Fiume Adda: cavalca l’onda!
Eravamo partiti da Como con una canoa canadese ed erano ormai tre giorni che eravamo in viaggio. Avevamo lasciato alle nostre spalle il Lago di Como, avevamo superato la diga Taccani ed il ponte dell’autostrada a Trezzo d’Adda. Eravamo stai costretti a calare con la corda la canoa e tutto l’equipaggiamento lungo il fianco di una chiusa ed ormai mi ero convinto che il peggio fosse ormai passato.
L’Adda si era fatto quieto ed era ormai immerso nella pianura. All’orizzonte minacciava pioggia ma confidavo di accamparci prima dell’arrivo del temporale. Superata un’ansa del fiume incontriamo un ampio bacino delimitato a valle dalle alte torri di una chiusa.
L’acqua cadeva oltre lo sbarramento sulla destra e sempre su quel lato il fiume era invaso da una fitta vegetazione. Sul lato sinistro correva invece una strada che costeggiava con un muretto il corso d’acqua e, più avanti, vi era una casa. La soluzione migliore mi sembrava stringersi alla riva di sinistra avanzando con cautela e restando dove l’acqua sembrava più immobile.
Io remavo seduto nella parte posteriore della canoa tenendo l’imbarcazione ben stretta al muretto e cercando di capire dove fosse possibile prendere terra ed aggirare l’ostacolo. Non lasciare che la corrente ci facesse precipitare oltre la chiusa era la mia prima preoccupazione.
L’acqua sembrava ferma, non “leggevo” nessun pericolo e per questo tutto ci colse alla sprovvista. All’improvviso una forte corrente sembrava strattonare verso sinistra la canoa spingendola verso il muretto che, nascosto tra i rami, era in realtà un ponticello basso sull’acqua. “Che cazz..?!?! Rema! Rema tutta! Tirala fuori di qui! Rema!” Ma ormai era tardi, non avevamo abbastanza slancio per vincere la corrente ed eravamo ormai troppo sotto per manovrare.
Quello che solo poi avremmo scoperto è che la diga di Sant’Anna sfogava sulla destra ma che sulla sinistra aveva una presa d’acqua larga quattro metri e profonda sei che alimentava due turbine per produrre corrente. La quantità d’acqua in movimento che ci aveva catturato era davvero troppa per poterla vincere colti di sorpresa.
Evitando di sbattere la testa contro il ponte mi sono buttato all’indietro cercando di trattenere la canoa aggrappato al cemento del ponte. Enzo, con metà canoa ancora fuori, sbatteva con tutto il corpo contro il ponte mentre la corrente cercava di risucchiare tutta l’imbarcazione. “Ce la fai a tirarla fuori?” “No, non ho spazio!” La canoa iniziava ad inclinarsi pericolosamente su un lato quando con un rumore agghiacciante l’acqua iniziò a riversarsi nella canoa. Stavamo per ribaltarci e solo il gavone stagno avrebbe tenuto a galla la canoa.”O fuori o dentro! Se non ce la fai lasciati andare e vediamo che succede!”
La canoa si ribaltò definitivamente, entrambi in acqua ed aggrappati alla canoa lasciammo che la corrente ci portasse oltre il ponte. I quattro metri della canoa canadese ci separavano:“Tutto apposto? Hai pestato la testa?”, il ponte era a filo d’acqua ed il rischio di sbattere era concreto “No! No! Sono tutto pesto ma è okay!”
L’acqua era come “compressa” e “pesante” e per quanto la corrente fosse intensa era incredibilmente lenta mentre ci spingeva verso un bacino più piccolo circondato da alti muri in cemento. Era una quiete irreale scossa solo da un fragoroso rumore di acqua che si schianta proveniente da ancora non sapevo dove.
Ribaltandoci avevo perso la pagaia che ora galleggiava qualche metro più avanti. Eravamo in mezzo ad un piccolo disastro ma, come canoista, trovavo lo stesso disdicevole aver perso la mia pagaia e così diedi voce ad Enzo: “Reggiti alla canoa ed aspettami”. I giubbetti di salvataggio ci tenevano comodamente a galla e lo lascia a controllare la canoa, con un paio di bracciate raggiunsi la pagaia guardandomi attorno. Era una situazione strana, galleggiavo da solo in mezzo al bacino e cercavo di analizzare tutta la situazione più in fretta che potessi e, al contempo, ero pervaso da una strana calma sebbene ogni cosa mi suggerisse il contrario.
Oltre il bacino l’acqua sembrava riprendere velocità e precipitava in qualcosa che non riuscivo a distinguere ma che produceva un rumore orrendo e terribile. Avevamo venti metri d’acqua “morbida” per cambiare il nostro destino, poi saremmo stati solo oggetti galleggianti preda della corrente.
Con un paio di bracciate raggiunsi di nuovo la canoa. “Fai come me: spingi! Dobbiamo toccare quel muro ed ancorarci o siamo fottuti!! Spingi!!” Appoggiai le mani sul lato della canoa ed iniziai una strana manovra: spingevo con le braccia scalciando contemporaneamente con le gambe come nuotando a rana. La barca scarrocciava un po’ a sinistra rispetto alla corrente, scalciavo di nuovo per riavvicinarmi alla canoa e ripetevo la spinta. Dovevamo deviarla almeno di tre metri e “sbattere” contro un muretto di cinta in tempo per potersi aggrappare. Il problema era il tempo: dovevo capire se ne avremmo avuto abbastanza per salvare la canoa oppure avrei dovuto decidere “se e quando” urlare ad Enzo di lasciare tutto e nuotare per mettersi in salvo.”Spingi!! Spingi!!” Urlavo cercando di mantenermi focalizzato.
Finalmente sento la canoa sbattere sul cemento, aggiro la punta e mi aggrappo alla recinzione che sovrasta il muro: “Ci sei? Aggrappati che vediamo di prendere fiato!” Tiro fuori un pezzo di corda e lego alla meglio tutta la nostra roba. In quel mentre un ragazzo “enorme”, un vero gigante, spunta correndo dalla casa urlando come un forsennato “Siete Pazzi! Siete Pazzi!”: in effetti come dargli torto?
La situazione, una volta a terra, cominciava a farsi più chiara: la casa era quella del custode della diga, sotto il ponte correva il canale d’alimentazione della turbina, la grande vasca in cui eravamo era il bacino di raccolta prima che l’acqua fosse immessa nella turbina o lasciata “stamazzare” oltre il troppo pieno. Se non avessimo toccato terra in tempo saremmo finiti contro le grate a protezione della turbina (e la pressione ci avrebbe spaccato!) o saremmo caduti per sette metri sui frangi flutti (e ci saremmo spaccati anche in quel caso!).
Il “gigante” era il custode della diga, un ragazzo fortunatamente molto simpatico quasi più spaventato di noi per l’accaduto. La sua forza era incredibile: con una mano mi afferra per il giubbetto e mi solleva come fossi un fanciullo oltre il muretto e lo stesso fa con Enzo. Solo poi, una volta invitati a pranzo, abbiamo scoperto che la piena dei giorni precedenti aveva travolto i cartelli che segnalavano la presa d’acqua.
Risistemata la canoa siamo tornati in acqua oltre la diga per riprendere il nostro viaggio. Il custode, divertito per la nostra strana spedizione, si era premurato di mostrarci sulla carta tutte le numerose dighe che ancora ci separavano dal Po indicandoci da quale lato attraccare e come aggirare l’ostacolo.
L’Adda è davvero un fiume magnifico ma incredibilmente duro per gli sbarramenti artificiali che si incontrano seguendone il corso. In molti mi scrivono per avere informazioni e tentare un viaggio simile e per questo ho cercato di raccoglie tutte le informazioni acquisite in quei giorni in una piccola guida: [Guida alla discesa dell’Adda]
Testa sulle spalle se decidete di partire: l’Adda è un osso duro! In bocca al Lupo!
Davide Valsecchi