Category: Speleo

Siamo seduti sopra il più grosso sistema di grotte d’Italia ma ancora in pochi si spingono ad esplorare e scoprire le bellezze che si nascondo nell’alieno mondo sotterraneo. Io muovo i miei primi passi inq eusta disciplina e questi sono i racconti delle “uscite” in speleo ;)

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Matricole nell’Oscurità 2015

Matricole nell’Oscurità 2015

Nel maggio del 1975, un anno prima che io nascessi, Marco Bomman, H.von Hartung e R.Sala davano vita allo Speleo Club Erba in seno alla locale sezione del Club Alpino Italiano. Da allora si sono susseguite generazioni di speleologi che, dedicandosi coraggiosamente all’esplorazione, hanno reso il complesso di grotte del Triangolo Lariano il più esteso in Italia ed uno dei più grandi in Europa.

Oltre a questo, proprio in questi giorni, le nuove scoperte in Grigna paiono indicare la grotta “”W le donne” come la più profonda d’Italia. Nonostante questi primati l’ esplorazione è ben lontana dall’essere conclusa ed il sottosuolo del nostro territorio si conferma “zona di frontiera”.

Per questo, con grande entusiasmo, il SEC è sempre attivo nella formazione di nuovi speleologi: c’è davvero tanto da fare e l’esplorazione attende nuove leve!

Domenica, nel solco di questa lunga e prestigiosa tradizione, si tenuta la prima uscita “sul campo” del corso di avvicinamento alla speleologia 2015. Prima destinazione una classica: la Grotta Tacchi a Zelbio.

Il gruppo, che conta una decina di allievi, ha fatto il suo primo passo nell’oscurità, attraverso la soglia che separa la superficie dai mondi nascosti. Come è andata? Bhe, qualcuno ha fatto il bagno cadendo senza danno in una pozza del fiume sotterraneo, tuttavia nel complesso tutti se la sono cavata alla grande! Bravi!

Le foto in grotta richiedono tempo e calma per essere ben realizzate, una situazione piuttosto difficile da ottenere durante un corso dove tutti continuano a muoversi puntando la luce della frontale nell’obbiettivo. Tuttavia qualche scatto, sopratutto qualche ricordo, sono riuscito a catturarlo e sono ben felice di mostrarvelo.

Alla prossima uscita!

Davide “Birillo” Valsecchi

Addestramento Speleo

Addestramento Speleo

Sabato la squadra dello SCE (SpeleoClubErba) ha portato gli allievi del Corso Speleo 2015 alla loro prima prova pratica. Le grotte lariane hanno spesso significativi sviluppi verticali, chiamati pozzi, e per questo motivo prima di porterle affrontare è necessario prendere dimestichezza con le manovre su corda.

Per farlo siamo andati in visita al Moregallo addentrandoci in alcuni “spazi” sul lago ormai dimenticati ed abbandonati: le vecchie gallerie di Parè. Le gallerie, ormai in disuso, permettono di accedere ad alcune scogliere sul lago che, adeguatamente attrezzate, sono ideali per mostrare le manovre di calata e risalita su corda, manovre che poi dovranno essere eseguite durante la progressione in grotta.

Tutta la zona è piuttosto curiosa ed è assolutamente di “frontiera” tra il SubUrban, il lago e la montagna. Per darvi l’idea: davanti ad un murales, a due passi dalla riva, ho trovato un corno di muflone.

Risalite lungo la volta della galleria o calate sotto i ponti a filo d’acqua, gli speleo ancora una volta danno prova della loro incomparabile capacità di infilarsi nei posti più strani!

La prossima uscita si inizia a fare sul serio!

Davide “Birillo” Valsecchi

Due passi in Tacchi

Due passi in Tacchi

DSCF6475“Ci serve un po’ di relax!” Con questa idea Mattia ed io abbiamo disertato il consueto appuntamento del Venerdì con le pareti dei Corni di Canzo e, complice anche il mal tempo, ci siamo rifugiati in grotta.

Le grotte sono un ambiente davvero difficile ma, se affrontate nel giusto modo, offrono la possibilità di rilassarsi come in superficie non potreste fare. Quando si arrampica, nonostante si sia legati l’uno all’altro, si finisce per passare lunghe ore stando appesi e distanti, a parlarsi solo urlando i comandi o confrontandosi quando ci si da il cambio alle soste.

In grotta la progressione è diversa e più ravvicinata, nell’assoluta quiete si riesce a chiacchierare ed anche i pozzi, le calate o le risalite, diventano momento d’incontro in cui scherzare: nel buio la luce del compagno è qualcosa da cui non si allontana quasi mai. In grotta ci si rilassa ma di certo si riposa, anzi, si fa una fatica infame!

Molto “easy” siamo andati a fare una capatina alla Tacchi, una delle due grotte a cui si accede dal centro di Zelbio. La grotta si estende per nove chilometri ma, per via dei sifoni pieni d’acqua, è possibile addentrarsi per lo più solo per il primo chilometro.

La Tacchi è la prima grotta in cui entrai con il Corso dello Speleo Club CAI Erba (SCE) e da allora non ero più tornato a visitarla. Non è una grotta particolarmente impegnativa, nel suo sviluppo (almeno quello più comune) si affrontano pochi passaggi tecnici: due calate, un traverso ed un passaggio aereo su di una profonda forra. Con il corso impiegammo una giornata intera mentre ora, con un po’ più di pratica, è possibile esplorarla comodamente nello spazio di un pomeriggio (se la conoscete e siete allenati!).

Quest’inverno la grotta è stata tuttavia protagonista di un incidente che è costato la vita ad uno speleologo valdostano e che ha richiesto l’intervento del Soccorso Alpino Speleologico. La grotta, inevitabilemente, mostra ancora tutti i segni lasciati dalle operazioni di quello che tragicamente è stato un “recupero” e non un “salvataggio”.

Come tutti hanno potuto vedere nella recente azione di soccorso compiuta dalle squadre internazionali in Germania (Grotta Riesending-Schachthöhle, Baviera) gli interventi di soccorso in grotta sono tra i più complessi e lunghi a cui il soccorso alpino deve far fronte.

Durante la nostra discesa è stato infatti possibile osservare dove sono stati attrezzati nuovi armi e dove è stato necessario intervenire per permettere il passaggio della barella. Osservare la complessità del loro operato aiuta a capire come il Soccorso Alpino meriti tutta la nostra stima e gratitudine.

Purtroppo il luogo dell’incidente racconta una storia semplice e drammatica. In un ramo della grotta scorre un piccolo torrente sotterraneo. Al nostro passaggio l’acqua era tanto scarsa che se ne sentiva solo il rumore sotto i sassi. Tutto il passaggio, soffitto compreso, mostra i segni della violenza che in quel punto può sprigionare l’acqua quando la sua portata aumenta in seguito alle piogge. La tragedia è purtroppo nata da una banale scivolata che ha fatto cadere l’uomo in un turbine d’acqua in cui non poteva trovare scampo. Anche nei reami sotterranei la vita è spesso incomprensibile ed imprevedibile: amen.

Visto che il livello dell’acqua era decisamente scarso abbiamo proseguito fino al primo sifone. Sulle sponde del lago sotterraneo ci siamo seduti a chiacchierare osservando l’acqua cristallina che si perde tra le volte e che si inabissa diventando sempre più profonda.

Nel 2012 un freddo eccezionale portò la temperatura del San Primo a -30° e i cinque sifoni si vuotarono dall’acqua che normalmente li inonda. Un evento che era stato in parte osservato solo nel 2003. I gruppi speleo si diedero da fare per cogliere l’opportunità dando vita ad un’esplorazione storica che finalmente permise di collegare la Tacchi alla Stoppani. Anche Mattia in quei giorni aveva fatto visita a quei sifoni vuote e per questo ascoltavo il suo racconto di quell’evento eccezionale.

Sulla via di ritorno siamo stati a visitare anche il sifone posto a valle. Prima di superare la forra abbiamo iniziato a sentire delle voci e poi si sono intravvisti bagliori di luce: “C’è vita!”. Sulla via del ritorno abbiamo incontrato altri tre spleo che stavano scendendo. Quando in grotta parli con qualcuno devi spegnere la frontale oppure evitare di abbagliarlo guardandolo direttamente: per questo, quasi avvolti dalle tenebre, ci siamo fermati tutti insieme a chiacchierare per un po’.

Entrati alle tre siamo usciti alle sei e mezza: un giretto in relax…

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps:Qui trovate il racconto di uno dei protagonisti della storia congiunzione del 2012:
http://www.scintilena.com/giunzione-storica-sul-pian-del-tivano/02/12/

Area58: hieme speluncam

Area58: hieme speluncam

Lo chiamano Inverno, sopraggiunge quando la terra nel suo rivoluzionario peregrinare annuale giunge al perielio, l’apside di massima vicinanza al Sole. Eppure, nonostante questa vicinanza, l’inclinazione della rotazione giornaliera è tale da rendere le tenebre della notte preponderanti sulla luce del giorno. Vicini alla fiamma precipitiamo nel gelo: ironia e meraviglia di un universo ordinatamente caotico.

Qualcosa però sembra essere cambiato, qualche impercettibile mutamento si ripercuote attraverso i sistemi generando la macroscopica anomalia che ha inondato le nostre montagne di un’indecifrabile neve, affascinante e spaventosa nella sua mistica. L’abbiamo aspettata per un anno intero ed ora che è qui dobbiamo rifuggirne spaventati.

Nel cuore della terra l’inverno è lontano, il silenzio regna nelle tenebre. Né il giorno né la notte tracciano le regole del tempo, quaggiù nessuno dei “Profeti della Neve” deciderà cosa ti è concesso fare. Quaggiù, nelle profondità infernali, regnano solo coloro che si sono ribellati, coloro che portano luce nelle tenebre.

Indossiamo le tute e ci incamminiamo attraverso la neve cercando l’ingresso: gli stivali sprofondano ed il freddo inizia a mordere. Risaliamo attraverso il bosco e finalmente troviamo l’anonima fenditura che conduce “dentro”.  Con un SMS avvisiamo Roby e lo S.C.E. (Speleo Club Erba) della nostra uscita. Questo, per le prossime sette ore, sarà il nostro ultimo contatto con il mondo esterno: da lì in poi siamo inequivocabilmente soli.

Area58, uno degli ingressi al vasto complesso di grotte della valle del Nosê. Pozzi, calate, laghi e cascatelle: Mattia ed io siamo scesi fino alla mitica congiunzione con la Grotta Stoppani e l’Ingresso Fornitori. Qui il tracciato culmina in un percorso ad anello in cui troneggia una solitaria e magnifica stalagmite: questa delicata bellezza riposa quaggiù da secoli.

Davide “Birillo” Valsecchi

Le miniere abbandonate del Liscione

Le miniere abbandonate del Liscione

Giovedì Mattia ed io eravamo in cima al Dito Dones per la Via Lunga quando ha cominciato a piovere seriamente: costretti a ripiegare ci siamo rintanati in trattoria a Ballabio abbuffandoci per pranzo. Visto che la giornata, sebbene umida, era ancora giovane abbiamo deciso di dare una svolta al pomeriggio: “se non possiamo arrampicare all’aperto allora arrampicheremo al chiuso”. Nel nostro caso la parola “indoor” non significa “palestra” ma “grotta”.

Visto che non c’era tempo per recuperare tutta l’attrezzatura speleo abbiamo deciso di concederci un diversivo esplorativo: le miniere abbandonate del Liscione.

Risalendo da Onno abbiamo lasciato l’auto poco distante dal Cosmopolitan ed abbiamo iniziato ad inoltrarci nel bosco: dopo un paio di metri nella boscaglia abbiamo trovato la carcassa fresca di una pecora. L’animale, probabilmente investito sulla strada soprastante, sembrava un vecchio materasso a brandelli tra le piante: “…come inizio non è affatto male!”  

Il Cùrlasc, l’ascia curva, serviva per aprire la via tra i rovi e come picca da “extreme tooling” sulle roccette bagnate. Dopo una decina di minuti nel bosco incontriamo finalmente il primo ingresso. Le miniere erano sfruttate alla fine dell’800 per cavare cemento giallo. Il materiale estratto veniva calato fino alla rive del lago e traghettato sui Comballi  verso Mandello e l’altra sponda dove veniva cotto.

Gli ingressi nella maggior parte dei casi sono crollati e monolitiche “fette” di roccia sono collassate creando intricati e spaventosi cunicoli ormai celati dalla vegetazione. “Ticca” alla mano e cascehtto sulla testa abbiamo infilato il naso in questi cunicoli iniziando la nostra esplorazione. Non statò a dirvi dove sono gli ingressi perché sono ormai davvero mal messi (statevene alla larga!), tuttavia appena ci si addentra i tunnel sono scavati nella roccia viva e diventano solidi come un rifugio anti-atomico. Molto presto, quando  gli ingressi collasseranno definitivamente, queste “cavità segrete” diverranno un ricordo leggendario custodito nella montagna e, onestamente, lo trovo un peccato.

La valle adiacente è attraversata da un fiumiciattolo e da una magnifica cascata. Tutta l’area, sebbene circoscritta a monte e a valle da due strade, è estremamente “selvatica e selvaggia”. Le cronache raccontano che qui, negli anni ‘60/’70, un giovane pescatore di vent’anni perse la vita avventurandosi tra le roccette cercando di risalire il fiume: è un posto da affrontare con prudenza e testa.

Appeso per un braccio ad una roccia mi sono ritrovato a penzolare piacevolmente nel vuoto, un colpo d’anca ed ho piazzato in spaccata i piedi in un diedro viscido scendendo poi in opposizione: a volte i passaggi migliori vengono quando meno te li aspetti…

I tunnel erano alti quasi sei metri e si addentravano nell’oscurità seguendo il percorso della “vena” di roccia. Il più lungo effettuava un paio di curve e si estendeva per oltre cento metri (110m secondo vecchi rilievi). La fine del tunnel descriveva il modo in cui erano stati realizzati: prima si scavava una nicchia nella parte alta, probabilmente alzandosi con scale di legno, e poi si scavava verso il fondo asportando tutto il materiale. Raggiunto il pavimento si ricominciava l’opera guadagnando ulteriore profondità.

Sulle pareti concrezioni calcaree e l’effetto argentato e stroboscopico che alcuni reazioni chimiche creano nell’umidità. Un mondo nascosto, vecchio ormai di quasi 200 anni e che presto diverrà uno vuoto buio e dimenticato nel cuore della montagna.

Davide “Birillo” Valsecchi

NB: le miniere abbandonate sono in cima alla lista dei posti da cui converrebbe tenersi  alla larga. Mi raccomando!

LaFusa: nelle viscere del Cornizzolo

LaFusa: nelle viscere del Cornizzolo

L’agguerrita squadra che si ritrova a Canzo domenica mattina è composta da veterani e matricole dello Speleo Club Erba: Pier, Pam, Stefano, Daniele, Alberto (cugino di Stefano) ed io. L’obbiettivo è “La Fusa”, o la “Fuss” in dialetto, un’inghiottitoi verticale come un “fuso” che sprofonda nelle profondità del lato nord del Cornizzolo.

L’avvicinamento è da spedizione extraeuropea: stipati su un land cruiser risaliamo lungo una stretta mulattiera attraverso il bosco fin dove la strada (ed il nostro permesso) ci consentono di proseguire, poi zaini in spalla e su per i cinquecento metri di dislivello che ancora mancano.

Sul groppone abbiamo una montagna di materiale: oltre 180 metri di corda statica, trapano, batterie, fix, una ghirlanda di moschettoni in acciaio, il necessario per gli armi, mazzette, viveri e tutto l’equipaggiamento speleo personale: era davvero parecchio che non riempivo il mio zaino  da 80 litri con tanto peso!

La dolina in cui si apre la grotta è esattamente a ridosso di un vecchio sentiero che corre lungo il fianco della montagna. Un’ inghiottito subito verticale ed infido che precipita verso il basso per 22 metri prima di formare un primo ripiano. Alcune grosse piante  circondano l’ingresso invitando i curiosi a dare un occhiata ma è davvero pericoloso muoversi sul bordo di questo voragine senza adeguate protezioni. Attenzione, la Fusa non restituisce gli incauti che inghiotte!!

Superati i 22 metri della prima calata si raggiunge un lungo scivolo fangoso che conduce al primo pozzo interno di nove metri. Qui si deposita gran parte del materiale che viene “inghiottito” ed il pavimento di questo grande spazio iniziale è invaso dal fogliame e dalla terra precipitata dentro con la pioggia.

Il primo ad arrivare qui e a spingersi oltre fu tale “Signor Radice” nel 1901 e successivamente, nel 1931, un gruppo speleo di Desio.  Nel comprensorio dei Corni e del Cornizzolo questa è sicuramente (per quanto sappiamo oggi) la più grande e la più profonda.

Oltre il pozzo di nove metri infatti, attraverso una finestra in una quinta di roccia, si accede al pozzo principale molto più grande ed ampio. Superando un ulteriore salto di 9 metri ci sia appoggia su di un grosso piano che, in realtà, si dimostra essere un terrazzo sospeso a mezza altezza sul grande pozzo.

In epoche antiche un masso gigantesco è crollato dal soffitto ed incastrandosi tra le pareti  ha creato questa mastodontica piattaforma che, nel tempo, ha raccolto tutte le altre rocce precipitate dall’alto: tra questi detriti anche un altro masso gigantesco che svetta nel centro di questo piano come un Menhir alto 14 metri! (il sasso di Obelix)

La nostra squadra arma alcuni passaggi ancora da esplorare verificando se alcune nicchie sulle pareti danno vita a nuovi cunicoli. La roccia, a tratti ottima ed a tratti marcia, rende difficile la risalita ma, nonostante il grande sforzo, le nicchie si dimostrano purtroppo cieche.

Per nulla affranto il gruppo affronta la successiva calata da 30 metri per raggiungere il fondo del pozzo. Oltre la finestra di roccia la corda precipita nel vuoto attraverso un ampio cunicolo dalle pareti verticale e concrezionate: senza una corda dall’alto uscire da qui sarebbe impresa impossibile!

Grazie ai nuovi armi realizzati per l’esplorazione, in questo pozzo, allestiamo ben due distinte calate da trenta: una completamente nel vuoto ed una seconda attraverso un bel canale che, dopo alcune finestre di roccia, si tuffa anch’essa in verticale.

Fino ad oggi questa è la calata nel vuoto più lunga che abbia affrontato. Il discensore, per via dell’attrito con la corda della discesa, diventa dolorosamente caldo: con una certa inquietudine scopro che è “normale”! (…se a voi sembra normale essere appesi nel vuoto aggrappati ad una corda sintetica trattenuta da un aggeggio che diventa bollente?!?!?!)

Raggiunto il fondo lo apro e lo lascio raffreddare mentre faccio conoscenza con il vero protagonista della grotta: “il cinghiale sfortunato”. Ad una profondità di quasi centro metri dall’ingresso vi è uno scheletro di cinghiale che, per sua terribile sfortuna, è caduto dentro la Fusa. A differenza degli altri animali vittima dell’inghiottitoi lui ha avuto il vigore (e la disperazione) per superare, pozzo dopo pozzo, tutti grandi salti fino a quello fatale.

L’animale, al buio e via via sempre più gravemente ferito, è caduto dapprima per 20 metri, poi si è trascinato precipitando per altri 9 metri ed i successivi 9. Ormai all’estremo si è trascinato nelle tenebre in cerca di una via d’uscita  precipitando invece per gli ultimi fatali 30 metri. Qui il suo corpo si è via via consumato lasciando le sue ossa a testimonianza della posizione esatta ed immutata in cui è morto. Spero che le sue spoglie scoraggino chi possa avere la bella pensata di “cazzeggiare sull’ingresso de La Fusa”!!

Dal fondo di questo enorme pozzo la grotta prosegue in un’ambiente di piccole dimensioni e completamente concrezionato diviso in due camere sovrapposte da massi frantati. Il passaggio dalla camera superiore a quella inferiore richiede la capacità di scivolare con una certa flessuosità attraverso i massi ormai coperti di materiale concrezionale.

Per passarci ho dovuto lasciare indietro la macchina fotografica e per questo non posso mostravi il vero tesoro de la Fusa: la piccola sala finale, un tripudio di piccole stalattiti e concrezioni che circondano un’enorme colata compatta. Davvero bella!

Piano piano la nostra squadra affronta la risalita riguadagnando quota ad ogni pozzo fino a rivedere la luce oltre l’inghiottitoio iniziale. Ai piedi dell’ingresso, 22 metri sotto la superficie, il sole illumina le foglie dell’albero su cui avevamo realizzato il primo ancoraggio. La luminosa luce verde e la fiamma rossa delle lampade a carburo danno vita all’oscurità che ci avvolge: questa è La Fusa, il cuore del Cornizzolo.

Davide “Birillo” Valsecchi

Welcome to Afrika

Welcome to Afrika

Le previsioni ed il sole intenso del giorno prima lasciavano ben sperare. L’inverno sembrava finalmente finito e forse ora le pareti si sarebbero asciugate: per un attimo avevo accarezzato l’idea di poter arrampicare sul Madele. Ma la follia dilagante sembra aver coinvolto anche la natura e questa giornata di fine maggio sarà ricordata come una delle più meteorologicamente folli:  neve a 800 metri e bufera in quota!

Il monte Megna, i Corni di Canzo ed il San Primo erano infatti coperti di bianco mentre la neve cadeva anche su paesi come Sormano e Civenna.  Le Grigne ed il Resegone erano avvolti dalle nuvole e dalla bufera:«… ma che accidenti succede?!»

Mentre guardavo fuori dalla finestra sconsolato ha bippato il cellulare, un SMS di Mattia: “Qui vien giù acqua e neve! Facciamo grotta oggi?”. Il “Piano Medale” era decisamente saltato ma sarebbe stata la “Grotta Ingresso Fornitori” a salvare la giornata.

Salendo alla Colma di Sormano la neve ai bordi della strada si faceva sempre più alta, quando abbiamo raggiunto “Il Ministro” al Pian del Tivano  grossi e fitti fiocchi di neve turbinavano nel vento intorno a noi mentre infiliamo le tute speleo e l’equipaggiamento da grotta.

Quello strano scenario stordiva le mie percezioni: le piante e l’erba erano del verde intenso della primavera in assoluto contrasto con bianco vivo della neve che copriva ogni cosa. Poco prima dell’ingresso alla grotta, in una valletta invernalmente primaverile, incrociamo un capriolo nella sua luminosa e rossiccia livrea estiva.

Poi siamo dentro. L’ultima volta che ero stato in quella grotta ero con il corso speleo. In quell’occasione eravamo in tanti, oltre una ventina, e per questo la discesa era stata lenta, costellata di momenti di pausa, di capannelli di luce, di vociare ed allegro rumore.

Ora eravamo solo io e Mattia. Il silenzio era pieno, intriso solo dallo scorrere dell’acqua, dal rumore dell’aria e dal tintinnio dell’equipaggiamento: al di là delle nostre due luci solo il buio ed il vuoto che scorre attraverso la montagna.

Mattia fa parte del gruppo esploratori, è abituato ad affrontare sessioni esplorative anche di trenta ore e questa grotta, la Fornitori, la conosce come le sue tasche essendo parte del gruppo che negli anni ne ha compiuto l’esplorazione ed effettuato i rilievi.

Devo lavorare duro per tenere il suo passo strisciando tra le rocce, è tremendamente veloce nonostante si muova con apparenza tranquillità e senza sforzo. Ogni volta che, cercando di stagli dietro, mi lascio andare all’irruenza la roccia mi punisce colpendomi a tradimento, ovunque!!

Fortunatamente Mattia si ferma spesso per raccontarmi la storia di quella grotta e gli aneddoti che ne hanno caratterizzato l’esplorazione. Ogni canale ha un nome, una sua storia fatta di fatica e scoperta.

“Mentr’ io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a sé del loco dov’ io stava.” Dopo l’oscura profondità dei pozzi, la meraviglia delle gallerie e la durezza ruvida dei cunicoli, siamo giunti finalmente alla tenda del campo base sotterrano oltre il quale si apre l’immensità della poderosa sala ARMAGHEDDON!

Non credevo sarei tornato laggiù così presto. Ma il nostro viaggio non era ancora finito, era arrivato il momento di spingersi oltre ciò che già conoscevo: invece di continuare a scendere abbiamo iniziato a risalire.

Dalla tenda abbiamo affrontato la grande muraglia che si innalza frontalmente, a lato del ripido declino che porta ai piedi della Sala Armagheddon. Oltre quei quaranta metri di parete verticale si estende un’altra immensa galleria solcata da un piccolo fiumiciattolo ed invasa da colossali “quinte” d’argilla compatta e sagomata come roccia.

Poi nel buio, su di un grosso masso, una scritta fatta con il nero fumo della lampada a carburo: AFRIKA.

Era come essere nella gola di una montagna, le pareti si innalzano verso l’alto ma non vi è modo di vedere il cielo o la luce oltre il soffitto di roccia. L’oscurità inghiottiva il fascio della torcia con cui avevo cercato di penetrare le forme di quella lunga gola: avevamo superato strisciando spazi angusti ed ora eravamo immersi in ampiezze impossibili da cogliere.

«Dai che ci facciamo un the caldo» mi dice Mattia mentre lentamente riscendiamo verso il campo base e la tenda. Dal sacco Mattia ha estratto un piccolo fornello a gas ed una gavetta di metallo. «Prima del the ci facciamo un giro ad Armagheddon?». Ho annuito come un bambino la mattina di natale!

Scesi lungo il fondo della sala siamo stati inghiottiti dalla sua immensità. Il silenzio era rotto solo la rumore lontano dell’acqua che viene inghiottita dal sifone più a valle. Ci siamo sdraiati su di un cumulo di argilla poco distante dalla parete e siamo rimasti a chiacchierare osservando con la torcia quel cielo di roccia.

Era come essere su di una spiaggia ad osservare un mare immobile. La mia percezione del tempo e dello spazio era stravolta e privata di qualsiasi riferimento. Davvero non saprei dirvi quanto tempo siamo stati in quella sala o quanto fosse grande. Sdraiato sul fondo dell’abisso ho semplicemente pensato “sono sepolto vivo …e non sto affatto male!!”

Poi, con una certa tristezza, siamo risaliti nuovamente alla tenda ed abbiamo scaldato il the. Seduti su una brandina infangata abbiamo mangiato qualche biscotto e chiacchierato. I Corni di Canzo, il Cervino, le Grigne, il Badile, gli amici comuni, i veterani del Cai, i membri degli esploratori o i volontari della Croce Rossa. Abbiamo chiacchierato per un tempo infinito ma credo che oltre alle passioni che ci accomunano quella fosse anche l’esigenza, tutta umana, di arginare quell’assoluto e solitario silenzio che ci circondava.

Quando abbiamo intrapreso la risalita la differenza tecnica tra me e Mattia è letteralmente esplosa.  Come un anguilla scivolava tra i cunicoli e con scioltezza impressionate emergeva delle risalite su per i pozzi. Io invece cominciavo ad accusare la fatica sprecando ad ogni pozzo quintali di energie trafficando con gli attrezzi e le maniglie.

Con il corso, insieme agli altri allievi, facevamo a turno per tendere la corda e favorire le manovre di risalita. Ora ero con un’ esploratore e dovevo cavarmela da solo: ogni volta che sbagliavo a far lavorare il Croll, l’autobloccante al petto, sprecavo una trazione piena e lo sforzo per realizzarla. L’esperienza è merce che si acquista pagando caro prezzo!

Quando finalmente abbiamo raggiunto la superficie ero abbondantemente in riserva e, con una certa gioia, l’aria fresca ha riempito i miei polmoni mentre il cielo, finalmente sereno, ha liberato la mia mente. Aveva smesso di nevicare ed il tramonto calava in un cielo azzurro sgombro di nuvole.

Eravamo entrati in grotta alle undici del mattino ed erano ormai le otto e mezza di sera. Non mi ero mai spinto tanto in profondità e tanto a lungo nel cuore della terra. Probabilmente solo poche altre volte mi sono sentito tanto fisicamente demolito!

Ancora una volta grazie a Mattia (e anche a tutto il gruppo speleo Erba!!) per l’incredibile esperienza!

Davide Valsecchi

(Foto di Gruppo esploratori che per primo ha raggiunto Armagheddon: Mattia è il secondo in alto da sinistra).

ARMAGHEDDON

ARMAGHEDDON

Sento ogni parte del mio corpo dolorante, la mia mente sembra percepire le braccia e le spalle come abnormi e sproporzionate rispetto al corpo, il petto è contratto e la schiena irrigidita: mi sono svegliato ma sono ancora annichilito!

Pat Benatar canta suadente su un riff rock ’n roll anni ottanta ed io, lentamente, scivolo confuso in un mondo di stanchezza ed illusioni. Il dolore parla alla mia mente come un vecchio canuto: «Dove sei stato ragazzo? Cosa hai fatto per ridurti così?» La vanagloria è un sorriso all’angolo sinistro della bocca: «Siamo stati là dove gli eroi e gli dei si scontrano nel tempo dell’apocalisse, nel giorno della fine del mondo: siamo stati ad Armageddon. Siamo stati laggiù e siamo tornati!»

“Io non andrei mai in grotta: avrei troppa paura.” Questo è quello che mi dice la maggior parte delle persone a cui racconto dei “viaggi sotterranei” che sto compiendo grazie al Club Speleo Erba. In realtà non vi è nulla di cui aver paura, i ragazzi e gli istruttori del Club sono tra gli “esploratori” delle grotte del nostro territorio e sono tra le persone più indicate per affrontare in piena sicurezza quest’ambiente.

Quello che invece la gente non immagina è quanto possa essere un “calcio in culo” andare là sotto: in vita mia sono davvero poche le esperienze che mi abbiano fisicamente demolito in questo modo e, dannazione, io qualche esperienza credo pur di averla! Si fa una fatica terrificante agendo in situazioni e condizioni che all’aria aperta sarebbero forse inaccettabili. Un viaggio che scardina preconcetti ed assiomi mostrando ciò che non avresti immaginato poter fare.

Ieri sera, riemersi dalla grotta, mi sono ritrovato a camminare su di una distesa di neve al tramonto. Eravamo coperti di fango e completamente fracidi, avevamo trascorso dieci ore sotto terra a non più di otto gradi arrampicando su e giù per le rocce di un torrente sotterraneo invaso dall’acqua gelida. (Mentre strisciavo tra il pietrisco e l’acqua mi sentivo come Joe Simpson de “La morte Sospesa”!!) 

Se, camminando in inverno tra la neve, mi fosse capitato di cadere in un fiume e bagnarmi in quel modo tutti i miei campanelli d’allarme avrebbero iniziato a suonare la ritirata: ieri invece non me ne preoccupavo affatto. Eravamo come sopravvissuti allo scoppio di una bomba. Eravamo ancora in piedi, il peggio era passato: “che altro volte tirarci per vedere se andiamo giù?”

Ancora una volta ero stupito della forza della mente e delle capacità del corpo umano. C’è un intenso autocompiacimento nello sfiorare i propri limiti e scoprirli più lontani di quanto si credesse. «Se qui fuori facesse più freddo, come a gennaio o a Febbraio per esempio» – mi dice ridendo Roberto – «la prima cosa che dovresti fare uscendo dalla grotta è allentare le ghiere dei moschettoni: se non lo fai congelano e poi diventa impossibile aprirli». Adoro gli speleo: sono dei pazzi, dei pazzi veri!

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Ma cosa è Armagheddon? E’ un’enorme sala scoperta nel 2003 all’interno della stupefacente grotta Ingresso Fornitori. All’inizio degli anni ’90 questa grotta fu così chiamata perché la si la riteneva un possibile accesso privilegiato ai rami più remoti dell’Abisso presso la Capanna Stoppani. In realtà questa tanto agognata congiunzione ancora è non stata trovata nonostante siano stati aperti scenari sconfinati ancora tutti da esplorare. Armagheddon, osservando per la prima volta quel giganteggiante buio nel cuore della montagna si può ben capire quale annichilito stupore tenne a battesimo quella sala: la spaventosa e terrificante fine del mondo, l’Armagheddon!

Il nostro corso avrebbe dovuto fermarsi alla Sala del Nodo ma il livello e la preparazione degli allievi si è dimostrata tale che gli istruttori hanno deciso di puntare più in basso e, nonostante la copiosa presenza d’acqua, scendere fino ad Armagheddon. Nove istruttori ed otto allievi si sono immersi nell’ingresso Fornitori alle dieci del mattino per riemergerne solamente alle sette di sera: un viaggio meraviglioso!

Cosa c’è oltre l’Armagheddon? C’è la Sala Afrika ed oltre si trova anche Sala Australia, un salone la cui colossale e spettacolare grandezza, a detta di chi lo ha visitato, supera di gran lunga la stessa Armagheddon. Arrivare laggiù significa affrontare un viaggio lungo e difficile, per questo motivo poco prima dell’ingresso ad Armagheddon è stato allestito un piccolo “campo base” dove una piccola tenda in plastica ed una branda accoglie la sosta degli esploratori che si avventurano in esplorazioni di più giorni.

Stipati al tepore delle lanterne a carburo abbiamo pranzato mentre, poco più in là, un buio impenetrabile custodiva meraviglie tutte da scoprire!

Davide “Birillo” Valsecchi

Un ringraziamento a tutto il Club Speleo Erba. Una pacca sulle spalle ed un cazzotto sul muso a tutta la mia squadra: siete stati tostissimi anche ‘sto giro!

Tanto per rendere l’idea:

Quella che segue è una foto di Emanuele Citterio pubblicata su flickr.com. Per fare belle foto di spazi così ampi servono esperienza, tecnica e risorse (sopratutto tanta luce!).

Questa è la Sala del Nodo. Armagheddon è spaventosamente più grande (esistono infatti  pochissime foto in grado di renderne appieno la dimensione) mentre Australia deve essere qualcosa di assurdo!

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