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Venezia: Queens of Venice

Venezia: Queens of Venice

Marco, il nostro capitano di vascello qui a Venezia,  è 100% veneziano e, prima di diventare tatuatore, portava i barconi da trasporto in giro per i canali della serenissima. Quando mi ha mostrato la nostra barca quasi mi veniva da ridere: fucsia con i sedili in pelle bianca, tanto trendy da sembrare dannatamente tamarra.

Quello che non mi aspettavo e che, una volta tutti a bordo, dopo il motore accendesse anche quattro casse stereo a tutto volume con gli immancabili Queen a palla! Una scheggia Rock’n Roll in mezzo ai secolari e placidi canali della città più famosa e romantica del mondo!!

Temevo che tutta l’imperturbabile Venezia, con i suoi giapponesi sorridenti sulle lente gondole, ci si sarebbe chiusa addosso indignata per aver disturbato la sua tranquillità da cartolina. Incredibilmente è proprio Freddy Mercury a mostrarmi qualcosa di imprevisto sui veneziani: tutti i gondolieri ci salutano, ridono soddisfatti guardando i loro esterrefatti clienti fissare quella chiassosa barchetta viola che sfila tra gli stretti canali rimbombando glam rock a tutto volume.

I conducenti del resto delle imbarcazioni poi, quelle che trasportano dai viveri all’immondizia, se la ridevano proprio di gusto. Perchè in fondo i canali sono le vere strade dei veneziani e loro, in mezzo all’acqua, se la spassano alla faccia dei pedoni armati di macchina fotografica accalcati sulle passerelle per l’acqua alta.

Ad ogni incrocio si danno voce per sapere se è buona o se arriva qualcuno perchè qui ogni svolta è cieca,  tocca aiutarsi  passandosi anche qualche sigaretta o qualche battuta sulle turiste che passano. Ed è lì che ti accorgi che Venezia non è solo una serie infinita di ponticelli su cui fastidiose coppiette da tutto il mondo intasano il passo limonandosi come scolaretti. Questa è Venezia, questa è la Serenissima, ma è sopratutto la Dominante.

Tra i canali, tra la gente che li anima, riscopri quella città che aveva dominato per secoli i mari e che era diventata una delle più spaventose potenze militari del passato. Un luogo dove arte, commercio, cultura e guerra erano il vanto e l’orgoglio dei suoi abitanti.

Ci voleva quel genio rivoluzionario ed estremo di Freddy Mercury per vedere  quel luccichio negli occhi, per vedere come i Veneziani non sentano la loro città come un freddo ed immutabile museo galleggiante. I turisti possono affollare i campi ma l’orgoglio di Venezia è ancora tra i suoi canali. Non sono affatto rassegnati a lasciare che la loro gloriosa città diventi un parco giochi a tema.

Andiamo a zonzo dalle due del pomeriggio fino a dopo il tramonto fermandoci solo per fare rifornimento o una puntata a qualche bar. In effetti l’equipaggio consuma molto più della barca e le soste per un cicchetto ed un bianco si ripetono in ogni parte della città. Alla fine usciamo dai canali e ci spingiamo dove l’acqua è  libera.

Mentre siamo a tutta velocità come una scheggia viola nella laguna scoppio a ridere,  solo in quel momento, con il vento del mare in faccia, mi sono reso conto che questa città venera da secoli niente meno che un leone alato le cui ali si spiegano sul mondo. Maestà, potenza, saggezza, giustizia, pace, forza militare e pietà religiosa. Ecco di cosa si vanta Venezia nella simbologia del suo leone. Questa è stata la la patria dei più famosi mercanti, tagliagole ed avventurieri: i miei artisti preferiti!

Altro che museo romantico per coppiette, Venezia vibra sensuale trasudando passione.

Davide “Birillo” Valsecchi

Venezia: le nuvole tra i Canali

Venezia: le nuvole tra i Canali

Le nuvole tra i canali
Le nuvole tra i canali

«Se Lei ti pugnalasse alla pancia mentre ti bacia continueresti lo stesso a baciarla? Credo di sì, in fondo non mi hanno mai preso con una coltellata ed è parecchio che non mi regalano un bacio da brivido.»

Strani pensieri per questa mattinata leggera a Venezia, chissà da dove arrivano? Forse è colpa delle prigioni di ieri, i piombi ed il Casanova, forse è colpa delle Veneziane o forse è tutta colpa di quella maledetta o benedetta vodka.

In questa città bevono tutti come disperati, chissà, forse è perché qui si và tutti a piedi, non so. D’altronde come fai a non bere in mezzo agli artisti. Mi piacciono gli artisti, mi divertono. Parlano, parlano e parlano. Parlano sempre e raccontano il loro punto di vista sul mondo e sulla loro arte. Come fai a non bere?

Ci sono artisti ingenui ed allegri come bimbi che nuotano d’estate, altri hanno sorrisi degni di squalo ed altri ancora si gonfiano come ridicoli pesci palla. Mi piacciono e mi divertono. Sinceramente, senza scherzo o offesa.

In fondo l’arte è un po’ come l’acqua, ti scivola tra le mani e sfugge senza farsi mai veramente acchiappare. Libera fa tutto quello che gli pare e va dove gli garba. A volte si riposa e si lascia prendere ma è solo perché è vanitosa. Come l’arte, poi, se ci sguazzano in troppi diventa sporca e va bene solo per rospi e girini.

Lei corre, esplora e si muove viva nelle profondità della terra lungo canali nascosti e salta fuori nei posti più strani. Ecco perché mi piace andare a zonzo con Santambrogio. Quel pirata li vede quei sentieri segreti dove corre, è come un rabdomante e la segue con quel suo passo che pare svogliato. Credo proprio che la veda.

Quando la trova, quando raggiunge una nuova sorgente, alle volte si fa pure pigro. Perché chinarsi a raccoglierla, in fondo a lui è bastato trovarla e se la ride. Io no però, tiro fuori il mio bicchiere in inox con tanto di maniglia e mi godo l’acqua buona, e più è fresca e batte nei denti e più mi piace. Acqua Buona, il meglio dopo una gran camminata o un gran bevuta.

Oggi scivolo nei pensieri passeggiando per Venezia, Acqua Buona. Ogni tanto incontro un pozzo ma i veneziani li hanno chiusi tutti e mi fanno quasi tristezza quelle magnifiche piazze. Ma li riapriranno, Venezia si stancherà di acqua in bottiglia e acqua ferma. O forse continuerà a darci dentro con spritz e vodka, non so.

Che bello il cielo, mi piacciono queste nuvole sui tetti, sopra i canali. Chissà se qualcuno guarda mai il cielo a Venezia? Sarò l’unico sciocco o ci sono altri che son già finiti a mollo nel canale guardando queste nuvole?

Davide “Birillo” Valsecchi

Venezia: Il cuore della Notte

Venezia: Il cuore della Notte

Le sirene avevano suonato qualche ora prima preannunciando l’acqua alta ed ora, sotto una pioggia battente, alle undici di sera, la vedo crescere nel canale invadendo i vicoli sotto le luci dei lampioni.

Un metro e cinque, un metro e dieci dicono, io non sò che pensare, ancora non ho capito da dove si cominci a contare ma l’acqua è sopra il ginocchio ormai.

Poi mi arriva voce: l’acqua è salita a tal punto che l’ormeggio della nostra piccola e “trendy” barchetta fucsia è troppo basso e rischia di farla affondare, trascinata  a fondo dalla stessa corda che la trattiene ancorata ormai un metro sott’acqua. Bisogna uscire ed e rilegarla più in alto e lasco o domani dovremo ripescare tutta la barca.

Michele, il padrone di casa all’Hotel La Fenice, mi presta un paio di stivali e con Marco, il “pittoresco” comandante del nostro piccolo vascello, ci infiliamo in acqua arrampicando tra i muretti appesi alle grondaie. La nostra barca è di nuovo al sicuro ora ma noi siamo bagnati dalla testa ai piedi.

Ed è allora che la vedo, fradicio come un pulcino mi appare con un sorriso ed un bicchiere di Vodka. Accento veneziano e spalle scoperte in un grazioso vestito nero. L’acqua alta e la pioggia la trattengono in Hotel impedendole di tornare a casa fino all’Arsenale.

Così, sulle poltrone rosse, tra le opere esposte in concorso alla Fenice, i bicchieri di vodka si fanno due, tre e poi quattro fino a che il fondo della bottiglia si confonde con i sorrisi e l’ora tarda. L’acqua alta è scesa e la pioggia si è placata. Sono un montagnino ed ormai sono le quattro del mattino, non è cosa lasciare che torni sola fino a casa attraverso i vicoli ed i ponti.

“Posso accompagnarti?” le chiedo, “Solo se posso mostrarti Venezia di notte” mi risponde.

La città, che di giorno galleggia nonostante il peso dei turisti, la notte sembra più leggera, più morbida. Attraversiamo Piazza San Marco e passeggiamo lungo gli Schiavoni fino all’Arsenale mentre un vento freddo ed intenso soffia dalla Laguna.

“Grazie per la serata Davide” sussurra, “Grazie a te per avermi fatto da guida”. Fermo nel mio cappotto maledico la mia natura ingenua di montagnino.”Buonanotte”. Delicata mi bacia una guancia e poi, con una leggera carezza, scompare lenta dietro il pesante portone con un ultimo morbido sguardo.

Curiosa e misteriosa città è Venezia. Al solito impiego due ore per ritrovare la via del ritorno, perso tra i vicoli ed i pensieri. Mi piace questa città.

Davide “Birillo” Valsecchi

Venezia: Nonna Melia

Venezia: Nonna Melia

“Benvenuto a Venezia Birillo” Ecco quello che mi dice enzo appena entriamo nella trattoria di nonna Melia. Ad accoglierci una sigora anziana, dall’età indecifrabile, che accoglie con sincero affetto il suo “Lorenzo”. Sì, perchè il “buon” Santambrogio i quadri per nonna Melia li firma così, quasi una dedica speciale per questa signora che lo abbraccia gentile parlandogli in veneziano.
Il piccolo locale è colmo di fotografie e disegni, regali che i “nipoti” hanno portato in dono alla nonna di Venezia da tutto il mondo. Ci sediamo ad uno dei tavolini al finco di un gruppo di gondolieri, fermi per il pranzo bevono e scherzano facendo baccano.
“C’e l’ha poi fatta quell’americana a diventare gondoliere?” Chiede loro Enzo. I quattro ridono forte e scuotono la testa soddisfatti. Quella povera ragazza, che a detta di tutti porta la gondola un gran bene, non ce l’ha fatta neppure quest’anno ad entrare nella cerchia dei gondolieri. Nella città sull’acqua ci sono tradizioni solide come la roccia ed una donna alla forcola non è tra tra queste.
I quattro fanno sembre più baccano e si comincia a bere assieme, poi alla radio passano Inuendo dei Queen. “Questa sé bela! Alza il volùmé!” E trafficando con lo stereo riempiono la sala con Freddy Mercury a conferma che Venzia non è solo l’orchestrina che strimpella pezzi da operetta per i turisti di piazza San Marco.
Finito il caffè i gondolieri si alzano e, tutti in fila, pescano una giuggiola sotto spirito dal barattolo (“qui a venzia ‘ghe sé la pianta di giuggiole più vecchia del mondo!”) e se ne escono per tornare alla gondola dopo un affettuoso bacio di rito alla nonna.
Enzo paga il conto e poi regala a nonna Melia una delle sciarpe in kashmir che abbiamo comprato in India. Enzo si era veramente ricordato di Lei e ne aveva comprata una appsta quando eravamo a Leh. Lei se ne accorge, lo sà che i suo “Lorenzo” la pensa anche quando è lontano e quasi si commuove abbarcciandolo. Un bacio a testa e siamo di nuovo tra i canali.
Nemmeno a farlo apposta ci sfila davanti uno dei quattro gondolieri. Ha già il suo carico di turisti stranieri e canta a squarcia gola, ridendo, una versione immprovvista di “O sole mio”. Si inventa il testo al momento e lo condisce con le parole italiane più conosciute nel mondo. Ci saluta, poi dice qualcosa ai suoi clienti ed i giapponesi cominciano a scattarci foto come una mitraglaitrice. Siamo già celebrià e quella è la nostra esecuzione…
Ce ne andiamo a zonzo tra i vicoli meno noti ed è lì che ci imbattiamo in qualcosa diinatteso, qualcosa che può apparire banale ma che qui è una rarità: un albero. Anche questo è un piccolo segreto di Venezia…
Davide “Birillo” Valsecchi

Gli alberi di Venezia
Gli alberi di Venezia

«Benvenuto a Venezia Birillo» Ecco quello che mi dice Enzo appena entriamo nella trattoria di Nonna Melia. A riceverci una sigora anziana, dall’età indecifrabile, che accoglie con sincero affetto il suo “Lorenzo”. Sì, perchè il “buon” Santambrogio i quadri per nonna Melia li firma così, quasi una dedica speciale per questa signora che lo abbraccia gentile parlandogli in veneziano.

Il piccolo locale è colmo di fotografie e disegni, regali che i “nipoti” hanno portato in dono alla nonna di Venezia da tutto il mondo. Ci sediamo ad uno dei tavolini al fianco di un gruppo di gondolieri, fermi per il pranzo bevono e scherzano facendo baccano.

«C’e l’ha poi fatta quell’americana a diventare gondoliere?» Chiede loro Enzo. I quattro ridono forte e scuotono la testa soddisfatti. Quella povera ragazza, che a detta di tutti porta la gondola un gran bene, non ce l’ha fatta neppure quest’anno ad entrare nella cerchia dei gondolieri. Nella città sull’acqua ci sono tradizioni solide come la roccia ed una donna alla forcola non è tra queste.

I quattro fanno sempre più baccano e si comincia a bere assieme, poi alla radio passano Inuendo dei Queen. «Questa sé bela! Alza il volùmé!» Trafficando con lo stereo e riempiono la sala con la voce di Freddy Mercury a conferma che Venzia non è solo l’orchestrina che strimpella pezzi da operetta per i turisti di piazza San Marco.

Finito il caffè i gondolieri si alzano e, tutti in fila, pescano una giuggiola sotto spirito dal barattolo (“qui a venzia ‘ghe sé la pianta di giuggiole più vecchia del mondo!”) e se ne escono per tornare alla gondola dopo un affettuoso bacio di rito alla nonna.

Enzo paga il conto e poi regala a nonna Melia una delle sciarpe in kashmir che abbiamo comprato in India. Enzo si era veramente ricordato di Lei e ne aveva comprata una apposta quando eravamo a Leh. Lei se ne accorge, lo sà che il suo “Lorenzo” la pensa anche quando è lontano e quasi si commuove abbarcciandolo. Un bacio a testa e siamo di nuovo tra i canali.

Nemmeno a farlo apposta ci sfila davanti uno dei quattro gondolieri. Ha già il suo carico di turisti stranieri e canta a squarciagola, ridendo, una versione immprovvisata di “O sole mio”. Si inventa il testo al momento e lo condisce con le parole italiane più conosciute nel mondo. Ci saluta, poi dice qualcosa ai suoi clienti ed i giapponesi cominciano a scattarci foto come una mitraglaitrice. Siamo già celebrità e quella è la nostra esecuzione…

Ce ne andiamo a zonzo tra i vicoli meno noti ed è lì che ci imbattiamo in qualcosa di inatteso, qualcosa che può apparire banale ma che qui è una rarità: un albero. Anche questo è un piccolo segreto di Venezia…

Davide “Birillo” Valsecchi

Le porte segrete di Venezia

Le porte segrete di Venezia

Corto Maltese
Corto Maltese

«Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’Amor degli Amici, un secondo vicino al Ponte delle Maravegie, un terso in Calle dei Marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i Veneziani (qualche volta anche i maltesi) sono stanchi delle autorità costituite si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno in fondo a quelle corti, se ne vanno sempre in posti bellissimi e in altre storie»

Corto, Corto Maltese. Conoscevo poco le storie di questo marinaio ma quel giorno, a 5100 metri sul passo di Gunda La, i miei due compagni di viaggio non parlavano d’altro. Enzo e Roberto. Uno di Asso e l’altro un italiano, un toscano o giù di lì, che ora viveva in tailandia dopo aver fatto il sommelier per docici anni a New York, in un ristorante di lusso a Manhattan.  Noi l’avevamo incontrato tra i monti del Marka, a spasso con un asino ed un mezzo monaco tibetano come guida.

Manhatta.  Noi l’avevamo incontrato tra i monti, a spasso con un asino ed un mezzo monaco tibetano come guida.

Le cose che conosco di Corto le ho imparate lassù, tra i monti dell’Himalaya, da due sinceri compagni di viaggio suoi amici.

Poi Enzo, come succede spesso in trattoria dalle “Zie”, mi ha guardato ghignando seduto dall’altro lato del tavolo. In mezzo al rumore dei muratori e degli operai che mangiano, tra i piatti e le caraffe di vino sfuso della Giusy, mi ha semplicemente chiesto: “Andiamo a Venezia Birillo? Andiamo a cercare le porte di Corto?”.

Così è nato il nostro viaggio,  Enzo ed io, i due Assesi.  Ospiti dell’Hotel “La Fenice et Des Artistes” avremo una settimana per esplorare la Serenissima sulle tracce dell’eroe di Hugo Pratt, l’artista italiano che ispirandosi alla sua città d’adozione, Venezia, diede vita alle indimenticabili storie di Corto Maltese.

«…in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di un shed, ovvero di un demonio della casta di Shedim, generata da Adamo durante la sua separazione da Eva, dopo l’atto di “disubbidienza”. Ogni porta si apriva con una parola magica, che era poi il nome del demone stesso. Li ricordo ancora quei nomi terribili: Sam Ha, Mawet, Ashmodai, Shibbetta, Ruah, Kardeyakos, Na’Amah…»

Una città sull’acqua, un prodigio ed una finzione che fanno di Venezia una città misteriosa, calda e fredda, immobile e mai ferma. Tra le ombre dei suoi vicoli, delle sue piazze che qui sono dette Calle e Campi, si agitano storie e racconti ammantati da secoli di storia. Cosa vi aspettate di trovare? “Io non trovo nulla, mi accontento di cercare” vi risponderebbe Corto.

Ora ci attende un treno, in partenza dalla stazione di Como: “…è inutile fare progetti, sarà Venezia a decidere quello che sarà”, sarà Lei a decidere quale storia che vi racconteremo questa volta.

La prossima volta vi scriverò da Venezia ma, prima di partire, voglio lasciarvi i colori ed i suoni che vibrano nella mia mente con un piccolo omaggio visivo a Corto, l’introduzione de “La corte sconta detta Arcana”.

Davide “Birillo” Valsecchi

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