La capanna del Diavolo
Ogni tanto mi vengono le fisse: in questi giorni volevo andare dall’oculista a Como, il guiao è che mi ero fissato con l’andarci a piedi partendo da Asso. Enzo, che praticamente va a Como ogni giorno, me ne diceva di tutti i colori ma, si sà, quando mi fisso è difficile smuovermi.
Così stamattina mi sono svegliato, ho infilato gli scarponi e sono uscito di casa. Il piano era risalire i costoni sopra Asso ed agganciarsi alla dorsale Brunate-Bellagio. In cinque o sei ore a piedi avrei dovuto essere a destinazione. Volevo andare a Caslino passando sotto la frana di Scarenna ma mi sono lasciato attrarre del sentiero che da San Giovannino e Paolo sale verso Dosso Mattone. Ci è voluta un oretta per salire fino al crinale e da lassù la foschia offuscava purtroppo il paesaggio.
Ho seguito la costa della montagna lasciando il sentiero ed addentrandomi tra i prati ed i boschi. Stavo cercando la via più breve per raggiungere il Palanzone e da lì la capanna Mara, il Bolettone, il Boletto e San Maurizio sopra Como. Nel bosco, poco prima della cima del Barzaghino, mi è schizzato davanti un piccolo capriolo nel suo manto estivo rosso intenso mentre, superato qualche gruppo di pecore, continuavo ad orientarmi tenendo d’occhio la valle di Caslino.
Anche camminando nel bosco sono stato costretto a scendere nella gola per poi risalire sull’altro versante: alla fine avevo fatto un sacco di strada inutile, se avessi tagliato direttamente per Caslino ed il Pizzo dell’Asino avrei decisamente accorciato.
Sul crinale in mezzo al bosco ho intravisto una specie di straccio teso tra i rami dall’aria curiosamente tribale, così mi sono avvicinato per vedere meglio. All’inizio pensavo fosse qualcosa fatto dai boy scout o qualche improvvisato riparo per le pecore ma, da vicino, non appariva affatto qualcosa di simile. Era infatti una specie di intelaiatura per una capanna indiana fatta con sottili rami che, all’estremità verso il cielo, erano stati dipinti di rosso. Il piccolo spazio che sembrava fungere da porta era stato colorato a strisce bianche. Ma ciò che realmente colpiva era il drappo di iuta che ornava tutta la parte alta della struttura, in particolare i suoi disegni.
Erano infatti volti dai grandi occhi, figure dall’aspetto umano ma dotate di due gambe in più con chiaramente visibile il sesso ed un paio di corna sulla testa. Sopra l’ingresso un animale dagli occhi rossi con corna o orecchie a punta. Intrigante come incontro, dai disegni sembrava la Capanna del Diavolo.
In valle un sacco di gente vocifera di riti o superstizioni e Gagliardi Senior, nostrano luminare dell’anti-occultismo , ha riempito libri interi sull’argomento. Persino il povero Enzo, quando per il suo locale aveva usato come simbolo il profilo vagamante antropomorfo di un innocuo “cava-rape” agricolo, era stato oggetto di voci e accuse dal sapore inquisitorio.(Beltramina docet… )
L’ignoranza e la faciloneria creano supestizione e per questo mi sono guardato in giro cercando di capire meglio cosa “diamine” fosse quell’affare. I disegni erano abbastanza inequivocabili ma tutto intorno non c’erano nè rifiuti nè segni di un fuoco o un falò. Il posto era isolato ma mi sono reso conto che eravamo appena sopra Enco sebbene lontano dai sentieri battuti.
Sono entrato nella piccola capanna ma all’interno non vi erano altri simboli o oggetti. Lo spazio ristetto era sufficiente per una persona sola ma troppo basso per stare in piedi. Sembrava una di quelle piramidi in cui ci si infilano a meditare quelli che praticano il culto egizio di Ra o qualcosa di molto simile.
Era tutto troppo semplice, pulito, attento ed allo stesso tempo esplicito sebbene approssimativo. Questo escludeva la bravata ed il gioco dei bambini complicando al contempo la faccenda. Ho continuato ad investigare e nelle vicinanze, ad una ventina di metri dalla strana capanna, ho trovato una confezione vuota di medicinali: Tegretol in compresse da 400 milligrammi.
Li per lì non mi diceva nulla ma Internet mi ha poi illuminato: Tegretol a base di carbamazepina, un farmaco di prima scelta nella terapia delle nevralgie del trigemino e delle epilessie del lobo temporale, si è rivelato un ottimo composto da impiegare sia nella terapia che nella prevenzione delle crisi maniacali, nella prevenzione delle ricadute depressive in corso di depressioni ricorrente, nella terapia di sindromi psichiatriche e psicoorganiche caratterizzate da deficit del controllo degli impulsi.
La questione si è fatta interessante aprendo scenari piuttosto variegati. Lassù non ho percepito nulla di “sovrannaturale” ma quelle medicine possono indicare forse qualcuno in difficoltà e per questo, To Whom It May Concern, ecco le coordinate della capanna: [45.857156,9.230522]
Parlando di cose dal sapore esoterico mi piace ricordare, perchè fondalmente mi diverte parecchio, che tempo fà Giovanni Conti, riferendosi al mio racconto Into the House of Vodoo, dichiarò ai giornali: “Non credo si dovrebbe scherzare quando si parla comunque di religione. Quando scrive Valsecchi è a mio parere offensivo e privo di senso“. Recentemente però qualcuno ben più concreto della mia immaginaria strega ha ribadito quella che ora mi appare come una profezia: “…ora farebbero meglio a lasciar stare le tue piante, nzungo”. Accidenti, quando dai un buon consiglio non ti ascoltano mai…
Non so perchè alla fine sia finito lassù, ormai ci ho fatto l’abitudine a finire nei posti più strani. Tuttavia ero fuori strada ed in ritardo sulla tabella di marcia e così, quando Enzo mi ha chiamato per andare a mangiare in trattoria, sono sceso a perdi collo verso il paese pronto per il pranzo.
La fissa mi era passata, forse quello che dovevo vedere “andando a piedi a Como” l’avevo ormai visto. Sul perchè dovessi vederlo non ho risposta da darvi.
Davide “Birillo” Valsecchi
“Quanti angeli possono ballare sulla punta di uno spillo? Dipende dalla musica”