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La leggenda dei sassi che camminano

La leggenda dei sassi che camminano

“Portatevi a Valmadrera e già sul dorso dei colli, sui fianchi dei monti, sui margini dei laghi, sui cigli dei precipizi pù paurosi, dappertutto, dico, vedrete o solitari, o in gruppi fantastici, o allineati in modo mostruoso, flangi, pezzi enormi di graniti, di porfidi, di serpentini, di rocce alpine di ogni genere, evidentemente divelti dai monti lontani, portati più giù a centinaia di miglia di distanza e posti a giacere così rudi e informi, ove possono meglio stupirci”. Così scriveva Antonio Stoppani, geologo, paleontologo e patriota italiano, nella sua pubblicazione ‘Valsassina e il territorio di Lecco’ alla fine del 1800.

La presenza di Massi Erratici sul nostro territorio è davvero ingente e non di rado queste imponenti anomalie colpiscono l’attenzione dei partecipante alle attività di montagna-terapia che conduco. Ho raccontato così tante volte la storia dei grandi massi che ora spesso mi limito a lasciare che siano i “veterani” a raccontarla alle “matricole”. Giorni fà giorno acoltare questa storia mi ha fatto venire voglia di raccontarla anche qui.

Questi massi, che sono un patrimonio del nostro territorio, racchiudono una lezione forse inestimabile che spinge la nostra mente ad esplorare i limiti dello spazio e del tempo.

Come in una favola la storia inizia con “c’era una volta”: già, perché in un tempo quasi incalcolabile tutto era ricoperto dal mare e fu proprio il mare a generare le nostre montagne. Di origine sedimentaria i nostri monti racchiudono in sé la vita primordiale dei piccoli animali marini che ancora oggi ritroviamo sotto forma di fossili: “roccia viva” che è cresciuta attraverso i millenni.

Poi qualcosa cambiò, il mare scomparve ed il suo posto venne preso da una sconfinata distesa di ghiaccio: l’era glaciale. Lo strato di ghiaccio era così alto che ancora oggi sulla cima delle montagne si scorgono i segni che tale gigantesca massa lasciò al proprio passaggio sulla roccia.

Questo perchè anche il ghiaccio possiede una sua “vita”, un errare lento e costante che per effetto del proprio peso lo spinge a muoversi, a scivolare lentamente anno dopo anno guidato dalla gravità.

Ed è a questo punto che entrano in scena i nostri massi erranti, questi giganteschi blocchi di granito che staccatosi dalle proprie montagne native, figlie del fuoco e della furia che anima il centro della terra, si sono lasciati cadere sul dorso dello sconfinato ghiacciaio dando inizio al proprio viaggio leggendario.

Coricati sul ghiaccio, avvolti dalla neve anno dopo anno, hanno saputo resistere all’erosione del tempo, della pioggia e del gelo mentre il grande ghiacciaio, anno dopo anno, scivolava a valle centimetro dopo centimetro. Qui il tempo e lo spazio come lo conosciamo noi si perdono perché il viaggio di questo sasso supera l’avventura stessa di tutta l’umanità: così i grandi sassi hanno percorso centinaia di chilometri in un viaggio di migliaia di anni.

Poi qualcosa è cambiato nuovamente e lo strato di ghiaccio ha iniziato a sciogliersi ed i nostri massi si sono placidamente e dolcemente appoggiati laddove il loro viaggio li aveva condotti. Alcuni nelle valli, dove l’acqua un tempo ghiaccio correva verso valle, altri in mezzo ai prati ed altri ancora in incredibile equilibrio sulle creste e sui crinali, eternamente indecisi su quale lato della montagna rotolare.

La loro natura è talmente aliena al nostro territorio che in passato gli uomini le consideravano pietre magiche e luoghi di culto tanto da divenire altari per riti pagani e più tardi anche tombe, i famosi massi avelli, per i grandi del tempo.

La loro magia ed il loro fascino, accresciuto anche dalla moderna scienza, resta immutato anche per noi “uomini moderni”.

Questa è la leggenda dei grandi sassi, appoggiate dolcemente le mani sulla loro roccia ed accarezzate la magia di queste “pietre vive” senza tempo. Davanti alla loro millenaria storia ogni nostro cruccio diviene davvero poca cosa nella storia del mondo.

Davide Valsecchi

Nella foto è visibile il “Sass Negher”, un masso erratico posto sotto il Corno Birone sopra Valmadrera. In tutto il Triangolo Lariano è l’unico ad avere tale colorazione nera.

Fragoline selvatiche e fragole matte

Fragoline selvatiche e fragole matte

Esistono molti “premi” per coloro che si avventurano per boschi e montagne, tra questi vi è sicuramente la delizia che sa esprimere il sapore di una fragolina selvatica. La fragola di bosco, fragaria vesca, con il suo frutto piccolo e dolcissimo è una tra le migliori prelibatezze che la natura possa offrire. E’ quasi impossibile resistere alla tentazione di coglierne una e, dopo il primo assaggio, non si può che cedere alla gola ed abbuffarsi gustando ed assaporando ogni singola fragolina.

Spesso alle attività di montagna-terapia che conduco partecipano persone che hanno poca o nessuna esperienza di vita all’aria aperta e, mio malgrado, ho dovuto costatare come in pochi conoscano la differenza tra la fragola di bosco e la sua “cugina”, la fragola matta o duchesnea indica.

La sostanziale differenza tra le due è che la prima è un nettare del cielo mentre la seconda ha un sapore pessimo e non è neppure commestibile!

Per questo direi che diventa importate imparare a distinguerle. Innanzitutto la fragolina di bosco è più piccola, ha un colore rosso non troppo brillante ed è punteggiata da piccoli semini gialli. Inoltre il frutto, che cresce da un fiore bianco, è tipicamente rivolto verso il basso come una campanellina.

La fragola matta invece è spesso molto più grossa, di un rosso quasi brillante. La sua superficie è costellata da piccole protuberanze molto diverse dai semini gialli della fragolina di bosco. Il frutto cresce da un fiore di colore giallo ed è dritto e rivolto verso l’alto.

Nella foto (scattata tenendo il cellulare con il mento!!) potete vedere a sinistra la fragolina “buona” e a destra quella “matta”. Messe a confronto dovrebbe essere più facile comprendere come sia diverso sia il frutto che la sua disposizione.

La fragola matta non è tossica come spesso si crede, tuttavia se ingerita in grandi quantità può procuravi una severa dissenteria o quanto meno può farvi correre dietro un cespuglio nel bel mezzo della vostra gita!

Ciò che non sapevo, e che ho scoperto documentandomi un po’, è che la fragola matta è stata importata in Italia dalla Cina attorno al 1800 come curiosità botanica all’Orto Botanico di Torino e si è poi diffusa copiosamente su tutto il territorio nazionale. Nella medicina tradizionale cinese è infatti considerata erba medica mentre nella nostra tradizione popolare è quasi sconosciuta proprio perché troppo recente.

Ultima nota: quando cogliete una fragolina, specie vicino ai sassi o in mezzo a qualche cespuglio, premunitevi di “sondare” la zona con qualche rametto prima di allungare le mani verso il prelibato frutto. Essendo il periodo estivo quello in cui maturano le fragoline è sempre buona regola fare attenzione alle vipere!

Davide “Birillo” Valsecchi

Progetto Piroga: riqualificazione del lago di Pusiano

Progetto Piroga: riqualificazione del lago di Pusiano

Spesso in passato mi è capitato di collaborare con i ricercatori dell’IRSA, l’Istituto di Ricerca sulle Acque del Centro Nazionale di Ricerca (CNR),  che si occupata dello studio e della salvaguardia delle acqua del nostro territorio.  I “ragazzi” mi hanno segnalato un’incontro di presentazione del progetto di riqualificazione del lago di Pusiano realizzato dal loro ente:

Eupilio ospita la presentazione dei risultati del Progetto PIRoGA per la riqualificazione de Lagodi Pusiano. Realizzato dall’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR per il Parco Regionale Valle Lambro con la partecipazione di altri istituti di ricerca e università, il progetto, che è stato finanziato da Fondazione Cariplo, ha prodotto un quadro completo delle criticità esistenti sul territorio che determinano l’attuale stato di qualità delle acque del lago, soggetto negli ultimi anni a frequenti fenomeni di fioriture algali.

Al convegno verranno quindi presentate le indicazioni gestionali per una riqualificazione ambientale che possa servire anche ai fini dello sviluppo turistico. La prima delle azioni di riqualificazione sarà un progetto di fitodepurazione che si avvierà nell’area di Eupilio. Altri comuni dell’area si sono resi disponibili ad ospitare progetti simili in futuro. Le indicazioni del progetto PIRoGA sono considerate dalla Regione Lombardia come un possibile riferimento per altre aree lacustri lombarde.

Il convegno di presentazione, aperto alla popolazione, si terrà Venerdì 4 maggio presso la Sala Consiliare del Comune di Eupilio (dalle 20:30 alle 23:00). Parteciperanno, oltre ai ricercatori del Progetto PIRoGA, rappresentanti dei comuni, della Regione Lombardia, del Parco Valle Lambro e degli altri enti del territorio del lago.

Quando il fulmine uccide

Quando il fulmine uccide

Domenica una persona è stata colpita da un fulmine nei pressi della cima del Cornizzolo e purtroppo è rimasta uccisa. Io ero poco distante, fradicio per la pioggia stavo scendendo verso casa ero all’Alpetto quando ho visto l’elicottero sorvolare la zona.

Aveva grandinato ed aveva piovuto in modo violento ma non sembrava esserci aria di temporale. Solo quando il caldo sole di Aprile si è fatto strada tra le nubi contrastando il freddo che aveva dato vita alla grandine si è creato un violento squilibrio termico: io ho contato non più di cinque tuoni e purtroppo uno di questi è costato la vita ad un’escursionista.

Qualche settimana fa, come avviene tutti gli anni, il CAI ha tenuto una piccola lezione interna di metereologia per gli alievi del corso di sci-alpinismo. Alla luce di quanto è avvenuto credo sia giusto esporre alcune nozioni sui fulmini ed il pericolo che rappresentano in montagna.

Innanzitutto definiamo il fulmine come è una scarica elettrica derivante da un accumulo di cariche elettriche di segno opposto. Quando non è più possibile tenere separate le cariche per una differenza di potenziale troppo elevata si genera il fulmine per ristabilire l’equilibrio attraverso una scarica ad arco elettrico.

Un fulmine tocca terra quando si ha una forte differenza di potenziale tra la base del cumulo nuvoloso (negativa) e il terreno sottostante (positivo). Quando l’aria, sebbene sia un buon isolante, non riesce più a impedire il contatto fra le cariche, si ha un vero e proprio corto circuito evidente nel fulmine: le cariche negative muovono verso le positive seguendo percorsi casuali a zigzag (scarica portante).

Tutti gli oggetti più alti rispetto all’ambiente circostante hanno una maggior probabilità di essere colpiti da un fulmine a causa dell’effetto punta, un fenomeno che si osserva nei conduttori carichi elettricamente e consiste nella formazione di un campo elettrico più intenso in prossimità delle zone accuminate di un oggetto conduttore.

Questo spiega perchè i fulmini colpiscano più facilmente guglie, alberi o  parafulmini: l’aria infatti si ionizza massimamente dove il campo è più intenso e lì si ha la maggiore probabilità che si formi una scarica elettrica. Quindi è molto importante evitare le creste e, naturalmente, le cime delle montagne.

Come regola generale è bene evitare d’essere  l’unico oggetto verticale in uno spazio aperto e vasto per non di diventare parafulmini nostro malgrado (quello che purtroppo è accaduto domenica sui prati sotto la cima).

Si può cercare riparo in un bosco se le piante non sono di alto fusto  ma ci si deve allontanare il più possibile  dagli alberi isolati: gli alberi sono particolarmente esposti ai fulmini e se l’albero è isolato il rischio è ancora maggiore.

Dovendo sostare in una zona aperta e pericolosamente esposta ai temporali è bene accovacciarsi a piedi uniti e con la testa tra le ginocchia mantenendo contatto con il sottostante terreno con la più piccola area possibile. Questo a causa della cosiddetta corrente di passo: i fulmini, contrariamente a quanto si potrebbe credere, non penetrano nel terreno, piuttosto la corrente si irradia in superficie diminuendo di intensità allontanandosi dal punto di caduta della scarica.

Per ridurre la corrente di passo, quando non è possibile sosatare, è consigliabile camminare in modo da toccare il terreno con un solo piede alla volta. Toccando il terreno con entrambi i piedi si creano infatti due punti con differente tensione aumentando così il rischio di essere attraversati dalla corrente pur non essendo colpiti direttamente dal fulmine. Questo spiega perché mucche, pecore ed altri animali quadrupedi sono facilmente vittima dei fulmini.

La corrente di passo, per quanto sia più debole, può causare infatti arresto respiratorio oltre a ustioni e contratture muscolari involontarie che portano a movimenti incontrollati o addirittura a fratture delle ossa.

Inoltre è opportuno evitare canaloni, colatoi, camini o stretti diedri rocciosi. I fulmini si insinuano in questi spacchi seguendo le correnti d’aria e soprattutto l’acqua piovana che ruscella in essi durante il temporale. Stesso discorso per vie ferrate, scale, catene ed altri elementi artificiali di metallo.

In caso di temporale improvviso in montagna è quindi buona norma cercare, se possibile, di scendere rapidamente di quota e di trovare un riparo adeguato.

Ho rifletutto molto su quello che è accaduto domenica e solo marginalmente riesco ad immaginare il dolore e lo sgomento che un evento tanto inaspettato e terribile può avere creato nei famigliari, negli amici e nei conoscenti dell’escursionista colpito. A loro va tutto il mio cordoglio nella speranza che queste poche nozioni possano sgongiurare che ciò succeda ancora.

Mi dispiace per quanto è accaduto.

Davide Valsecchi

[Nella foto potete vedere la sagoma dei Corni di Canzo, del monte Barro, del Moregallo e del Coltignone. Questo solo per capire cosa si agita sopra la nostra testa quando il cielo diventa “cattivo” anche per via degli squilibri generati dal lago e dalla montagne circostanti]

La Battaglia di Nora

La Battaglia di Nora

dsc09005Venerdì era il compleanno di Bruna. Questo forse non ha importanza o forse è la causa di tutto, sta di fatto che Sabato mattina, rientrando dalla spesa, la bella bergamasca mi si presenta con una sospetta scatola di scarpe in mano ed una storia da ascoltare.

Era entrata infatti nel negozio per animali a Canzo per comprare il cibo per Muji, il nostro anziano gatto che, all’alba dei diciotto anni, si comporta ormai come un cucciolo. In quel negozio Bruna ha incontrato Nora forse nel momento in cui Nora aveva più bisogno di lei.

Una signora di Valbrona aveva infatti trovato una piccola gattina appena nata. Era sola, abbandonata forse dalla madre, ed era nei guai seri: le mosche avevano depositato sul suo pelo migliaia di uova ed era quasi interamente coperta di piccoli vermetti bianchi e spesse croste.

La gattina era messa davvero male, le larve infatti stavano per introdursi attraverso il corpo, in particolare attraverso l’ano, per iniziare a divorarla viva dall’interno.

La signora, non sapendo dove andare, aveva chiesto consiglio al negozio ma ormai la situazione era troppo critica: serviva un veterinario. Bruna ascoltava il racconto osservando la gattina, quando la signora disse che non poteva andare dal veterinario è scattata quasi in automatico: “Ci vado io!”.

Così, dal negozio, è andata in tutta fretta dal veterinario di Canzo. Qui il dottore ha pulito la gattina ed ha cercato di estrarre tutti i vermi che erano già entrati. Molto gentilmente non ha chiesto nussun compenso a Bruna ma le ha spiegato che certamente, in quelle condizioni e senza aiuto, la gattina sarebbe morta in poche ore.

Ora si doveva aspettare e capire se eravamo arrivati in tempo per salvarla o “qualcosa” si era già spinto troppo in profondità. La gattina ha meno di sette giorni di vita. Troppo piccola per qualsiasi medicina o intervento. Tutto quello che si può fare è attendere e sperare.

Quando Bruna ha aperto la scatola, sull’uscio di casa, mi ha chiesto cosa ne pensassi, se potevamo tenerla con noi almeno il tempo di capire se sarebbe sopravvissuta. Io ho guardato nella scatola, ho dato un’occhiata alla piccola e mi sono limitato a dirle: “Da questo momento si chiama Nora.” e agitando solenne la mia tazza di caffè ho aggiunto “Portala dentro e vediamo cosa c’è da fare”.

E da fare ce ne era parecchio! Per prima cosa abbiamo disinfettato il pelo con acqua ed aceto per togliere tutte le uova. Poi è stato il momento di nutrirla con un piccolo biberon. Una mezza impresa visto che nè io nè Nora sapevamo come quell’aggeggio andasse usato.

Oltre a questo è importante fare ben attenzione a massaggiarle le pancia con un batuffolo di cotone inumidito per imitare la lingua di mamma gatto ed aiutarla a scaricarsi. Lo stesso “teatro” va in scena ogni tre ore ed ogni volta Nora, inesorabilmente, “battezza” una delle mie magliette.

Ora è qui, infilata tra i miei capelli, appena sotto il collo, mentre scrivo la sua storia. Dorme, forse sogna, stretta al caldo di due improvvisate mamme gatto che si danno il cambio. Ancora non si sa quale sarà il suo destino ma una speranza è qualcosa che la piccola Nora non aveva prima di incontrare Bruna.

La natura è crudele alle volte: meno di sette giorni di vita e rischi di essere divorato dall’interno da un’orda di vermi. Fa riflettere. Ma al contempo la realtà stessa è davvero insondabile nel suo intrico di eventi e situazioni: se Nora ce la farà sarà solo per un fortuito caso?

Io voglio credere che nel lancio di una monetina ci sia di più che un semplice calcolo delle probabilità. Questa è la storia di Nora, la sua monetina è ancora in aria e gira imperscrutabile mentre attendiamo il suo verdetto.

Noi le diamo il biberon ogni tre ore, voi provate a fare il tifo per lei.

Davide Valsecchi

[Aggiornamento: pare che la piccola Nora abbia superato la fase critica. Di vermi, che sono comunque aerobici ed avrebbero quindi dovuto uscire, non se ne sono visti altri. L’apetito da leone ed il carattere fiero sono di certo un buon segno. La piccola sa il fatto suo a quanto pare!]

Il sesso delle lumache

Il sesso delle lumache

Oggi parliamo di “sesso” e per di più di quello particolarmente “strano”. Protagonisti di questo excursus erotico sono le lumache o lumaconi che prendono il nome scientifico di Limacidae o quello più dialettale di “beghe”.

Non vanno confuse con le chiocciole che, contrariamente alle beghe, hanno il guscio e sono amate da grandi e piccini. Le beghe fanno schifo più o meno a tutti, specie a chi ha un orticello. Forse è per tutto questo disprezzo che la natura ha donato loro il modo più curioso di amarsi.

Le lumache infatti sono esseri ermafroditi, un esemplare ha al contempo gli organi riproduttivi maschili e femminili senza però essere nè maschio nè femmina. Non sono l’unione di entrambi i generi ma qualcosa di totalmente diverso, qualcosa di naturale ed originario che per noi, che siamo una specie fisicamente e culturalmente eterossessuale, forse è un po’ difficile da comprendere.

Non saprei dirvi se gli animali sappiano “amare” e tanto meno mi sbilancerei per un essere curioso come la “begha”, resta però il fatto che il loro corteggiamento può durare ore durante le quali si abbracciano in una serie di torsioni su loro stesse, di convulsioni e di strofinamenti dei loro corpi.

Il piacere sessuale è il premio della natura per coloro che si impegnano nel salvaguardare la vita. Pare che sia per questo che il “sesso” più appagante sia offerto agli animali più sfortunati e bruttarelli come i maiali e le beghe appunto. Forse è proprio l’invidia la causa di tanta maldicenza nei loro confronti da parte di quegli animali tanto evoluti da  autoproclamarsi ad immagine e somiglianza di Dio. Non so, questo pregiudizio non mi appartiene: onestamente spero che Dio sia un po’ meglio…

Dopo essersi lungamente “amate” le due lumache si arrampicano o su un albero o su un rialzo dal quale possono calarsi sospese a mezz’aria attaccate a due sottili fili di muco. Da una piccola apertura sul lato destro della testa (gonopore) i due animali iniziano a far fuoriuscire i loro organi riproduttivi che si vanno ad avvolgere l’un l’altro creando forme surreali.

Hanno letteralmente il sesso in testa ma nessun falso pudore mentre procreano davanti al mondo intero che le odia: al termine di questo ultimo contatto tra loro entrambe le lumache sono fecondate. Dopo circa un mese depositeranno le uova da cui, dopo un altro mese, nasceranno i loro piccoli.

Non so voi ma io trovo tutto questo davvero curioso. Nè maschi nè femmina, nè padre nè madre. Niente di tutto questo ma entrambe le cose in un unione completamente diversa. La natura è davvero molto più straordinaria di quanto qualsiasi uomo possa profetizzare con superbia sventolando vetusti libri colmi di umana ignoranza.

Imparare dalle beghe, dagli esseri che viscidi strisciano nel sottobosco, è un gesto semplice di umile grandezza da cui ognuno, seguendo le proprie idee, può trarre profondo insegnamento: la Natura ha creato il sesso perchè replicare pedissequamente se stessi e le proprie idee senza alcun tipo di confronto o scambio era una via arida che condannava la vita all’estinzione. Anche la tua…

Davide “Birillo” Valsecchi

Nucleare al Pian di Spagna

Nucleare al Pian di Spagna

Terzigni festival
Terzigni festival

La mia infanzia per metà l’ho trascorsa in un piccolo paesino in Friuli Venezia Giulia, tra le alpi Carniche al confine con l’Austria.

Quando oggi vedo gli scontri a Terzigno non posso che ripensare al quel piccolo paese: alla fine degli anni 80 infatti anche lassù, in una piccola valle attraversata dalla Provinciale, volevano costruire una discarica ed anche in quel caso tutta la comunità si agitò.

Così, dopo lunghe discussioni al bar, ci fu l’iniziativa popolare di tutto un paese che, anziani compresi, non superava le novencento anime: tutti si misero in marcia protestando in una giornata di sole lungo la strada provinciale rallentando il traffico dalla Chiesa fino al sito della discarica.

Io ero ancora un bambino ma partecipai “alla grande marcia” insieme ai miei genitori accompangando per mano le nonne ed i decani che erano voluti intervenire. Le donne del paese, sorvegliate da montagnini con il cuore e le mani grandi, offrivano frittelle e vino agli automobilisti che erano rimasti coinvolti nel corteo spiegando loro cosa stessero cercando di scongiurare. I cacciatori schierati al fianco con i verdi mentre i bambini  suonavano campanacci tirando persino gli asini e le mucche nella sfilata.

Fummo fortunati, fu una grande festa per tutti e la discarica non si fece mai più. Qualche anno più tardi, sempre nello stesso posto, fu costruito un pista di Sci di Fondo su cui si svolsero i campionati mondiali giovanili di Biathlon: una bella differenza rispetto ad una discarica!!

Non so cosa dire di Terzigno, non conosco il posto ma posso capire cosa li abbia animati. Posso capire cosa significa essere ignorati dall’autorità e, dopo essere stato spesso in medio oriente, anche cosa significhi stare in mezzo agli scontri di strada.

E’ per questo che con una duplice apprensione prendo atto di notizie che ventilano la costruzione di una centrale nucleare al Pian di Spagna, la parte più a nord del Lago di Como. Se ne era già parlato a gennaio del 2010, sembrava che l’idea fosse caduta ma, solo qualche giorno fa, si poteva leggere sul Corriere di Como (22/10/2010) :  «Si riapre il dibattito dopo la proposta lanciata dal ministro dello Sviluppo economico: ci sarebbe l’area del Pian di Spagna tra i possibili siti in Lombardia. Spunta anche l’ipotesi della provincia lariana nell’elenco dei possibili siti per la realizzazione di nuove centrali nucleari nel nostro Paese. L’area sarebbe quella del Pian di Spagna, in Altolago, al confine tra i territori di Como, Sondrio e di Lecco. Dalle prime indiscrezioni, contenute in un dossier del ministero dello Sviluppo economico, sembra infatti che sia in atto un’accurata ricerca per focalizzare uno o più siti in Lombardia.»

Cosa accadrà? Non lo so, il lago ci lega tutti  ed io oggi non sarei assolutamente favorevole ad un simile progetto, specie se imposto a “scatola chiusa” come avviene sempre più spesso in Italia.  Quindi cosa accadrà? Speriamo non questo:

Ho realizzato questo video perchè sia ben chiaro cosa accade quando non si affrontano i problemi per tempo: non è un invito alla violenza ma bensì un’incentivo ad informarsi e a partecipare perchè cose simili non diventino l’ultima opportunità di confronto anche sul nostro lago.

Davide “Birillo” Valsecchi

Flaghéé Como-Venzia: il pesce siluro

Flaghéé Como-Venzia: il pesce siluro

Pesce Siluro
Pesce Siluro

Durante il nostro viaggio abbiamo ascoltato molte storie su uno dei pesci più misteriosi che oggi popolano il nostro fiume, in un occasione siamo riusciti anche ad incontrarlo da vicinio: il pesce siluro.

Cominciamo con i termini difficili: il siluro è una specie di pesce alloctona invasiva, ossia non è originaria del nostro terriorio ed ha un impatto negativo sul suo nuovo ecosistema. Il siluro è infatti originario del Danubio e dei paesi dell’Est ma è stato introdotto nel Po una cinquantina di anni fa. Da allora prospera spesso a scapito delle specie autoctone.

Sebbene oggi il siluro rappresenti il 27% della bio-massa del Po (un volume enorme!!) sono sempre più frequenti gli avvistamenti anche sull’Adda. Nel bacino della chiusa di Sant’Anna infatti sono stati filmati da un operatore subacqueo una coppia di esemplari della lunghezza di un paio di metri.

Ma come fanno questi pesci di grosse dimensioni a superare le grandi chiuse? Molte chiuse hanno speciali canali che permettono la risalita del pesce, in particolare delle anguille, ed inoltre spesso i pescatori hanno trovato esemplari che si erano avventurati anche nel fango attorno ai fiumi,  a dimostrazione di quanto sia forte la resistenza di questo pesce.

Io credo che le dighe di Trezzo, Paderno e Olginate siano solide difese ma confesso che qualche preoccupazione per il nostro lago l’ho avuta sapendo che il siluro sta risalendo anche l’Adda. Nel 2009 sono stati confermati avvistamenti nel lago di Alserio ma cercando su Internet ho trovato una nota di un pescatore ancora più inquietante: Non è una cattura eccezionale se non per il luogo della cattura stessa avvenuta per puro caso: Abbadia Lariana (LC) lago di Como Peso: Kg. 1,150 Lunghezza: cm. 53 Esca: cucchiaino ondeggiante. Enzo.

Già nelle cronache degli anni ’30 e ’40 i pescatori del tempo raccontavano di un enorme pesce, allora ritenuto “l’incrocio fra il Pesce gatto e la Bottatrice”, di cui saltuariamente si catturava qualche esemplare.  Che sia il famoso Lariosauro?

Il dubbio ci sta tutto, un esemplare adulto infatti può diventare molto grosso raggiungendo i due metri di lunghezza ed oltre i cento chili di peso. Ha una testa tozza con due piccoli occhi chiari e due lunghi “baffi”, una grossa gobba dietro la testa ed il resto del corpo è una lunga e brutta coda tozza che ricorda quella di un anguilla o di un’enorme girino deforme. Al tatto è “particoalemente” viscido ed è dotato di numerosi piccoli denti raggruppati sul palato. E’ veramente brutto!!

I pescatori di Po ed Adda ormai possono pescare solo siluri perchè tutte le altre specie sono quasi scomparse. Inoltre la mole e la combattività del pesce ne hanno fatto un’attrazione per la pesca sportiva. Lungo le rive del Po si possono incontrare numerosissimi stranieri, in particolare tedeschi ed ungheresi, che allestiscono per settimane veri e propri accampamenti di pesca. Nulla di male in tutto questo se non fosse che tutti i “Fish Master“, gli organizzatori, sono stranieri e che i locali si sono fatti soffiare anche l’opportunità di sfruttare il siluro come risorsa turistica.

I pescatori praticano il “No Kill” ossia catturano e rilasciano il pesce. Può sembrare una scenta ecologica ma se consideriamo che questo pesce ha stravolto un intero ecosistema questa pietà si dimostra tutt’altro che ambientalista. In primo luogo la loro carne è spesso non commestibile, essendo pesci dalla lunga vita spesso sono esposti per molti anni all’inquinamento e nelle loro carni è possibile trovare cadmio, mercurio, cromo esavalente e  diossina. Va ricordato che purtroppo nei laghi di Mantova tutto il pesce è dichiarato non commestibile. Inoltre il “No Kill“, contrariamente all’obbigo di non reimissione appicabile a  tutte le specie alloctone invasive, scongiura l’eradicazione del siluro tutelando gli interessi sportivi ed economici che attorno ad esso gravitano.

Che io sappia solo gli ungheresi, ghiotti del filetto che si trova sulla schiena, tengono il pesce catturato. Pare quindi che quella bestiaccia del siluro purtroppo sia destinato a diventare il padrone incontrastato delle nostre acque con buona pace per tutti gli altri pesci. Amen.

Per chiudere sul siluro voglio mostrarvi un filmato realizzato da Paolo e Mirco, il duo “padre e figlio” che abbiamo incrontrato sul Po e che ci ha mostrato da vicino il siluro. In questo filmato si vede un grosso esemplare pescato dal giovane Mirco che, a sua volta, viene “pescato” dal siluro al momento del rilascio

Davide “Birillo” Valsecchi

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