Rumble in Valbrona Jungle
Domenica mi annoiavo e la prospettiva era restarsene in casa tutto il pomeriggio a trafficare con il computer ed il lavoro arretrato. No, non era proprio accettabile: “Vai a Valbrona? Mi molli da qualche parte lassù?”.
Infilo lo zaino e mi faccio lasciare più o meno a Candalino. Apro la carta del Triangolo Lariano. Sono equipaggiato di tutto punto ed armeggio con un lenzuolo di carta davanti agli incuriositi avventori di un bar: “Guardalo il milanese che va a perdersi nei boschi!!” avranno pensato. Quasi vero in effetti: la voglia di perdersi c’è tutta!
La carta mi serve per controllare i sentieri che sul fianco della montagna portano alla coletta dei corni. Verifico i mei riferimenti per iniziare, il resto verrà a caso. Accendo il Recorder Gps e si va!
Supero il vecchio seminario e mi infilo per un sentiero in disuso che corre sopra le scogliere che sovrastano la frazione. Il bosco è pieno di rocce che si alzano irregolari tra gli alberi, più sù mi imbatto in due piccole grotte. Ricordo aver letto la loro descrizione da qualche parte, forse in un vecchio libro: è una parte di mondo quasi dimenticata a due passi dal paese.
Mi distraggo un secondo e sopra di me si muove qualcosa. Sono in ritardo, mi ha visto prima lei ed è scattata per prima. Lei è una magnifica capriola adulta, salta tra i rovi guardandomi un’ultima volta prima di scollinare oltre il crinale. Provo a catturarla con una foto ma è inutile, è stata più brava lei questa volta.
Avanzo tra le roccette divertendomi nei passaggi più complessi. Tenendosi lontano dallo strapiombo non c’è gran pericolo: lo prendo come un allenamento, con un gioco. Sperone dopo sperone mi ritrovo al ripetitore della RaiTv. Seduto davanti alle antenne provo a scattare qualche foto ma la foschia si mangia la luce ed i pixel non rendono omaggio alla grande vallata sottostante.
Vado oltre, supero un vallone e mi trovo nei prati di Piazzo. Più a valle c’è un cancello che delimita questa zona, che sbarra la strada. Ormai però sono dentro e quindi proseguo per la carreggiata in terra battuta che attraversa il prato ed il bosco. Mi aspetto che salti fuori qualcuno che imbracciando “il docici” reclami la proprietà privata: nessuno si fa però vivo e continuo la mia gita.
Proseguo, supero la val Cavaletto e l’omino fiume. Qui è una miriade di sentieri e stradine. Scelgo a caso cercando di guadagnare quota sul fianco della montagna. Mi imbatto in un paio di baite e credo che una di queste sia quella dei pescatori, dell’associazione pesca sportiva di Valbrona.
Il bosco è sempre un posto curioso, alle volte pone degli indovinelli interssanti. Trovo una testa di animale e sparsi qui e là anche gran parte degli altri pezzi. Cosa sarà? Scatta il momento dell’anatomo patologo: non è un cinghiale perchè mancano guardie e canini. Sicuramente è un erbivoro ed è di una certa stazza. Troppo grosso per essere una capra ma, visto che non ci sono le corna, è da escludere anche la mucca. Resta cavallo o asino, in ogni caso gli animaletti del bosco hanno fatto festa…
Altre baite, altri casottelli di caccia. Molti abbandonati, qualcuno invece forse ancora vivo. Siamo a due passi dal paese ma in questo breve tratto di montagna ci si potrebbe nascondere senza mai più farsi trovare: quasi una porta su un’altro mondo, una piccola tentazione.
Passo il fiumicciattolo della val di Valeuc e ritrovo il sentiero che da Ponte Castello porta alla Coletta dei Corni. Il mio “giro in giro” nei boschi è finito, mi acquieto seguendo il sentiero fino alla dorsale di Cranno. Il sole filtra tra gli alberi e mi regala qualche gioco di luce da catturare con la macchina fotografica.
Tra le piante scatta guardingo un animaletto. Credo di averlo disturbato durante la sua caccia. Con mia sorpresa è un enorme gatto bianco e grigio. Pare che non sia il solo ad essere diventato selvatico da queste parti!
Al Primalpe trovo il presidente del Cai di Canzo. Poco prima era lì anche Renzo, il presidente del Cai di Asso.
Come uno sciocco mi sono completamente dimenticato che le due sezioni avevano organizzato l’uscita conclusiva del “corso di ferrata” proprio ai Corni. Sono in ritardo sia per aggregarmi alla salita che per unirmi alla successiva mangiata. Peccato.
La compagnia è allegra e piacevole e così mi attardo. Forse anche troppo per la pazienza del Sole.
Mi incaponisco nel voler risalire nuovamente il crinale lungo il sentiero dello Spaccasassi. L’ora è tarda ed il sentiero è dannatamente imboscato di rovi e cespugli e, cosa più grave, è completamente a sbalzo sulle scogliere che sovrastano la marcita di Canzo.
Mi ritrovo al buio tra rocce e rovi, dallo zaino estraggo la fida pila frontale ed illuminando i miei passi, con il piccolo fascio di luce a led cerco di orientarmi in quella giungla strapiombante. Una vocina fastioda attacca con la solita litania:“Sei il solito stupido e questa volta finisce che ti schianti a due passi da casa!!”.
Mi sembra di essere nella versione brianzola del Blair Witch Project, il sentiero è ormai inghittito dalla vegetazione ed al buio si fa fatica a distinguerlo dai camminamenti delle capre. Mi aggiro tra le piante e le ombre. Tocca fare avanti ed indietro camminando tra i rovi cercando di non sbucare nel vuoto.
Succede. L’importante è stare “sereni” e fare le cose con calma. Mi siedo a riposare e spengo la frontale restando al buio: non voglio che qualcuno a valle, vedendo una luce immobile tra le rocce, si preoccupi inutilmente. Mi torna alla mente il “Viaggio al centro della terra” di Verne, quando il nipote del professore si perde nell’oscurità e, per non morire schiantando la propria testa contro le rocce, deve reprimere il terrore che lo aveva travolto. Come ho detto l’importante è stare “sereni” e fare le cose con calma, al resto si provvede un passo alla volta.
Quando avevo dodici anni mi ero messo ad inseguire proprio su questo crinale uno dei mei cani: quel bastardino di “Cico” si era messo a correr dietro alle capre che si erano date alla fuga sulle rocce e mi era toccato arrampicamici dietro pur di andare a riprenderlo. Nè io nè il mio cane eravamo precipitati allora, con una ventina d’anni d’esperienza in più posso farlo di nuovo anche questa sera.
La giacca mi ripara dal freddo e sotto i mei piedi si illumina tutta la valle. Lo spettacolo in cui mi sono imbattuto vale le tribolazioni. Il colpo d’occhio è notevole ed inconsueto. Sto diventando ingordo di tutto questo ed è preoccupante e piacevole al tempo stesso.
Riprendo a salire, i rovi iniziano a diradarsi ed il sottobosco si fa sempre più aperto. Nel buio vedo il chiarore dell’orizzonte attraverso gli alberi. Sono di nuovo sul crinale e da lì a poco ritrovo il sentiero della dorsale di Cranno. Pare che l’abbia spuntata anche questa volta ed in tempo per tornare a casa prima del ritorno di Bruna.
Mentre scendo verso il paese mi chiedo quanti sappiano dell’avventura, delle emozioni e della bellezza che si nascondono a pochi passi da casa. Io ho visto l’Himalaya, ho visto le grandi montagne e le sterminate piane del centro Africa, eppure riesco ancora a “perdermi” tra queste piccole e strette valli come quando ero bambino.
Sono contento che questa sia la mia casa.
Davide Valsecchi
[Ps. resta ben chiaro per tutti che lo spaccasassi di notte è da annoverarsi tra le cose “DO NOT TRY THIS AT HOME”. Io stesso, visto l’esperienza, mi asterrò dal riprovarci. Avvisati…]
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