallo squallido. Che ricordi. Forse è più di 10 anni che non mi ritrovo nel cuore della notte a cercare un baracchetto. Bruna continua a cucinare, io riempio il bicchiere di birra. Ormai è Marzo, ma nel 2021 non ho ancora bevuto un boccale alla spina. Che follia. I baracchetti notturni, per via del coprifuoco, saranno ormai prossimi all’estinzione: travolti da un cambiamento che perdura da oltre un anno e che ancora fatichiamo a comprendere nella sua interezza. Bevo la mia birra e chiudo gli occhi. Per un instante sono nel futuro, un futuro incerto ma nuovamente affollato. Un futuro nella penombra di un baracchino, nel trambusto di una birreria accalcata con le panche ed i tavoli in legno. Un futuro in cui sgomiti gentaglia sudaticcia per raggiungere il bancone ed agganciare l’attenzione del barista. Un futuro in cui quello stramboide del Birillo afferrerà il bicchiere e, alzandolo storto sopra la testa, urlerà brindando: “Fanculo la pandemia!”. Un urlo di guerra a cui tutti risponderanno, rabbiosi e felici, brindando insieme in un unico e corale ruggito liberatorio: “Fanculo la pandemia!”. Dannazione, il “Valerio” del nuovo millennio. Certo, prima o poi finirà, ma non ne usciremo migliori, non andrà tutto bene. Ne usciremo a pezzi, con le ossa rotte. La pandemia è un mix concentrato agli steroidi di “11 Settembre” e “Subprime”: niente tornerà come prima. Il cielo è azzurro nella luce della primavera, ma i miei occhi non riescono comunque a vedere oltre la nebbia che ci avvolge. Chissà se un giorno, gomito a gomito al bancone con uno sconosciuto, capiterà ancora di guardarsi in faccia, agitare distrattamente il boccale e sussurrare con aria stravolta: “Viva!”. Quel giorno sì, avremo vinto, sarà davvero finita. Non resta che aspettare… Fanculo la pandemia: voglio una chiara alla spina!
Davide “Birillo” Valsecchi