1° Maggio. “Il lavoro rende liberi”: basterebbe forse ricordare su quale famoso cancello fu scritta questa frase per comprendere la metafora dell’inganno in cui viviamo oggi. Quel mattacchione di Thoreau diceva che trenta o quaranta giorni di lavoro potrebbero bastare per mantenere una persona tutto l’anno: ovviamente solo a patto che questa persona abbia fatto piazza pulita dalle potenti illusioni del possesso, della sicurezza economica, del lusso. Chissà cosa avrebbe scritto oggi, il filosofo americano della vita tra i boschi, sullo spread…
Solo la libertà rende un uomo libero, ma è un tipo di merce rara: in natura non esiste, quanto meno non allo stato puro. Per lo più si trova nella mente degli essere umani ma solo chi la possiede può definirsi tale. Serve coraggio e determinazione per farla propria ed altrettanto conservarla: “essere liberi è un dannato lavoro a tempo pieno!”
Il primo maggio, la sua retorica, la sua oscena ipocrisia, mi hanno sempre infastidito. La festa dei sindacati: l’encomiabile frizione tra padroni ed operai che preserva l’efficenza del motore dell’economia. Incredibile pensare che in realtà il primo maggio, originariamente, celebrasse un’insurrezione anarchica americana del 1884 finita in impiccagione. Credete davvero che ancora oggi ci sia qualcuno disposto ad infilare la testa in un cappio per difendere i vostri diritti?
Quest’anno per me è diverso: tutto è così palesamene “corrotto” che sentirmi “emarginato” diviene piacevolmente gratificante. Per festeggiare la “non festa” ho fatto quello che faccio di solito: ho messo insieme una squadra e sono andato per monti.
«Oggi ti tocca la “temibile“ cresta di Cranno!» Questo è il monito che ho regalato a Fabrizio versandogli il caffè. Dieci minuti più tardi eravamo con Simone risalendo il sentiero che da Cranno, mia assese frazione nativa, risale la cresta fino a raggiungere i Corni. Il percorso, uno dei più ripidi e “cattivi” della zona, tocca dapprima il grande sasso erratico che sovrasta Canzo, il “Sass de la Prea”, passando poi per la “Coletta dei Corni”.
Simone sta mettendo chilometri nelle gambe preparandosi da istruttore per l’imminente Corso di Arrampicata della Scuola Alto Lario. Questo significa che “spinge” tantissimo ed il povero Fabrizio ha dovuto, a proprie spese, imparare cosa sia “il passo dell’istruttore”. Credo che la sua faccia a metà salita renda l’idea:
Giunti a Pianezzo, il grande prato a ridosso dei Corni in cui è posto il rifugio SEV, abbiamo incrociato la lunga fiumana di corridori che partecipava ad una corsa in montagna organizzata dall’OSA di Valmadrera. Oltre quattrocento persone per il trofeo Dario e Willy: 15km, 1300metri di dislivello passando per il sentiero n°7, Sambrosera, Rifugio SEV, La Colma, Rifugio SEC, Monte Rai, Bevesco, Fontanino del Tof, Taja Sass e S.Tomaso.
A far assistenza ai corridori c’erano i membri del Soccorso Alpino della Delegazione Lariana tra cui il nostro “socio” Ciano. Lui, Simone ed io siamo stati insieme nella spedizione in Pakistan ed è sempre un piacere ritrovarsi, specie tra i monti: «Birillo non combinare disastri!! Accidenti! Perchè hai una cassetta della frutta attaccata allo zaino?»
Fabrizio era la prima volta che incontrava “i miei soci quelli bravi” ed è stato divertente visto che loro conoscevano lui attraverso i recenti racconti di “Cima”. Abbiamo chiacchierato un po’ tutti insieme prima di puntare alla cima del Corno Centrale. Alle undici Simone ci saluta e rientra, con il solito inclemente passo svelto, verso casa, verso i suoi bambini e verso mia sorella che, curiosamente, dopo la spedizione in Pakistan divenne la sua morosa e sua moglie.
Io e Fabrizio ci allunghiamo invece verso la “grotta del sindaco (dei Corni)”. Il tempo, sempre variabile, minacciava pioggia ed era la giornata giusta per continuare la nostra esplorazione.
Infilate le tute speleo ci siamo immersi nell’argilloso fango che ricopre il fondo della grotta. L’ingresso del “sindaco” è uno squarcio orizzontale largo di una decina di metri posto sopra degli speroni di roccia abbastanza impegnativi da superare.
La grotta, molto ampia è luminosa nella parte iniziale, è alta una sessantina di centimetri e prosegue in profondità abbassandosi: a quattro metri di profondità la grotta, per via della terra che si è accumulata, diventa alta non più di 20/30 centimetri. Oltre questa strettoia partono due cunicoli, probabilmente di origine carsica, rotondi ed alti una 70 di cm. Questi cunicoli sono percorribili e, illuminando con le torce, proseguono almeno per una decina di metri.
Non ci sono difficoltà speleo particolari essendo lo sviluppo completamente orizzontale per quanto abbiamo fino ad ora osservato. Si tratterebbe di liberare la strettoia dalla terra quanto basta per raggiungere i cunicoli e proseguire. Scavando all’ingresso abbiamo trovato, sotto una ventina di cm di terra, il fondo roccioso della grotta: roccia bianca e bellissima che forma la “valva” inferiore della curiosa conchiglia che ci ospita.
Il problema è che questi due cunicoli, probabilmente gli unici umanamente percorribili, sono affiancati da una miriade di cunicoli più piccoli. Ovunque sono visibili i segni della presenza di uno o più tassi e, vista la natura di quel complesso di cavità, è più che comprensibile perché questi animali ne abbiano fatto la loro casa.
Fino a quando non sapremo come funzioni “il regolamento condominiale” la nostra piccola esplorazione dovrà avanzare con una certa cautela visto le dimensioni degli artigli di un tasso! Io vorrei evitare la classica situazione “…escono dalle pareti , escono dalle fottute pareti!”
Sdraiati a pancia in giù con una paletta da giardinaggio abbiamo, in quattro dure di duro lavoro, scavato nella terra una piccola trincea che ci permettesse di strisciare avanzando fin oltre la strettoia ma che fosse anche abbastanza agevole da offrici la possibilità di una “rapida ritirata” qualora il comitato di ben venuto si fosse fatto caloroso!
Alla fine mi ci sono infilato raggiungendo il limite della strettoia. Ecco cosa c’è oltre: il cunicolo di sinistra si fa molto ampio e quasi perfettamente rotondo nella roccia, sulla destra un altro piccolo cunicolo, sempre nella roccia compatta, si allunga per cinque metri prima che la luce della torcia muoia al suo interno. Sull’ingresso di questo cunicolo più piccolo è ben visibile il segno del passaggio degli animali e probabilmente è uno dei loro tanti ingressi.
«Io vengo in pace! (…ma sono pronto alla guerra!)» Ho proclamato solenne lanciano nella cavità qualche mandarino ed una mela. Per ora ci siamo fermati lì: la prossima volta la frutta, e gli altri segni, ci diranno di più suoi nostri coinquilini. Io confido in una convivenza pacifica e, confesso, non mi dispiacerebbe avere MrTasso come mascotte di “cima”. (confido serva solo avere pazienza e non spaventarlo)
Credo che, ancora un paio di sopralluoghi, e potremo esplorare con sicurezza uno dei due cunicoli principali. Non credo che la grotta abbia uno sviluppo superiore ai 20/25 metri ma sono piuttosto curioso di completare l’esplorazione di questa cavità nei Corni di Canzo censita nel 1976 (l’anno di nascita mio e di Fabrizio) e da allora completamente dimenticata.
Quando all’orizzonte il temporale ha cominciato a farsi sentire abbiamo smontato il campo e siamo scesi a rotta di collo giù dalla montagna. Fabrizio aveva passato la giornata a lamentarsi che le previsioni del tempo fossero sbagliate: alla fine è stato accontentato!
Fradici e sudati siamo passati sotta la casa di mi padre che, probabilmente mosso a pietà, ci ha offerto una birra ed un ottimo salame. La fortuna mi ha poi sorriso alla grande: il buon Paolo mi ha invitato anche a cena!
Così, insieme alle Zia Cesi, siamo saliti fino al Pian del Tivano e, prima di sederci alla tavola dell’Alpetto di Torno, abbiamo binocolato sull’imbrunire il pascolo dei caprioli del San Primo.
Sono stato in montagna, ho incontrato vecchi amici, ho passato quattro ore nel fango a scavare ed ho chiuso la serata osservando selvatici insieme a mio padre: credo che ieri sia stato un “primo maggio” davvero da festeggiare!
Davide Valsecchi