Enzo era al chiosco a bere birra ma io ne avevo già avuto abbastanza e forse per questo sentivo il richiamo del mare, delle onde. La spiaggia di notte, totalmente buia, è il posto meno indicato per passaggiare e vagare senza meta, ma quella notte non possedevo nè denaro nè anima, non avevo nulla per rapinatori o demoni. Quella notte senza luna mi attendeva, mi chiamava, ed io lasciavo che mi trasportasse dove voleva.
Fu tra la sabbia bianca e le stelle che lo incontrai: una figura curva, seduta al margine delle palme dove nessuna luce penetra l’oscurità. Gli intravidi il volto quando aspirò avidamente dalla sua sigaretta ed il tabacco ardente ne illuminò i lineameni e gli occhi: “Mzungu, dove vai tutto solo?” mi chiese in italiano.
Mi fermai cercando di capire chi fosse prima di rispondere. Fu allora che lo vidi alzarsi e nell’oscurità mi apparve gigantesco e minaccioso. Un’ altra boccata e vidi il suo sinistro e terribile ghigno: “Sei tui il mpanga bianco che crede di poter competere con gli Shetani?” L’aria s’ impregnò di un odore acre, pungente, spaventoso. “Certo che sei tu” lo sentii ridere “Vedrai che ci divertiremo Mzungu magico!!”
Una massa scura ed informe si muoveva verso di me. Sentivo i mei sensi venir meno, cercavo di restare lucido mentre la vista si offuscava e tutto il mio corpo sembrava trafitto da mille spilli: ero finito in un gran casino!!
Era ormai a pochi passi da me e continuava a ridere, sentivo le mie gambe irrigidirsi e le forze svanire come risucchiate dal mio avversario. Ero sul punto di svenire quando una mano delicata si posò sulla mia spalla e, a quel tocco, un brivido elettrico mi percorse la schiena scuotendomi dal torpore in cui sembravo precipitato. Al mio fianco apparve suadente il corpo di una giovane donna di colore. Lei si voltò verso di me e vidi il suo sorriso e l’ambra dei suoi occhi: era Maika, la bellissima strega del mare.
Si pose tra me ed il mio aggressore pronunciando parole che non riuscivo a comprendere. L’ombra si mise a ridere sguaiata tirando nuovamente una luminosa boccata dalla sua sigaretta. I tratti del suo viso apparivano ora bestiali e terribili, resi oltremodo furiosi dall’arrivo della donna.
Lei parlò ancora e lui rispose nella stessa incomprensibile lingua con parole inequivocabilmente dure ed aggressive. Avevo nuovamente i capogiri e sentivo le gambe cedere quando vidi la strega aprire le braccia e rispondere all’ombra con altrettanta furia e sdegno. A stento riuscivo a reggermi in piedi ed ero sul punto di cadere a terra quando apparve il piccolo Makame a sorreggermi: “Non temere, Mzungo”– sorrideva il bimbo –“Lei non lascerà che PopoBawa abbia ciò che Le è stato negato”.
Ecco chi avevo difronte: Maika la strega del mare e PopoBawa lo spirito malvagio più temuto di Zanzibar.
La strega parve illuminarsi di fuoco e fulmini mentre riprese a parlare: il demone questa volta sembrò volerla ascoltare, sembrò costretto ad ubbidirle. Con un’ultima risata l’ombra gettò la sigaretta tra la sabbia e scomparve tra le tenebre ingoiata dal buio.
Chiusi gli occhi un istante cercando di respirare di nuovo normalmente. Prima di riaprirli sentii le morbide spalle di Maika, la sua delicata pelle, appoggiarsi al mio petto mentre i suoi glutei premevano maliziosamente contro la mia vita. Aprii gli occhi di sovrassalto e sentii la sua sua mano accarezzarmi il viso mentre la sua bocca e le sue labbra sfioravano le mie.
La donna più bella che avessi mai incontrato ancora una volta mi tentava ed il desiderio di cingere quel corpo con le mie braccia bruciava ardente nella mia mente: sarebbe bastato abbracciarla, precipitare su quelle morbide labbra, abbandonarsi alle sue sinuose forme per godere della sua disarmante bellezza esotica perduto per sempre.
I miei sensi erano di nuovo confusi e disorientati dal suo profumo, mentre tutto il mio corpo era travolto e sconvolto dalla sua magia: Maika, la stupenda strega del mare, quanto avrei voluto essere sconfitto, essere una delle sue vittime almeno per un attimo. Chiusi gli occhi e respirai, mi inebriai un’ultima volta del suo sensuale tocco e tornai padrone di me stesso.
Lei lo capì, mi sorrise ed il suo sguardo passionale si sciolse in occhi materni. Scivolando tra le mie braccia mi sfiorò di nuovo il viso allontanandosi sulla sabbia.“Tu le piaci, Mzungo, anche se non capisco il perchè” Mi disse il piccolo Makame mentre ancora affascinato guardavo la sua padrona. Il bambino mi prese per mano e mi invitò a seguirlo “Lei vuole sentire la storia delle tue piante magiche, Mzungo. Ora dovrai offrirle da bere per ringraziarla di averti aiutato a salvarle.”
Maika si girò a gardarci ed il suo sorriso mi conquistò ancora una volta. Era un demone nel corpo di un angelo: Enzo sarebbe stato davvero felice di rivederla…
Davide “Birillo” Valsecchi
Questo racconto di fantasia è la continuazione della storia iniziata lo scorso anno con “Into the House of Voodoo”. Quel piccolo racconto fece talmente tanto rumore nella mia piccola, e spesso bigotta, Asso che intervennero giornalisti e persino esorcisti (incredibile ma vero).
Tutta la storià finì sui quotidiani con tanto di reprimenda pubblica da parte del mio “ranocchio preferito” : ancora oggi rido della cosa sebbene, per quanto mi lusinghi come canta-storie, trovo incredibile che qualcuno possa esserne rimasto veramente spaventato.
Maika, la strega del Mare, è un personaggio da me inventato che si ispira alla fattucchiera voodoo protagonista nel precedente racconto. Una figura femminile di cui ho voluto rimarcare la forte sensualità che caratterizza le donne africane agli occhi di un occidentale. Makame è il suo “famiglio”, un bambino che le fa da interprete e che vede in lei non il fuoco della passione ma il calore di una madre.
Popobawa è invece un vero shetani, uno spirito maligno, ed è tra i più famosi e temuti sull’isola di Zanzibar. Il suo nome significa “ali di pipistrello” ed è un mutaforma in grado di attraversare i muri. Aggredisce e violenta sessualmente le sue vittime, siano essi uomini, donne o bambini. Con PopoBawa si “rischiano le chiappe” (letteralmente!!) visto che sodomizza le sue vittime e per questo è seriamente temuto anche da coloro che dicono di non crederci. Il demone, inoltre, minaccia le vittime intimandogli di rendere pubblica la sua aggressione: chi, per vergogna o pudore, non lo facesse verrà di nuovo aggredito da PopoBawa.
Per quanto possa apparire incredibile nel 1995, non nel medioevo, PopoBawa provocò una vera e propria crisi di isteria di massa in tutto l’arcipelago di Zanzibar: le popolazioni locali si barricarono in casa vivendo in un clima di terrore per alcuni mesi e persino la polizia fu coinvolta nella caccia a Popobawa. Numerosi “attacchi” sono stati registrati anche negli anni successivi ed in alcune zone, specie nelle isole minori. Gli indigeni possono seriamente adirarsi se solo si prova a negare l’esistenza di PopoBawa o a trattare l’argomento con leggerezza.
Purtroppo molti antropologi sospettano che il mito di PopoBawa sia nato come giustificazione ad atti di violenza domestica. Con un simile mito è possibile giustificare ogni tipo di violenza sessuale, specie in un ambiente rigido come quello islamico. Non va dimenticato che sull’isola di Zanzibar l’omosessualità è punita con la prigione e che, a quanto pare, l’unico che possa praticarla liberamente sia proprio PopoBawa (e le sue vittime).
E’ stupefacente osservare come il mito di PopoBawa sia nato solo negli anni sessanta e condizioni, così come altri miti, la vita sociale della gente del luogo. Per chi non comprendesse il significato di tutto ciò basterebbe ricordare come ancora oggi in molti villaggi, specie quelli più isolati, l’uomo bianco sia ancora visto con sospetto e diffidenza.
Tuttavia, dopo quanto successo ad Asso nel 2010, non ho alcuna difficoltà a comprendere come ignoranza e suggestione possano condizionare la vita di questi pescatori sperduti sulle isole dell’Oceano Indiano (… e non solo!!).
“Valsecchi scrive cose offensive e prive di senso, bla bla bla … non si scherza con le religioni”. Chissà se ora, snocciolando i grani del rosario al buio delle sue colpe, avrà compreso ciò che disse la mia bellissima Maika ma anche e sopratutto il Sovraintendente: “Mzungu, ora farebbero meglio a non toccare le tue piante!”