Berta Castellazzi Valsecchi ed il Premio Bontà
Quando si avvicina il Natale è inevitabile ricordare mia nonna Berta. Lei non amava le fotografie ma quella che vedete qui accanto, per la somiglianza che ci lega, mi sorprende ogni volta. Non a caso in paese ancora oggi molti degli anziani mi conoscono come “il nipote della Berta”.
Mia nonna era per metà tedesca e posso garantirvi che quella metà si faceva sentire. Era una donna molto bella ed al contempo forte, decisa e caparbia. I suoi modi erano educati come si usava in altri tempi ma, presa una decisione, era determinata ed inarrestabile nel perseguirla.
Nella prima guerra mondiale (mia nonna nacque nel1918) i tedeschi usavano un enorme mortaio chiamato la “Grande Berta”: ripensando a mia nonna arrabbiata il nome mi è sempre apparso azzeccato!
Mia nonna ha il grande merito di aver restaurato il Premio Bontà di Asso alla memoria di Umberto ed Anna Valsecchi, i genitori di “Nino”, mio nonno e suo marito: “Premio a Cittadino o Cittadina del paese che si sia distinto per atti di bontà, di onestà, di coraggio, di retta condotta.”
Il mio bisnonno, infatti, aveva lasciato un piccolo fondo al Comune che per lunghi anni rimase dimenticato. Mia nonna nel ’87 si diede da fare (e con successo) affinché fosse ritrovato e fosse nuovamente consegnato tale premio poco prima del Natale.
Anche la Famiglia Oltolina consegna dei premi a fine anno e questo mi ha sempre impressionato: il mio bisnonno non possedeva la più importante industria nella storia del nostro paese ma era riuscito lo stesso a raccogliere una somma in grado di garantire, anno dopo anno, un piccolo riconoscimento.
Quando arriva l’inverno, con le bollette e tutto il resto, mi ritrovo come tutti ad arrabattarmi per pagare le spese ed è curioso per me che lo consegno, spesso “in bolletta”, pensare al premio del mio bisnonno. Quando succede mi vengono alla mente le parole della Maestra Scatti.
Era un’insegnante in pensione, molto gentile ma austera, che si prendeva cura dei bambini in oratorio prima delle lezioni di catechismo quando avevo più o meno dieci anni. La ricordo perché era stata la maestra di mio padre ed un giorno mi disse “Valsecchi”– mi chiamava per cognome – “Tu sei un signore”. Ricordo di essermi enormemente imbarazzato e di averle risposto, cercando di togliermi dall’impiccio, dicendole che non ero affatto ricco. “Non sono affatto i soldi a fare un signore”– proseguì lei –“ma la dignità che possiede”.
La dignità è una parola complessa e l’ho cercata sul vocabolario: è il sentimento che proviene dal considerare importante il proprio valore morale, la propria onorabilità e di ritenere importante tutelarne la salvaguardia e la conservazione. Il concetto di dignità dipende anche dal percorso che ciascuno sceglie di compiere, sviluppando il proprio “io”, la propria identità.
La dignità è legata quindi alla consapevolezza ed alla caparbietà con cui si ribadisce ciò che per noi è importante. Comprendendo lo spirito e la mentalità di allora si può meglio capire lo spirito con cui diedero vita al Premio alla Bontà: la somma in denaro è poca cosa, ma è grande la dignità che tributa e conferisce a chi lo riceve, grande è l’esempio e l’ispirazione che offre alla comunità.
Ogni volta che consegno il premio mi trovo a riflettere: io il premio non lo posso ricevere ma devo al contempo possedere l’adeguata dignità per conferirlo. Non posso essere semplicemente “il pronipote di uno che ha lasciato i soldi” perché questo svilirebbe la natura stessa del premio.
Forse la dignità è una fregatura, forse mio bis-nonno e mia nonna mi hanno incastrato a titolo gratuito. Oppure, e questo è più probabile, hanno lasciato un grande insegnamento di cui sono in primo luogo il beneficiario.
Non sta a me decidere chi riceve il premio: mia nonna con grande senso di democrazia stabilì che fosse il Comune a farlo. Sono quindi curioso di osservare la “dignità” che sapranno esprimere nel compiere la scelta perché mia è la “dignità” ed il “dovere” di preservarne lo spirito.
Davide “Birillo” Valsecchi
(…ed anche io assomiglio alla Grande Berta)