«Non va, decisamente non va!» Avevo in mente di trascinare Fabrizio nell’ HOKAGE -Tour® ma il mio stomaco continuava a fare capricci e, come se non bastasse, il braccio sinistro mi faceva un male cane all’altezza del gomito. «Tira fuori dallo zaino l’imbrago ed il set da ferrata: oggi andiamo a spasso. Mi tocca gettare la spugna…» Fabrizio se la rideva con tatto sotto gli occhiali scuri: la vita è una ruota e sto giro toccava a me…
Decidiamo di attaccare i Corni da Valbrona: cimitero e vecchia mulattiera, poi su per il bosco verso Pianezzo. «Saliamo in cima?» «No,no. Oggi Moregallo.» Chiacchierando nel sole della tanto agognata primavera lentamente dimenticavo gli acciacchi e la giornata assumeva una piacevolezza imprevista.
Sotto la SEV abbiamo affrontato gli ultimi scampoli d’inverno sulla neve che ancora resiste sul versante nord del piano. Sotto la Fasana ci siamo fermati al pilastro “tri ciod” per spulciare con lo sguardo le verticalità strapiombanti del lato Nord Est del Corno Centrale. Siamo in gita, scattiamo foto come giapponesi =)
Poi giù alle Moregge e di nuovo verso l’alto seguendo il filo della cresta rocciosa fino ai verdi prati della montagna sacra: il Valhalla del Lario, il Moregallo. Sulla cima di questa montagna, a sbalzo sull’azzurro del lago, vi è una morbida terrazza di erba verde da cui si può ammirare le Grigne e lasciare che lo sguardo corra fino alle vette più lontane e perennemente innevate.
Avevamo impiegato tre ore per arrivare lassù: un tempo infinito, un tempo da turisti. Sconcertato da come, in fondo, non me ne fregasse nulla mi sono sdraiato sull’erba ad osservare le nuvole. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato tra le carezze di un sole caldo.
Stavo benissimo: morto e risorto come sempre mi accade al Moregallo. Quando ho riaperto gli occhi il braccio non mi faceva più male e mi sentivo carico di energia: «Dai! Dai! Ci facciamo il Corno Centrale sulla via del ritorno! Dai! Dai, che andiamo un po’ a zonzo!!»
Venti minuti più tardi eravamo sul lato sud del Corno Centrale ravanando tra le rocce, i rovi e le sterpaglie a spasso sul selvaggio “altopiano per obliquo” che caratterizza quel versante al di sopra della prima bancata di roccia. «Sono contento tu ti sia ripreso. In fondo i tagli dell’altra volta erano giusto guariti: era tempo di farne nuovi!» Il buon Fabrizio, intrappolato tra i rovi, era combattuto sullo sviluppo inatteso della giornata.
«Secondo me di qui non passa nessuno da anni, è un posto per capre e per Birillo» Questo era quello che stavo pensando mentre avanzavo con cautela tra gli arbusti evitando di far cadere sassi sul mio socio poco più sotto. Probabilmente ero più silenzioso di quanto mi aspettassi perché, proprio in quel momento, una grossa lepre, sorpresa a poco più di un metro di distanza, ha iniziato la sua terrorizzata ed imprevista fuga.
La scena è stata buffissima: entrambi (io e la lepre) siamo stati colti alla sprovvista dalla reciproca presenza. Lei, guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento, è scattata in avanti sbattendo una craniata terribile contro un gruppo di arbusti. Nonostante la zuccata continuava, immobile, a scalciare con le lunghe zampe posteriori ma, ahimè povera lei, gli arbusti la trattenevano impedendole di proseguire. Finalmente, quando ormai avevo già iniziato a ridere di gusto, è riuscita a liberarsi scappando tra le rocce ed i rovi.
Una scena terribilmente spassosa ed inaspettata !! (GG, amica lepre: per poco non ti facevi fregare!! Heheh)
Sulla cima del Corno Centrale, sulla seconda cresta che scende verso sud, c’è stato un grosso smottamento e tutto il crinale è ancora instabile da quelle parti. La discesa sul lato Ovest è invece ormai sgombra di neve mentre in alcuni canali ancora qualche piccola lingua cerca di resistere: in pochi attimi siamo stati nuovamente alla base del corno.
«Saliamo sull’occidentale o ci facciamo una corsa nella neve?» L’idea era davvero stupida: avevamo calzoni leggeri in cotone, niente ghette e la neve aveva la consistenza della granita che si scioglie. Un attimo di esitazione per vedere chi partisse prima ed eravamo a rotta di collo giù per il pendio innevato che scende verso il rifugio. Si affondava fino al ginocchio e più che una corsa era una goffa serie di salti a perdi fiato.
A metà strada eravamo ormai fradici e gli scarponi erano colmi di neve. Sotto un albero c’era una chiazza di prato libera dalla neve: «Corri qui, butta fuori gli scarponi!! Dai Dai che ti si staccano le dita!! ahahaha». Come due stupidi ci siamo ritrovati a piedi nudi sull’erba bagnata cercando di svuotare gli scarponi e strizzare le calze. «Non male come discesa! Il prossimo inverno la proviamo con la tavola. In fondo non deve essere male fare gli asini con vista lago!»
Nel giro di qualche giorno quella massa bianca sarà scomparsa e la primavera con i suoi colori sarà ormai esplosa: era doveroso salutare l’inverno con un ultima corsa!
Rinfilati gli scarponi siamo ripartiti lanciandoci giù per la cresta dell’avvocato raggiungendo i magnifici prati della Val Cerina e quindi Candalino. Quella che doveva essere una “giornata storta” si era trasformata in un piacevole tour di otto ore, quindici chilometri, due cime ed un sacco di scoperte ancora tutte da approfondire: non male!
Benvenuta Primavera!!
Davide Valsecchi
La foto misteriosa…