Purple Trail

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“Infine, il Vallone delle Moregge, la cui testata appartiene a Valbrona. Questo vallone, estremamente selvaggio e suggestivo, costituisce un’area wilderness che ha pochi confronti nella provincia, e meriterebbe senz’altro di essere tutelata e valorizzata con l’istituzione di una riserva naturale” Questo è ciò che è riportato nell’Isola Senza Nome sulla Valle. Io ricordo di esserci stato per la prima volta in vita mia con mio padre, quando ero adolescente se non addirittura più giovane. Eravamo andati a vedere i mufloni e, se non ricordo male, avevamo iniziato la nostra salita davanti al Nautilus, lungo quella rampa, oggi chiusa, che rimonta la galleria. Quasi sicuramente oggi ne so più di mio padre sul Moregallo ma, forse grazie a lui, persiste in me quella strana sensazione di mistero ed ignoto che caratterizza ogni mia ricerca in quella zona. Ho già raccolto un sacco di pezzi ma il mosaico è ancora troppo ampio perchè bastini. La nuova cava, come quasi tutte le cave sul Moregallo, è una piccola ma significativa “rottura di palle”: oltre a saccheggiare la montagna – per due spicci mal resi alla comunità – impone “zone interdette” dotate di telecamere ed intimidatori cartelli. Purtroppo il Moregallo appartiene principalmente a Mandello che, dall’altro lato del lago, da una Provincia diversa, pregno d’orgoglio per le più blasonate Grigne, sembra più interessato a “venderlo” che a comprenderlo. Quindi per accedere alla valle dal basso è necessario innanzitutto districarsi tra i divieti, i cancelli e le gallerie chiuse. Sul versante Est le Cave hanno avuto la forza di “spostare” itinerari storici come il 50° OSA, alzare palizzate, offuscare e distrarre lo sguardo. Ritrovare i vecchi sentieri e condurre persone nella valle, in modo consapevole e rispettoso, è il mio modo di “tracciare una linea sulla sabbia”. Così ho parcheggiato il Subaru ed iniziato una nuova salita. Trovo il passaggio ed un sentiero che, contro ogni previsione, è ben tenuto nonostante non vi siano segni o cartelli. Anonimo, sebbene qualcuno si sia preso la briga di scavare grandini per i passaggi più scivolosi. La traccia si alza e poi si ricongiunge con un camminamento più ampio e probabilmente più antico. Risale nello spazio di montagna tra il fiume principale – che sulle carte è chiamato semplicemente “Fiume” – ed un torrente secondario che lambisce il fianco sinistro della cava. Poi però è presto chiaro perchè il sentiero sia ben tenuto: qualche operoso fortunato possiede una bella e ben curata baitella, abbarbicata in un angolo decisamente bucolico. Purtroppo per me dal baitello in avanti il sentiero smette di essere ben curato e torna ad essere una “ombra” tra il paglione e le foglie. Tenendomi sulla cresta risalgo ancora. Un tempo quella traccia doveva essere ben battuta, ora invece è quasi scomparsa inghiottita dal bosco. Solo il passaggio degli animali, ora padroni della zona, ne conserva memoria. Più avanti trovo una sorgente d’acqua: è ormai abbandonata da tempo ed i cinghiali l’hanno ridotta ad una pozza che zampilla tra il fango ai piedi di una pianta. A qualche metro c’è però il rudere di una casotta, a conferma della passata antropizzazione della fonte. Tutta la zona è “arata” pesantemente dai cinghiali. Una traccia evidente di passaggio punta verso nord a mezza costa, probabilmente dirgendosi verso la “Baita del Buschet”. Io punto verso l’alto con l’intenzione di intercettare il sentiero che da Oneda traversa per poi scendere nell’orrido. Raggiunto il sentiero faccio tappa, nuovamente, al misterioso albero di natale nel bosco. Questa volta però ho qualche informazione in più, che vi racconterò più avanti.

Per la discesa, invece, ho prima raggiunto il cancello della “Baita del Buschet” per poi, come si usa dire, “tirare giù dritto per dritto”. Il piano era provare ad intercettare qualche sentiero sconosciuto o qualche passata presenza umana. In realtà non ho trovato nulla di simile e mi sono “infilato” in una zona davvero complessa e di difficile lettura. Il bosco, coperto di foglie, è molto ripido e ci sono numerose piante abbattute. Non ci sono, così come mi aspettavo, salti rocciosi, ma sono i torrenti della zona a creare non poche difficoltà. Al momento la maggior parte dei torrenti è praticamente in secca, tuttavia la loro conformazione è molto singolare. Tutta la zona è geologicamente un susseguirsi di strati inclinati di calcare, i torrenti si sono formati erodendo i punti di contatto tra questi piani. Per cui sono molto ripidi e scorrono su un fondo che, essendo la “pagina superiore” di uno strato calcareo, praticamente è lastricato. Uno scivolo di roccia a “V” che punta verso il basso creando “bordi” spesso alti anche quattro o cinque metri. Non puoi quindi “entrare” nel torrente, nè percorrerlo nè attraversarlo. Puoi passare solo in alcuni punti ma per individuarlo spesso devi smettere di guardare il torrente e studiare le tracce degli animali (che conoscono tutti i passaggi). Anche così richiede molta dimestichezza e qualche malizia per evitare di mettersi nei guai. Più in basso la situazione diventa ancora più complessa perché oltre ai “torrenti lastricati” si aggiungono “stream” nella terra. Spiego e descrivo, anche io non avevo mai visto una cosa simile. La quantità di acqua che scende a valle crea dei canali nella terra. Fin qui nulla di strano, il problema è che questi canali sono corridoi a “V” alti anche quattro o cinque metri (caderci dentro è un lampo, entrarci invece è molto complicato). Come se non bastasse questi “stream” spesso si incontrano ma non si fondono immediatamente, creano invece “creste” di terra. Per riuscire a cavarmi d’impiccio ho dovuto percorrere alcune di queste creste seguendo l’esempio ed il passaggio degli animali (questo per darvi l’idea delle dimensioni). Ho provato a fare delle foto ma non rendono assolutamente l’idea: sembrano i solchi lasciati da vermi giganteschi – stile “tremors” – che si aggrovigliano e serpeggiano tra loro. La forza dell’acqua che si accumula in quegli stream negli oltre 400 metri di dislivello è evidente ed inquietante: non sono il prodotto di un erosione lenta e costante quanto il risultato, rapido e dirompente, di nubifragi violenti. Non è infatti un caso che, quando finalmente sono riuscito a raggiungere la statale, sia sbucando esattamente dove quest’inverno è “franato” costringendo la chiusura della strada. Quegli “stream”, oggi asciutti, devono essere decisamente spaventosi quando piove forte. Non c’è paragone tra la loro portata e le dimensioni degli “sfoghi” sul lago. Quando è caduta l’ultima frana, stando a quanto riportato dai giornali, la Provincia impose al proprietario del terreno l’onere di liberare la strada. C’è infatti una vecchia casetta abbandonata ed un baitello per le pecore. Tuttavia appare una follia che un privato, con un pezzo di terra a bordo lago, metta in sicurezza questi stream che partono – minimo – duecento metri di quota più in alto. Qualsiasi cosa faccia a valle può solo “incattivire” ciò che scende a monte. Mettetevi il cuore in pace: la strada sarà chiusa di nuovo e converrà fare attenzione passando in quel punto con la pioggia forte.

Il Mistero dell’Albero di Natale nel Bosco.

Domenica scorsa ero al Castel di Leves e, con un po’ di sorpresa, ho incontrato un piccolo gruppo di ragazzi che saliva come me da Onno. Ciò che mi ha colpito è quanto hanno fatto una volta in cima: armati di gps hanno perlustrato le roccette sommitali e, nascosto in un piccolo anfratto, hanno trovato una piccola scatoletta gialla. Visto che uno di loro mi conosceva attraverso i racconti del Blog (“ma tu sei Davide Valsecchi? Birillo?”) abbiamo attaccato bottone e mi ha spiegato meglio il “GeoCaching”, la curiosa caccia al tesoro in cui i partecipanti usano un ricevitore GPS per nascondere o trovare dei contenitori di differenti tipi e dimensioni. Questi contenitori sono chiamati “geocache” o più semplicemente “cache”. Esistono poi siti web a cui registrarsi, punteggi, App per il cellulare, ecc… Visto che tempo fa avevo – inconsapevolmente – trovato una “cache” alle grotte del Sasso della Cassina mi hanno confidato che anche l’albero di natale nella valle delle Moregge è una geocache. Così, visto che ero in zona, sono andato a controllare e, in una belle palline, ho effettivamente trovato il “log”, il foglietto con le firme e le date dei ritrovamenti. In pratica, mio malgrado, credo di avere già segnato 2 punti, forse 3 se aggiungiamo quello del Castel di Leves. La mia opinione su tutta la faccenda è ancora abbastanza incerta. Vedere dei ragazzi che si sparano un migliaio di metri di dislivello per un gioco è sicuramente interessante. Infilarsi fuori sentiero nelle Moregge o sul Castel di Leves richiede poi attitudine ed una buona dose di competenze tecniche e fisiche. Non è una cosa da poco. Io lo faccio in cerca di “qualcosa di ignoto”, loro lo fanno con un obiettivo ben più preciso e sociale.  A rendermi dubbioso è tuttavia la competizione che, insita in ogni forma di gioco, può diventare pericolosa nel geocaching quanto lo è nell’alpinismo o nell’arrampicata. Anzi, il fatto che la faccenda non abbia velleità alpinistiche, e che quindi sia meno elitaria, rischia di creare pericolosi squilibri tra l’obiettivo ed il cercatore. Hai voglia a spiegare che il Soccorso Alpino abbia dovuto mobilitare una squadra di 20 soccorritori ed un elicottero per recuperarti perchè incrodato mentre davi la caccia alle scatolette nascoste. Il mondo “civile” in cui viviamo è spesso più spietato della montagna. Lo dico perchè spesso la mia situazione non è poi molto dissimile dalla loro e per questo vi ho riflettuto a lungo. Per il momento l’unica risposta valida è: “non devi sbagliare, mai. Si vis pacem para bellum”.  Ma non è facile, specialmente quando si è giovani, speecialmente quando si tratta di fare punti. Come ho detto la mia opinione su tutta la faccenda è ancora abbastanza incerta, però in qualche modo mi intriga e mi spinge a saperne di più. Non mi interessa tanto cercare scatolette e pupazzetti, quanto offrire alle persone che lo fanno – animate da un positivo ed ammirevole  entusiasmo – le giuste competenze per cavarsela. Non so, forse anche i “Tassi del Moregallo” formeranno una squadra e raccoglieranno punti pesanti (visto, la competizione è sempre in agguato!). Non so. Però un “Gotta catch ’em all!” sull’Isola Senza Nome potrebbe anche essere divertente.

Davide “Birillo” Valsecchi

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