Arrampicare è divertente, ma la maggior parte dei «climber» non ha davvero idea di cosa sia realmente l’avventura. A volte l’arrampicata diventa una faccenda un po’ troppo da fighetti per i miei gusti. Non è la difficoltà ma l’ignoto ciò che mi attira: forse è anche per questo che sono un sono un pessimo arrampicatore ma uno straordinario avventuriero.
Tempo fa sono rimasto coinvolto in un dibattito epistolare con un l’autore di un articolo pubblicato su “StileAlpino”. Lo scrittore sosteneva che essendo terminata l’epopea delle “grandi esplorazioni” chiunque parlasse di alpinismo esplorativo era un millantatore o un bugiardo. Io gli ho scritto: “L’esplorazione è l’avventura dell’ignoto. Finché esisteranno bambini che si avventurano nel proprio giardino avremo degli esploratori: solo una mente superba ed ignorante può considerare l’esplorazione conclusa”. Immaginatevi il pandemonio che ne è nato!
Io sono nato a Cranno, una frazione di Asso ai piedi del lungo crinale che porta ai Corni di Canzo. Forse è per questo che il mio “giardino” si è allargato fino alle grandi pareti dei Corni ed ora si affaccia sui misteri selvaggi del Moregallo. Da “bambino-adulto” posso dirvi che non c’è niente di più eccitante dello scoprire qualcosa di nuovo che è sempre stato sotto il naso di tutti!
Così, in un bel venerdì di sole, mi affaccio sulla cima del Ceppo della Bella donna osservando da solo il lago ed il Crinale del Moregallo. Sotto di me la strapiombante profondità che porta alla Val delle Moregge. Lascio il sentiero ed inizio ad abbassarmi nel bosco: perdersi è il primo passo per la scoperta.
All’improvviso, tra le piante, mi ritrovo ad attraversare un inatteso tappeto verde di erba cipollina. Il sole filtra tra i rami degli alberi rendendo scintillante le foglie verdi che coprono il sottobosco. Un profumo intenso rende magica questa piccola radura. Poi, superato un crinale, mi ritrovo di nuovo sul paglione, aggrappato ad una betulla nel vuoto osservo la parte Fasana come non l’avevo mai vista!
Attraverso le roccette della valle ed inizio a risalire sul versante opposto. Il piano era quello di limitarsi, di seguire la tenue traccia che attraversa orizzontalmente il fianco della montagna fino a giungere alla cresta. Purtroppo in un afratto tra le rocce trovo un piccolo e resiliente accumulo di neve ed i miei piani cambiano. Con Mattia ho discusso spesso sulla possibilità di risalire in invernale il grande canale che quasi verticale raggiunge la cresta. Visto che sono alla base tanto valeva dargli un occhiata.
Ancora indeciso se sia una scelta opportuna rimonto un piccolo salto roccioso salendo in spaccata tra due grossi sassi (III+/IV-). Appena sopra mi imbatto in qualcosa di inatteso. Accatastate l’una sull’altra ci sono un infinità di ossa d’animale più o meno ricoperte dai detritti. Incastrate insieme trovo una testa di muflone ed una di capriolo: “Come inizio non è male… dimmi un po’, Birillo, oggi aggiungerai anche le tue ossa al Club?”
Uomini più saggi di me avrebbero girato al largo. Io però, vedendo un curioso diedro appoggiato, decido di proseguire. Prima però “scavo” ed estraggo le due teste dai sassi. Quella di capriolo trova spazio ma quella di muflone è troppo grande. Così infilo il teschio nello zaino, chiudo la patella superiore lasciando che le due grandi corna ricurve escano sui lati. Indossandolo il risultato è ergonomico e confortevole ma piuttosto curioso: alle mie spalle sono apparse due grandi ali demoniache ed una puzza di carogna mi avvolge come una spettrale aurea!
Risalgo ancora lungo il canale ed i miei pensieri iniziano ad assomigliare a quelli di un tabagista o di un alcolista: “Ma no, non ti preoccupare, esco quando voglio…” Le pareti che mi circondano ed i salti di roccia che supero rendono manifesta la mia bugia ad ogni metro che guadagno. L’unica uscita è alle spalle o in cima, entrambe sono da conquistare.
Il canale è un ripido ghiaione ed i punti più complessi sono proprio i grossi accumuli di materiale. Ogni piccolo sasso che si muove innesca una piccola frana che come una slavina di superfice scorre lenta ma inesorabile verso il basso. Facendo attenzione a non “slavinarmi” addosso sassi supero in opposizione un altro stretto salto di roccia (III+/IV-). “Bene Birillo, ora sai come sono morte le ossa lassotto. Da qui si va solo avanti…”
Per quanto pieno di detriti il canale è popolato di provvidenziali pianticelle. Quello che inquieta è la straordinaria mole di roccia instabile che appoggiata sulle pareti mi sovrasta. “Quando il ghiaccio respira e fa il suo mestiere di spaccasassi questo non è propriamente un luogo salutare…”
Sopra l’uscita del canale non ci sono rocce e questa la rende curiosamente verde ed accogliente. Mi aggrappo alle piante e raggiungo finalmente la cresta: l’incognita è che sull’altro versante ci sia un precipizio roccioso. Fortunatamente c’è invece una valletta erbosa da cui si può guadagnare i prati sommitali della cima del Moregallo. Una stretta e alta forcella rocciosa è attraversata da una pista che probabilmente gli animali utilizzano come passo dal versante di Valmadrera, il canalone Belasa per intenderci, alla versante delle Moregge.
Finalmente al sole mi godo la cresta scendendo fino all ultimo sperone della cresta. Il Moregallo è davvero una montagna misteriosa ed affascinante. Sono circondato da prati e sembra impossibile che appena più sotto vi sia un universo roccioso e verticale che scende per quasi mille metri fino al lago. Osservo l’uscita della parete Nord: davvero quegli sono gli ultimi metri di una parete alta più del Medale?
Seduto sul paglione del misterioso altopiano del Moregallo osservo un muflone che pascola ignaro. “No, non sei pronto per i 600 metri della Nord. Non è la che devi andare a curiosare ora”. Piccole e grandi pareti si innalzano come isole sui prati per qualche centinaio di metri formando piccole montagne invisibili dal fondo valle. Lavorate, concrezionate e dense di grotticelle e buchi mi appaiono bellissime ed intriganti. E’ la prima volta che arrivo fin qui e cerco di dare loro un nome in base ai racconti letti sull’Isola senza Nome. “Forse quello è lo Scoglio dei Giardini di Marzo e quello, con le tre punte, deve essere il Corno di Braga”. La mia mente affonda nei racconti di Gianni e Roberto Mandelli e la mia esplorazione si trasforma in riscoperta.
Sono emozionato. La roccia è impressionante ma qua e là se ne intuiscono le vulnerabilità, i possibili passaggi. Non avevo mai visto quella parete da sotto e nelle mie fantasie avevo immaginato di venirci d’estate, di piantare le tende ed esplorare con i Badgers quella roccia lontano da tutto e sospesa sopra il lago.
Il tempo sta girando ed un po’ a malincuore lascio quell’angolo segreto. Torno nel bosco e qui le linee tra le piante mi incuriosiscono. Cambio strada ed all’improvviso una grossa grotta mi appare tra la vegetazione: “Accidenti!!” Inseguire grotte è eccitante!
L’ingresso è alto quattro o cinque metri ed ampio probabilmente otto o nove. All’inizio è molto ampia e prosegue restringendosi in uno scivolo molto concrezionato che forma una piccola cameretta e si chiude poi in un evidente foro largo un pugno. In tutto lo sviluppo sarà sui 30/35 metri, molto stillicidio, molte concrezioni ma non sentivo “aria” dal buco finale. Diversamente dalle altre grotticelle che conosco della zona questa non era frutto dell’azione del gelo (come ad esempio quella nel cuore del Pilastro Maggiore) e le acquasantiere presenti sul fondo suggeriscono qualche processo di formazione più complesso e “chimico”. Scatto foto ed esco all’aperto cercando di agganciare un satellite per fare il punto con il GPS. “Chissà se è accatastata, devo chiedere al Dolfo!”
Dopo tante ore a zonzo la mia situazione è chiara: ho una testa di muflone appesa a sbalzo sullo zaino, ho risalito un canale, trovato pareti nuove ed una grotta a me sconosciuta. Sono sudato, assetato e puzzo di carogna marcia. Nello zaino ho le scarpette d’arrampicata, il piano orginiale prevedeva di scendere fino all’attacco della Crestina G.G. Osa per poi risalirla in libera. “Birillo, amico mio, hai quasi quarantanni ed hai letteralmente una carogna sulle spalle. Non è che ti fermeresti un’istante a prendere il sole in cima al Moregallo piantandola lì di fare l’asino o il tasso che dir si voglia?”
Guadagno la vetta e mi sdraio sull’erba lasciando che il vento allontani la puzza di marcio e che il sole mi scaldi piacevolmente la schiena. Chiudo gli occhi e mi perdo nuovamente.“Sì, il Moregallo è davvero la mia montagna sacra!”. Non date retta a chi vi dice sciocchezze: il mondo è ancora tutto da scoprire e l’unica via davvero buona è quella che vi sentite di aprire!
Davide “Birillo” Valsecchi