Monte Avanza (2489m)
Oggi è stata una giornata intensa, carica di emozione. Ieri mi hanno prestato una vecchia Panda 4X4: l’hanno “ripescata” dalla stalla in cui era parcheggiata e me l’hanno affidata per il tempo che rimarrò qui. Il motore è ancora in perfetto stato ma in compenso i freni non voglio sapere di funzionare e sono pigri come i bambini che non vogliono alzarsi per andare a scuola.
Con il mio “mezzo” mi sono messo in strada presto e sono salito fino a Sappada, il primo paese oltre il confine con il Veneto. L’obbiettivo di oggi era infatti il Monte Avanza, una cattedrale di roccia bianca posta sul confine tra Friuli e Veneto e poco distante dal confine di stato con l’Austria. Da Sappada è possibile risalire in auto fino alle sorgenti del Piave a 1830metri di quota evitando di risalire la lunga (ma affascinante) valle del Rio Avanza a nord di Forni Avoltri.
Dalle sorgenti del fiume Piave mi sono incamminato risalendo fino al Rifugio Calvi (2164m). Quando ero più piccolo quella lunga salita mi sembrava terribilmente ardua mentre oggi mi è parsa poco più che una gradevole passeggiata.
Dal Rifugio ci si alza ancora fino al Passo Sesis (2367m) che si apre sulla verdissima e magnifica vallata del Fleons: uno spettacolo che da solo varrebbe la salita!
Qui il sentiero prosegue costeggiando il versante Nord del monte Chiadenis fino a raggiungere Passo Cacciatori (2232m) dove si incrocia il sentiero che risale da Casera Vecchia e quello che poi effettivamente punta alla cima del Monte Avanza. Passando dal Calvi, anziché dalla Casera, ho allungato un po’ la strada ma il panorama valeva certamente la piccola divagazione.
Il sentiero per la vetta attraversa una spaccatura nel cuore del Monte Avanza che prende il nome di Camp delle Genziane. E’ un sentiero di tipo EE (Escursionisti Esperti) la cui difficoltà è paragonabile al Sentiero Cecilia sulla nostra Grignetta. La principale differenza sta nel ghiaino fine che ruba mezzo passo ogni volta che si fa forza sui piedi per salire.
Poco prima di giungere alla cima si attraversano le fortificazioni diroccate della prima guerra mondiale ed in alcuni canali si possono vedere ghirlande di filo spinato un tempo poste ad estrema difesa di disperati passaggi attraverso le gole. Povera gente, che inferno deve essere stata la guerra tra quelle montagne. Allontanandosi (con cautela!) dalla traccia è possibile trovare qualsiasi tipo di residuato bellico risalente al 15-18: dalle vecchie scuole di scarpe alle schegge di bombe e di munizioni di cannone.
Una volta in cima ci si ritrova su una terrazza a sbalzo su pareti verticali di quasi quattrocento metri. Verso Nord lo strapiombo sulla val Fleons è davvero impressionante e la parete del Crassigne dal Cramar mostra tutta la natura selvaggia. Nuvole all’orizzonte nascondevano le montagne a Sud ed il gruppo del Coglians mentre il Monte Fleons era di una bellezza pericolosamente “accattivante”.
Ecco un breve filmato con cui ho cercato di catturare quel panorama che stava per essere ingoiato dalla nebbia.
Il tempo stava cambiando e così mi sono affrettato a raccogliere le mie poche cose cercando di portarmi a valle prima che la nebbia catturasse tutta l’Avanza. Per scendere ho imboccato un percorso che NON dovete assolutamente imitare, specie da soli. Prima di spiegarvi il perché vi racconterò una storia che risale a quasi 20 anni fa.
Mia madre era appassionata nel cercare funghi e per questo insieme a tutta la famiglia si andava spesso alle pendici del monte Avanza per raccoglierne. Conoscevamo molto bene i boschi sottostanti ma non ci eravamo mai spinti sulla roccia dell’Avanza e così, un giorno, decidemmo di fare il giro del passo Cacciatori fino al Calvi. Doveva essere una passeggiata molto semplice ma non lo fu affatto.
Io e mio padre cercavamo residuati della prima guerra mondiale e forse fu questo che ci spinse fuori strada portandoci a sbagliare la via di salita. Inconsapevolmente non stavamo salendo verso il passo cacciatori ma attraverso un ripido e pericoloso ghiaione che sale diretto alla cima dell’Avanza.
La salita era dura, io avevo più o meno quattordici anni e mia sorella dodici, eravamo abituati a camminare tra le rocce ma l’impresa, che avrebbe dovuto essere semplice, si stava inevitabilmente dimostrando sempre più ardua. Tutti confidavamo fosse la strada giusta e quindi continuammo a salire.
Poi successe l’imprevisto: mio padre trovò tra le rocce un proiettile inesploso da mortaio, un’enorme bomba ferma lì in attesa da ben oltre 50 anni. Fortunatamente non esplose al quando mio padre la toccò ma era lì davanti a noi: inegra, pericolosa ed enigmatica. La situazione fu subito grave: eravamo in un vallone ghiaioso circondato da muraglie di roccia altre oltre duecento metri, se non ci avesse ucciso l’esplosione di quell’ordigno lo avrebbe fatto l’inevitabile frana che avrebbe provocato.
La preoccupazione di mio Padre e mia Madre era chiara sui loro volti: ne avevamo passate tante insieme ma ora eravamo davvero nei guai! Decisero che salire fino al passo, lasciandoci il pericolo alle spalle, sarebbe stata la soluzione migliore. Così continuammo a salire per quella valle infernale di rocce infrante. Purtroppo però non stavamo salendo verso il Passo Cacciatori ma verso un imbuto di roccia alla testa della valle: un ostacolo di oltre trenta metri chiudeva la nostra strada.
Mio padre né salì il primo pezzo ma capì subito che non sarebbe stato possibile far salire anche noi, nemmeno attrezzando il passaggio con la corda. Ormai era chiaro, avevamo sbagliato strada ma alle nostre spalle avevamo la bomba e davanti una parete di roccia dietro cui si nascondevano solo incognite. Ironia della sorte oltre quella muraglia c’era niente meno che la cima del Monte Avanza: avevamo quasi scalato la montagna!
Ci sedemmo tutti insieme cercando di inghiottire con il cioccolato un po’ della paura e del freddo che stava salendo per quella valle scura. Poi affrontammo l’unica scelta che ci era rimasta: tornammo sui nostri passi, superammo la bomba pieni di ansi e riparammo il più lontano possibile tra i boschi.
La sera stessa, quando all’imbrunire rientrammo a Forni, andammo tutti insieme dai carabinieri a denunciare il ritrovamento dell’ordigno. Quello che accadde dopo alla bomba non lo scoprimmo mai: qualcuno può averla fatta brillare o può essere ancora lassù.
Io oggi ero lì, in piedi su un pilastro di roccia a strapiombo sull’imbuto di quella valle. Il mio primo pensiero è stato: “ho rischiato laggiù la pelle venti anni fa, non ci tengo a fare la fine del topo oggi!”.
Ero convinto, ero deciso: per niente al mondo avrei provato a scendere di lì. Ero solo, non c’era nessuno altro sulla montagna, nessuno sapeva dove fossi, il cellulare non avrebbe preso in quella valle buia e pericolosa di cui conoscevo solo lo spaventoso ricordo. Era follia, era stupidità, troppi pericoli e troppe incertezze.
Poi in un attimo è successo qualcosa. Era uno di quei punti di non ritorno in cui decidi della tua vita. Ho guardato le montagne intorno a me in cerca di una risposta e poi, inconsapevolmente, ho semplicemente mormorato queste parole: ”Madre proteggimi nei sentieri oscuri”. Quello è stato il mio primo passo scendendo nell’abisso del tempo.
Abbassandomi con cautela verso il salto verticale sono partiti un paio di sassi che, dopo aver pigramente rotolato sul pietrame, si sono gettati nel vuoto. Trenta metri più sotto si sono schiantati sul ghiaione trascinandosi dietro un fiume di altre pietre. “Se succede una cosa simile mentre sei la sotto sei fregato!” Una scarica di sassi in quell’imbuto non avrebbe potuto che colpirmi. “Bhe, faremo in modo che non accada”. Quando inizio a parlare da solo è sempre un guaio: significa che sto pensando in “doppia affidabilità” e che percepisco prossimo il mio limite. Significa che sto soffocando la paura.
Ho iniziato ad arrampicare in discesa sulla prima parte della parete. Nella parete c’erano un paio di chiodi ed un cavo metallico sbrindellato pendeva molle da uno dei due: qualcuno aveva provato a proteggere quella “direttissma” per la cima ma per via delle continue frane quel passaggio era indifendibile. Dopo i primi cinque metri ho trovato un vecchio cordino abbandonato e passando tra le rocce mi sono calato in spaccata tra due grandi sassi. Un rivolo d’acqua rendeva viscido il centro del piccolo caminetto su cui lavoravo in opposizione.
In passato ho affrontato difficoltà anche maggiori ma lì sentivo il peso di ciò che era avvenuto 20 anni prima. Il sole non filtrava ed era buio tra quelle fredde pareti di roccia. Io immaginavo me stesso nell’atto di cadere, vedevo il mio zaino sbattere ed il mio corpo rotolare tra i sassi. Ancora cinque metri e sarei arrivato alle base. Mancavano solo i cinque metri che percorse in salita mio padre quel giorno.
Un ultimo passaggio ed ero oltre, alla base dello sbarramento di roccia. Davanti a me solo il ghiaione, la culla della bomba ed il pericolo dei sassi. Pompavo ossigeno per rimanere concentrato: dovevo mettere le ali al culo e togliermi di lì ma iniziavo a sentire un pericoloso senso di euforia, di rivincita, di riscatto.
C’erano due enormi macigni e la bomba, 20 anni prima, era da quelle parti: credetemi o no ma mi sono messo a cercarla con commovente nostalgia: “Dove sei ora che sono solo? Dove sei ora che ti rivedrei con affetto?”Per me è difficile spiegare, farvi capire: la mia famiglia aveva un conto aperto in quella valle, quella valle dove tanti anni prima avremo potuto essere spazzati via tutti, dove c’eravamo stretti tutti insieme facendo fronte al pericolo che ci spingeva alla fuga: c’era qualcosa che semplicemente andava fatto ed era certo compito mio farlo. Un anello andava chiuso nella catena del destino.
Più a valle, ritrovando il sentiero, ho individuando il punto dove sbagliammo quel giorno ed ho ringraziato quella valle terribile: forse anche lei comprendeva che avevo arrampicato più con il cuore che con la testa e, forse anche per questo, era stata clemente con me ancora una volta. In tasca avevo il cordino trovato a brandelli ed una scheggia arrugginita di bomba: due cimeli da portare in dono a mia mamma, due nuovi tesori per la sua tomba. Io e lei abbiamo avuto la nostra rivincita sulle tenebre di quella valle.
Non leggete vanteria nelle mie parole: questa è la confessione di un alpinista colpevole e nostalgico. Con il senno di poi non avrei dovuto prendere quei rischi. Con il senno di poi non avevo altra scelta.
Davide Valsecchi
Se il cielo sarà buono (e le gambe reggeranno) domani si punta al Monte Coglians (2760m)
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