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Ultima neve, prime scoperte…

Ultima neve, prime scoperte…

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«Non va, decisamente non va!» Avevo in mente di trascinare Fabrizio nell’ HOKAGE -Tour® ma il mio stomaco continuava a fare capricci e, come se non bastasse, il braccio sinistro mi faceva un male cane all’altezza del gomito. «Tira fuori dallo zaino l’imbrago ed il set da ferrata: oggi andiamo a spasso. Mi tocca gettare la spugna…» Fabrizio se la rideva con tatto sotto gli occhiali scuri: la vita è una ruota e sto giro toccava a me…

Decidiamo di attaccare i Corni da Valbrona: cimitero e vecchia mulattiera, poi su per il bosco verso Pianezzo. «Saliamo in cima?» «No,no. Oggi Moregallo.» Chiacchierando nel sole della tanto agognata primavera lentamente dimenticavo gli acciacchi e la giornata assumeva una piacevolezza imprevista.

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Sotto la SEV abbiamo affrontato gli ultimi scampoli d’inverno sulla neve che ancora resiste sul versante nord del piano. Sotto la Fasana ci siamo fermati al pilastro “tri ciod” per spulciare con lo sguardo le verticalità strapiombanti del lato Nord Est del Corno Centrale. Siamo in gita, scattiamo foto come giapponesi  =)

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Poi giù alle Moregge e di nuovo verso l’alto seguendo il filo della cresta rocciosa fino ai verdi prati della montagna sacra: il Valhalla del Lario, il Moregallo. Sulla cima di questa montagna, a sbalzo sull’azzurro del lago, vi è una morbida terrazza di erba verde da cui si può ammirare le Grigne e lasciare che lo sguardo corra fino alle vette più lontane e perennemente innevate.

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Avevamo impiegato tre ore per arrivare lassù: un tempo infinito, un tempo da turisti. Sconcertato da come, in fondo, non me ne fregasse nulla mi sono sdraiato sull’erba ad osservare le nuvole. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato tra le carezze di un sole caldo.

bhudda birilloStavo benissimo: morto e risorto come sempre mi accade al Moregallo. Quando ho riaperto gli occhi il braccio non mi faceva più male e mi sentivo carico di energia: «Dai! Dai! Ci facciamo il Corno Centrale sulla via del ritorno! Dai! Dai, che andiamo un po’ a zonzo!!»

Venti minuti più tardi eravamo sul lato sud del Corno Centrale ravanando tra le rocce, i rovi e le sterpaglie a spasso sul selvaggio “altopiano per obliquo” che caratterizza quel versante  al di sopra della prima bancata di roccia. «Sono contento tu ti sia ripreso. In fondo i tagli dell’altra volta erano giusto guariti: era tempo di farne nuovi!» Il buon Fabrizio, intrappolato tra i rovi, era combattuto sullo sviluppo inatteso della giornata.

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«Secondo me di qui non passa nessuno da anni, è un posto per capre e per Birillo» Questo era quello che stavo pensando mentre avanzavo con cautela tra gli arbusti evitando di far cadere sassi sul mio socio poco più sotto. Probabilmente ero più silenzioso di quanto mi aspettassi perché, proprio in quel momento, una grossa lepre, sorpresa a poco più di un metro di distanza, ha iniziato la sua terrorizzata ed imprevista fuga.

La scena è stata buffissima: entrambi (io e la lepre) siamo stati colti alla sprovvista dalla reciproca presenza. Lei, guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento, è scattata in avanti sbattendo una craniata terribile contro un gruppo di arbusti. Nonostante la zuccata continuava, immobile, a scalciare con le lunghe zampe posteriori ma, ahimè povera lei, gli arbusti la trattenevano impedendole di proseguire. Finalmente, quando ormai avevo già iniziato a ridere di gusto, è riuscita a liberarsi scappando tra le rocce ed i rovi.

Una scena terribilmente spassosa ed inaspettata !! (GG, amica lepre: per poco non ti facevi fregare!! Heheh)

Sulla cima del Corno Centrale, sulla seconda cresta che scende verso sud, c’è stato un grosso smottamento e tutto il crinale è ancora instabile da quelle parti. La discesa sul lato Ovest è invece ormai sgombra di neve mentre in alcuni canali ancora qualche piccola lingua cerca di resistere: in pochi attimi siamo stati nuovamente alla base del corno.

«Saliamo sull’occidentale o ci facciamo una corsa nella neve?» L’idea era davvero stupida: avevamo calzoni leggeri in cotone, niente ghette e la neve aveva la consistenza della granita che si scioglie. Un attimo di esitazione per vedere chi partisse prima ed eravamo a rotta di collo giù per il pendio innevato che scende verso il rifugio. Si affondava fino al ginocchio e più che una corsa era una goffa serie di salti a perdi fiato.

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A metà strada eravamo ormai fradici e gli scarponi erano colmi di neve. Sotto un albero c’era una chiazza di prato libera dalla neve: «Corri qui, butta fuori gli scarponi!! Dai Dai che ti si staccano le dita!! ahahaha». Come due stupidi ci siamo ritrovati a piedi nudi sull’erba bagnata cercando di svuotare gli scarponi e strizzare le calze. «Non male come discesa! Il prossimo inverno la proviamo con la tavola. In fondo non deve essere male fare gli asini con vista lago!»

Nel giro di qualche giorno quella massa bianca sarà scomparsa e la primavera con i suoi colori sarà ormai esplosa: era doveroso salutare l’inverno con un ultima corsa!

Rinfilati gli scarponi siamo ripartiti lanciandoci giù per la cresta dell’avvocato raggiungendo i magnifici prati della Val Cerina e quindi Candalino. Quella che doveva essere una “giornata storta” si era trasformata in un piacevole tour di otto ore, quindici chilometri, due cime ed un sacco di scoperte ancora tutte da approfondire: non male!

Benvenuta Primavera!!

Davide Valsecchi

La foto misteriosa…

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Sicily Brothers al Moregallo

Sicily Brothers al Moregallo

Voglio essere onesto: quando Fabrizio e Massimo, i due Sicily Brothers, si sono presentati alla mia porta ero sveglio da meno di cinque minuti e subivo ancora lo sforzo ed il peso della grappa post-ferrata bevuta a San Tomaso il giorno precedente. Mentre Fabrizio ormai inizia ad avere un po’ di esperienza, per suo fratello Massimo questa era la primissima escursione sulle nostre montagne. Forse anche per questo, guardandolo, non capivo se fosse colpa della grappa o se davvero indossasse la tuta da sci!!

Ghignando come un pazzo gli ho fatto togliere i pantaloni imbottiti ed impermeabili che indossava prestandogli dei vecchi e consumati pantaloni militari che forse avrebbero avuto bisogno di essere lavati già da troppo tempo. Visto che gli erano un po’ larghi abbiamo usato uno spezzone di cordino in Kevlar a modi cintura riassettando poi anche il resto dell’equipaggiamento.

Quando Massimo era entrato in casa sembrava un elegante principino pronto per le piste di San Moritz, con i miei vestiti addosso invece aveva l’aspetto di un trasandato vaccaro di montagna che necessitava urgentemente di un paio di rammendi e di un giro di lavanderia: confesso che la scena mi ha fatto un po’ riflettere sul mio attuale guardaroba…

Pronti per partire ci siamo messi in viaggio: destinazione la cima del Moregallo passando dal Sasso Preguda.

E’ una salita piacevole e non troppo impegnativa che però offre uno dei panorami più affascinanti sul nostro territorio: di fronte alle Grigne e al Coltignone si può ammirare il lago, il Resegone e la città di Lecco spaziando poi a 360gradi una volta in vetta. Superata la chiesetta di San Isidoro, costruita a ridosso del grande masso erratico che è il Sasso Preguda, il percorso si fa più impegnativo e stimolante.

Mi piace portare a spasso i due isolani e sono sempre molto felice quando riesco a mostrare loro qualcosa di nuovo. Il Moregallo è la mia montagna preferita, la mia cima sacra e per questo so bene dove andare a “cercare”. Così, infilandoci tra prati e boscaglia, li ho portati a vedere un po’ dei grandi animali che vivono sulle nostre montagne imbattendoci in tre grossi gruppi di mufloni ed in un capriolo che correva all’orizzonte.

Raggiunta la vetta abbiamo mangiato godendoci l’atmosfera unica del Moregallo: una terrazza panoramica sul mondo e sulle proprie passioni. Un luogo magico.

Per scendere abbiamo invece percorso il sentiero Paolo ed Eliana (EE) attraverso le guglie e gli speroni rocciosi che rendono questo versante simile ad una piccola Grignetta: più umile nella quota e nello slancio ma forse più accessibile, inesplorata e selvatica.

[Guarda il video in High Definition] Raggiunta la forcellina abbiamo ripiegato verso San Isidoro seguendo il sentiero Elvezio e quindi verso valle. Non male per essere “la prima volta” di Massimo!

Davide Valsecchi

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Corno Rat, Canalone Belasa e Moregallo

Corno Rat, Canalone Belasa e Moregallo

Era decisamente tempo di andare, di sfogare un po’. Nell’ultimo mese, salvo le escursioni di Alta Montagna, ero praticamente fermo,  privato delle mie piccole corroboranti avventure. Il grande Emilio Comici, classe 1901, ebbe a dire “gli alpinisti sono semplicemente dei pazzi candidati al suicidio” e probabilmente aveva piena ragione vista la cura con cui minuziosamente ci mettiamo nei guai.

Il piano di solito è sempre semplice, è lo svolgimento che crea gli imprevisti. Io avevo voglia di “liberarmi” e non pensavo a niente di meglio se non a salire la mia montagna “sacra”, il Moregallo.  Non cercavo qualcosa di impegnativo ma piuttosto di intenso, avevo voglia di “spingere”, di darci dentro, tenere botta.

Così sono partito a piedi da casa, ho scavalcato il crinale di Cranno e raggiunto Gajum. Il sentiero geologico immerso nel verde lungo il fiume Ravella e poi su, terz’alpe e finalmente la colma di Ravella ed il grande faggio, il FO. Come ho detto il piano era semplice: dal Fo scendere a San Tommaso e da lì, risalendo per la Ferrata del Corno Rat fino alla vetta  del Corno Orientale per poi attaccare il Moregallo lungo la cresta.

Ma non sempre va secondo i piani, a volte si sbaglia in buona fede. Ormai in vista di San Tommaso mi sono imbattuto in un cartello che indicava “Corno Rat” e, pensando potesse essere una scorciatoia verso la ferrata, ho deviato il mio percorso seguendo il sentiero. Non avevo mai fatto la ferrata venendo da Canzo ed ero intenzionato a scoprire qualche strada nuova.

Poco lontano dal cartello il sentiero però si biforca, uno sale ben segnato mentre l’altro si imbosca in mezzo alle frasche scendendo a dirupo tra i rami ed i sassi. Mi sono detto “Fai il bravo e segui quello segnato” e così ho fatto.  Poco dopo però mi sono reso conto che il sentiero  non portava alla partenza della Ferrata ma bensì all’uscita!

Una volta compresa la svista ero ormai lì e, tutto sommato, la cosa mi divertiva un po’: ”beh, facciamocela in discesa!”

La ferrata del Corno Rat, o del 30° OSA, è definita come “difficile con esposizione e verticalità costanti”. In salita è una ferrata molto impegnativa, qua e là tecnica e molto, molto fisica. E’ una bellissima ferrata ma quello che non sapevo è  che in discesa, nel mese di Luglio, può diventare un’esperienza piuttosto “brutale”!

Fin dal primo tratto ci si rendo conto si come sia davvero dura e si debba  lavorare di braccia come disperati cercando i vari appoggi su cui calare i piedi. Si può sfruttare la catena, la fune di sicurezza, gli appigli naturali ed artificiali ma è dura, tutta verticale, sempre esposta sul vuoto e sotto il sole battente.

Ero tuttavia compiaciuto, sudavo come un dannato ma mi muovevo bene e le braccia sembravano essere ben affidabili anche nei passaggi dove dovevano ripetutamente sostenere tutto il carico. Tuttavia è quando pensi che stia andando bene che le cose si complicano inaspettatamente. Già, perché c’era qualcosa a cui davvero non avrei mai pensato!

Il sole di Luglio infatti aveva reso le catene davvero calde ed inizialmente non ci avevo fatto troppo caso perchè sebbene bollenti non erano certo ustionanti. Il calore delle catene, oltre al caldo esterno, costringeva però le mani ad una sudorazione quasi eccessiva e la pelle dei polpastrelli, resa morbida del caldo e dal sudore, ha incominciato a sollevarsi e a piagarsi sotto le sollecitazioni del peso e degli anelli. “Andiamo proprio bene!” mi sono detto, il mio dubbio era semplice: finisce prima la ferrata o gli strati della mia pelle!

Entrambe le mani erano ormai piene di buchi e aggiungendo la fatica iniziavo a diffidare della loro presa. La ferrata poi è davvero lunga e, confesso, è stato un piccolo piacere arrivare a poggiare i piedi a terra nell’ombra del bosco! Ero davvero accaldato ed affaticato e l’idea iniziale di “scendere e risalire” mi sembrava davvero poco allettante sotto il sole di mezzo giorno!

Così, visto che le mie mani necessitavano un po’ di “manutenzione”, mi sono allungato verso la sorgente del Sambrosera dove le ho accuratamente sciacquate godendomi la frescura della fonte. Senza risalire la ferrata non aveva senso puntare al Corno Occidentale e visto che davanti a me avevo il cartello Canalone Belasa, Escursionisti Esperti ho deciso che quella sarebbe stata la mia via verso la cima del Moregallo.

Il canalone è davvero una bella salita, mai difficile offre brevi passaggi d’arrampicata che possono essere davvero divertenti se ben interpretati. Facendo attenzione ai serpenti mi abbandono alla salita godendo con lentezza dei passaggi più verticali.

La mente scivolava libera nella calura mentre il corpo agiva quasi di propria iniziativa. Forse è stato proprio questo che mi ha permesso, quasi senza accorgermene, di arrivare a meno di cinque metri da un grosso maschio di muflone che pascolava in una piccola cengia: credo che trovarci faccia a faccia così all’improvviso abbia colto di sorpresa entrambi!! Temevo davvero che per lo spavento decidesse di caricarmi ed invece ha emesso una specie di squittio allontanandosi prima di qualche metro. Poi, fermatosi per guardarmi meglio forse ancora un po’ stupito, ha emesso ancora con quel suo verso un po’ buffo si è lanciato nella boscaglia.

La mia salita era ancora lunga e così, come un vecchio che conserva le proprie energie in ogni gesto, ho continuato a salire, salire e salire cercando di non sentire il caldo che arroventava ogni cosa.

Il Moregallo è una montagna rocciosa, fatta di guglie, creste e canaloni ma giunti sulla sommità ci si trova immersi in uno scenario davvero impensabile ed inaspettato: un verdeggiante e pianeggiante prato da cui è possibile ammirare il mondo in ogni direzione! E’ una montagna che sa farsi rispettare e farti sudare ma che ti accoglie con infinita dolcezza quando arrivi sulla sua cima.

Mi sono sdraiato sull’erba godendo del vento che spirava dal lago: magnifico!

Un sorso d’acqua ed ho affrontato  il sentiero in cresta che scende verso le Moregge ed i Corni di Canzo. Per un secondo ho accarezzato l’idea di inanellare il Corno Orientale, il Centrale e l’Occidentale sulla via del ritorno ma, visto che avevo già speso molto sul Corno Rat, mi sono accontentato di tagliare per i prati di Pianezzo, davanti al Rifugio Sev, scendendo lungo la dorsale di Cranno.

Lungo la strada di ritorno mi sono però fermato a casa dei miei. Mio padre ha comprato per il nipotino una piscina per bambini, una piccola tinozza di plastica alta poco più di mezzo metro dal diametro di tre o quattro metri. Immerso nell’acqua sentivo le braccia doloranti e le mani che iniziavano a bruciare mentre la pelle cominciava a cicatrizzarsi: “Incredibile: tutto questo lo fai per rilassarti!” ed ho cominciato a ridere.

Poi, mentre tenevo gli occhi chiusi immerso nell’acqua fino al naso, ha cominciato a grandinare costringendomi ad una rocambolesca fuga a piedi nudi tra i rimbalzi di ghiaccio: finale con il botto di una giornata fatta davvero propria!

Davide Valsecchi

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Due giorni a zonzo tra Corni e Moregallo

Due giorni a zonzo tra Corni e Moregallo

Venerdì e Sabato sono passati a trovarmi un paio d’amici e così, per sfuggire al maltempo che minacciava il week-end, ho organizzato una “due giorni” a spasso per le nostre montagne: un paio di “scammellate” ragguardevoli in effetti.

Venerdì la sveglia suona alle sei del mattino e venti minuti dopo si è già in strada a piedi. Risaliamo fino a Gajum proseguendo lungo il sentiero geologico che costeggia il fiume Ravella. Superiamo il Terz’alpe e proseguiamo verso la colma di Ravella e poi giù, oltre il grande faggio del Fo, fino alla fontanella del Sambrosera. Da lì si risale superando prima la Torre Marina e l’attacco della Cresta del 50° OSA e della Cresta GG OSA  raggiungendo lo Zucon da dove il sentiero emerge dal bosco per snodarsi tra le guglie del Moregallo fino alla sua cima.

Una volta in cima siamo rientrati passando da Pianezzo e dal sentiero che scende attraverso il bosco fino ad Oneda ed alla vecchia mulattiera per Valbrona: a valle in tempo per un piatto di spaghetti!

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Sabato la sveglia suona di nuovo alle sei. Il tempo è ancora coperto ma non sembra minacciare pioggia. Risaliamo nuovamente tutta la valle Ravella ma, giunti al Fo, iniziamo a salire verso il Corno Orientale. Superata la ripida salita che condude al più basso dei tre corni accompagno i miei soci alla scoperta dalla meravigliosa spaccatura nella roccia, un lungo corridoio tra celebri pareti, che si cela alle spalle del Pilastrello.

Da lì inizia la nostra salita al corno Centrale proseguendo poi verso la sommità del Corno Occidentale arrampicando attraverso il “caminetto”. Ormai il più è fatto, sono le undici e mezza ed il nostro viaggio inizia la sua discesa: prima il passo della vacca e poi la dorsale per Cranno. Alla una e mezza siamo già seduti sulla panca della Trattoria al Lambro ordinando spaghetti con la salsiccia e bevendo birra.

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In due giorni abbiamo macinato un bel po’ di strada e, confesso, ritrovarsi stravolti con i piedi sotto una tavola è stato un bel piacere. C’è qualcosa di “liberatorio” nel faticare in montagna, qualcosa che ti lascia svuotato e colmo allo stesso tempo.

Sudato ed affaticato sentivo le gambe pesanti e stanche mentre tracannavo birra e chiacchieravo con gli altri:  ero semplicemente abbandonato sulla seggiola della trattoria ma, per un attimo piacevolmente lungo, quello era il mio posto nel mondo. Alla Salute!

Davide Valsecchi

Nota: ho aggiornato il sistema di visualizzazione dei percorsi GPS. Ora dovrebbe comparire un tracciato altimetrico ed altre nuove funzionalità. Se qualcuno dovesse avere problemi nel visualizzare correttamente questo nuovo sistema è pregato di farmelo sapere in modo che possa “riparare” eventuali disfunzioni. Grazie =)

2012 al Moregallo

2012 al Moregallo

Per festeggiare il capodanno del 2012 abbiamo deciso di guardare i fuochi d’artificio dall’alto del Moregallo. Complice un curioso e mite Dicembre abbiamo attrezzato gli zaini stipando vettovaglie e vestiti pesanti per l’escursione notturna.

Alle sei del pomeriggio il sole era ormai già sceso oltre l’orizzonte e, al buio, abbiamo risalito il sentiero che da San Isidoro, Sasso Preguda, porta alla cima del Moregallo. Il vento, forte solo nella parte bassa, si è acquietato fino a scomparire man mano che salivamo di quota.

Sotto di noi brillavano le luci di Lecco ed il loro riflesso sul lago, i rumore dei primi botti e la musica della festa arrivavano sempre più tenui fino a noi. Alle otto e mezza, dopo due ore abbondanti di salita, eravamo in cima, accaldati per la camminata e per il peso degli zaini.

La cima del Moregallo è una magnifica terrazza erbosa, uno spelendido prato pianeggiante costellato di affioramenti rocciosi. Dalla cima si gode una vista incredibile su Lecco, sulle Grigne, sul Lago, Ballagio, i Corni e la Pianura Padana: un panorama a 360 gradi che poche montagne nel nostro territorio sanno eguagliare.

 

Il freddo non era ancora troppo intenso ma abbiamo subito indossato i vestiti pesanti ed asciutti iniziando a preparare il campo. Vagando qua e là con le torce  abbiamo radunato la legna raccolta, in un anfratto tra la roccia abbiamo costruito con i sassi una piccola quinta dove riparare un piccolo fuoco.

Acceso il nostro piccolo falò abbiamo iniziato a preparare la cena: qualche wurstel cotto allo spiedo, qualche panino ed in un pentolino sul fuoco anche del brodo da riscaldare e mangiare con i crostini. Sopra di noi Orione dava mostra di sè mentre sopra la Grignetta brillava il grande carro, sotto di noi invece impazzavano le luci della città.

Allo scoccare della mezza notte tutto il mondo sembrava ribollire di luci. La pianura era invasa da luci, scoppi e colori: per oltre dieci minuti ovunque esplodeva qualcosa, era incredibile. I fuochi d’artificio, per quanto in alto venissero lanciati sopra le case, ci apparivano come piccoli palloncini variopinti che brillavano laggiù, laggiù in basso. Per dieci minuti ha rieccheggiato solo il suono dei botti e delle sirene. Poi, per una buona mezz’ora, solo quello delle sirene…

Seduti attorno al nostro fuoco abbiamo salutato il nuovo anno con una bottiglia di spumante mentre nel pentolino si scaldava il the caldo. Finiti i festeggiamenti ci siamo rintanati tra le rocce lasciando che il fuoco ci scaldasse mentre, lentamente, si trasformava in brace. Quando alle due la pace sembrava essere tornata nella valle sottostante abbiamo bevuto l’ultimo sorso caldo e chiuso gli zaini. Sepellito il fuoco, ormai esausto, ci siamo rimessi in cammino.

La compagnia, il panorama, il falò e le guglie del Moragallo illuminate dalle luci delle stelle sono per me il miglior modo per iniziare il nuovo anno. Tanti auguri a tutti!

Davide Valsecchi

Ps. Sui nostri monti, per motivi di sicurezza, è “vietato accendere fuochi nei boschi o a distanza da questi inferiore a 100 metri”. In ogni caso è sempre necessaria la massima prudenza e la massima attenzione anche nell’approntare piccoli falò e nel verificarne lo spegnimento e la messa in sicurezza. Il buon senso e la prudenza innanzi tutto!

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Da Asso al Moregallo passando dai Corni

Da Asso al Moregallo passando dai Corni

Da Luglio accompagno, quasi ogni giorno, escursionisti per i nostri monti portandoli ad esplorare il territorio del Lario. Con questo sole di Novembre, forse l’ultimo prima della neve, il mio desiderio di “andare” si è fatto pressante e così sono sgattaiolato fuori casa per una “solitaria”.

Non si dovrebbe mai andare in montagna da soli, tutto diviene più difficile e più pericoloso,  ma a volte si deve andare ed avere per compagno di viaggio solo i propri pensieri, uno zaino e un buon paio di scarponi.

Sono le dieci mentre attraverso il ponticello sul fiume Foce, appena sopra la cascata della vallategna. Le Grigne, all’orizzonte, sono già illuminate ma la valle al buio è ancora coperta di brina ghiacciata. Il sentiero è quello della dorsale di Cranno. In estate è un inferno rovente esposto al sole ma ora, in autunno, il calore dei raggi è una dolce carezza che accompagna la salita mentre la luce gioca con i colori delle foglie tra i rami spogli.

Il sentiero di Cranno è duro, sega le gambe senza un vero motivo. Attacca ripido senza lasciarvi prendere il ritmo fino al Sass da la Prèa, un enorme sasso erratico che a sbalzo sul vuoto crea il più bel balcone affacciato sulla piana della Vallassina.

La salita si acquieta un po’ e, sempre sul crinale, si sale fino alla “Madonna del Cai”, si attraversa piccole e luminose radure raggiungendo la Coletta dei Corni. Qui il percoso piega sul lato ovest della montagna riportandoci nel freddo abbraccio dell’ombra. La terra si fa dura e le foglie scricchiolano sotto gli scarponi ma lungo la via c’è un altra madonnina, “la Madonna di Cesare”, dove durante tutto l’anno sgorga una piccola sorgente.  Riempio la tazza in acciao legata alla catena, ci saranno cinque gradi ma mi godo grandi sorsate d’acqua seduto nel silenzio del bosco.

Prima di spuntare sui prati di Pianezzo i Corni mi danno un assaggio d’Inverno: sono ormai le dodici passate ma dove il sole non è ancora arrivato tutto è gelato ed imbiancato. Stringo le mani nella giacca e supero il Rifugio della SEV costeggiando le scogliere del Corno Centrale, al di sotto del Pilastrino. Punto verso la croce del Corno Orientale illuminata da un promettente sole caldo.

Con i piedi a penzoloni sopra Lecco apro lo zaino e mi tuffo avido nel mio furgale pranzo: una michetta rafferma di pane, un po’ di speck in una busta con il faccione di Mesner, due mandarini ed una barretta di cioccolato. Lascio che il sole mi asciughi la schiena e che le gambe si acquietino: è una bella giornata, davanti a me il Moregallo e la Crestina Osa, più oltre il lago ed il Resegone.

Ritorno alla SEV ed imbocco il sentiero che porta al “Fontanino del 60°” e risale fino alle Moregge da dove inizia la salita alla cima del Moregallo. Guglie bianche si alzano nel fianco della montagna mentre si arranca passo dopo passo. Sembra di essere nella “valle dei cinque picchi”: è uno scenario magico di prospettive irreali. L’ultimo tratto, attrezzato con alcune catene di protezione, e poi si è sù.

La cima del Moregallo è speciale: abbarbicato tra le rocce c’è infatti un ampio prato verde quasi pianggiante che offre strepitosi panorami in ogni direzione. Un oasi di incredibile pace e tranquillità che domina il caos della sottostante Lecco, che risplende nei riflessi delle Grigne e del Coltignone, che si tuffa nel lago lanciandosi verso l’orizzonte e le grandi Alpi.

Cercando un buon appoggio per la macchina fotografica mi sono sdraiato supino sull’erba osservando l’orizzonte. Non vi è anima viva per chilometri attorno a me ed il silenzio è completo. Sospeso, immobile nella quiete assoluta, vago libero con la mente e gli occhi. Osservo posti conosciuti, posti dove sono stato e posti dove vorrei andare. Mi sento felice, privo di tensioni o pensieri, tanto distante dalla vita quotidiana da temere di non essere più neppure vivo. Niente fame, niente fatica ed il sole mi scalda. Mi lascio andare accarezzando un significato nuovo e più profondo per la parola contemplazione. Forse la morte è una giornata d’autunno in cui il nostro corpo giace tra l’erba, mentre il nostro spirito vola verso le montagne illuminate dal sole. Fosse così non sarebbe cosa da dispiacersi. Contemplare placidi oltre l’orizzonte scaldati dal sole, qualcosa per cui varrebbe la pena camminare una vita.

Le ombre dietro i Corni mi ricordano però che il tramonto è vicino e come l’abbraccio del buio e del freddo sia davvero meno confortevole. “In piedi ora!” parlo da solo, a voce alta per darmi forza, ma la mia stessa voce mi appare aliena in quel silenzio. Dove ero andato con la mente? Ero tornato in me? Nella mia macchina fotografica una piccola conquista: il piccolo ma agguerrito teleobbiettivo ha catturato il profilo del Finsteraarhorn, un quattromila nell’oberland bernese ad oltre 130km di distanza.

Ma è tempo di scendere, di tornare a casa, di smettere di vagabondare con la mente e con il corpo. Dicono che anno dopo anno stia diventando sempre più selvatico, più distaccato dalle cose: come posso spiegare ciò che vedo, ciò che per me è diventato importante? Sono sempre più “consapevolmente strano”, non c’è redenzione da questa strada e so cosa significhi per chi mi sta vicino.

Scendo in silenzio lungo il fianco del Moragallo, senza far rumore. Nella quiete dell’imbrunire mi ritrovo faccia a faccia con un branco di mufloni che attraversa il ghiaione delle Moregge e sale verso l’ultimo sole della vetta del Moregallo. Una ventina tra femmine e piccoli, sono guidati da un grosso maschio dalle corna ricurve che si ferma e mi guarda. Senza distogliere lo sguardo, restando in piedi immobile, afferro lentamente la macchina fotografica dalla fodera alla cintura e scatto un paio di foto prima che le femmine convincano il maschio a proseguire lungo la loro strada.

Sono ormai quasi le quattro del pomeriggio e d’autunno questo significa che è tempo di spicciarsi. Dalle moregge risalgo verso la Sev e torno nuovamente verso la bocchetta di Leura e giù verso il fontanino del Fo.

Mi siedo a tirare un fiato d’acqua sotto le fronde del gigantesco faggio, il Fo, che domina la fonte. Gli ultimi raggi di sole infiammano il bosco di colori mentre in silenzio ascolto i piccoli tenui rumori che aminano il bosco immobile.

Il mio viaggio si fa più morbido, superata la bocchetta di Ravella scendo tra i prati degli alpeggi lungo la strada che porta al Terz’Alpe. Inbocco il sentiero dello “Spirito del bosco” rompendo il silenzio e fischiettando tra le statue di legno che mi osservano mute. I piedi ormai vanno da soli ed anche i pensieri sono tornati a bassa quota.

Al Prim’alpe “scrocco” un caffè chiaccerando con gli operatori dell’Ersaf che hanno da poco terminato la mutenzione autunnale alla strada e stanno per scendere a valle.  Qualche chilometro ancora, prima sui ciotolati e poi nel camminamento che porta all’abbandonato e fasullo Castello di Canzo. Un’ultima scalinata e sono al campo sportivo ormai al buio. Scivolo lungo il fianco del cimitero e sono davanti al Supermercato, davanti alla stazione. Luci, suoni, traffico: una piccola agitata giungla fatta di individui che si inseguono senza quasi vedersi. Regole diverse ma io resto lo stesso selvatico anche lì in mezzo.

Attraverso il ponticello di Scarenna e c’è tempo solo per un’ultima foto scattata con il cellulare. Poi verso casa: è decisamente tempo di farsi un bagno e di scambiare due chiacchiere con qualcuno che non sia il vento.

Davide Valsecchi

Ecco il tracciato del percorso:

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Il Triangolo Lariano e le sue montagne

Il Triangolo Lariano e le sue montagne

Il Triangolo Lariano, o penisola Lariana, è dove sono nato e cresciuto: un territorio di montagna circondato dal Lago di Como e dai laghi minori. Uno spazio unico che, racchiuso nell’immaginario triangolo tra Como, Lecco e Ballagio, sale dalle ghiaiose sponde del lago fino alla verdeggiante vetta del San Primo.

Nel cuore di questo triangolo scorre il solco della Vallassina e nasce il Lambro che da qui fluisce verso sud e la pianura fino a raggiungere il Po dopo oltre 130 chilometri.

La morfologia del territorio e le sue montagne sono tali da rendere spesso i Comuni che compongo questa regione difficilmente legati tra loro: ad esempio i paesi della costa ovest, come Nesso e Lezzeno, o alcuni  paesi di montagna, come Zelbio e Veleso, sono più facilmente raggiungibili percorrendo la strada costiera, la provinciale Lariana SS583, che attraverso la Vallassina e la SP41. Oltre a questo il territorio del Triangolo Lariano è stato suddiviso dal 1992 tra la Provincia di Como e la Provincia di Lecco.

Attraverso le  montagne è possibile raggiungere questi paesi percorrendo dorsali e vallate spaziando su un’ampissima gamma di itinerari: spesso il modo migliore di godere di questo territorio è proprio partire dal lago, usufruendo del servizio traghetti, per inalzarsi sulle sue vette raggiungnedo gli alpeggi ed i numerosi rifugi presenti.

Il gruppo montuoso della Catena del Triangolo Lariano, sotto gruppo delle prealpi Comasche, si trova tra le Alpi Orobie ad oriente e le prealpi Luganesi e le Alpi Lepontine ad occidente.

Sul nostro territorio si distinguono cime che sono di riferimento per i sotto gruppi che formano la Catena. Eccole, in ordine di altitudine, le principali cime oltre i 1000 metri di quota: il San Primo (1.682 m), il Palanzone (1.436 m), i Corni di Canzo (1.373 m), il Bollettone (1.317 m), il Rongaglia (1297 m), il Moregallo (1.276 m), il Monte Rai (1.261 m), il Cornizzolo (1.241 m), il Boletto (1.181 m), il Nuvolone (1.079 m), l’Oriolo (1.076 m), il Barzaghino (1.068 m) e Megna (1050 m). Tra le più piccole merita menzione, per la sua posizione isolata, il Monte Scioscia (950 m).

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Panoramica della Catena del Triangolo Lariano dal Monte Croce (foto Stefano Caldera):
Davide “Birillo” Valsecchi

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