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La Canoa e il Fiume

La Canoa e il Fiume

[Andrea Alessandrini – ASA] Chi sceglie di dedicarsi alla pratica sportiva della discesa fluviale, affrontando torrenti e fiumi impetuosi, deve ricordare alcune elementari regole che possono servire alla propria sicurezza e, comunque, a evitare incidenti. Il fiume ha proprie leggi cui è necessario sottostare, poiché la forza dell’acqua è enormemente più grande di quella di un qualsiasi pur fortissimo canoista.

Prima di avventurarsi in canoa lungo il corso di un qualsivoglia fiume, è necessario avere — se non si è guidati da un canoista esperto — una precisa conoscenza delle difficoltà che si potranno incontrare, ricordando che il trasbordo non è “una vergogna”, ma un ottimo sistema per aggirare ostacoli superiori alle proprie capacità. Peri vari bacini idrografici italiani, lo strumento fondamentale in questo senso è costituito dalla pubblicazione Guida ai Fiumi d’Italia di Guglielmo Granacci. Pur se limitato al solo arco alpino, è ugualmente utile e ben illustrato il testo di Steidle In canoa nei torrenti alpini. È opportuno inoltre ricordare che si ha — e da parte dei clubs più attivi, e da parte di singoli autori — una numerosa produzione di monografie riguardanti itinerari di vario tipo. I giornali di settore pubblicano con regolarità anche schede e aggiornamenti. Non manca, quindi, la possibilità di documentarsi affinché la gita, o il viaggio di più giorni, siano ben programmati.

Detto questo, ricordiamo sommariamente che esiste una classificazione internazionale dei corsi d’acqua, che stabilisce con sufficiente precisione la difficoltà dei fiumi.

Si inizia con il 1° grado, cui appartengono i corsi d’acqua con corrente non molto veloce, senza ostacoli o rocce; vi sono leggere increspature della superficie dell’acqua, la pendenza non è forte, e il fiume può essere disceso da chiunque con le necessarie precauzioni — quali la consultazione di carte fluviali, o la presenza o le informazioni di chi già conosce il percorso. Vi sono spesso, infatti, soprattutto nei fiumi regimentati, ostacoli di tipo artificiale di enorme pericolo, che vanno accuratamente evitati e che non sempre sono segnalati. Possono essere dighe o sbarramenti, canalizzazioni o prese d’acqua. Di norma sono di 1° grado i fiumi che scorrono in pianura (corso inferiore); in queste discese non è necessario il paraspruzzi.

Quando vi sono rapide facili, corrente veloce, maggiore pendenza, rocce e ostacoli che si possono evitare e onde relativamente piccole e diritte, il fiume si può classificare di 2° grado. Possono scenderlo i principianti in grado di padroneggiare il kayak; è utile usare il paraspruzzi; di norma il fiume è nel suo corso medio-inferiore.

Il 3° grado presenta rapide moderatamente difficili, onde e buchi sono più impegnativi, le rocce affioranti devono essere evitate con perizia ed è necessario conoscere bene le manovre di base: in questa situazione è utile saper effettuare l’eskimo con sicurezza e rapidità. Il fiume è nel suo corso medio-superiore.

Nelle rapide di 4° grado vi è una notevole quantità d’acqua, le onde sono più alte, vi sono riccioli e rulli di un certo impegno, e alcuni ostacoli sono nascosti dall’acqua. Di norma il 4° grado è un passaggio (o una serie di passaggi) impegnativo nel corso medio-superiore del fiume. E necessario essere piuttosto esperti.

Il 5° grado è quasi il limite delle possibilità di discesa in canoa. Per affrontarlo è necessario essere molto esperti e in possesso di un’ottima tecnica, poiché qui si incontrano passaggi realmente difficili, che si superano in sicurezza con l’attenta assistenza di compagni altrettanto esperti. Il 5° grado si trova nel corso superiore del fiume, nei tratti alpini, con forte pendenza.

È considerato quasi insuperabile il 6° grado: valanghe d’acqua, gole, sifoni, strettoie, salti, presentano tali problemi che solo canoisti particolarmente amanti del rischio e decisamente capaci possono affrontare.

Un fiume non è mai classificato con un solo grado di difficoltà se vi sono tratti di diverse caratteristiche; il corso d’acqua verrà quindi segnalato con i due gradi maggiori di difficoltà. Stabiliti i propri limiti, è meglio ricordare di non sottovalutare mai un corso d’acqua, poiché vi sono ostacoli che l’inesperto può considerare banali ma che, in realtà, possono essere estremamente pericolosi. Quindi vanno sempre accuratamente evitati passaggi troppo vicini a rami d’albero immersi nell’acqua, perché possono imprigionare canoa e canoista; non vanno praticamente mai affrontati i rulli, ovvero quei ritorni d’acqua che si presentano dopo ostacoli artificiali e non, che possono far rotolare l’imbarcazione indefinitamente, trattenendola magari sott’acqua assieme al canoista; altrettanto pericolosi sono i cavi, e ostacoli vari, che a volte
si trovano nei fiumi e nei torrenti in piena.

Non si devono mai affrontare rapide di cui non si veda la fine o in cui non si scorga una zona tranquilla (detta ‘“morta”’) in cui poter sostare. Nei fiumi e nei torrenti impegnativi è necessario fare una ricognizione preventiva, o discendere solo con canoisti che conoscano perfettamente il corso d’acqua e siano in grado di segnalare anticipatamente particolari difficoltà e, eventualmente, saper soccorrere il canoista in pericolo. È anche consigliabile affrontare discese che non impegnino al limite delle proprie capacità, in modo da avere la possibilità di verificare la propria tecnica nei vari esercizi, gustando la gioia che si prova a “giocare” tra le rapide.

AI termine di qualsiasi discesa, entusiasmante o tranquilla, si presenta il problema del recupero, ovvero: come ritornare al punto di partenza dove si è lasciata l’auto col cambio asciutto, se non si è avuta l’accortezza di portarselo dietro nel sacco stagno? Ci si può affidare al “solito” amico non canoista, che seguirà in auto il percorso del fiume sulla strada fino al punto di arrivo; oppure si dovrà contare su almeno due auto, una delle quali sarà stata preventivamente portata all’arrivo. Non è consigliabile fare l’autostop, poiché difficilmente qualcuno carica un canoista grondante acqua, comunque, resterebbe il problema del materiale abbandonato.

È importante infine soffermarsi un istante sul problema della sicurezza e del soccorso su torrenti impetuosi.Oltre a non affrontare mai una discesa se non si è almeno in tre, il canoista previdente avrà sempre con sé una corda (meglio se galleggiante) di almeno 15 m., del diametro di 5/7 mm., un paio di moschettoni e, possibilmente, un imbragatura. Nei passaggi più difficili, o con possibile pericolo, dopo il consueto sopralluogo, almeno due canoisti assisteranno al passaggio dei compagni stando sulla riva del fiume pronti a soccorrere, con corda e imbragatura, il canoista eventualmente in difficoltà.

La conoscenza, e quindi la prevenzione, delle possibili situazioni di pericolo, sarà bagaglio del canoista accorto — nonché il sapere aiutare, in canoa o a nuoto, il compagno in difficoltà, a raggiungere la riva e a recuperare pagaia e imbarcazione. Qualsiasi buona scuola di canoa fluviale insegnerà comunque queste essenziali nozioni di sicurezza e soccorso in modo esauriente e completo.

Tratto da “Il libro della Canoa” di Andrea Alessandrini, edito da Gammalibri nell’Aprile del 1986. 


Ho conosciuto Andrea Alessandrini, l’Ammiraglio, più o meno nel 2006. E’ stato lui a conferirmi il “titolo” di Nostromo. All’epoca aveva un “laboratorio/base nautica” sulle rive del Lago di Pusiano, a Bosisio Parini. In quel laboratorio, che sembrava l’antro di un mago affacciato sul lago, produceva ancora – completamente a mano – i modelli più celebri delle canoe ASA: Kayak in fibra di  carbonio di una bellezza straordinaria. Passavo spesso le giornate ad aiutarlo, per lo più cercavo di mettere ordine in quel caos di “cimeli ammassati” che era il magazzino mentre lui lavorava, sempre a mano, agli stampi. Prima creava il “modello”, in pratica una “scultura” dello scafo della canoa realizato da una forma piena su cui passava ore infinite a grattare e stuccare. Da questa si creava il “negativo” dello scafo e lo si trattava affinchè diventasse lo “stampo”. Ogni stampo era quindi un pezzo unico, su cui si poteva realizzare solo una canoa alla volta. Nello stampo di stendevano “lenzuoli” di fibra di carbonio “spennellando” le resine: il processo e le dosi con cui mischiava i vari componenti era pura alchimia. Il risultato finale era uno scafo incredibilmente leggero ma allo stesso tempo robusto, rigido ma  elastico. La sua era davvero la maestria di un artista!

Quando era stufo di vedermi in giro per il laboratorio mi spediva sul lago, ogni volta con una canoa diversa. Sull’acqua ferma del lago di Pusiano quei Kayak da mare filavano stabili come missili!! L’ammiraglio, che invero era fatto decisamente a modo suo, aveva fissato delle “Puntine da Disegno” sulla mia pagaia perchè – con le buone o con le cattive – imparassi a tenere le mani nell’impugnatura giusta. Che nevicasse o ci fosse il sole il lago restava uno straordinario viaggio ed al rientro, quando il tempo era buono, concludevamo la giornata facendo una grigliata in giardino asciugando un paio di birre. Toscano, Geologo, Milanese d’adozione, Costruttore di Canoe Campioni del Mondo: che tipo l’Ammiraglio!  

Rileggendo il suo libro, che ha un posto d’onore nella Bibliotece Canova, non potevo che sorridere osservando come i gradi delle difficoltà fluviali assomiglino a quelli della scala “Welzenbach” utilizzata in arrampicata prima del VII° grado. 

Foto: nella foto in alto Andrea sul Danubio, lungo i suoi 2300km che vanno dalla Germania al Mar Nero. Qui sotto Canoisti – ASA – ai piedi dell’Everest, in Nepal, dove dal fronte del ghiacciaio sgonga il fiume Dudh Kosi, il fiume che scorre alla magior altitudine al mondo. Infine la copertina del libro, con Andrea in azione tra le acque bianche.

Como-Venezia: domande e risposte

Como-Venezia: domande e risposte

Nel 2010 Enzo Santambrogio ed io siamo “salpati” da Como a bordo di una canoa,  remando siamo andati a Venezia attraverso l’Adda ed il Po. Era l’epoca dei “Due di Asso” e quella per noi era stata solo l’ennesima stramberia in cui ci avevamo deciso di infilarci. Non eravamo canoisti nè atleti, no, eravamo i Flaghéé, le bandiere del lago, letteralmente “pirati d’acqua dolce al conquista del mare”. Ci siamo messi in viaggio 26 Luglio da Como e siamo giunti in piazza San Marco alle ore 11 del 6 Agosto 2010. Con il senno di poi si è rivelata una grande avventura che, come spesso è accaduto, non abbiamo saputo comprendere appieno all’epoca.

A quei tempi i cellulari non erano ancora evoluti come oggi: ci eravamo fatti prestare un “Iphone2” (all’epoca una vera e propria rarità) con cui riuscivamo a pubblicare su Cima un rapporto giornaliero di viaggio. Ovviamente la connessione Internet di allora non permetteva di caricare immagini come comunemente facciamo oggi, il racconto era qui senza fotografie e scritto di notte, al buio, in fretta per non scaricare le batterie, premendo con l’indice sul touch-screen un tasto alla volta dopo una decina di ore al remo sotto il sole. Testi semplici, decisamente grezzi, che avevano lo scopo di aggiornare (e forse anche rassicurare) coloro che si erano appassionati alla nostra storia.

Già, quel viaggio avrebbe potuto essere un incredibile documentario ma non eravamo assolutamente attrezzati per realizzarlo. Non avevamo una macchina fotografica impermeabile, nè batterie, nè fotocamera. No, eravamo decisamente allo sbaraglio quella volta. Ti basti pensare che l’unica cartina a nostra disposizione era “autostradale”: altro che immagini satellitari, come “trappers” affrontavamo le incognite del fiume in assenza di ogni supporto tecnologico.

Nonostante qualche brivido siamo però riusciti a congiungere Piazza Cavour a Piazza San Marco, il lago al mare. Questo ci bastava, non abbiamo mai realizzato serate o pubblicazioni: i disordinati appunti lasciati su Cima, con una certa incuria in effetti, sono l’unica testimonianza di quei giorni. Tuttavia quegli scarsi trascurati semi hanno spesso attecchito: negli anni sono stati in molti a contattarmi, a chiedermi informazioni e a lanciarsi, ognuno a proprio modo, in quest’avventura.

Due anni fa dei ragazzi di Valmadrera, Jhonatan e Pavel, hanno ripetuto il viaggio con due Kayak. Prima della loro partenza ci siamo incontrati ed abbiamo discusso delle difficoltà e del percorso. Ero affascinato dalla meticolosità con cui si erano preparati al viaggio, a come avevano studiato il fiume e la cartografia. Al ritorno mi hanno confermato qualcosa che avevo scoperto prima di loro: non importa quanto tu sia preparato, il fiume riesce sempre a sorprenderti e a metterti in difficoltà. Quando sei dentro il fiume devi imparare ad ascoltare, a vedere, a cambiare in fretta i piani. Tuttavia questo è il grande fascino che un viaggio simile riesce a conservare: non è una passeggiata ma un’avventura decisamente impegnativa e pericolosa.

 Giorni fa un’altro ragazzo mi ha scritto chiedendomi informazioni. Con molta precisione mi ha inviato una serie di domande. Cercando le risposte è nato quest’articolo e questo tuffo nei ricordi.

Ciao Davide, come già anticipato di importuno per qualche domanda più precisa:

1) Quanto vi siete allenati prima della partenza e che tipo di preparazione avete seguito?

Allenati? No, io ed Enzo eravamo la negazione di ogni espressione atletica o salutista. Passavamo il tempo in trattoria a bere vino rosso prima di infilarci in qualche guaio di immane portata. L’anno prima, su una canoa polinesiana a doppio scafo, avevamo fatto insieme il periplo completo del Lago: prima di allora Enzo non aveva mai preso in mano un remo (e remare non lo appassionava certo!). Io avevo fatto una buona esperienza in Kayak sul lago di Pusiano ma non avevamo mai affrontato una discesa fluviale e tanto meno una canadese. Questo per farti capire le difficoltà tecniche a cui dovevamo sopperire. Tuttavia non devi lasciarti trarre in inganno: io ed Enzo avevamo trascorso insieme 4 mesi in Africa ed altrettanti in India sul confine Himalayano con la Cina. Questo significa che il nostro affiatamento nelle difficoltà era incredibile, eravamo abituati ad aspettarci il peggio ed avevamo sviluppato una straordinaria resistenza alla fatica ed allo stress. Inoltre la nostra inesperienza “nautica” era compensata dalle competenze in altri campi, in special modo quello alpinistico. Ricordo di aver attrezzato una calata di 20 metri con Enzo e cinque metri di canoa appesi nel vuoto che manco il Soccorso Alpino. Quindi credo che per quest’avventura basti la “sana e robusta costituzione”, quello che davvero conta è la giusta attitudine per comprendere, affrontare e risolvere le difficoltà ed i problemi lungo la discesa.      

2) Quanto margine di spinta vi ha dato il fiume (Adda e Po) rispetto al lago?

Da Como a Bellagio avevamo vento contro e si doveva conquistare ogni metro, da Bellagio a Lecco invece sembrava di essere su un windsurf cavalcando le onde: praticamente un missile! Il lago però va a giornate e momenti. L’Adda aveva una buona spinta, ma questo non era un bene. L’Adda è un susseguirsi di chiuse e stramazzi, un percorso ad ostacoli denso di trappole ed insidie. La vera difficoltà sull’Adda non è macinare chilometri ma superare indenni i suoi tranelli. Ricorda, sull’Adda quando sei incerto e qualcosa non ti convince tocca terra e vai a vedere a piedi. Ascolta il fiume, il suo rumore, e non ti fidare dell’acqua troppo veloce. Sul Po invece il livello del fiume era molto basso, quindi pochissima corrente e tanta spiaggia da aggirare. Il Po, come lo abbiamo trovato noi, è una prova di costanza e resistenza. Facevamo molto la mattina e la sera, cercando di riposare nelle ore centrali nascondendoci dal caldo. La laguna è poi un’altra questione: noi l’abbiamo affrontata sia con la pioggia che con il bel tempo. Ribaltarsi con una canadese al largo è un vero disastro da risolvere, quindi i lunghi tratti in “mare aperto” li abbiamo affrontati con una certa tensione. Il Canal Grande è un pericoloso giro sull’ottovolante: ci sono onde che superano il metro e bisonti a motore che passano in tutte le direzioni. Attraversarlo è come attraversare a piedi un autostrada: è l’ultima difficoltà ma non sottovalutarla.  

3) Cosa reputi, in un bagagliaggio leggero, di estrema necessità?

La nostra canadese da cinque metri era un vero e proprio furgone galleggiante. A modi gavone avevamo fissato al centro un bidone di plastica a chiusura ermetica da 60 litri. Dentro avevamo tenda, sacchi a pelo, vestiti e provviste. A differenza di un Kayak il nostro era un “mezzo” decisamente pesante ma capace di grande carico: il bello della canoa è che in acqua il peso è ininfluente, quindi ci siamo attrezzati di tutto (compreso materiale per eventuali riparazioni dello scafo). Il peso ovviamente ci metteva in difficoltà negli alaggi e nei tratti da affrontare via terra (come ad esempio i 5 km delle rapide di Paderno). Per questo motivo avevamo costruito un carrello artigianale per trasportare facilmente la canadese almeno nei tratti asfaltati o in terra battuta. Nella vegetazione, nel bosco o tra i sassi, toccava darsi da fare lavorando e tirando in due. Credo che avere 30 metri di corda buona (prendi una statica del 8 a cui tu possa appenderti, non la corda per stendere i panni!) sia fondamentale: serve sempre, sia se devi tirare il kayak tra le piante sia per farti sicura mentre scendi anche solo un paio di metri pericolosi e viscidi. Scarpe buone: noi avevamo dei sandali completamente chiusi con la punta rinforzata anti-infortuistica. Vetri, rocce, rottami, rovi: pare strano ma quando hai “bisogno” di toccare terra il fiume è sempre un posto rognoso. Non scendere in ciabatte, tienti a mano un paio di scarpe da esplorazione e da battaglia.  

4) Quali sono le novità più rilevanti portate a casa dal recente viaggio dei vostri amici rispetto a quanto scritto già nella tua guida?

All’epoca noi non avevamo fatto nessun sopralluogo, nè avevamo gli strumenti moderni per capire cosa ci aspettasse più avanti. Il nostro è stato un viaggio alla cieca. Per questo spesso lasciavo Enzo alla canoa ed avanzavo a piedi cercando di capire cosa fosse il fragore agghiacciante di acqua che salta (imparerai a conoscere questo suono ed il modo in cui l’acqua sembra rallentare prima di cadere). Fai buon uso della cartografia satellitare ma non disdegnare una salutare passeggiata tra i rovi per farti un’idea di quello che ti aspetta più davanti. Fai attenzione quando arrivi a Trezzo, piuttosto fermati e chiedi informazioni ma non infilarti nei canali che alimentano le industrie. Non fidarti della mia guida o di qualsiasi altra documentazione. Il fiume cambia sempre, devi avere la pazienza e l’attenzione per comprendere le difficoltà e decidere correttamente come risolvere: tu devi essere la tua unica sicurezza. Laggiù gli errori rischiano di diventare problemi pesanti, quindi più hai un atteggiamento prudente e conservativo meglio stai agendo. Sul Po è tutto facile, sull’Adda è tutto difficile: testa sulle spalle 😉

Grazie, perdona lo stile ad “elenco della spesa” ma forse ci rende più facile sciogliere questi aspetti tecnici. Ciao e buona serata. Mattia.

Su alcuni aspetti, sopratutto sulla prudenza, devo essere decisamente chiaro, anche a rischio di sembrare petulante. Tuttavia se sei disposto ad affrontare una gran faticata (ripeto: una gran faticata!!) con il giusto atteggiamento mentale posso garantirti che questa sarà una di quelle avventure il cui ricordo ti accompagnerà per tutta la vita. Se hai altre domande chiedi pure:  poi organizzati e goditela!

Davide “Birillo” Valsecchi

Paddling@PusianoLake

Paddling@PusianoLake

Qualche anno prima che nascesse “cima-asso”, questo blog, ero stato arruolato al cantiere navale dell’Ammiraglio, Andrea Alessandrini, il famoso e pluripremiato costruttore di canoe “ASA”. All’epoca l’Ammiraglio aveva un laboratorio a Bosisio Parini, una specie di “discarica museo” sulle rive del lago di Pusiano. Il termine discarica non deve trarvi in inganno in senso negativo: l’ammiraglio viveva da solo, nel suo laboratorio ed nel giardino circostante era ammassato (e conservato) ogni genere di cosa. C’erano gli stampi delle canoe, pezzi di barca, cianfrusaglie ed oggetti di ogni tipo. Sembrava sempre di essere in un episodio dell’A-Team o di MacGyver: se dovevi costruire qualcosa lì, ammonticchiato da qualche parte, potevi trovare tutti i pezzi che ti servivano.

Io e l’ammiraglio, è stato lui a nominarmi Nostromo, passavamo spesso la giornata ascoltando musica, parlando di politica e filosofia mentre trafficavamo con colle e resine bicomponenti: letteralmente un vero sballo! In particolare passavamo molto tempo insieme durante l’inverno, quando le giornate erano fredde, buie e si rischiava di sentirsi soli più del dovuto. L’umidità sulle rive del lago era terribile, il laboratorio aveva sempre le finestre spalancate (per via dei vapori delle colle) ed ovviamente non c’era alcun tipo di riscaldamento. Ricordo vecchi e logori vestiti di lana, indossati uno sopra l’altro, costantemente impiastrati di resina ed inzuppati dall’acqua del lago: sembrava di stare in un film ambientato da qualche parte nella steppa.

Poi, quando eravamo stufi di lavorare (o di perder tempo discutendo dei massimi sistemi) prendevamo un kayak a testa e ci fiondavamo in acqua sul lago. Mi piaceva andare in canoa, credo che poche altre cose riescano a darti quella sensazione di “andare”. Con l’Ammiraglio avevo fatto la traversata delle Cinque Terre e successivamente, come capitano della spedizione, il periplo completo del Lario e la traversata Como-Venezia. Ma il vero spettacolo della canoa era pagaiare sul lago gelato, coperto di neve: “Basta non cadere in acqua!”. L’ammiraglio, con pezzi di risulta, aveva cucito delle muffole impermeabili con cui pagaiare sul filo dell’acqua gelata mentre il guscio in goretex che avevo usato dieci anni prima in Pakistan proteggeva il tronco. L’importante era non cadere in acqua e ogni volta che il muso della canoa si alzava sopra il ghiaccio ti preparavi al momento in cui il ghiaccio si sarebbe spezzato. Pagaiare nella neve, circondati dalla nebbia che nasconde le case, è davvero una gran cosa: un viaggio della mente nel laghetto dietro casa!

Il Nostromo

L’Ammiraglio ha poi dismesso il suo laboratorio ed ormai è parecchio tempo che non ci vediamo più. Negli anni ho cercato di “ritrovare” il lago d’inverno come accadeva in quei giorni. Quando la giornata sembrava promettente, con Fabrizio prendevo una canoa canadese della Giusy e ci infilavamo nel lago di Pusiano inseguendo l’inverno. Purtroppo sembra che qualcosa sia cambiato, che le temperature ed il clima non siano più quelle di allora, non ho più avuto la fortuna di pagaiare nell’ignoto bianco. Tuttavia in quelle occasioni ho realizzato dei piccoli filmati che, sebbene solo in parte, mostrano la magia del lago d’inverno.

Per concludere ecco alcune foto tratte dall’opera di Andrea Alessandrini: “Il libro della Canoa” edito nel 1986 da “Kaos Edizioni”. Ovviamente il libro è ora conservato nella Biblioteca Canova. In particolare due foto dell’Ammiraglio durante la sua discesa del Danubio.

Davide “Birillo” Valsecchi

AAA: Equipaggio X Adda Cercasi

AAA: Equipaggio X Adda Cercasi

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Nel 2010, insieme a quel pirata di “Santos”, sono partito in canoa da Como alla volta di Venezia. Undici lunghi giorni di “battaglia” che ci spinsero attraverso l’Adda, il Po e la Laguna fino a Piazza San Marco.

Fu “battaglia” perchè, nella nostra assoluta inesperienza, abbiamo dovuto affrontare difficoltà, naturali ma soprattutto artificiali, assolutamente impreviste e temibili. La vera sfida lungo questo viaggio è stato l’Adda: quel fiume, nel tratto da Lecco a Lodi, è davvero un’avventura!

Ricordo di aver dovuto attrezzare una calata di venti metri verso l’ignoto, di aver trascinato per chilometri la canoa attraverso i boschi, di essermi sentito perso nell’acqua pesante dei canali d’alimentazione delle centrali elettriche. Quel fiume, senza scherzare, ha tentato di farci la pelle più di una volta!

All’epoca non avevamo alcun tipo di supporto esterno, eravamo indipendenti e soli nella nostra progressione. Avevo qualche immagine satellitare e qualche rilievo ma i sistemi GPS non erano evoluti e fruibili come lo sono ora. Non avevamo macchine fotografiche impermeabili nè la possibilità di ricaricarle, come sarebbe possibile fare oggi con i pannelli solari. Avevamo solo un cellulare con cui, via sms, aggiornavamo il nostro diario di viaggio appoggiandoci a Twitter. Ripensandoci, nonostante siano passati solo cinque anni, quel viaggio ha il sapore di un avventura “primitiva”, assolutamente low-tech e quasi retrò.

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Sono molti coloro che hanno pensato di ripetere quel viaggio e spesso mi scrivono in cerca di informazioni sull’Adda. Tuttavia non ho notizia che qualcuno l’abbia poi effettivamente ripetuto.

Nella mia memoria ci sono immagini assolutamente terribili: l’acqua è davvero una brutta bestia, specie quando l’uomo ci mette lo zampino! Tuttavia ho anche ricordi davvero meravigliosi densi di una bellezza spesso insospettata. Dubito che tornerei a Venezia, ma ripercorrere l’Adda è qualcosa che mi tenta.

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Mi piacerebbe scendere nuovamente il fiume, tracciare con il GPS il percorso, raccogliere fotografie e filmati realizzando finalmente la “Guida alla discesa dell’Adda: Lecco – Cremona” che, ormai da anni, sonnecchia sotto forma di appunti disordinati. Mi piacerebbe organizzare una piccola flotta, due o tre canadesi, per una squadra di sei o otto elementi. Qualcosa di “grosso” e ben fatto.

Tuttavia lo sforzo organizzativo non sarebbe indifferente. Bisogna recuperare ed attrezzare la canoe, preparare il materiale tecnico e formare la squadra. Non posso prendermi, ancora una volta, la responsabilità di coinvolgere ed addestrare dei neofiti. Servono persone già formate ed in grado di affrontare, quasi in autonomia, le difficoltà del fiume: persone in grado di cavarsela tanto in acqua quanto a terra. Inoltre servono persone che possano valorizzare il viaggio utilizzando strumenti tecnici, macchine fotografiche e videocamere, dando vita a quello che potrebbe essere un piccolo ed avventuroso documentario.

Io conosco la strada, quello che ci aspetta ed i trucchi per farcela: chi è interessato a dare una mano per metterci tutto il resto? C’è qualcuno che vuole arruolare il Nostromo per tornare sull’Adda?

Davide “Birillo” Valsecchi

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Davide

Pusiano: Snow on the Water

Pusiano: Snow on the Water

«Nevica? Bene, andiamo in canoa!». Telefono prima a Fabrizio e poi a Giusi, del “Canoa Club il Canneto”, per chiederle se ha a disposizione una delle sue magnifiche canoe canadesi. Lei mi risponde, gentile come sempre, «Certo! Passa di qui a prendere pagaie e giubbotti!». Riempio la sacca stagna con i vestiti di ricambio e salto oltre la recinzione: «Andiamo!!».

Mettiamo in acqua la canoa a Casletto ed iniziamo a pagaiare: tutto attorno a noi è coperto di bianco mentre le montagne sono inghiottite dalla nebbia. L’acqua è fredda, ferma, uno specchio scuro che riflette un mondo imbiancato.

Giusi, ancora mille grazie!!

Davide Valsecchi

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Pusiano: il lago d’inverno

Pusiano: il lago d’inverno

«Dai, si va in canoa a vedere le montagne dal lago.» Inizio ad essere stufo del mio “ditino rotto” ed anche il buon Fabrizio è costretto ad uno stop forzato finchè non potrò tornare a “marciare” con tranquillità. Così, per evadere da questa attesa, ho chiesto a Simona di sistemarmi il piede con il bendaggio adesivo e di lasciarmi la giornata libera per bighellonare sul lago.

Dopo una rapida telefonata Giusi, presidentessa del club canoistico “Il Canneto” di Pusiano, mi ha gentilmente prestato una delle sue canoe canadesi chiudendo il magico cerchio che finalmente mi ha riportato sul lago.

Per Fabrizio questa era la prima esperienza sui nostri laghi: il Lago di Pusiano e la magnifica giornata di sole invernale sono state il migliore tra gli inizi possibili. Messa in acqua la canoa all’imbarcadero di Casletto abbiamo pagaiato seguendo la costa: attorno a noi, riflessi nelle acque del lago, il Resegone, il  DueMani, il Cornizzolo e più in là il Palanzone e la dorsale lariana imbiancata.

Il sole era caldo e la luce, sebbene resa opaca dal mezzogiorno, era magnifica per ammirare le montagne pagiando sulla tranquillità dell’acqua. Il lago, nonostante l’inverno,  era colmo di vita ed affollato di uccelli: svassi, folaghe, aironi e cigni.

L’isola dei Cipressi si è poi dimostrata, come sempre accade, lo scrigno delle meraviglie del Lago: la faccia di Fabrizio era impagabile quando, davvero sorpreso, gli ho indicato i pavoni, l’uccello del paradiso ma sopratutto i CANGURI!!

Il piede non mi ha dato noie ed in un paio d’ore abbiamo compiuto il periplo del lago: non male come uscita dopo un lungo digiuno!

Ancora un grazie a Simona del Centro SanFedele che si sta prendendo cura del mio “ditino rotto” e a Giusy per averci prestato una delle sue canoe. Giusi, lo scorso anno, ha aperto nelle vicinanze del lago di Pusiano il bed and breakfast “Il Picchio”: se siete in cerca di una sistemazione e di supporto per esplorare in canoa i nostri laghi Lei è certamente la persona a cui rivolgersi!

Davide Valsecchi

Il tracciato non è completo perchè mi sono ricordato solo dopo un po’ di accendere il gps 🙂

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Lago di Pusiano: il Cavo Diotti

Lago di Pusiano: il Cavo Diotti

Squilla il telefono e nell’apprecchio risuona la voce de “Il Presidente”: «vieni al lago in canoa?». Cinque minuti dopo sono in ciabatte sulla porta di casa con il costumino rosso e la maglia dei Flaghéé aspettando che passi Franco a prendermi.

Gli amici dell’associazione “Il Canneto”, Giusy e Carlo,  hanno a Casletto (frazione di Rogeno) diverse canoe canadesi con cui affrontare le quieti acque del lago di Pusiano. Oltre ad usarle per corsi ed escursioni spesso le mettono a disposizione delle nostre “scorribande”.

In Kayak ho avuto il piacere di pagaiare sul lago di Pusiano in tutte le stagioni (magnifico d’inverno con il lago ghiacciato!) ma era la prima volta che uscivo con una “canadese”: con mia grandissima gioia la canoa che avevamo a disposizione era “identica” (solo leggermente più lunga) a quella usata nella Como-Venezia con i Flaghéé e questo mi ha riportato alla mente magnifici ricordi!

Franco non aveva mai visto il “Cavo Diotti” dal lago e così, nonostante l’acqua bassa e la vegetazione, ci siamo avventurati tra i canneti ed il canale raggiungendo poi la storica chiusa che regola le acque del Lambro.

In rete ho trovato un’accurata ricostruzione storica curata dall’amica ed assese Mara Cavalzutti, giornalista per La Provincia. Il testo integrale si può trovare [qui] mentre quelli che seguono sono alcuni stralci che ho estratto per voi:

Il Lambro prima della deviazione del Lambrone

Correva l’anno 1793 quando all’avvocato Luigi Diotti venne l’idea di costruire un emissario artificiale del lago di Pusiano, ma solo nel 1795 fu affidato l’incarico all’ingenere Paolo Rigamonti di predisporre il relativo progetto.

Numerose le inondazione documentete nel XVIII secolo: la prima nel 1714, poi nel 1751 e ancora nel 1790. Particolarmente grave deve essere stata quella del 1799: le acque giunsero fino alla Cascina della Rovere ed in piazza mercato ad Incino, provocando danni ad abitazioni e terreni, impedendo il passaggio delle truppe sulla strada da Como a Lecco. La situazione era diventata ormai insostenibile, anche perchè il fiume Lambrone, a causa dei detriti accumulati, aveva abbandonato l’alveo originario.

Già nel 1786 l’ingegner Besana aveva dato indicazioni per alcune opere urgenti. Nel 1800 fu ripresa la sua proposta e si pensò un intervento all’alveo o alle sponde del torrente dalla confluenza della Bova al ponte della Malpensata. Il progetto però incontrò l’opposizione dei paesi rivieraschi e tutti gli sforzi furono concentrati quindi sulla deviazione del Lambrone e sul “Progetto Diotti”.

Nel 1818 è il famoso scrittore Sthendal (che descrisse nel suo viaggio anche la cascata della Vallategna) a parlare del Lambro, del lago di Pusiano e della diga in costruzione. Imbarcatosi presso l’isola dei Cipressi scrisse: «Dall’isola siamo andati allo sbocco che è stato fatto al Lambro che, quando è in piena, sfocia nel lago. Da qui a un nuovo canale che passa sotto la strada tramite una bella galleria. Questo progetto, elaborato da quello che ha costruito casa, doveva essere finanziato dal principe Eugenio, come privato. L’ha cominciato lui. Questo canale doveva fornire l’acqua a una parte della Brianza che è un paese a secco. Si trattava di alzare la superficie del lago d’inverno: a questo scopo venivano acquistate le sponde coltivate del lago. Quest’acqua sarebbe stata distribuita d’estate.»

Con i suoi due secoli di vita il cavo Diotti, che si trova a Pontenuovo di Merone, è quindi un’opera storica fondamentale che permetteva e tutt’oggi permette di regolare il livello delle acque del lago di Pusiano evitando inondazioni nell’erbese e nella Brianza.

Noi, dopo un tuffo nella storia, ci siamo fatti una “scammellata” facendo il giro del lago ed ammirando la prorompente bellezza delle nostre montagne. (Fatevi un giro sul lago di Pusiano in una giornata di sole e capirete di cosa sto parlando!!)

Davide Valsecchi

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