«Vista dai più alti sobborghi di Lecco, la Corna di Medale si presenta come un ciclopico muro. Per quattrocento metri a picco si erge sopra Malavedo e sembra un unico lastrone di calcare. Se la si guarda pare protendersi, sporgendo in alto e rientrando alla base, ma quando la luce radente ne svela i segreti, l’occhio che la percorre scrutandola nota i punti più facili ma anche i più difficili, che sono i tetti: ed a quei tempi per vincerli non conoscevamo né la manovra della doppia e tripla corda, né le staffe.» Riccardo Cassin
Rileggere il diario di Riccardo Cassin è certamente il modo migliore per avvicinarsi alla grande parete che sovrasta Lecco e che è stata lo scenario della prima importante via tracciata da questo gigante dell’Alpinismo Mondiale.
Nel suo diario troviamo il racconto dell’assalto in tre atti portato alla parete: il primo nel 1930, quando Cassin fece il suo primo “volo” restando ferito al volto da una roccia; il secondo, nel 1931, insieme al “Boga” in cui furono sorpresi dal temporale e costretti a bivaccare in parete accucciati in una piccola nicchia; il terzo, quello decisivo, portato la domenica successiva, in cui la parete fu finalmente vinta.
Trecento sessanta metri di parete e dodici tiri di corda: ecco quello che appare quando ci si trova alla base del Medale con il naso all’insù e l’imbrago alla vita. Nonostante il tempo, l’unto e gli stereotipi, affrontare la Cassin al Medale significa addentrarsi nella Storia alpinistica con la “esse” maiuscola.
«… i particolari di questa salita sono talmente impressi nella mia memoria che nel rammentarli ho la sensazione di viverli nuovamente;… la soddisfazione provata nell’aver superato il caminetto del masso che mi volò addosso nel primo tentativo…; le luci familiari del nostro sobborgo…; un enorme masso a tetto, che sembra ostruire la via; la fenditura che permette il passaggio a destra, dove il masso si appoggia alla parete, lo spigolo che porta all’antecima e finalmente la vetta!». Riccardo Cassin
Molti passaggi sono resi sdrucciolevoli dall’unto che ormai ricopre la roccia e spesso si è costretti a riparare fuori via o ad azzerare (il traverso ormai è una pista da pattinaggio: si è costretti ad attaccare in verticale!). Buona norma è quindi considerare un grado in più rispetto alle difficoltà dichiarate.
Nonostante questo appare evidente in tutta la sua magnificenza come i “Grandi” siano davvero “Grandi”. Immaginare un giovanissimo Cassin che negli anni 30 arrampica a vista su una simile parete inviolata, un colossale muro che per ben due volte lo ha respinto in modo brutale, ci dà la misura della sua eccezionalità alpinistica.
Trovarsi accanto alla grotta in cui Lui ed il Boga bivaccarono sotto l’acqua è stato come visitare un santuario. Nonostante l’unto è stata una salita fantastica e spesso, concentrato sui movimenti, mi sono ritrovato a mormorare: «Signor Riccardo: accidenti che passaggio! Accidenti davvero!!»
Davide “Birillo” Valsecchi
Come sempre un ringraziamento a Mattia che ancora una volta si è dimostrato un eccellente capo-cordata. (Lui non ha avuto bisogno di azzerare nulla…)