Category: Speleo

Siamo seduti sopra il più grosso sistema di grotte d’Italia ma ancora in pochi si spingono ad esplorare e scoprire le bellezze che si nascondo nell’alieno mondo sotterraneo. Io muovo i miei primi passi inq eusta disciplina e questi sono i racconti delle “uscite” in speleo ;)

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Area58: Acquarius

Area58: Acquarius

La neve è ancora alta e dal cielo, cupo e nuvoloso,  scende un misto di pioggia e nevischio. Ad ogni passo un freddo pungente attraversa la plastica dei miei stivali mentre affondano nel manto nevoso:«Birillo: sto giro forse serviva un paio di calzettoni in più!»

Se la nostra destinazione fosse alpinistica la giornata, dal punto di vista meteorologico,  sarebbe un vero schifo sotto ogni aspetto: fortunatamente oggi non andiamo a giocare all’aperto!

L’obbiettivo è infatti l’AREA58, una delle più recenti ramificazioni scoperte nel complesso di grotte del Piano del Tivano. Lasciata la macchina al parcheggio dell’Agriturismo Binda, appena sotto la colma di Sormano, la squadra si è incamminata lungo il bordo della pista di fondo fino al vicino boschetto.

La grotta è stata scoperta recentemente ed è ancora in esplorazione. La sua storia è curiosa e per me, che sono novizio in questo campo, piuttosto atipica: già perché questa grotta è stata scoperta “dal dentro” e non “dal fuori”!

Nel 2012 una squadra di speleo, composta da membri dello Speleo Club C.A.I. Erba e del Gruppo Grotte Milano C.A.I. S.E.M, si è addentrata nella grotta Ingresso Fornitori discendendo fino ai suoi limiti esplorati e risalendo poi per una ramificazione. Dopo oltre 20 km sotto terra (e quasi dieci ore di percorrenza)  hanno raggiunto il punto più alto di questa ramificazione. Laddove le radici degli alberi e altri segni indicavano la vicinanza con la superficie hanno iniziato ad operare con l’ARVA, uno strumento tipicamente usato per individuare gli scialpinisti travolti dalle valanghe. All’esterno una seconda squadra, sempre con un ARVA, cercava di individuare i propri compagni sotto terra: quando i due strumenti si sono “trovati” hanno avuto inizio gli scavi ed è stato realizzato il nuovo ingresso.

L’esplorazione compiuta ha ampliato ulteriormente l’estensione nota del complesso del piano del Tivano, complesso che oggi è uno dei più estesi d’Italia (oltre 60km).  Il nuovo ingresso ha permesso invece di rendere più agevol, in termini di tempo ed velocità d’accesso, l’esplorazione delle ramificazioni ancora sconosciute.

Quello che davvero mi sorprende sono le difficoltà logistiche di un simile intervento tenendo conto dei limiti dei sistemi di comunicazione: in grotta, diversamente che all’esterno, non funzionano radio o cellulari ed è altrettanto difficile “dare voce” o fare segnali. Si sono coordinati alla cieca e senza comunicare operando su tempi lunghissimi ed incerti: magnifico, davvero bravi!!

Io posso considerarmi un privilegiato perché molti degli istruttori e degli aiuto-istruttori che ci accompagnano in questo corso del Club Speleo Erba sono proprio membri della squadra che ha aperto “area58”. Tutta la mia stima e la mia gratitudine: là sotto siete davvero i Kahuna!!

La grotta è abbastanza diversa da quelle visitate precedentemente. Superiamo infatti numerosi pozzi ed alcune strettoie ma per la maggior parte del tempo ci addentriamo scendendo una ripida ed ampia “frana” che scorre al di sotto di una fraglia (ndr: sarà il terminegiusto?), in pratica un piano inclinato coperto di grossi massi largo dai quattro ai dieci metri ed alto a sufficienza da poter camminare in piedi. Le ramificazioni sono altrettanto numerose e non di rado troviamo “ometti” di pietra che segnano il percorso in questo dedalo ancora tutto da scoprire.

La  povertà di termini e l’incertezza che sperimento nel descrivervi questi scenari vi siano indicazione di quanto “diversi” siano questi luoghi rispetto al mondo di superficie!! Spero che le foto aiutino a capire quello che fatico un po’ a raccontarvi:

Dopo circa tre ore raggiungiamo la sala Aquarius: questa sala, che ciclicamente si riempie e si svuota,  è invasa dalla ghiaia e dalla sabbia trasportata qui dal basso dall’acqua. Durante le grandi piene la pressione che si sviluppa in questi anfratti è tanto furiosa da trascianare con sè enormi quantità di sedimenti dalle cavità sottostanti: la spropositata quantità di materiale che l’acqua spinge in alto rende palese le enormi forze messe in campo dalla natura.

Parliamo infatti di un condotto di oltre 40 metri, alto due e largo quattro invaso dalla sabbia: agli esseri umani in superficie servirebbe una giornata di tempo ed una ruspa per spostare tutta quella massa, l’acqua riesce a farlo con violenza impressionante e nell’arco di qualche ora durante un temporale!

In mezzo a quella sabbia un’altra curiosità: un piccolo pezzo di plastica, probabilmente parte di un vasetto di yogurt. Già, immondizia, ma da dove è “risalita” quest’immondizia del mondo esterno? In questo strano mondo alieno anche le curiosità più piccole si dimostrano indizi importanti.

Davide “Birillo” Valsecchi

Operazione Coccodrillo: Grotta Lino

Operazione Coccodrillo: Grotta Lino

Quando scatta il flash un’improvvisa valanga di luce sembra invadere ogni cosa. L’aria, satura di umidità, brilla nel riflesso del lampo e persino il mio fiato risplende in ampie volute di vapore. Dura solo un istante, un attimo accecante di luce e poi tutto torna silenziosamente buio.

Nelle fotografie, almeno in quelle che paiono riuscite bene, questo mondo sembra così chiaro e definito, così diverso da quello che si vive nella realtà, quello in cui avanziamo carponi seguendo il debole fascio di luce delle torce.

Questo è il regno delle ombre, un buio misterioso che concede visuale solo a tratti. Uno spazio pieno di incognite, mai piatto ed omogeneo come appare nelle foto. Mi guardo intorno, per un secondo spengo la mia torcia e vivo del riflesso delle luci che mi precedono: nel mondo oltre la superfice sono le ombre a dare profondità, calore e vita alle immagini che ci circondano, qui invece è la luce a diventare ombra, a ricamare le forme della roccia, a delineare i contorni delle cose.

Questo mondo è così diverso che davvero non credo di essere capace di descriverlo, di afferrarne le verità.

Striscio in un budello di fango e roccia che l’acqua ha arrotondato e costellato di piccole curve e rigonfiamenti. Sento gli stivali scivolare mentre cerco alla cieca appoggi per risalire attraverso questa roccia mi avvolge in ogni direzione. Provo ad illuminare muovendo come posso la testa e la frontale in quello spazio opprimente: ”Questo è l’intestino della terra, un budello di roccia che come carne viva mi sta digerendo!!” Per un attimo la sensazione di essere stato inghiottito si fa talmente reale da rubarmi il respiro poi, superato il passaggio, rotolo in una nuova enorme sala di cui non riesco a cogliere i confini.

Quando siamo entrati, quando abbiamo iniziato ad immergerci, la neve aveva ricoperto ogni cosa e non accennava a smettere di cadere. Uno alla volta ci siamo infilati oltre l’ingresso lasciandoci cadere sul primo scivolo di fango e roccia, addentrandoci in quel labirinto di cunicoli e passaggi che è la Grotta Lino all’alpe del Vice Re.

Il nostro gruppo affronta una dopo l’altra tutte le calate armate sui pozzi e scende fino alla famosa “Roccia del Coccodrillo”. Acqua, roccia e fango ma anche una varietà incredibile di forme, di ricami e cesellature. E’ come muoversi arrampicando su tratti di ferrata attraverso un canyon invaso dall’acqua in notturna: è l’ambiente più strano e complesso che mi sia mai capitato di affrontare!

“State tutti vicini, attenzione a non perdersi!”. Già, perché in questa miriade di piccoli passaggi, di cunicoli ed inghiottitoti la via da seguire non è mai ovvia ed ogni strada, ogni ramificazione, sembra essere quella giusta e quella spaventosamente sbagliata. A conferma della natura labirintica di quest’abisso il nostro percorso compie un ambio giro ad anello e, dopo quasi cinque ore, torniamo al punto di partenza senza che si siano ripercorsi i propri passi.

Nuovamente sulla terra ferma, nel mondo di sopra, avanziamo tra la neve ed il bosco cercando di riguadagnare la strada verso il parcheggio. Tutto è imbiancato e noi, coperti di fango, bagnati e stravolti, stridiamo ancora di più con quell’ambiente candido. Avanziamo affaticati e coperti di fango trascinando sulla neve il nostro equipaggiamento dopo essere riemersi dalla terra: praticamente zombi!!

Un padre di famiglia è chino sulle ruote della macchina cercando di montare le catene da neve mentre la moglie, infreddolita, gli fa scudo con un ombrello. Entrambi si fermano un istante guardandoci avanzare nella bufera. Due bambini, probabilmente i figli della coppia, hanno il viso appicciato ai finestrini innevati dell’autovettura, la bocca spalancata ed il loro sguardo stupido è come uno specchio in cui riflettersi: ”Come accidenti siamo ridotti?!”

Nevica, ma questo poco importa. In mutande sul piazzale mi libero della tuta, dell’imbrago, dell’attrezzatura e del fango. Non sento freddo ma solo un profondo piacere nell’infilarmi vestiti puliti. “E’ ora di farsi una birra!” Un’altra giornata campale è giunta al suo termine.

Davide Valsecchi

Nicolina on the Rocks

Nicolina on the Rocks

«Andiamo a vederne un’altra?» Siamo appena riemersi dalla grotta Tacchi ma Pier, che è appena uscito dalla grotta Zelbio, è un tipo decisamente da tenere sott’occhio: un incredibile passione ed una comprovata esperienza brillano nel suo sguardo sempre allegro!

Così, mentre tutti gli altri ripiegano sul Ministro per farsi una birra, noi allestiamo una nuova squadra. Con il dichiarato scopo di sistemare alcune rocce malferme andiamo a “dare quattro colpi alla Nicolina”: il Buco della Nicolina è infatti un’altra importante cavità al centro del Pian del Tivano posta poco prima del limite morenico formato dal ghiacciaio nei tempi preistorici (…già, andare sotto terra significa confrontarsi con  un passato remoto antico di milioni di anni!!).

La squadra è piccola ma agguerrita: Pier e Pamela alla guida degli “apprendisti” Angelo, Marco e Birillo!

Il Buco della Nicolina è la prima grotta in assoluto in cui abbia mai messo piede in vita mia: quando avevo più o meno dieci anni mio padre mi aveva infatti portato ad esplorarne l’ingresso. Ora era arrivato il momento di spingersi un po’ oltre!!

L’ingresso dischiude uno spettacolo incredibile: nonostante sia marzo la grotta, che aspira l’aria fredda dal piano, è invasa dal ghiaccio e magnifiche colonne si alzano dal pavimento fino al soffitto. Continuiamo a scendere raggiungendo il fiume sotterraneo ed il canale SmegMag, uno dei  punti chiave della grotta.

Più di  quattro chilometri di grotta attendono oltre SmegMag ma, per ora, la nostra improvvisa esplorazione si ferma qui: un’altro affascinante sguardo nel buio.

Davide “birillo” Valsecchi

 

Rilievo Buco della Nicolina

Operazione Tacchi

Operazione Tacchi

Tutto il gruppo si ritrova al “Ministro”: è l’alba di un giorno senza sole, di un viaggio nel cuore delle tenebre! Questo è il San Primo, con i suoi 1.682 m è la montagna più alta del Triangolo Lariano ma, paradossalmente, quella alpinisticamente meno interessante.

Siamo nel centro di un altopiano formato da ripidi ma insipidi pendii erbosi: qui ho imparato a sciare, sono venuto in bicicletta d’estate e con le ciaspole d’inverno, ma  mai avrei pensato di ritrovarmici attrezzato da combattimento con imbraghi, corde e sacche piene di materiale d’arrampicata.

Mio padre mi ha portato quassù che avrò avuto si e no cinque o sei anni, eppure, dopo aver girato in lungo ed in largo, ho impiegato quasi trent’anni per scoprire il “grande segreto” del San Primo: il bello sta sotto!

Sotto i nostri piedi si snoda infatti uno dei più grandi complessi sotterranei d’Europa. Per poter mettere il naso lassotto mi sono “arruolato volontario” nel ormai celebre Club Speleo Erba: eccomi, da diligente matricola, alla prima uscita del corso 2013.

Obbiettivo della giornata la Grotta Tacchi nel comune di Zelbio. La grotta prende il nome del vecchio proprietario del terreno, un macellaio che in tempi ormai andati aveva attrezzato l’ingresso della grotta Zelbio, distante dalla Tacchi solo qualche metro, come ghiacciaia per la carne.

Indossato tutto l’equipaggiamento iniziamo!! L’ingresso è una piccola strettoia e tocca “strisciare nel fango” da subito. Superate le prime strettoie abbiamo raggiunto la sommità di un P5 , un pozzo verticale, seguito a breve distanza dal “passaggio aereo”, un traverso a sbalzo di circa 5 metri.

Proseguendo abbiamo affrontato il verticaleggiante scivolo fangoso di una quarantina di metri sotto il quale si apre un vasto salone occupato da una frana.  Qui il fragore dell’acqua era diventato un rombo intenso e, poco più sopra, si risale fino ad una successiva grande sale dove si incontrata il fiume sotterraneo.

Avventurandoci sulle pareti che cingono il fiume abbiamo provato ad avanzare oltre cercando di raggiungere il primo sifone: l’acqua però era troppa ed impediva il passaggio. Strana sensazione: illuminare il buio oltre l’ostacolo e trovarsi sorpresi da una inaspettata “ingordigia” di scoprire cosa si nasconda più avanti!!

Davide “birillo” Valsecchi

Il buco della Nicolina

Il buco della Nicolina

 

dsc08936La mattina era cominciata male: Bruna si agitava compulsiva facendo le pulizie per casa ascoltando Chopin a tutto volume. Affogando nella mia tazza di caffè studiavo dalla finestra le nuvole sopra il cornizzolo: il mio piano, quello per una giornata al fiume con i piedi a mollo a bere birra, sembrava sfumare mentre quello di Chopin, imperterrito, sembrava non volermi dare tregua.

Serviva un’idea:“Ti porto a vedere una grotta? Andiamo a fare due passi”. Mezz’ora dopo eravamo al Pian del Tivano, sotto il versante sud del San Primo. I prati erano falciati e questo mi dava modo di cercare con facilità l’ingresso della grotta mentre le zanzare sembravano banchettare sulle nostre braccia.

“Aspettami qui, guardo se è sicuro”. Tra gli alberi, nel bel mezzo della piana, si apre una voragine nella terra, Il buco della Nicolina, uno dei numerosi portali d’accesso al complesso intrico di cunicoli e grotte che corrono al di sotto del Triangolo Lariano. Il nome deriva dalla strega che la leggenda vuole abitasse nella grotta in tempi ormai perduti.

L’ingresso, la volta come la ricordavo, pareva essere franato e ridotto male: molta della sua maestosità sembrava andata persa. Da subito la roccia, a grandi salti, cominciava a scendere nelle profondità e sulle pareti grossi massi sembravano in procinto di lasciarsi andare alla prossima pioggia.

Accesi le due torce che avevo con me ma la loro luce sembrava essere inghiottita dal buio. Vincere le tenebre della grotta sembrava impossibile. “Vieni ma attenta! Non andremo oltre perchè è pericoloso”. E così Bruna, muovendosi con attenzione tra i grossi massi, si  immerse con me nella caverna. Le avevo dato una felpa perchè il freddo, lasciati i raggi d’agosto, si faceva sentire intenso prima ancora di varcarne le soglia.

“Dicono che da qui si possa arrivare al Lago di Como, questa grotta è stata scavata dal tempo e dal ghiacciaio in tempi antichissimi. Negli anni ’60 le grandi menti volevano costruire un bacino idrico nella piana del tivano. Solo i contadini, mostrando questa grotta, spiegarono che era impossibile creare un lago in un catino buco.”

Usciti dalla grotta abbiamo passeggiato un po’ scaldandoci con ciò che restava del sole: “Si racconta di una regina, Aufreda mi pare, che moglie di Teodorico, un re Ostrogoto, avesse costruito nella piana un grande castello. Si dice che passasse le estati qui, in compagnia di un paggio ascoltando il suono della sua arpa che, la tradizione vuole, le faceva dimenticare la crudeltà del marito. Poi, una brutta sera, il re si precipitò nel castello della sposa, pazzo di gelosia, e inseguì i due nella notte per i prati e le paludi del Pian del Tivano, fino a raggiungerli ed ucciderli barbaramente. Da quella notte la regina ed il suo paggio sarebbero condannati a vagare per i boschi del luogo senza trovare la pace. A ricordo di questa leggenda, c’è un angolo del Piano che fino al secolo scorso era ancora chiamato Il giardino della Regina.”

Un bacio e tornammo a casa.

Davide Valsecchi

Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.

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