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45 minuti “Caldi” a Zanzibar

45 minuti “Caldi” a Zanzibar

Mkuyu
Mkuyu

Mentre facevamo rifornimento a Stone Town, qualche giorno fa, mi sono infilato a curiosare in una piccola bottega piena di vecchi libri ammonticchiati alla rinfusa. Ingialliti e mezzi sfasciati molti erano per lo più romanzi, edizioni economiche probabilmente abbandonati dai turisti, c’erano un po’ tutte le lingue. Nel mucchio però anche vecchie guide dell’isola ed anche un malconcio libricino in inglese con stralci della storia di Zanzibar. Visto che mi piacevano le vecchie illustrazioni anche se era senza copertina me lo sono accaparrato per un pugno di Shellini.

La storia di Zanzibar è complessa, sull’isola sono passati un po’ tutti: portoghesi, sultani ottomani, consoli britannici e tedeschi. Dopo l’apertura del Canale di Suez, nel 1869, Zanzibar divenne la porta d’Africa per l’oro nero, che all’epoca non rappresentava il petrolio ma bensì la tratta degli schiavi. Qui hanno tenuto banco figure terribili come il celebre e spietato negriero Tippu Tip e, su tutta l’isola, si possono ancora vedere i segni di tale violenza nelle vecchie caserme di smistamento, le costruzioni dove venivano ammassati gli schiavi catturati nel continente in attesa di essere “esportati”.

Solo agli inizi del ‘900 fu posto fine ai traffici ma gli strascichi che lasciarono nella popolazione durarono a lungo. Nel 1964 una delle cause che portò alla violentissima rivoluzione sull’isola fu proprio l’odio dei neri contro gli arabi omaniti, eredi dei vecchi sultani schiavisti. In una notte, l’11 Gennaio del 1964, furono barbaramente uccise sulle bianche spiagge di Zanzibar quasi 14.000 persone!! Il famoso documentario “Africa Addio” mostra proprio i cruenti scontri di quel giorno. A guidare il massacro pare fosse una banda di 600 guerrieri addestrati dai cubani. Ernesto Che Guevara, per cui non nutro molta stima, ufficialmente arrivò a Dar er Salam solo nel Dicembre del ’64 ma è quasi certo che avesse personalmente allestito un campo di addestramento nella regione sud del Tanganica, regione dove siamo diretti anche noi e da cui prese vita la sua guerriglia in Congo. La guerra fredda ha avuto in Africa molti dei suoi più cruenti scontri, molti dei quali sconosciuti ai più.

Ma voglio raccontarvi un passaggio tratto dal libro meno legato ai giorni nostri che può dare un idea di cosa fosse il colonialismo agli inizi del secolo (ho fatto del mio meglio con la traduzione dall’inglese): Seyyid Khaled Bin Bargash irruppe alle ore 16 del 25 Agosto 1896 nel palazzo del Sultano, il Beit-el-Sahil, e con l’appoggio del consolato tedesco e di 2500 soldati si proclamò Sultano di Zanzibar in barba al protettorato britannico.

Il rappresentante di Sua Maestà, Sir Basil Cave, telegrafò al Foreing Office per ricevere istruzioni ed ottenne questa secca risposta:“Ha Carta Bianca per procedere come ritiene più opportuno”.

Due incorciatori della Royal Navy si trovavano già in porto, l’H.M.D. Philomel e l’H.M.S Trush. Dalle navi sbarcarono un contingente di marines e blue-jackets che si asserragliarono negli edifici della vecchia Dogana e nel Consolato inglese, presso il quale si erano nel frattempo rifugiati tutti i civili europei. Nel tardo pomeriggio arrivò in porto l’incrociatore leggero H.M.S Sparrow che gettò l’ancora 150 metri di fronte al Palazzo del Sultano. L’usurpatore, dal canto suo, si era barricato nel palazzo con i suoi duemila fedelissimi armati di moschetto, 2 cannoni da 12 libre, una mitragliatrice a canne rotanti Gatling ed addirittura uno dei tre cannoni in bronzo appartenuti ai portoghesi nel diciassettesimo secolo. La mattina seguente si aggiunsero in porto davanti al palazzo anche la cannoniera H.M.S Racoon ed il potente incrociatore H.M.S Saint George. Gli inglesi diedero un ultimatum al Sultano e quella, si narra, fù la notte più lunga e silenziosa di Zanzibar.

Il giorno successivo, in pieno stile inglese, alle ore 7:30 del 27 agosto 1896 tutti i civili furono invitati “a colazione” sul Saint George per “assistere alle operazioni belliche”. Alle ore 8:30 il Sultano inviò il seguente messaggio:“Non abbiamo nessuna intenzione di ammainare la nostra bandiera e non crediamo che abbiate il coraggio di far fuoco su noi”. Per dare forza alle sue parole alle 8:45 fece puntare i cannoni ad avancarica, vecchi di quasi tre secoli, contro le moderne navi da guerra inglesi. Alle ore 9:00 esatte il Racoon, lo Sparrow ed il Thrush aprirono il fuoco contro il palazzo del Sultano e sul Beit-el-Hukm, l’harem.

Dopo solo 45 minuti la bandiera del sultano fu ammainata ed il Contrammiraglio Rawson diede il cessate il fuoco. La quantità di colpi e proiettili sparati dalle tre navi aveva completamente disintegrato le facciate dei due palazzi, solo la House of Wonder non fu danneggiata mentre il resto fu quasi raso al suolo. Khaled si diede alla fuga tra i vicoli trovando rifugio a Dar es Salaam dove chiese asilo politico ai tedeschi.

Alle 11:00 dello stesso giorno fu procalmato il nuovo legittimo Sultano che venne salutato da una salva di 21 colpi (non avevano sparato abbastanza quel giorno!!) dalle navi da guerra in rada. I civili europei vennero gentilmente ricondotti a terra e fecero ritorno, sani e salvi, alle rispettive abitazioni giusto in tempo per il pranzo…

Questo era il mondo poco più di un secolo fa!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Nota. L’albero nella foto sorge poco distante dalla House of Wonders ed è “molto” vecchio. La targa era in inglese e credo che la specie sia Ficus Religiosa (Mkuyu in Swahili), è una meta di pellegrinaggio per buddisti ed induisti ed ovviamente i locali gli attribuiscono poteri magici. E’ un monumento nazionale, testimone della storia di Stone Town. E’ irritante pensare che in Africa una pianta di fronte ad un palazzo storico sia tutelata come monumento mentre ad Asso spianano quelle davanti al Palazzo del Comune per farci una rotonda per camion: magari avessimo anche noi carta bianca per liberare il Palazzo del Sultano!!

(Cima-Asso.it: il punto di incontro tra mondi lontani ed il nostro amato paese….)

In alto mare con Dusko

In alto mare con Dusko

Spellbound
Spellbound

Io ed Enzo siamo sempre in bolletta ma, necessità virtù, non difettiamo mai di ingegno. Uscire in barca sull’oceano costa al giorno dai 300 dollari in sù, ben oltre le possibilità del nostro piccolo budget che, tra l’altro, deve sostenerci ancora per oltre un mese. Tuttavia la fortuna e il “Signur di Ciöc” ci assistono sempre.

Dusko è uno slavo che vive a Zanzibar da quasi vent’anni (da poco prima della guerra in Yugoslavia) e che gestiste una barca per la pesca sportiva d’altura: la fortuna ha voluto che Dusko abitasse proprio affianco al laboratorio di Vivide e che, ogni volta che rientrava a casa, ci trovasse indaffarati con cannello e saldatore a trafficare sulle sculture in ferro. Così, qualche settimana fa, ci ha chiesto se potevamo saldargli un bullone in acciaio per la barca. Enzo, che ha lavorato anche nella nautica, ha fatto un ottimo lavoro e da quel giorno è cominciato il pellegrinaggio di Dusko con i pezzi da riparare. Da queste parti trovare un buon saldatore è raro e così, per sdebitarsi, Domenica ci ha portato a pesca sull’Oceano. Spettacolo!!

La mattina, visto che è stagione delle piogge, c’è stato un grosso acquazzone ed il cielo era grigio mentre il mare rinforzava. A mezzogiorno, quando la marea ha cominciato a salire, ci siamo presentati sulla spiaggia. Con un piccolo tender abbiamo raggiunto il motoscafo d’altura di 15 metri, la Spellbound. A bordo Dusko, Mado, il capitano della nave anche lui slavo, e tre aiutanti zanzibarini. Caricato il tender abbiamo puntato il largo attraversando con cautela la barriera corallina.

Al di là della barriera il mare si è fatto subito scuro e le onde, le ochette, si sono fatte subito sentire agitando la barca. Sono salito sulla torretta, il pulpito da dove si guida la barca, insieme a Dusko e al Capitano e mi sono aggrappato ad un montante sporgendomi oltre il parapetto per guardare il mare. L’orizzonte era grigio carico di pioggia, il mare agitato si divertiva ad scuotere la barca come una giostra mentre le onde trasformavano il paesaggio in qualcosa di vibrante e vivo. I due confabulavano in slavo fino a che Dusko, con il suo pesante accento dell’ est, mi si è avvicinato per dirmi “Reggiti Davide, ora facciamo prova motori. Andiamo un po’ più veloce”. La barca ha sbuffato vibrando e ci siamo fiondati a tutta forza contro le onde precipitando lungo i pendii e le creste. In un attimo ero fradicio, con un sorriso compiaciuto da idiota mentre me ne stavo aggrappato a godermi lo spettacolo. Quando quattro delfini in formazione sono schizzati sotto di noi saltando affianco alla barca sono quasi scoppiato a ridere: i due strampalati assesi alla conquista dell’oceano!!

Dusko, non avendo clienti a bordo, approfittava dell’uscita per testare nuovi materiali e per addestrare il suo equipaggio zanzibarino. Non dava ordini ma si limitava a fare domande in inglese ai suoi ragazzi mentre montavano tutte le canne ed attrezzavano il necessario per la pesca. Per me è stata una gran fortuna, quasi come assistere ad una lezione: Dusko interrogava, ascoltava le risposte e correggeva spiegando. Su entrambi i lati della barca hanno posizionato in appositi supporti 3 pesanti canne da pesca con grossi mulinelli. Rapala grossi come il mio avambraccio e grossi pesci come esche, mentre le lenze venivano calate per quasi duecento metri dietro la barca. Due aste di quattro metri poste ai fianchi allargavano lo spazio orizzontale in cui disporre le lenze. Quando tutto è stato pronto i ragazzi controllavano le canne mentre Dusko coordinava la barca in slavo urlando con Mado al timone: la Spellboud era pronta, tutto era preparato per catturare i misteri del mare.

Nelle due ore successive le frizioni dei mulinelli hanno dato qualche falso segnale ma senza pesce, procedavamo verso il mare aperto e la costa quasi non si vedeva più. Enzo all’improvviso mi chiama mentre si aggrappa al parapetto: “Birillo, fammi la foto mentre vomito!!” Quello stupido tirava su l’anima salutandomi con il pollice alzato come Fonzie: è proprio tutto matto alle volte!! Io invece me la spassavo standomene appollaiato vicino alle canne e sperando in qualche segnale, aspettando il grande pesce.

Dusko mi ha offerto qualche biscotto mostrandomi la carta elettronica sul computer di bordo: “Oggi giornata difficile, poca luce. Pesce non vede bene e mangia poco. Ora andiamo qui. Qui sempre trova pesce”. La barca avanzava tra le onde ed io cercavo di utilizzare tutto il mio corpo per mantenere il mio barricentro come un cowboy a cavallo. Mi rendo conto che i marinai, quelli veri, diventano un tutt’uno con la barca, sembrano immobili perchè solidali ma, in fondo, l’effetto rodeo è ciò che mi piace dell’andare in mare. Enzo, che non la smetteva di vomitare, probabilmente direbbe il contrario.

“Guarda” Dusko mi indica un punto nel mare e l’acqua si riempie di schegge d’argento. Incrociamo un branco di delfini, oltre una cinquantina, che saltano fuori dall’acqua in piccoli gruppi. Riusciamo anche a sentire il loro tipico verso mentre ci schizzano attorno.“Dove c’è delfino c’è piccolo pesce ma troppa confusione per pesce grande che scappa” Mi spiega Dusko. Poi mi viene una domanda spontanea “Ma non abboccano i delfini alle nostre esce?” Dusko sorride “Delfino troppo inteligente per nostri piccoli trucchi, lui non casca in inganno”. Meglio così.

La Spellbound procede ancora ed ormai erano due ore e passa che era scossa dalle onde. Una frizione comincia a cantare mentre alle nostre spalle qualcosa salta fuori dall’acqua in un guizzo. La Spellboud si ferma mentre i ragazzi recuperano le canne e passano a Dusko quella dove è ferrato il pesce. Dusko si piazza sulla seggiola da pesca che assomiglia, in modo vago, a quella di un ginecologo. Bloccata nella sedia, Dusko, piega la canna e facendo forza sulle gambe la tira a sè. Quando ha guadagnato filo recupera con il mulinello sporgendosi di nuovo in avanti. Ad ogni trazione e recupero tira sempre più vicino il pesce che si dibatte a quasi duecento metri di filo dietro la barca.

Quando issano il pesce a bordo è un Dorado, quello che da noi si chiama Lampuga ed in Swahili è il Pange. Pesa oltre 5 kili, è lungo quanto la mia gamba con un colore dorato ed il muso tozzo. “Questa esca funziona, ora proviamo altra” Dusko stava facendo esperimenti e per questo le catture erano scarse. Tuttavia stavo imparando un sacco di cose sulla pesca in mare e sulle manovre degli aiutanti da essere comunque più che soddisfatto. Poi è toccato a me tirar su il pesce!!

Un altro Dorado si era attaccato all’amo e Dusko mi ha passato la canna per recuperarlo: una delle cose più faticose mai fatte in vita mia!! Il pesce, che era sui 4 kili e quindi “piccolo” per gli standard locali, si dibatteva ed il peso della lenza si faceva sentire come un macigno. Facevo forza sulle gambe coordinandomi nel recupero ma la mia imperizia era tutta da vedere. Qualche giorno prima Dusko aveva catturato un Marlin di 80 kili dopo 20 minuti di lotta: non ho idea di quanto possa essere duro un simile scontro. La mente correva nei ricordi de “Il vecchio e il mare” ed il “piccolo” Lampuga diventava in un attimo un gigante tra tutte le arborelle pescate da bambino sotto il ponticello di Cranno.

La cosa buffa è che Enzo, mentre recuperavo il pesce, faceva fotografie alle mie smorfie e poi, dopo lo scatto, si sporgeva oltre il parapetto a vomitare. Ho la sua autorizzazione a scrivere che “non ha lo stomaco per il mare aperto”, però gli va dato merito di un certo spirito nell’affrontare un simile disagio. In qualche modo, il “satanasso”, se la cava sempre.

Nelle ore successive abbiamo continuato ad esplorare il mare e a testare esche con risultati alterni. Nessun altro pesce ha deciso di lasciarsi prendere e così, quando ormai il sole era tramontato, abbiamo fatto ritorno verso casa illuminando le onde con il faro. Una volta alla barriera siamo rientrati affidandoci quasi interamente all’eco-scandaglio e alle mappe per superare indenni il corallo. Sembrava di stare sull’Ottobre Rosso.

Per chiudere la serata Dusko, dopo una rapida doccia, ci ha invitato a cena cucinando spaghetti ed uno dei Lampuga. Ci siamo scolati un po’ di birre ascoltando racconti di mare e di pesca per poi crollare quasi incoscienti per la stanchezza nelle nostre brande. Mentre avevo ancora il mare nel letto e le onde continuavano a scuotermi il materasso con il “mal di terra” mi sono tornati in mente i delfini e la sensazione viva del vento e degli spruzzi d’acqua salata. Un anno fa ero in Tibet sul tetto del mondo ed oggi ero a pescare nell’oceano. Ogni tanto mi sento uno stupido che sta perdendo il controllo della propria vita, ogni tanto però diventa così intensa che è impossibile non sentirla mia. Non so cosa diavolo stia combinando ma mi piace e forse può andar bene anche così, su una barca di slavi con Enzo che vomita in mezzo all’oceano.

Notte gente, aspettando l’Africa un abbraccio da quello squinternato di Birillo.

Davide “Birillo” Valsecchi

Asante sana Zanzibar, arriviamo Africa

Asante sana Zanzibar, arriviamo Africa

Campo Base ZanzaForceOne
Campo Base ZanzaForceOne

Qualche giorno fa vi ho parlato dell’equinozio e dell’arrivo, puntuale come un orologio svizzero, della stagione delle piogge.

Il clima qui è veramente strano, il cambiamento è stato radicale. Impossibile non accorgersi del cambio di stagione. Ogni giorno piove almeno un paio di volte, la temperatura si è solo leggermente abbassata ma il sole non morde più la pelle. La luce è diversa, i colori sono meno accesi, meno brillanti ed il cielo è affollato di nuvole. Lo sfavillio ed il brio dell’estate è sparito nel giro di una notte, ora tutto sembra più quieto. Non c’è più il vento che soffiava ogni sera ed il mare è quasi sempre piatto e di un colore meno brillante.

Anche gli ultimi turisti sono scomparsi e nessuno prende più il sole in spiaggia, i bambini sono finalmente liberi di giocare a palla sulla sabbia. I ragazzi che gestiscono i baretti ed i chioschi stanno cominciando i preparativi per tornare sul continente e si fermano volentieri a chiacchierare con i due nzungo coperti di ruggine. Fino alla fine di Luglio la magnifica isola tropicale di Zanzibar si riposerà nella tranquillità delle sue piogge pomeridiane.

Fino a pochi giorni fa i colori, i profumi, il rumore del mare e l’intenso calore del sole sembravano trasudare vita: era l’apice esplosivo di questa natura tropicale. Era impossibile non essere coivolti da quell’ambiente, da quella tensione quasi palpabile. Ora, raggiunto il suo massimo, perpetrata la vita attraverso i frutti dell’estate, sembra che ogni cosa si riposi. La quiete dopo la frenesia riproduttiva. Ho idea che Madre Natura, esausta e spettinata, si sia accesa una sigaretta e stia facendo grandi anelli di fumo compiaciuta: anche quest’anno la vita ha fatto il suo corso, ora preparerà la valigia per andare ad accoppiarsi dall’altra parte del mondo.

Anche noi abbiamo quasi terminato le nostre attività artistiche con Vivide e gli altri fundi. Tra poco più di una settimana lasceremo l’isola per cominciare la nostra esplorazione del continente, l’altra metà del nostro viaggio. Cosa ci aspetti ancora non lo so, Zanzibar è una piccola isola, quasi un’eccezione in Africa.

Io mi sento come dopo una festa, dopo una lunga serata ad una mostra di Enzo: hai lavorato, parlato con tante persone, raccontato viaggi, ti sei divertito ma la stanchezza comincia a farsi sentire e non vedi l’ora di smontare i pezzi e andartene a dormire. La musica è finita, le luci sono più morbide ed il locale è quasi vuoto e silenzioso. Ti concedi un goccio di rum o un montenegro al bancone per chiudere serata ma, mentre ti godi la “santa pace”, vedi la ragazza che hai tenuto d’occhio tutta la sera: si è fermata per un’ ultima sigaretta o forse solo per fare due chiacchiere. Guardi il bicchiere, potresti andartene a casa, far finta di niente, ma Lei è qui, ora. Devi scegliere. Lei ti guarda e prima che tu te ne renda conto hai attaccato bottone, stai scambiando due parole ma ancora non sai nemmeno se ti interessa, nemmeno se le piaci. Però sei lì, tra il bicchiere ed i suoi occhi che ti guardano.

Le luci ed i fasti dell’estate sono finiti lasciando posto al chiaro scuro e ai colori morbidi dell’autunno. La ragazza che mi guarda, appena al di là del mare, si chiama Africa. C’è gente che ha perso la testa per Lei. Potrei andarmene, è passato un mese e mezzo, potrei tornarmente a casa, ma Lei è qui. Mi guarda ed abbiamo già cominciato a parlare anche se non so molto di Lei. Speriamo di non far brutta figura, speriamo di piacerle.

L’esperienza mi ha insegnato che è inutile cercare di scoprire i segreti di una donna: non servono trucchi, ti mostrerà di Lei solo quello che ha già deciso di mostrarti. E’ più dignitoso spogliarsi dei preconcetti e semplicemente stare a guardare quello che succede. In fondo non è nemmeno la prima volta che mi ritrovo nudo con gli scarponi…

Asante sana Zanzibar, arriviamo Africa!!

Davide “Birillo” Valsecchi

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