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Le Mura del Funzi

Le Mura del Funzi

Quando ero molto piccolo i miei genitori, dopo l’asilo, mi portavano spesso al cinema teatro di Canzo dove, il pomeriggio, venivano proiettati i primi film della Walt Disney. Era un’epoca in cui le televisioni erano gusci di vivace plastica colorata su cui apparivano immagini in bianco e nero. Uno dei film proiettati era “La bella addormentata nel bosco”. La storia era assolutamente noiosa e petulante: le fatine qui, quo e qua, il fuso, la tipa che si addormenta, tutti che piangono eccetera, eccetera… Poi, finalmente, arrivava il principe sul cavallo, con tanto di spada e di scudo, e la noia esplodeva diventando una vera battaglia epica. “La tua tomba sarà una foresta di rovi, folta ed intricata che nessuno la scovi!” Urlava la strega malvagia avvolgendo di spine il castello prima di trasformarsi essa stessa in uno spaventoso Drago. Tre minuti e mezzo di pura azione, uno scontro tra i rovi e le rocce contro il possente drago che culmina in un crescendo: “Spada di verità, vola diritta, provoca del male la sconfitta!” E BANG! Giù il drago, applausi in sala e limonata finale con la belloccia addormentata! Ecco, a cinque anni questa era la mia visione perfetta del mondo! Probabilmente è per questo che ancora oggi mi aggiro trasognante inseguendo il drago nel nostro comune reame di rovi e rocce.

In queste settimane ho iniziato un nuovo lavoro e per questo sono chiuso in un ufficio nel centro di Lecco. Quando la sera emergo da quelle mura infilo i calzoncini corti e mi lancio sui sentieri dietro casa in cerca di avventura prima del tramonto. Senza meta mi sono infilato in un sentiero che, curiosamente, non aveva mai percorso imbattendomi in qualcosa di assolutamente inatteso: il Crotto di Funzi!!

La stalla, ricavata dalle cavità della roccia sotto un grande tetto, è stata recentemente sistemata dai Volontari da Valmadrera ed è certamente uno dei luoghi più caratteristici ed interessanti da visitare nella zona di San Tomaso. Qualcosa però non mi convinceva. Avevo giocato su una breve placca all’inizio del sentiero ed uno strano “vuoto” oltre le piante sembrava chiamare la mia attenzione. Aggrappato alle piante mi sono sporto oltre: “Accidenti, ma qui sotto c’è un’altra parete ed un’altro tetto!! Bio, tocca andare a vedere.” Così sono sceso nuovamente alla base del sentiero cercando una via d’accesso che mi portasse ai piedi di quella parete.

Mi sono caparbiamente infilato tra la roccia ed i rovi ma ho guadagnato a fatica davvero poca strada. Riuscivo a vedere la roccia oltre l’intricato groviglio di spine ed alberi abbattuti ma non c’era modo di riuscire a passare. Non riuscendo a proseguire ho cercato di uscire da quella trappola puntando dritto verso l’alto, sfruttando una spaccatura nella parete. Così mi sono ritrovato aggrappato all’edera ed alla roccia marcia guadagnando però il filo di cresta e l’accesso ad un delicato diedro di grossi massi incastrati. Superato il diedro potevo vedere la base della parete oltre i rovi ma avrei avuto bisogno di una corda per calarmi di sotto, oltre il tetto. Così ho ripiegato verso il crinale raggiungendo nuovamente il sentiero: “Sabato! Se Sabato mattina non piove torniamo a vedere!”Ed eccomi qui, Sabato mattina, con un paio di guanti di cuoio ed un coltellino a serramanico. Volevo provare a passare attraverso i rovi ma non volevo aprire la strada a chiunque, non sapevo cosa ci fosse laddietro e non volevo creare un facile accesso ad un potenziale mondo di guai. Testa bassa, pazienza e sano spargimento di sangue (il mio) ho arrancato tra i rovi e le rocce cercando di allargare l’evidente “corridoio tra gli spini” tracciato da un animale selvatico. Solo poi, alla base della parete, ho avuto la conferma dell’esistenza di una lussuosa tana di Tasso (poteva essere diversamente?). Dopo quasi mezz’ora di ravanata ho potuto finalmente raggiungere la base della parete, delle “Mura del Funzi”.

Nonostante la fitta vegetazione che ricopre ogni cosa i segni mostrano come un tempo i contadini o i pastori frequentassero quel luogo. La scatoletta di metallo può essere stata lanciata dall’alto ma qualcuno deve aver per forza segato i vecchi rami di una pianta ancora viva. A differenza del Crotto del Funzi, che è letteralmente sopra, non ci sono muretti o strutture per il ricovero degli animali.La parete ricorda quella della falesia di Santumas, che non è poi troppo distante, anche se la roccia è inevitabilmente meno pulita e certamente meno compatta. Ovviamente la roccia, dopo gli intensi acquazzoni della settimana trascorsa, era fradicia ma non è detto sia la consuetudine. Una grossa spaccatura rimonta un tetto piuttosto inquietante. Sembra possibile arrampicare, la qualità della roccia sembra buona ma ci sono molti grossi massi incastrati sotto il tetto la cui tenuta non sembra incoraggiante. Tutto il tetto, nonostante la muraglia che lo sovrasta, è una spessa fetta di roccia, uno strato calcareo obliquo, che si è staccato dalla parete. In quello spazio sono attecchite grosse piante e scorre la pioggia che filtra poi nella fessura sottostante. In pratica il tetto sta lentamente crollando, tuttavia se questo avvenga domani o tra mille anni non mi è dato saperlo.

Io sono prudenzialmente portato a spingere la roccia piuttosto che tirarla. Per questo ad interessarmi maggiormente è stato il secondo tetto, quello più a destra. Una rampa compatta, ma lavorata, porta alla base di un secco tetto obliquo. La roccia sembra decisamente più compatta e la possibile salita più lineare. Si tratta di rimontare la rampa, proteggere la base del tetto prima di sporgersi in fuori cercando di raggiungerne l’estremità. Qui capire come e se proteggere prima tentare il passaggio. Una bella pianticella sopra il tetto sembra incoraggiare promettendo una buona protezione prima di affrontare il restante muretto. Sebbene di dimensioni quasi da boulder è un passaggio atletico che richiede ingegno per essere risolto.

Visto che affrontare nuovamente i rovi non mi allettava ho affrontato di petto una porzione di parete non strapiombate. Mi sono alzato di tre o quattro metri in una spaccatura, IV° grado scarso + rovi, fino a raggiungere le radici di una grossa pianta su cui mi sono issato a forza guadagnando l’uscita.

Quindi, sebbene di modeste dimensioni, posso dire di aver aperto in libera due vie sule Mura del Funzi. Niente di speciale, certo, poco più che una verticale ravanta, sicuro, ma abbastanza per reclamare le Mura del Funzi come NoSpitZone!!

Bisogna ancora fare qualche valutazione sulla roccia, su quello che si muove e quello che rischia di crollare, ma tutto sommato è un bello spazio, anche abbastanza vicino da raggiungere. Credo possa valere la pena dare una pulita ai rovi, sistemare e prendersi cura delle piante buone (magari a settembre/ottobre). Purtroppo ogni volta che qualcuno apre una nuova falesia sembra sia esplosa una bomba: piante segate o spezzate, roccia rotta ovunque: questo non fa affatto parte della mia filosofia. Pulire significa prendersi cura, togliere i rovi perchè il bosco e le piante possano respirare, così come spostare i sassi instabili non significa demolire la parete. Un tempo i contadini si prendevano cura di quell’angolo di montagna, credo si potrebbe riprendere questa tradizione e vedere, magari senza troppe pretese, se quella piccola parete di roccia può regalare emozioni agli arrampicatori o ai boulderisti.

Se qualcuno vuole andare a curiosare e tentare i tetti può farlo liberamente, non sono né geloso né possessivo, ma deve tenere a mente tre cose: a) Non fatevi male b) Non fate cadere sassi sulla mulattiera sottostante c) siete sull’Isola quindi rispettate le regole della casa: niente trapano, niente demolizioni, niente deforestazione (…e niente magnesite che è roba da fighetti). Le piante, in questo piccolo gioco, sono le migliori alleate: quindi rispettatele!

Davide “Birillo” Valsecchi

Note a margine:
il Vecchiaccio mi scrive via What’sUp: “Cosa fai di bello?”. Visto che da mesi siamo “litigati” gli rispondo sdegnoso solo con un immagine del tetto delle Mura del Funzi che più mi piace. “Ma c’è una baita li vicino?”. Sospiro e gli mando una foto del Crotto di Funzi. “Sì, ho fatto il tetto sulla sinistra anni fa, tornando dal pilastro a sinistra del Ratt”.  Ed anche questa volta Sguero ci ha messo lo zampino… Comunque sia questo vuol dire che le Mura del Funzi sono arrampicabili, che il primo tetto è fattibile (tenendo presente il soggetto che l’ha risalito) e che il secondo è ancora vergine. Quindi posso serenamente affermare che le Mura del Funzi sono decisamente NoSpitZone 😉 

Anti-Etica dell’Arrampicata Vincolata

Anti-Etica dell’Arrampicata Vincolata

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L’EPOCA ANTI-ETICA DELL’ARRAMPICATA VINCOLATA – 1984 – 2016
La ragion d’essere della Vincolata

Chiunque abbia vissuto riflettendo con un minimo di senso critico le vicissitudini che hanno caratterizzato la Storia dell’Arrampicata dei quattro decenni trascorsi, non può non considerare che l’avvento dell’infisso permanente (spit) utilizzato per praticare l’arrampicata vincolata, sulle placche della val di Mello ha avuto un significato di impatto innegabilmente drammatico: sia ambientale in rapporto allo stato di compattezza della natura verticale, sia storico in rapporto alla storia avvenuta e alle possibilità future, sia rispetto all’etica di salita per quanto concerne la natura della difficoltà.

Tutto questo ha condotto sempre più chi si arrampica, nei luoghi attrezzati, a trovarsi a una distanza astronomica dalla possibilità di interagire con l’integrità delle componenti geologiche e la difficoltà naturale su cui i più agiscono senza più interagire. In senso Antropologico è il trionfo della superficialità laica che considera la natura con la ristrettezza mentale di un’ottica fattiva e dell’ego parrocchiale con il culto della condivisione posticcia trasferita all’arrampicata. La maggioranza ignara e consenziente ha agito giostrata da mentalità che hanno portato a trasformare gli elementi di geo-diversità dei Litotipi in un oggetto di autocompiacimento: l’arrampicata libera imprigionata nella “via crucis” di un’arrampicata vincolata da infissi permanenti e la progressione istintiva trasformata in una progressione meccanica e abitudinaria.

Con la vincolata si consolidò l’idea di salire anche i settori naturalmente impercorribili e a quel punto le placche ripide percorribili in aderenza con una dinamica di salita spontanea, istintiva sia facile che difficile, divennero placche a muro ancor più ripide, sulle quali costruire una progressioni deduttive necessarie a trasferire l’equilibrio da posizioni aleatorie a ristabilimenti temporanei che permettono di procedere in funzione ai riferimenti costanti degli infissi, vicini o lontani che siano. E’ la sostituzione distruttiva del Mondo sconosciuto con un altro Ri-costruito.

Se è vero che gli approfondimenti storici di questi ultimi anni hanno dimostrato che la Libera Esplorativa è sempre stata saldata all’Etica di salita, è evidente che l’arrampicata vincolata, non può essere considerata la sua continuazione attualizzata, ma una tipologia di salita Antietica che ha realizzato un’anti-storia. In tre decenni, l’Arrampicata Vincolata da infissi permanenti, ha inesorabilmente omologato anche i suoi praticanti, suddividendoli in tecno-esteti e tecno-cottimisti assuefatti alla tecno-bellezza che offre tecno-soddisfazioni di movimenti vincolati e in più obbedienti alle tecno possibilità delle placche-attrezzate, dove potenziare tecno capacità per superare difficoltà alterate.

Va detto che la vincolata è realizzata da attrezzatori forti della loro superficialità, incongruenza e insensibilità naturalistica e per lo più mossi da un’ambizione realizzativa che rivela una metodologia da contabili. La vera preoccupazione che ne deriva è l’assoluta mancanza di scrupoli nei confronti dell’Ecosistema Verticale unitamente alla mancanza di senso critico nei confronti della storia esplorativa avvenuta come ad approdare all’assoluta dubbia convinzione che: “Il Trapano non si discute”!

Come si nota nel parere di Paolo Vitali: “non c’è differenza tra il miglioramento del materiale tecnico e l’impiego degli infissi su roccia”, come a dire che non c’è differenza tra la produzione della plastica e la “nazione di sacchetti” che galleggia nell’Oceano. Un esempio di ragionamento: innovativo, regressivo o inetto?

NO SPITZONE – per la preservazione della Natura Verticale
La roccia non è uno specchio dell’azione umana ma una espressione della natura verticale alla vitalità dell’azione.

Cinque decenni trascorsi a stretto contatto con la condizione sconosciuta della roccia durante i quali: gli anni, i mesi, i giorni e le ore vissuti sono divenuti “momenti di pietra”, mi hanno permesso di capire che la roccia non è soltanto quella superficie immobile o cedevole, facile o difficile, attraente o repulsiva che tutti conosciamo, ma è materia formata da componenti che possono suscitare emozioni che intervengono sulle azioni.

La compattezza e l’instabilità della roccia sono componenti geologiche che insieme agli alberi, l’erba e la terra formano la natura verticale originando anche la natura della difficoltà che deve affrontare chi arrampica.

A metà degli anni ’80 è attecchita l’idea anti-naturalista che proprio quelle componenti fossero le principali responsabili del rischio in arrampicata, fino a considerarle estranee al contesto naturale cui appartengono. Fu così che fu escogitato l’alibi della “messa in sicurezza” per utilizzare deliberatamente mezzi tecnici permanenti (spit-fix) nella natura verticale, realizzando tracciati pre-costruiti di arrampicata vincolata che fossero in tal modo accessibili ai diversi livelli d’incapacità di ognuno.

Con l’andar del tempo la tendenza a servirsene si è rivelata “pericolosa” proprio perché il rischio di incidenti non fa parte delle componenti geologiche, ma è insito nell’incapacità degli scalatori resi dipendenti da una attrezzatura inamovibile e completa che intacca l’autonomia psicofisica. Questo spiega quanto l’integrità delle componenti sia indispensabile per interagire sensibilmente e consapevolmente nel contesto ambientale in cui si agisce sempre con autonomia e sicurezza: in Natura come nella vita quotidiana è di vitale importanza essere costantemente attenti.

Praticare l’arrampicata vincolata da infissi permanenti non solo è incompatibile con l’Ecosistema Verticale, ma annulla nei praticanti 8 capacità sostanziali:

  • interagire con le componenti geologiche di compattezza e instabilità.
  • affrontare la difficoltà intatta insita in loro.
  • percepire il rischio che dipende da noi.
  • valutare il pericolo presente attorno a noi.
  • mantenere l’autonomia psicofisica.
  • riconoscere la storia avvenuta.
  • rispettare le possibilità esplorativa.
  • preservare la natura verticale.

Gli infissi permanenti sono mezzi tecnici geo-incompatibili

Occorre riflettere: mentre i chiodi, i nuts e i friends sono mezzi tecnici geo-compatibili perchè lasciano pressochè intatte le componenti geologiche di compattezza e instabilità della roccia, gli infissi permanenti risultano mezzi tecnici geo-incompatibili proprio perchè incidono sulla integrità di queste componenti con linee parallele e ravvicinate di tracciati metallici che, nelle zone più accessibili sono addirittura sovraffollati.

Alla luce di queste chiarificazioni risulta evidente che gli infissi permanenti NON SONO mezzi tutelativi che preservano la sicurezza degli scalatori, ma mezzi ottenitivi che determinano l’inesorabile impatto ambientale che ha concorso a modificare la natura verticale in una verticale attrezzata. Riducendo gli Ecosistemi Verticali intatti in ciò che già nel 1930 Renzo Videsott, l’inventore dei Parchi Nazionali Alpini, definiva dei veri e propri “Cantieri provvisori per lavori di varia emergenza”.

Ivan Guerini

Articoli tratti dal libro: La valle degli specchi di pietra: Storia esplorativa inedita della Val di Mello

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