Karibu Zanzibar

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Malpensa. Un bacio a Bruna e siamo al Cairo e, nella notte, arriviamo a Dar er Salam. Dal finestrino dell’aereo, durante il volo notturno, non si è vista neppure una luce e sembrava di volare sopra l’oceano tanto era buio il mondo sotto di noi.

Sbarchiamo molto presto, è ancora notte. Visti, timbri e permessi e poi si aprono le porte dell’aereoporto: si comincia.

Cambiamo due soldi ed è la prima fregatura ma, infondo, l’esperienza ha un prezzo ed io non sono mai stato da questa parte di mondo a sud dell’equatore. Cerchiamo un taxi per il porto. Un ragazzo ben vestito si fa avanti. Giacca bianca, pantaloni scuri e spratutto un tesserino. Mi porta nello sgabiotto del suo ufficio e mi mostra la tabella dei prezzi: 25 dollari ma sembra affidabile, si prende.

Giuda a sinistra, macchine scassate e puzza di diesel. In pratica è come essere in India e le preiferie si assomigliano tutte, specie di notte. Mentre comincia a piovere spero che l’alba arrivi presto. Al buio è tutto più difficile.

Arrivati al porto il taxi di ferma e quasi all’istante viene circondato da cinque o sei ragazzotti di colore che cominciano a sbracciarsi nell’interno dell’abitacolo dai finestrini. L’autista blocca le portiere ed il rumore, il “tlack” della serratura automatica, è un campanello d’allarme rumoroso come pochi altri. “Bhe, ci siamo, cominciamo subito” ho pensato.

Scendo dal taxi maledicendo la notte e recupero i mei bagagli mentre l’autista, che si è messo a scortarci, mi sussurra “bad people, take care”. Al porto, di notte, in Africa: che volevi aspettarti? Entriamo in un ufficietto mentre il gestore allontana a male parole la cricca che si era fatta sotto. 30 dollari a testa ed abbiamo un biglietto per la barca. Ci infiliamo in un lodge con l’aria condizionata aspettando le sette del mattino.

La barca, la freccia di Zanzibar, non è un gran che. Non c’è posto fuori coperta e, visto che il viaggio lo si fa chiusi dentro, mi addormermento. Due ore dopo siamo al porto di Stone Town. Alla fine abbiamo speso gli stessi soldi dell’aereo solo che volando ci avremmo messo un quarto d’ora ed evitato le noie al porto. Non valeva la pena optare per la barca.

Quando arriva il sole comincia a farsi sentire il caldo ma tutto diventa più facile. Grandi sorrisi, “Jambo”, “Hacuna Matata”: aspettiamo il nostro contatto vicino alla prima casa elettrificata di tutta Zanzibar. Alla fine Giadda arriva, è un ragazzo ricciolo con gli occhi chiari. Mi mostra il suo cellulare ed il messaggio sms che gli avevo mandato. Sono i convenevoli del 2000 ma almeno si fa prima a fidarsi e si evitano spiacevoli guai.

Saliamo su un Dalla-Dalla, una specie di furgone riattrezzato a pulmino. Ci infiliamo tra le stradine fino al mercato. Una volta lì aspettiamo tra le bancarelle del pesce e delle spezie che il pulmino si riempia e poi si parte. Uno degli ultimi a salire è un ragazzo masai: vestito con la tipica tunica colorata indossava la tradizionale mazza, il lungo coltello panga ed un paio di occhiali da sole degni di Elvis.Il mondo è un posto strano.

Il viaggio è scomodo come pochi altri ma infondo siamo in esplorazione e, pressati come sardine, imparo un sacco di cose sugli africani. Sono colpito dall’espressione assente che riescono ad assumere quando si parla di soldi e dal modo con cui si muovono le donne. Una di loro, per farmi capire che facevo meglio a tenere d’occhio i miei bagagli, mi ha preso semplicemente la mano e me l’ha portata sulla manglia del mio zaino. Ogni volta che doveva farmi capire qualcosa non aveva inibizioni ad usare una gestualità tattile. Un simile contatto fisico tra uomo e donna in India sarebbe stato impossibile.

Alla fine siamo arrivati a destinazione e, visto gli standard abituali, si sta alla grande. Anche un montagnino come me non può che apprezzare la bellezza di questo mare. La nostra modesta sistemazione gode di acqua corrente e luce elettrica solo poche ore al giorno ma è più che sufficiente per quello che ci serve.

Abbiamo giù incontrato alcuni artigiani e da domani si comincia a picchiar il ferro nei laboratori dei “fundi”, i fabbri locali.

Karibu  Zanzibar, benvenuti a Zanzibar.

Davide Valsecchi

Ps. da settimana prossima si attiva un collegamento ad Internet  “migliore” ed arriveranno le foto ed i racconti dell’isola.

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