“E levò di tasca un foglietto di carta rossa sul quale era scritto in lettere maiuscole: Qui ci sono stati i ragazzi della via Pal!” Io sono uno vecchietto classe 1976, negli anni ‘80 guardavo Goldrake salvare la Terra attraverso un buffa televisione di plastica arancione, ovviamente in bianco e nero. I miei genitori, quando iniziai a leggere, portarono giù dalla soffitta una pigna di vecchi ed ingialliti libri per ragazzi che venivano tramandati da generazioni: Sandokan, il Corsaro Nero ma anche un libro curioso “I ragazzi della via Pal”.
Già, un libro ungherese del 1909 scritto come denuncia per la società dell’epoca contro la progressiva mancanza di spazi per il gioco dei più giovani. La storia di due bande di ragazzini delle scuole medie che, con gerarchie quasi militari, si contendono il possesso degli spazi abbandonati tra le case popolari. Generali, tenenti e soldati semplici in lotta per un pezzo di stoffa, un cencio che considerano una bandiera e che deve essere issato sulla catasta di legname che è la loro fortezza.
Davvero curioso. “I ragazzi dei Corni”, senza rendermene conto è così che spesso ho chiamato la mia cordata, quella con Mattia nella grande riconquista dei Corni. Che dire. Forse siamo degli immaturi, degli irresponsabili, o forse solo degli adulti che, nonostante le difficoltà, hanno avuto la fortuna e la forza di conservare i propri sogni di bambino.
Prima di iniziare a scrivere questa storia ero al telefono proprio con Mattia: parlavamo della prossima via da fare e nel mentre, a distanza, consultavamo insieme la nuova guida pubblicata nel 2105: “Arrampicare sui Corni di Cano e Moregallo”. Sfogliavo le pagine, come altre mille volte, quando ho trovato qualcosa di nuovo, una storia che non avevo ancora letto: “C’è di più” di Davide Vassena.
La cosa mi stupisce perchè Davide Vassena è quasi mio coetaneo, poco più giovane, e proprio nelle scorse settimane, via email e facebook, abbiamo scambiato e condiviso fotografie ed “esplorazioni” del Camino del Bevesco. Abbiamo chiacchierato a lungo e la nostra conversazione si era conclusa in modo semplice: “Mi raccomando, se andate fammelo sapere!”. Mattia al telefono continuava a raccontarmi dei suoi piani ma io ero ansioso di leggere il racconto di Davide.
«Leggevo la vecchia guida come se fosse stata un vero e proprio libro d’avventura… Moregallo, Corni di Canzo e Corno Birone mi apparivano infatti come qualcosa di esotico, alla Salgari quasi! La sognavo quella via che, citando alla lettera, “si svolge in un ambiente molto selvaggio e suggestivo, con roccia a tratti infida e a tratti buona” …a tratti infida capito? Non instabile o poco compatta, infida! Quasi fosse lì in agguato, pronta ad ingannarti in ogni momento per farti precipitare! Sognavo. E intanto mettevo in programma, giusto perchè valutata “D”».
Già, quella “D” che sta per “difficile” ma che è quasi una mezza speranza in un mondo dove tutto è “TD”, tanto difficile, oppure “ED”, estremamente difficile! Leggevo il suo racconto, il racconto di come lui leggesse la vecchia guida, quelle stesse parole scritte da Gianni Mandelli e Giorgio Tessari che anche io, sull’altro versante, avevo letto volando con la mente, sognando di osare ben oltre la normale al Pilastrello.
«E’ vero, sarà il racconto di una duplice ritirata, ma se non ci fossero difficoltà, disavventure, se tutto filasse liscio non ci sarebbe niente da dire, ci resterebbe soltanto da pavoneggiarci, come per le vie che siamo riusciti a ripetere, ma non ci sarebbe storia! E a noi le storie piacciono, le abbiamo sempre respirate ed è a causa loro che spesso ci inerpichiamo per i monti di quest’isola senza nome, dove non ti vede nessuno, su queste vie che sanno un po’ di stantio, che si snodano su roccia o troppo compatta, marmorea, o eccessivamente friabile ed erbosa.»
I libri sono oggetti potenti. Le nostre storie, tanto simili eppure diverse, sono nate tra le pagine della stessa guida. Come i ragazzini della storia ungherese eravamo (ed ancora siamo) alla pericolosa ricerca di “spazi di gioco” liberi in cui sia possibile respirare e vivere un avventura libera dalle catene, dai numeri e dalle chiacchiere, insomma, autentica.
«Ai Corni, a partire dalle difficoltà, ma non solo, c’è poco di oggettivamente misurabile, o meglio, forse mi piace pensarla così: che una via sia più di una via, che una parete sia più di una parete, che un pendio innevato sia più di un pendio innevato, che ci sia qualcosa di più. E i Corni, da questa prospettiva, traboccano» Davide Vassena.
Se vi siete stancati di sentirmi raccontare dei Corni ma non avete ancora letto il racconto di Davide vi conviene farlo: l’Isola senza Nome è una “malattia” piacevolmente contagiosa!
Davide “Birillo” Valsecchi
PS: quella nella foto è la “Stella dei Corni”. I miei primi dieci chiodi sono stati un piccolo ma importante regalo che mi fece Renzo Zappa (insieme al martello che ancora utilizzo) quando, dopo le prime vie, abbiamo iniziato la nostra avventura ai Corni. Un giorno, giocando con questi chiodi, si è formata la stella: mi piace pensare che nel futuro, così come altre montagne hanno riconoscimenti e premi alpinisitici per i “campioni”, questi “quattro chiodi” possano essere una benemerenza per i giovani che, con il giusto spirito, intrapprendono la propria avventura sull’Isola. «Hey tu, pischello, hai già ricevuto la tua stella?»