La Direttissima del Coglians

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Credo sia la legge del “contrappasso”, dopo aver dato allegramente dei “mona” ai tre uomini di punta del Badger Team il destino si è preso gioco di me: fuori ci sono -13 gradi mentre dentro, io e Bruna, abbiamo +39 di febbre e l’influenza più dolorosa che mi riesca di ricordare. Così, sostituiti da un pressante mal di testa, tutti i miei gloriosi progetti esplorativi sono andati in fumo. Anzi, caricare stufa e camino sono ormai le nostre uniche priorità. (Povera Bruna!!)

Tuttavia, con questo freddo, sarebbe stato ben poco saggio andarmene in giro da solo a curiosare “ravanando”. Quindi, sbattuto in panchina, pensavo non mi restasse altro che “binocolare” attraverso le finestre della veranda avvolto mestamente in una coperta. Invece, inaspettatamente, dalla libreria di mio padre sono saltati fuori una serie di annuari di cui non conoscevo neppure l’esistenza: “Collina – Circolo Culturale E.Caneva – Unione Sportiva – Giornale Sociale”.

Una pubblicazione annuale, riservata ai soci, che contiene sia articoli in italiano che nel tradizionale dialetto carnico, che per molti aspetti è una vera e propria lingua, qui molto usata e ben conservata. Sfogliando le riviste, attratto dalle foto dei monti, pensavo di imbattermi nelle “solite cose”, nella punteggiatura, preziosa ma non troppo accattivante, degli eventi che caratterizzano l’anno di una comunità: feste, ricorrenze, celebrazioni, ecc… Mi aspettavo qualche racconto storico, inevitabilmente legato alla prima guerra mondiale o all’epoca contadina, ed invece, con enorme sorpresa, ho trovato un sacco di racconti di montagna!

Solo allora mi sono reso conto di quanto poco conosca la storia “alpinistica” di queste montagne, dei suoi protagonisti, degli avventurosi che si sono spinti lassù guidati forse dalla stessa spinta che mi muove mentre influenzato me ne sto rinchiuso sospirando con il binocolo in mano. Ovviamente queste riviste sono finite diritte diritte nell’archivio della Biblioteca Canova ed inoltre, tra queste storie, ne ho scelta e trascritta una che è certamente emblematica e che forse meglio descrive quello che cerco di spiegarvi. Credo saprà intrigarvi!

La Direttissima del Coglians – di Armando del Regno (2008)

Una sera di fine settembre 1950, l’amico Leonida Tolazzi (all’epoca lui quindicenne ed io diciassettenne) mi propose, con tanto entusiasmo di scalare il Monte Cogliàns. “Ma da che via – chiesi io- dalla Nord (parte austriaca) oppure dalla parte sud partendo dal rifugio Marinelli?” No, no, per ‘direttissima’ mi disse lui”. Poi ad un mio silenzio interlocutorio, lui confermò: “Sì, la direttissima del Coglians”. La Diretttissima del Coglians, sul versante Ovest, così imponente e grandiosa come la si vede da Collina, tale da incutere un timore revernziale in chiunque la guarda, a me non era mai passato per la mente di avvicinarla.

Da montanari avevamo certo confidenza con la montagna, entrambi eravamo figli di gestori alpini, del Lambertenghi al Passo Volaja io, del Marinelli lui, ma mai avevamo seguito corsi di roccia, tanto meno possedevamo la necessaria attrezzatura; ci soccorse la incoscienza giovanili (ma se volete potete chiamarlo pure coraggio… non mi offendo) solo questa poteva spingerci ad affrontare quell’avventura. Per convincermi, Leonida mi disse subito: “Conosco bene la via perchè mi è stata spiegata da Cirillo Floreanini (l’unisco scalatore friulano che fece parte della famosa spedizione italiana che conquisto il K2, quindi una garanzia) e così dicendo, mi spiegava da Collina il percorso ed i passaggi più pericolosi.

Accettai, e lì per lì decidemmo così l’organizzazione della spedizione: primo, non avvertire i nostri genitori, nè altre persone, perchè ci avrebbero vietato di fare una cosa del genere; secondo, in mancanza di altro, in scalata avremmo dovuto usare i nostri “scarpez”, con la suola di pezza, al fine di non scivolare sulla roccia eventualmente bagnata; terzo, Leonida, che già sapeva che avrei accettato, aveva già preparato una “sojo” (la corda che in montagna si usa per legare la balla di fieno) da usare in luogo di corda da roccia, di cui eravamo sprovvisti, ed infine come vitto solo due cioccolate amare, perchè di poco peso e molta sostanza durante la scalata.

Partimmo alle ore 6:30 quando ancora tutti dormivano e senza alcuna difficoltà raggiungemmo la parte bassa del nevaio ai piedi del Coglians, ai tempi molto più gonfio ed esteso di adesso. E là, consci della grande impresa che avevamo iniziato ci fermammo a guardare Collina nella sua piccola valla che stava per essere inondata dal sole settembrino; a scrutare il sovrastante, ripidissimo e minaccioso nevaio: a cercare con lo sguardo il “punto rosso” che segna l’inizio vero e proprio della scalata, tracciato nella roccia con vernice rossa (da chi? Forse dal primo che ha aperto tale via?). Il punto Rosso venne subito identificato (il Floreani nelle sue indicazioni era stato preciso) e subito un silenzio assordante ci colse, non riuscivamo a parlarci e, guardando verso l’altro, i nostri pensieri pare siano stati identici… erano domande più che pensieri. “Da quale lato superare il nevaio? Come raggiungere il punto rosso? E dopo, come superare tutte le difficoltà che avrebbe presentato la scalata?”

Partimmo! E fu naturale dividere l’ascensione in quattro parti. Il primo tratto da superare fu quello del nevaio, che venne effettuato sulla sinistra guardando la vetta del Coglians, restando però sempre al suo fianco sulla roccia, perchè scoperta di neve. Ogni tanto, sul nostro passaggio, talune lastre erano bagnate dall’acqua che filtrava dalle fessure di quelle sovrastanti, e bene facemmo ad usare i nostri “scarpez” per non scivolare. Il punto più difficile di questo primo tratto, fu quello di superare in altro a sinistra l’alveo del nevaio, alto una decina di metri, per portarci sul terminale sud della Cima dei Lastroni. A questo punto superato il primo vero ostacolo, con grande sollievo, vedemmo più vicino il “punto rosso”, che rispetto a noi era in linea retta con la punta della montagna. Forse per questo la scalata è stata chiamata la “Direttissima del Coglians”.

Il secondo tratto, dopo il nevaio, fu quello per raggiungere l’attacco vero e proprio della scalata, indicato dal detto punto rosso di vernice. Puntammo direttamente su quel segno, senza fare giravolte e lo raggiungemmo con una certa celerità e senza particolari difficoltà. Erano le ore undici e ci parve subito di avere raggiunto una parte importante della nostra impresa. Ci sembrò di vedere in quel punto rosso “la stella cometa” che ci avrebbe portato con certezza alla nostra prima conquista di una vera montagna. Riposammo per un buon quarto d’ora e mangiammo la desiderata tavoletta di cioccolata.

Il terzo tratto, il più difficile dei primi due, parte dal segno rosso e con qualche rapida parte e qualche canalone da superare, va sempre in direttissima, fino nella parte alta dell’unico ghiaione (visibile da Collina) che si trova sulla direttissima del Coglians. Il punto più difficile di questo tratto (un buon terzo, quarto grado a nostro parere) è il Camino che dalla parte più alta del ghiaione ti porta nella sovrastante parte alta della scalata. Il Camino è alto otto, dieci metri, largo da cinquanta a ottanta centimetri con le pareti lisce e prive di qualsiasi appiglio. Per superarlo dovemmo usare (a mo’ di lombrico) i talloni, le ginocchia, la schiena, il sedere, le mani ed anche la fronte.

Mi ricordo che per primo salì Leonida, io mi spinsi in alto più che potei, seppure solo di due metri e mezzo, e lui riuscì a salire fino alla fine del camino usando il modo predetto. Ed ecco che a quel punto entrò in funzione la “sojo”, me la lanciò e mi aiutò a salire (solo dopo Leonida mi disse che il Floreanini lo aveva avvertito delle difficoltà di quel passaggio). Siamo al quarto ed ultimo tratto, cinque, seicento metri che dall’alto del Camino in cima al ghiaione, ti separano dalle vetta. Sempre in dirette riprendemmo a salire verso la cima, ormai sicuri e contenti di raggiungere lo scopo.

Arrivarono anche le nuvole, il vento freddo e noi accelerammo il passo per non farci prendere dalla pioggia. Vicini alla vetta la pioggia ci sorprese; da lassù, un gruppo di tedeschi, immersi in un religioso silenzio, osservava ammutolito quei due ragazzi coraggiosi al termine della loro impresa. All’arrivo erano circa le ore quattordici, il gruppo ci accolse con un fragoroso applauso e un bravo, bravo che ci riempì di soddisfazione.

Tornati a casa, ai nostri rispettivi genitori che ci chiesero dove eravamo stati tutti il giorno, con tanto da fare a casa (la legna, il fieno, il pascolo, ecc..), onde evitare giusti rimproveri, rimproveri solitamente non teneri a quei tempi, decidemmo di non rispondere alla domanda e non manifestammo ad alcuno la grande impresa da noi compiuta. Il velo d’oblio durò per anni, fino quasi a farci dimenticare tutto.

A proposito della nostra scalata, che successivamente Leonida ha fatto in invernale ed in notturna con altri compagni di viaggio, al fine di scoprire il primo che ha aperto questa via, riesaminando questi giorni (ottobre 2008), tanti libri specializzati sulle vie e scalate della montagna Carnica e sul Monte Coglians, ho potuto notare che sono indicate tante vie: la nord in Austria, la sud dal Marinelli, la est della Cjanevate, ma della nostra “Direttissima del Coglians”, lato ovest, con partenza dal sottostante nevaio, non ho trovato nessuna traccia. Mandi Leonida, ora che ci hai lasciati è giunta l’ora di raccontarla… tanto lassù chi ti rimprovera?


Una direttissima infinita e quasi dimenticata attraverso la parete Ovest con un passaggio chiave in camino (evvai!), una “storia nella roccia” su cui investigare ed esplorare. Accidenti! Ce ne è abbastanza da farmi salire la febbre anche senza l’influenza!

Davide “Birillo” Valsecchi

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