[TeoBrex] Veronica, Andrea (Maconi) ed io ci ritroviamo questa mattina a Strozza (Bg) per riprendere in mano la risalita interrotta la scorsa volta per mancanza di corde. Arrivati alla partenza di MC4 salgo per primo in quanto a questo giro la mia sacca risulta essere incredibilmente la più leggera, Andrea mi avverte che sul balconcino a 3/4 della risalita Felicita ha gentilmente lasciato una 70m per proseguire, salendo la porto alla partenza delle due risalite in programma. Tutti e tre di nuovo insieme decidiamo il da farsi… Avevamo lasciato un ramo che prometteva bene sulla sinistra ed un finestrone sulla destra da raggiungere con mezzi di alta tecnologia (ramponi e due picche) in quanto inclinato di circa 60° e composto per il 100% da fango. Optiamo per il rametto promettente, salgo in libera per qualche metro e non volendo sprecare fix e dovendo montare su un balconcino mi cimento nel lancio della scaletta attorno ad una concrezione: 1shot-1kill.
Sono passato ma la situazione non sembra buona. Armo doppio per far salire Veronica ed Andrea e concludiamo che non vale la pena andare oltre sprecando materiale e tempo: qualche metro piu sopra chiude! Mesti torniamo al balconcino ed Andrea si getta all’arrembaggio ed inventa un gran traversone per evitare la fangazza. Terminata la risalita prepara un ancoraggio doppio per permettere a Veronica di salire dal basso mentre io mi occuperò del disarmo del traverso in salita per recuperare corda e materiale. Ora siamo affacciati su un pozzo, sorpresa! Andrea prepara tutto e Veronica attrezza il pozzo successivo, ma in fondo tra le rocce scorgiamo un segno rosso: quindi laggiù è già stato rilevato! Ma in alto un’altra risalita ci attende…
Io scendo il pozzo e torno alla base di partenza dell’MC4 per recuperare il materiale e le corde disarmando in salita, mentre Veronica ed Andrea affrontano la risalita. Sbaglio bivio e mi ritrovo in un luogo che non ricordavo, giro i tacchi e capisco subito dove avevo stupidamente sbagliato strada. Arrivato alla base salgo e disarmo risalendo e ritornato da loro con piastrine, moschettoni e tre belle bambole di corda non proprio leggere, saliamo nel nuovo ramo in libera esplorando mentre il buon Andrea chiude le fila della truppa rilevando e prendendo appunti per la mappatura del nuovo ramo stupendamente concrezionato. Davvero un gran bel luogo, non fosse per la decina di centimetri di fangazza che ricopre quasi ogni cosa!!!
Conciatissimi anche questa volta, raduniamo il materiale e scendiamo verso il livello superiore (rispetto a dove siamo partiti) della miniera raggiunto con l’ultima calata nel vuoto.
La risalita totale MC4 si attesta attorno ai 45m, mentre la successiva ne sale una quindicina e da lì si proseguiranno le esplorazioni (magari con una corda la prossima volta ahah), mentre sommando i due pozzi arriveremo intorno alla ventina di metri di calata. Lasciamo ben armato per la prossima volta.
Altra grande giornata di condivisione, Grazie per l’invito.
TeoBrex – Domenica 3 Dicembre 2017. Quasi tutti puntuali al solito bar di Cuveglio (VA), presenti al primo appello: Ferruccio, Franz, Veronica, Karin, Io, Luca, Cristina, Romano e Sheila. Ci raggiungeranno poi Aldino e Stevic. Una squadra entrerà dall’ingresso principale della grotta San Martino mentre l’altra entrerà da Ingresso Willy per ultimare dei lavori di messa in sicurezza. Tutta la valle è surgelata e la temperatura è sottozero, ci cambiamo in fretta ed entro veloce ad armare il primo pozzo. Ce la prendiamo con comodo, sacche leggere e grandi risate, una gran bella compagnia di randagi. Arrivati con calma al ramo a cui abbiamo dedicato tempo, sangue, sudore, bestemmie e fatiche ci fermiamo a mangiare qualcosa, le donne della spedizione andranno dirette al fondo passando per la maledetta strettoia della chiocciola. Raggruppatasi la squadra ci raggiungono Franz e Luca, il figlio di Willy (a cui abbiamo dedicato il nuovo ingresso) e ci avviamo uno alla volta nel meandro che collega la San Martino con il suo nuovo Ingresso Willy. Ad attenderci fuori al gelo ci sono Aldino e Stevic in compagnia della moglie di Willy. Si, perché questa attraversata goliardica è stata organizzata per ricordare Willy che qualche mese fa ci ha lasciato. Abbiamo posato una targa in sua memoria ben visibile poco prima di infilarsi strisciando nel budello. Momenti toccanti e di condivisione. Fer, Karin, Io, Romano e Sheila ci avviamo a piedi verso la vetta di San Martino tagliando per i boschi, tutti si cambiano ed io rientro al volo a disarmare il primo pozzo. La giornata si concluderà in pizzeria a far casino come sempre. Abbiamo registrato alcuni video e scattato foto durante l’attraversata che serviranno come materiale per una serata che organizzeremo a Febbraio dove presenteremo le nostre esplorazioni, il rilievo, le ricerche e le future prospettive di esplorazione. Le domeniche che non si dimenticano.
[TeoBrex] Ci sono numeri telefonici che andrebbero composti con moltissima attenzione, in quanto portatori di esplorazioni ed avventure fuori dal normale. Sabato pomeriggio ero immerso nella lettura del gran libro di Andrea Gobetti “Storie di SOCCORSO SPELEOLOGICO” mentre accanto a me il felino dormiva sognante e fuori dalla finestra il cielo si preparava a scaricare di nuovo pioggia come violentemente aveva fatto venerdì notte mentre tornavo con amici del neonato GRUPPO SPELEOLOGICO TIVANO dalla nuova sede del GRUPPO GROTTE MILANO dopo aver passato una gran bella serata di condivisione sulla Speleologia Esplorativa.
Chiamo Ivan giusto per fare “quattro chiacchiere” e dopo un attimo ecco fulminea la proposta. Come volevasi dimostrare. Senti un po’ Teo, tuona il Guerini, domani non riusciremo a tornare per aprire nuove vie in parete lassù perché in Montagna danno pioggia sino alle otto, invece qui in città dalle tre dovrebbe smettere per poi lasciare spazio al sole, ascolta la mia proposta: verresti con me a vedere una paretina di conglomerato in un luogo terribile e dimenticato di Milano? Prima andiamo a fare un po’ di riscaldamento alla montagnetta, poi vediamo se la roccia sarà asciutta e nel caso andremo al parco a ripetere dei tiri sulle rocce dove noi giovani nati negli anni cinquanta andavamo ad arrampicare durante le pause di scuola e nei pomeriggi. Impossibile rinunciare ad una proposta del genere, appuntamento a Milano alle 9.30.Aperitivo a casa del Tasso Capobranco Birillo per festeggiare il compleanno di Bruna e ritorno verso casa molto presto.
Arrivo alla rotonda di Erba pensando che al mio locale preferito è in svolgimento una serata PostPunk e DarkWave ed un evento del genere al Rock Pub Centrale so bene cosa significa: ballare, bere qualcosa (poco nulla visto che sono sempre alla guida e la macchina da sola non viaggia) e tirare l’alba al parcheggio chiacchierando. L’auto tira dritta verso casa, la vita è fatta di scelte ed ora come ora preferisco l’esplorazione al divertimento. Preparo uno zaino leggero, mi sparo lo Jägermeister surgelato della buona notte e mi fiondo in branda.
Viaggio verso la città, oltrepassati i suoi confini il paesaggio è spettrale: nessuno su entrambe le carreggiate solo io mi trovo sulla strada, gli unici occhi testimoni del mio transitare sono quelli delle telecamere di sicurezza, sembra di essere sul set di ventotto giorni dopo. Non male come paesaggio post-apocalittico!
Puntuale scende Ivan, parcheggiamo l’auto in un luogo sicuro e protetto dalle grinfie di criminali e sbirri assetati di contravvenzioni da lasciare sotto al tergicristalli anteriore ed andiamo a fare colazione. A piedi arriviamo alla montagnetta che sovrasta la città e passiamo in rassegna ogni costruzione installata sul posto per fare esercizi, risaliamo i crinali fuori sentiero e scenderemo poi di buon passo a ripetere le ultime serie di allenamenti alle sbarre e sulle scalette attrezzate.
Non pensavo ci fosse un luogo così tranquillo a ridosso del cuore pulsante della Milano frenetica che sono abituato a vedere, una piacevole scoperta e davvero un bel luogo ben attrezzato da tenere in considerazione. Non male. C’era una grande gara di corsa a piedi e la città era presidiata ad ogni crocicchio dalle forze dell’ordine, siccome volevamo anche fare qualche movimento di boulder sulle strutture di metallo della zona, abbiamo preferito attendere che la manifestazione finisse onde evitare inutili rimproveri o discussioni. Tempo di tornare sui nostri passi dopo aver girato in lungo ed in largo la montagnetta ed ecco come per magia di nuovo tutto semi deserto.
Arrivati al ponte del grande raccordo stradale che porta od esce dalla città a seconda dei casi, cominciamo a fare qualche movimento estremo di boulder sulla base della ringhiera, sui pilastri portanti e successivamente sul ponte, davvero bello fare street boulder in totale libertà è un bel modo di assaggiare ed esplorare materiali diversi dalla roccia ed adattare il corpo ed i movimenti ad essi.
Tempo per un paio di birre gelate ed un toast per poi portarci sempre a piedi dalla parte opposta della zona. Arriviamo in questo luogo dimenticato e lasciato a se stesso, nemmeno sulla carta della città esiste eppure c’è. La zona di giorno sembra essere tranquilla, ma di notte si trasforma in una pericolosa terra di nessuno, quindi possiamo stare tranquilli ma sempre con i sensi all’erta.
Le pareti sono lì, belle e totalmente inesplorate, purtroppo completamente bagnate e quindi impraticabili. Osservo la composizione della roccia, Ivan sembra il conglomerato dove ho arrampicato con Josef a Trezzo e Paderno. Certo Teo, le hanno importate da li queste pareti secondo la storia… Bello capirsi al volo senza troppe parole inutili.
Ora che so dove si trovano, sicuramente ci torneremo di giorno e lontano da giornate di pioggia. Altro cammino ed eccoci ad uno dei parchi più grandi della città, dove anni fa i giovani si divertivano ad arrampicare le pareti di roccia che costeggiano il percorso più esterno del luogo. Ivan mi indica le vie che avevano tracciato immaginariamente ai tempi, ovviamente nella roccia non ci sono infissi o segnalazioni, si arrampica in libera e le prese te le devi cercare da solo, ma con me c’è l’enciclopedia vivente della Valle di Mello, delle vie delle Alpi, dei massi erratici, delle pareti dei parchi di Milano quindi sono a posto!
Nel giro di poco ripeto tutte le vie e parto col traverso finale, che meraviglia. Riprendiamo a camminare e mi ritrovo a gustarmi una Milano incredibilmente bella ed attraente fatta di antichi palazzi, monumenti storici e rocce che mai mi sarei aspettato di trovare qui.
Ivan mi invita a salire a casa e Monica mi accoglie con un ottimo caffè mentre stupiti mi osservano fare amicizia col felino di casa, bellissimo! Ci dividiamo cordini, moschettoni e friends per le prossime esplorazioni e riprendo la strada che dalla città mi riporterà ai piedi dell’amato Triangolo Lariano.
Che tedio questo scritto, tutta questa menata per raccontare una giornata in città? Non è stata una semplice giornata in città, anche perché tenendo conto solo dei tiri sulle paretine del parco, abbiamo comunque calcolato più di un centinaio di metri di arrampicata verticale, senza tenere conto dei chilometri percorsi a piedi tagliando la città dagli estremi, le ore al monte facendo esercizi agli attrezzi, le camminate scendendo e salendo dai pendii fuori sentiero.
Insomma, una giornata alpinistica vissuta lontano dalla Montagna nella sua antitesi per eccellenza: la città. Una cosa strana e meravigliosa. Respirare quel senso di glorioso passato che certe costruzioni e monumenti emanano, osservare con sana curiosità la città e rimanerne affascinato quasi come un panorama naturale. Questa è la vera avventura, qui si nasconde la vera esplorazione.
Ora avrò dei luoghi magnifici in cui tornare quando il meteo non permetterà di andare in quota, sicuramente guarderò con occhi diversi anche questa strana città dai mille volti e dalle infinite sfaccettature. Ho imparato molto da questa esperienza, sopratutto perché come guida ho avuto due persone magnifiche come Ivan e Monica che sono preziosi custodi di un’etica di rispetto, di un modo di vivere e di esplorare la natura verticale e non solo, che purtroppo si sta perdendo come la memoria storica, nel mio piccolo farò in modo che si possano ricordare ancora per un poco queste cose preziose, anche solo scrivendo qualcosa o parlandone, in questi tempi bui c’è ancor più bisogno di questi valori… Non si smette mai di imparare, quando la parola d’ordine è esplorare. Però, questa mi è venuta bene, non male come citazione!
Alla prossima!
[TeoBrex] Il cielo era di un blu profondo, vivido, un blu introvabile nemmeno nelle acque dei mari e degli oceani più cristallini del pianeta. Parlo di quel colore che puoi ammirare solamente in Montagna, a certe altitudini ed in luoghi non proprio raggiungibili da tutti. Perché la Montagna non è per tutti come vogliono farvi credere; è solo per chi accetta lo sforzo fisico e mentale portato all’estremo, la fatica come insegnamento per crescere, la rinuncia come saggezza (se non riesci a salire non modificare la Montagna, modifica te stesso) e la roccia come mezzo per conoscersi in profondità. Tutto il resto sono solo chiacchiere sterili ed inutili. Punto.
Iniziò così quella giornata: chilometri di salita a piedi con gli zaini zeppi di ferraglia e cordini, centinaia e centinaia di metri di dislivello positivo, rocce di dolomia vergine, quattro persone pronte ad esplorarle per primi e quel blu… Mai più rivisto uguale. Le calme acque del piccolo lago riflettevano ed amplificavano quell’incredibile vividezza del cielo mentre ci avvicinavamo ai primi imponenti bastioni appena fuori dal magistrale anfiteatro naturale in puro stile dolomitico che ci si presentò dinnanzi.
Come sempre scherzavamo e ci prendevamo in giro lungo il cammino; eravamo carichi e felici della giornata appena iniziata e tutti contemplavamo la magnificenza, la pace ed il silenzio che quei luoghi, sconosciuti alla maggior parte della massa, emanavano.
Lungo le prime pareti esplorate Ivan saliva con stile magnifico portandosi legate all’imbrago le due mezze che sarebbero servite a Veronica per seguirlo da seconda ed a me per raggiungerli in sosta raccogliendo cordini, moschettoni, friends e nuts lasciati come protezioni; Giuseppe saliva in libera senza nemmeno avere addosso l’imbrago ridendosela come solo lui è in grado di fare.
Primi tiri molto belli e rilassanti nonostante la crudezza e la severità dell’ambiente che ci circondava. Prime vie liberate e roccia rimasta inalterata così come il grado di difficoltà, soste su naturale con cordini e discesa dai pratoni che partivano a picco dalle sommità dei bastioni appena esplorati. La Montagna rimase così come lo era prima del nostro passaggio, restò vergine.
Lasciammo questa meravigliosa zona per portarci alla base di alcune pareti molto alte e delicate, qui la compattezza della roccia non è più una sicurezza, ma qualcosa da valutare prima di ogni movimento, ogni minima DISTRAZIONE ora diventa pericolosa.
Ivan e Giuseppe seguivano il loro diverso istinto esplorativo partendo entrambi da primi in due diverse cordate, mentre io e Veronica da secondi li seguivamo recuperando il materiale utilizzato per la sicura, alla fine di ogni nuovo tiro ci si ritrovava tutti in cima cercando il modo migliore per scendere di quota e poi riportarsi alla base delle pareti.
Estate, le condizioni meteorologiche cambiano molto velocemente e pericolosamente quando ci si trova a certe altitudini, minacciose nuvole iniziavano ad apparire all’orizzonte mentre insieme decidevamo sul da farsi. Presagio? Scendendo dall’ultima via aperta, Giuseppe scorse una parete completamente diversa da quelle affrontate, è inutile aveva davvero un fascino irresistibile per forma e per sostanza.
Ivan si irrigidì subito, ancora non capimmo il perché, ma lui aveva già compreso che qualcosa sarebbe accaduto, alcune persone hanno un rapporto così stretto con La Montagna che a volte sembrano fondersi in una sola cosa con lei e lui è questo, difficile spiegarlo meglio, riescono ad abbattere la barriera dello spazio e del tempo per dare uno sguardo avanti nel futuro per evitare il peggio.
Ciò che ricordo fu questo, ciò che accadde me lo raccontò Ivan dopo alcuni giorni in una telefonata delle nostre…
Arrivati alla base della parete, Giuseppe cominciò a guardare in su, conoscendolo aveva già trovato la sua via molto tecnica ed estetica individuando i punti dove preparare le sue soste su naturale a prova di bomba.
Ivan era pensieroso, silenzioso e cupo come stava diventando il cielo in quel momento, non è da lui e la cosa mi lasciò un poco perplesso in verità, mentre preparavo le corde per fare da sicura a Giuseppe.
Dietro di me, su un sasso, Ivan spiegava a Veronica come utilizzare i cordini nelle clessidre e come allestire una sosta senza ausilio di fix o spit e di come a volte essere in quattro su tiri molto delicati può rappresentare un problema…
Giuseppe chiude magistralmente il primo tiro e prepara la prima sosta della via, giusto sotto un tetto che poi avremmo dovuto aggirare per montare su una parete laterale e partire col tiro successivo. La roccia è molto instabile, ma lui salendo più leggero e stiloso di sempre fa sembrare il tutto semplice e sicuro. Unico.
Mi da il segnale, parto cercando di assaggiare prima di ogni movimento la roccia, sembra che non voglia farsi toccare da me, sembra voglia spostarsi, inizio ad essere un po’ teso, qui si muove tutto ciò che tocco, non sono tranquillo e questo non mi piace.
Picchietto col palmo della mano una sporgenza che suona di vuoto, ma che sembra non essere troppo delicata se al posto di “tirarla” la volessi usare solo per appoggiarmi appena e cambiare postura per passare via velocemente quel pezzo troppo delicato per restare del tempo fermo nei paraggi, insomma non era il classico posticino tranquillo dove fermarsi un secondo e studiare la situazione. Appoggio appena il palmo della sinistra ed appena sopra “un televisore a tubo catodico da cinquanta pollici” decide di sganciarsi improvvisamente e di tentare di buttarmi giù. Un grave ERRORE di valutazione!
La mano sinistra resta schiacciata sotto tra il masso e la montagna nel mio vano tentativo di rimettere al suo posto e di non far precipitare al suolo quel gran pezzo ormai diventato troppo pesante da sorreggere, un dolore pungente al mignolo e la roccia che cambia colore diventando di un rosso vivo mi fa capire che ormai devo lasciarmi cadere e con me “la tv”, non posso più fare altro, nessuna scelta.
Coi piedi mi preparo, un colpo di reni ed eccomi appeso nel vuoto a pendolare dopo aver sganciato quella bomba come fossi il B-29 che sganciò la prima orribile arma nucleare della storia. E l’effetto poteva essere ugualmente tragico…
Guardo di sotto profondamente terrorizzato, ma non per ciò che mi è accaduto, ma perché laggiù sulla traiettoria del sasso c’erano Veronica ed Ivan. Ma questo mi verrà raccontato poi da Ivan dopo alcuni giorni, così come la dinamica completa dell’accaduto.
Dall’alto, serafico, Giuseppe annuncia fiero: «Tranquillo Teo, la sosta ha perfettamente tenuto!» «Già, evviva Amico!!!» Dolorante e provato raggiungo la sosta e dopo di me sani e salvi (non mi sarei mai perdonato se fosse accaduto qualcosa a loro) anche gli altri. Il dito della mano sinistra fa molto male (probabilmente è presente una frattura), il taglio sull’avambraccio destro è profondo; Veronica ed Ivan mi medicano con garze ed il solito nastro bianco multiuso per arrampicatori, mentre racconto a Giuseppe l’accaduto.
Decidiamo di proseguire, i tiri successivi sono impegnativi ma la roccia è più compatta e la cosa psicologicamente mi aiuta parecchio perché salendo dopo aver vissuto una caduta del genere non è stato per nulla semplice, la paura di disgaggiare di nuovo era diventata terrore puro. Con un poco di lavoro mentale ed alcune pause durante l’ascesa, sono comunque riuscito a concludere la via che richiederà un’altra sosta ed un’uscita meravigliosa che domina ogni vetta circostante.
Di nuovo tutti insieme, tutti a rimirare un paesaggio difficile da raccontare, meraviglioso e grave, terrificante e rilassante. Il nome che daremo alla via sarà: LA VIA DEI MAGNIFICI QUATTRO.
E non poteva essere altrimenti a conclusione di un’avventura del genere, una cordata magnifica ed una via magnifica.
Le nubi sempre più minacciose, ci fanno puntare dritti verso il primo rifugio a portata e subito ordiniamo birre e vino a profusione parlando della giornata trascorsa e di ciò che è accaduto. Ivan scherza, ma è molto pensieroso, ormai lo conosco e gli voglio un gran bene.
Giunti in valle ci concediamo un ricco aperitivo composto da prosecco e torte fatte ed offerte dall’unica Donna della spedizione, ognuno farà poi ritorno alla propria vita, alla propria casa…
Qualche giorno dopo Ivan mi chiamò per sapere come stavo, più che altro era interessato a come stavo di spirito e di mente e se avevo ben compreso quel che avevo fatto lassù in quei secondi e delle scelte che avevo preso senza pensare, ma solo seguendo l’istinto. «Ivan, ma di cosa stai parlando? Cosa avrei mai fatto? Scelte? Istinto? Ma che dici!!!»«Teo, brutta testa di lampadina che illumina le grotte, non ti sei nemmeno accorto di quello che hai fatto? Testone! Ho visto che hai picchiettato per vedere se la roccia era buona, ma hai mosso quel pezzetto che ha poi sganciato il sasso. La prima cosa che hai fatto, è stata di tentare di rimettere il sasso dentro con la sola mano sinistra, mentre con l’altra tiravi con tutte le tue forze per non cadere giù. Una cosa così non l’ho mai vista tentare da nessuno, solo tu potevi pensare ad una cosa simile, ma so perché lo hai fatto, in quel momento non pensavi a te ma a noi che eravamo sotto…»
«Poi hai fatto una cosa ancora peggiore, sei riuscito ad appoggiare il sasso sul tuo braccio destro in tensione per sostenerlo e poi farlo cadere alla tua destra, altrimenti sarebbe arrivato dritto sulla nostra traiettoria se lo avessi lasciato andare subito, hai rischiato di tagliarti la corda facendo così, oltre che ad esserti aperto l’avambraccio!»
«Certo, mica potevi sapere che mentre salivi io mi ero spostato di venti metri più a sinistra, avevo la netta sensazione che qualcosa sarebbe successo, lo sentivo ed ho dovuto anticipare gli eventi, in modo da evitare il peggio. Più volte ho detto a Veronica di spostarsi da là, ma sosteneva che nessuno e niente le avrebbe mai fatto del male, non quel giorno.»
«Alla fine l’ho convinta ed è stata con me alla sinistra della partenza della via. Quando hai mollato il sasso e ti sei lasciato andare dalla parete cadendo e restando appeso alla corda, ho visto che guardavi la traiettoria del sasso. Hai visto dove si sfracellato in tanti pezzi? Lo hai visto Teo, brutto vecchio millenario che non sei altro? Appena alla destra del sasso dove poco prima eravamo seduti noi della seconda cordata, terrificante.»
LA MONTAGNA PERDONA GLI ERRORI, NON LE DISTRAZIONI.
[TeoBrex] Sabato sette gennaio duemiladiciassette: è ancora buio fuori, attorno regna il silenzio, nessuna macchina per strada. Adoro l’inverno! In casa c’è trambusto ed attrezzatura ovunque, devo solo chiudere la sacca speleo e la casa per poi partire alla volta della Grigna. L’amico felino si è nascosto dentro lo zaino, lo faccio dolcemente uscire dal suo improvvisato giaciglio salutandolo, preparo tutto e parto. Abbiamo in ballo una bella esplorazione ipogea, interessante sotto molti punti di vista. Ieri mattina, purtroppo, Pier, Tiziano e Maurizio, ovvero gli uomini di punta della spedizione, comunicavano la loro assenza. Giro di telefonate e scambio di messaggi tra noi “novelli speleo” (tranne Max), non mi sembrano molto convinti i miei soci dalle risposte, dovremmo armare l’ultimo pozzo inesplorato e rilevare gli ultimi tiri della grotta, inoltre le previsioni danno almeno dieci gradi centigradi sotto lo zero e l’avvicinamento sarà lungo e sempre in ombra e gli zaini saranno carichi!
Mando uno dei miei soliti messaggi spronanti per smuovere i sentimenti della truppa sperando che sortisca l’effetto desiderato, concludo dicendo di essere in uscita in direzione Monte Boletto per una camminata defaticante e che quindi spegnerò la ricezione dati del telefono per poi riattivarli in serata al mio ritorno a casa. Si perché quando vago per monti il telefono serve solo in caso di emergenze o per fare qualche foto e non voglio essere disturbato durante le mie camminate da email o messaggi dai social, solo chiamate e gloriosi sms, come una volta. Giunto a casa arrivano i messaggi che attendevo: Teo se tu te la senti di arrivare all’ultimo pozzo, armare la partenza e scendere ad esplorare, domani si va! Vi pare che io possa non aver voglia di mettere piede in luoghi sconosciuti ed ancora inesplorati? Armiamoci e partiamo!!!
Ore 6.30 di sabato carico in macchina la “ferramenta” e parto alla volta del luogo dell’appuntamento. Il cielo invernale è forse la cosa più stupenda che esista! Lungo la strada, come sempre, mi ritrovo a rimirare le montagne che circondano i luoghi in cui vivo, ma la mia espressione non sarà la solita… Il Monte Due Mani è drammaticamente avvolto dalle fiamme, il buio rende ancora più terribile quella tragica visione. Purtroppo in queste ultime settimane molti degli amati monti della zona sono stati dati alle fiamme e la matrice sembra essere sempre dolosa. Uno scempio!
Tutti puntuali al parcheggio di Lecco-Bione: Veronica, Giusi, Serena, Giuliano Max ed io. Si parte in direzione Cainallo. Ci compattiamo cercando di usare meno vetture possibili e salendo lungo la strada iniziamo a tracciare il piano esplorativo. Suggerisco di creare due squadre formate ciascuna da tre persone. Gli unici che conoscono quasi tutta la grotta sono Giuliano e Serena, quindi propongo di formare la prima squadra composta da Giuliano, Veronica ed il sottoscritto e la seconda che entrerà in grotta da Serena, Giusi e Max.
Arrivati a destinazione, constatiamo che le previsioni meteo non hanno sbagliato nemmeno di un grado: -10°C! Scendiamo dalle auto e partiamo al volo in direzione del Rifugio Bogani per evitare di surgelare! Dopo una bella tritata di metri di dislivello eccoci accolti calorosamente (in tutti i sensi) dai gentilissimi gestori del rifugio che ci mettono in tavola grandi tazzone di thè bollente e torta fresca fatta in casa! Serena ci mostra un disegno fatto a mano da Pier per spiegarmi l’ultimo punto conosciuto della grotta da cui dovrò scendere dopo aver armato posizionando fix, piastrine, moschettoni e corda. Ci cambiamo al rassicurante e rinvigorente caldo della stufa, mi infilo il disegno nella tasca della mia nuova tuta (si, ho una tuta nuova… Chi mi conosce si farà grasse risate pensando alle condizioni di quella vecchia…) e parto con i miei compari della prima squadra. Entreremo lasciando un buon margine temporale tra un gruppo e l’altro perché i frazionamenti dei pozzi sono sulle verticali dei tiri e rischiamo seriamente di tirarci addosso dei sassi, la grotta è particolarmente “delicata”.
Arrivati all’ultimo punto esplorativo conosciuto e scoperto nelle punte precedenti, io e Veronica prepariamo trapano, piastrine, fix, maglie rapide, moschettoni e corde per armare la discesa, Max e Giuliano sistemeranno una paio di corde e di frazionamenti precedenti mentre Serena e Giusi si occuperanno di rilevare la grotta. Piazzo una piastrina, attacco la corda e mi sporgo sul bordo del pozzo pulendo e gettando di sotto i pericolosissimi sassi presenti sulla cengia di partenza. Tiro fuori il disegno di Pier per essere sicuro e comincio a valutare la situazione. Cerco la roccia migliore e la zona perfetta per forare ed armare il tiro di partenza cercando di mettere la corda il più possibile sulla verticale del pozzo. Dopo pose funanboliche nel vuoto, l’armo è pronto e la corda e tesa nel buio, ok è giunto il momento di attaccarsi e vedere se tutto tiene, scendo per primo verso l’ignoto, ora è vera esplorazione! Vado!
Scendo lentamente cercando di guardarmi attorno il più possibile smuovendo e gettando di sotto i sassi instabili presenti sulle pareti del pozzo. Arrivato su un balconcino stupendamente lavorato dall’acqua, provo a scendere ancora cercando di evitare di creare un frazionamento, ma giunto a pochi metri dal fondo mi trovo costretto a fare un cambio attrezzi su corda nel vuoto e ritornare più sopra per frazionare a parete onde evitare che la corda sfreghi pericolosamente sulle taglientissime rocce che caratterizzano il pozzo. Arrivato alla base della verticale, urlo agli altri di scendere stando molto attenti alla roccia, mi infilo in un tagliente meandro e, armando su naturale con la sola corda, scendo un saltino di un poco più di un paio di metri arrivando ad una forra molto stretta dove ritrovo una minima circolazione d’aria ed un passaggio d’acqua. Tolgo il casco e guardo oltre, la testa ci passa appena, vedo un pozzetto nero e l’acqua che si getta di sotto, ma essendo troppo stretto e non avendo intenzione di incastrarmi desisto un attimo.
Giunta Veronica valuta la situazione e decide di provare lei a spalmarsi lungo la frattura per tentare di passare. Dopo alcuni tentativi e dopo essersi tolta imbrago e ferramenta varia ha la meglio sulla frattura della forra e passa al di là trovando altri ambienti ambienti e proseguendo di qualche metro. Che strettoista! Ci descrive ciò che vede e Max la aiuta dandole consigli, mentre io comincio a recuperare la corda avanzata che servirà per la prossima punta. Giuliano, intanto, esplora un altro ramo che partiva in direzione dell’arrivo del pozzo. Guardo l’orologio e comunico agli altri che è meglio cominciare ad uscire a gruppi di due alla volta, perché da dove siamo ora il ritorno, risalendo la corda, sarà lungo e siamo in sei. Veronica vorrebbe continuare ad esplorare, ma percepisco dalla sua voce una certa incertezza nell’affrontare un laminatoio molto stretto. Le “consiglio” di tornare indietro e di prepararsi per le risalite. Incrociamo Serena e Giusi che scendono rilevando gli ultimi ambienti scoperti, comunico la mia idea per uscire e ci apprestiamo a ritornare in superficie.
Usciamo ed il freddo fuori è pungente, inoltre siamo già infreddoliti e bagnati dalla grotta, la tuta comincia a ghiacciarci addosso, ma io ormai non percepisco più nulla perché la vista di Orione stagliato nel cielo invernale, la Luna che col suo riverbero generato dalla luce del sole illumina le alte vette circostanti mi fanno sentire vivo ed in perfetta armonia con ciò che mi circonda. Velocissimi camminiamo verso il Rifugio Bogani dove in mattinata, Simona, ci aveva fatto lasciare gli zaini dietro alla stufa in modo da trovare al nostro ritorno i vestiti di ricambio caldi. Grande Simo, grazie!
Dal buio vediamo spuntare le luci delle finestre del rifugio, sappiamo cosa significa questa visione: salvezza, caldo, vestiti puliti, panini, risate e buon vino. Una squadra affiatata e vincente. Salutiamo e ringraziamo i rifugisti e ce ne torniamo al sentiero chiacchierando, ma come sempre mi capita, devo avere il mio momento di solitudine, di riflessione: distacco gli altri e comincio a scendere da solo con la frontale spenta ed accompagnato dalla Luna, è come entrare in un’altra dimensione, come connettersi completamente al cosmo. So bene che è un poco da incoscienti scendere dai sentieri della Grigna senza luci di notte, ma quando una cosa te la senti davvero, già quasi ti sembra di sapere che tutto andrà bene.
Giunto alle auto, butto lo zaino a terra e mi ci sdraio sopra attendendo gli altri, lo sguardo sempre rivolto al grande cacciatore del gelido cielo invernale. Al di là del risultato esplorativo che è senz’altro notevole ed interessante, ciò che mi ha davvero fatto piacere è stato che, nonostante l’assenza degli uomini di punta che sono un po’ come delle guide per noi, ci siamo presi le nostre responsabilità ed abbiamo portato avanti l’esplorazione di questa grotta in autonomia creando una squadra di “speleo cattivi”. Penso non sia cosa da poco, viste le condizioni meteo e la morfologia della grotta, davvero felice di esserci stato. Grazie a tutti per questa magnifica esplorazione!
TEoBrex – Dalla finestra aperta giunge inconfondibile rumore di pioggia, di acqua schiacciata e scagliata lontano dai battistrada delle poche auto di passaggio, segno inequivocabile di essere praticamente sveglio attorno a quell’orario che può venir considerato notte fonda o mattino presto a seconda dei gusti. Il felino percepisce il mio momentaneo risveglio e si fionda sopra di me affondando il muso appuntito tra la mia barba, ti prego ancora un’oretta di sonno Amico.
Oggi (primo Ottobre duemilasedici) ho in programma andare con Joseph a tentare una delle nostre imprese e la pioggia sarebbe una brutta compagna di viaggio, nonostante mi piaccia molto. Va be’ non ci penserò ora, torno a dormire, attenderò la sveglia. Giunto il momento di abbandonare il buon IPNO e rinviare l’appuntamento per la prossima nottata, mi ritrovo in sala a guardare fuori cercando di interpretare il cielo. Chi se ne frega del meteo, tanto non siamo uomini che si arrendono quando si scatenano le ire degli Dei, anzi. Colazione, chiusura zaino e partenza. Appuntamento di fronte al “Manzoni” di Lecco, come sempre sia io che Joseph siamo in anticipo di dieci minuti sull’orario dell’appuntamento, queste sono le cose che mi piacciono. Seconda colazione e partenza in direzione Bobbio, giunti accanto alla strada che porta alla chiesetta di Balisio, siamo costretti a fare dietrofront causa violento scroscio di pioggia: va bene andarsele a cercare, ma così è da incoscienti!
Discutiamo sul da farsi ed il “Maestro” mi propone di tentare di andare ad attaccare il Nibbio: “sai Teo, lì è tutto strapiombante – (evviva farò ancora seriamente a pugni con la gravità) – ed anche se piove si può arrampicare, a patto che non sia un diluvio.” Perfetto, si riparte, ma questa volta in direzione Resinelli. Passata la strada che porta al Porta (rifugio) veniamo investiti da bombe d’acqua e da quel senso di essere perculati dal cielo… “Sai Joseph, roba da andarsene in qualche palestra a tirare prese di plastica confezionate, cosa che tra l’altro mai ho fatto perché mi sa troppo di artificiale, cose che non danno gusto al mio palato ormai ben abituato al naturale.”
“Ho un’idea, guarda in valle, sembra che laggiù il meteo sia migliore – (d’altra parte, chi più in alto sale più lontano vede…) – ti propongo una cosa: andiamo a casa mia, facciamo cambio attrezzatura ed andiamo a Calusco sotto al Ponte ad inanellare duri tiri mai sotto il V° finché ne abbiamo”. Queste sono le reazioni che rendono magiche le giornate che parevano ormai volgere verso il nulla, ma ormai lo so che con certe persone sono questi repentini cambi di prospettive che danno gusto a giornate grigie dove gli apatici si sarebbero girati dall’altra parte del cuscino continuando a sognare. Ritornati a Lecco, riprendo la mia auto e seguo Joseph sino alla sua dimora, per poi portarci a Calusco.
Durante l’avvicinamento mi racconta dei tempi in cui veniva qui da solo in bicicletta ed in libera senza nessun tipo di attrezzatura ripeteva i tiri in placca inventandosi traversi terribili per inanellare tra loro tutte le verticali. Quest’uomo è strepitoso. Il primo settore è ricavato su antiche mura di cave di Epoca Romana e denso di tiri molto tecnici e duri, alcuni passaggi arrivano al VII- e tutti mai sotto al V, sarà una dura guerra di resistenza di avambracci. Parte ed attacca il primo tiro a sinistra e man mano gli altri sino ad arrivare al magnifico ed ipertecnico angolo. Riesco a salire abbastanza bene, ma non leggero e la testa non è completamente libera (è stata una settimana particolarmente pesante a livello emotivo e la parete è uno specchio, tutto ritorna e diventa visibile, non mente), nonostante questo mi esalto parecchio tra spaccate e prese basse raggiungendo il punto di calata. Joseph percepisce qualcosa: “dai Teo, guarda questo tiro, aprilo tu da primo su!” Avrei potuto rispondergli qualsiasi cosa, mi esce solamente un sospirato ok.
Sei rinvii dovrebbero bastare, cerco di studiare il tiro dal basso ma non sono molto lucido e non vedo il punto che servirà per uscire dal passaggio chiave, mi avvicino restando appoggiato per qualche secondo con le mani alla parete tipo posa da perquisizione per cercare qualche segnale dalla roccia, ma nulla oggi non ci sono. Va be’ basta, devo andare da primo stacca il cervello e parti stupida testa diversamente pettinata!
Salgo lento cercando di tenere bassi i battiti del cuore e respirando molto profondamente in perfetta armonia coi movimenti, perfetto coi primi tre rinvii inseriti, osservo dalla via Joseph che mi segue dal basso attento ed in silenzio. Arrivo al passaggio chiave, devo abbandonare lo pigolo e buttarmi nel nulla della placca con mano e piede sinistro, se solo avessi osservato meglio dal basso avrei visto come sarebbe stato “semplice” infilare la punta del piede in un ottimo foro a portata per poi rimontare di forza passando in placca andando a mettere il rinvio sullo strapiombo. Abbandono il rinvio sottostante ed attacco lo spigolo salendo, ma mi da l’idea di respingermi buttandomi fuori ed indietro, ma non voglio piombare giù da lì.
Per ora non vedo altra soluzione che attaccarlo frontalmente, da sotto il socio osserva senza proferire parola, ma osservando attentamente pronto a darmi il consiglio al momento giusto. Inizio a sudare ed il respiro aumenta facendo innalzare il cuore (sembra Joey Jordison ai tempi degli Slipknot) so che non posso permettere questo perché conosco bene a dove mi porterà, trovo una posizione “comoda” che mi permetta di stare in equilibro sul nulla senza sforzare le braccia e scaricando tutto sui piedi, chiudo gli occhi cercando di tornare attento. Qualche interminabile secondo, ci sono. A bassa voce, dal basso, arriva il consiglio al momento giusto: “Teo, scendi di un passo, buttati fuori dallo spigolo cercando col piede l’unico appiglio, poi con le braccia che hai sarà uno scherzo tirarti su ed arrivare al prossimo rinvio, dai un bel respiro e parti”. Nel giro di pochi secondi passavo il rinvio e grazie l’adrenalina in circolo montavo sul successivo arrivando a mettere la mia corda nel moschettone della sosta: amico tienimi che io mi fermo un attimo quassù nel vuoto a godermi l’attimo! Che sudata bagai: sono ancora un pivello, penso dentro di me ridendo di gusto.
Sceso, il socio incrocia il mio sguardo dandomi una bella pacca sulle spalle: “Teo guarda che comunque non stiamo facendo tiri facili, renditi conto di questo, e guarda dov’era il passaggio in placca” indicandomelo. “Ma come ho fatto a non vederlo? Uff, maledetta testa!” Tiriamo un’altra via per poi spostarci al secondo settore verso il canyon. Portiamo a casa altri due tiri, ma presi di mira da orde di zanzare bramose di plasma e non avendo più avambracci (e nel mio caso anche polpastrelli distrutti) decidiamo che è giunto il momento dell’ambito premio di ogni ascesa che si rispetti: la birra!
Mi chiama il Capitano Birillo: “Hey giovane – (bello quando cerca di fare il vecchio con me quando sappiamo entrambi che siamo separati solamente da due anni!) – ho visto che hai messo su Internet che parteciperai all’openday della Kong, sei già lì? Io e Checo ci stiamo andano ora!” Tempo di finire birre, focacce e caffè e saremo lì anche noi. Via di nuovo in macchina, poco dopo il quartetto dei Tassi gironzola per i capannoni osservando chi si cimenta ad arrampicare sulle prese artificiali allestite per i più piccoli. Riconosco tra chi fa sicura qualche faccia conosciuta al ValmaStreetBlock mi fermo a salutarli. Scrocchiamo cibo per poi puntare ad una classica cooperativa di paese frequentata da ultrasettantenni, sembra di essere in un film in stile Don Camillo e Peppone.
“Teo ho sentito Ivan” – mi dice Davide – “mi ha detto che siete stati al telefono parecchio ieri sera e che gli hai raccontato di qualche settimana fa quando, prima di andare allo Zucco dell’Angelone, tu e Joseph siete saliti a piedi sino in cima al rifugio Casari per una birra… Le vie dell’Angelone sono a dieci minuti dal parcheggio, ma con tutti i bar che ci sono in valle, perché vi siete fatti tutto quel dislivello per una birra? Ma è vero? Vi siete presi dei pazzi dal vecchiaccio!” — “Tranquillo Capitano, anche a me a dato del pazzo per telefono mentre glielo raccontavo, ma voi non comprendete la soddisfazione di una birra lassù, non ci capite! E comunque prendersi del pazzo da Ivan Guerini ha quel no so che di soddisfacente, ahahah! Da che pulpito!!!”
Tornato a casa, ho giusto il tempo di cacciare tutto in lavatrice, di farmi qualcosa di caldo da mangiare e di battagliare col felino prima di essere di nuovo in macchina in direzione Valmadrera per passare una lieta serata al quartier generale dei Tassi sorseggiando un’ottimo Chianti gentilmente offerto per l’occasione dalla Bru.
TeoBrex
Note di Birillo: “Tutti questi chilometri e queste parole per un paio di tiri a spit giù al fiume? Questo non è folle, ma solo senza senso…” Il primo pensiero leggendo l’articolo di Teo non era critico, anzi, cercava di cogliere qualcosa di importante, forse addirittura evidente, ma sfuggevole. Poi all’improvviso, e con un po’ di nostalgia, mi sono tornati alle mente le giornate d’inverno trascorse tutti insieme a Scarenna o al Sasso d’Erba. La metà di noi non riusciva a staccarsi da terra, qualcuno non aveva neppure imbrago e scarpette, eppure continuavamo a provare inseguendo grandi sogni. Eravamo lì per arrampicare ma anche, e sopratutto, per stare insieme. Teo all’epoca non era ancora dei nostri ma l’entusiasmo che traspare dal suo racconto è lo stesso che avevo io nei racconti di quei giorni lontani. Sono davvero contento abbiate trascorso una bella e burrascosa giornata, ancora più contento che tu l’abbia raccontata dandomi modo di leggerla. Credo sia ora che i Tassi si concedano di nuovo qualche giornata da vivere spensieratamente tutti insieme.
Sono le 12.38 di sabato 20 Agosto 2016 e sto scrivendo dall’interno del Bivacco Bruno Petazzi posto in un luogo meraviglioso situato a quota 2250m, messo a guardia del Lario e del magnifico lago alpino di Ledù. Io ed il mio socio (Matteo “Blanko” Bianchi) siamo bloccati qui dal maltempo e finché le ire degli Dei non si placheranno resteremo ben protetti dentro a questa ottima costruzione gestita ed ottimamente mantenuta, viva ed efficiente, dalla sezione CAI di Dongo.
Blanko se la dorme alla grande sotto due coperte di lana, nel frattempo mi gusto la tempesta dagli oblò del bivacco; mentre scrivo la nebbia entra silenziosa dalle aperture poste ad ovest, attraversa la stanza e se ne esce verso est come eterei spiriti di passaggio. Siamo partiti ieri dalla Brianza poco dopo le 10 diretti al centro commerciale Fuentes in Alto Lario per fare il pieno di viveri.
Vista l’ora ci fermiamo a prendere un menù maxi ignorante composto da doppio hamburger con bacon, salsa barbecue e patatine fritte; dopo un ottimo caffè gentilmente servito ed accompagnato da un amaro partiamo col mezzo pesante in direzione Livo. Entriamo in paese per fare il permesso di transito (1€), ma la macchinetta accetta solo monete e noi abbiamo una banconota da 5€ ed il paese è deserto.
Attendiamo qualche minuto ed ecco che una vettura esce dal parcheggio, scendo e chiedo all’unico occupante del mezzo se avesse per caso da cambiare un 5 in moneta per il permesso. L’uomo è sicuramente del paese, il tipico accento del luogo non mente, avrà qualche anno in più di me: sorride e mi da un euro dicendo che non aveva altre monete con sé. Non mi va di accetare senza dare e lui non vuole il mio 5€, allora lo ringrazio dicendogli che cercheremo di cambiarli altrove. Insiste e mi dice: prendi la moneta a me non cambia nulla, tanto nella vita tutto torna; oggi io ho fatto un favore a te e tu domani lo farai a qualcuno d’altro e ritornerà. Tranquillo è così. Be’ grazie amico, hai ragione sai? Sorrido, prendo l’euro e lo ringrazio augurandogli buona giornata, lui ricambia e riparte: belli questi incontri.
Arriviamo alla fine della strada, ovvero al Crotto Dangri di Livo (quota 650m), carichiamo gli zaini e partiamo. Ci aspettano un bel po’ di metri di dislivello con gli zaini carichi e fa un caldo terribile reso ancor più fastidioso dell’umidità che sale dal terreno inzuppato dalla pioggia della notte precedente, respiriamo acqua ma le gambe ci sono e vanno su alla grande.
Fatichiamo non poco e spesso ci dobbiamo fermare alle fontane o lungo il torrente per bere direttamente dalle acque cristalline. Salendo il clima cambia, ma continuiamo comunque a sudare in maniera smisurata (maledetto maxi menù!) ora siamo circondati da nubi che spesso nascondono il magnifico splendore di ciò che ci circonda. Arriviamo alle ultime tracce di umanità rappresentate da tre baite in pietra circondate da splendidi cavalli allo stato brado e da un’infinità di pecore. Ci rifocilliamo e riprendiamo a salire il pezzo più duro e meraviglioso del viaggio. Dopo l’ennesima sudata e dopo altri chilometri macinati su un notevole dislivello ecco apparire il bivacco, unico nel suo genere!
Blanko sale frequentemente da solo quassù, conosce ogni roccia del luogo e spesso ho ascoltato i suoi racconti. Scaravento lo zaino a terra e comincio a correre verso il Lago Ledù che sempre mi aveva affascinato in foto, ma che mai avevo visto coi miei occhi. Resta nascosto alle spalle del bivacco ed è circondato da un’incredibile anfiteatro naturale di creste di roccia, arrivato lungo il suo emissario che forma una piccola pozza proprio accanto al bivacco, vengo colto da un momento di emozione per la bellezza, per la solennità, la solitudine ed il silenzio del luogo. Resto accovacciato per qualche minuto con una sensazione di mancanza di spazio-tempo che spesso mi coglie davanti alla maestosità di alcuni luoghi. Ripresomi dall’impatto della visione del laghetto alpino, torno al bivacco a preparare la branda mentre il socio prepara da mangiare.
Il sole sta per concludere il suo viaggio verso ovest incendiando nuvole e creste, presto lascerà la scena alla Luna porgendole in dono una parte della sua luce riflessa che ci permetterà di vederla nascere alle spalle di una catena di vette selvagge. La cena è pronta, mangeremo fuori su di un improvvisato tavolo fatto di pietre ed alla fine conteremo: un litro di ottimo rosso, mezzo litro di acqua di lago, un chilo di gnocchi freschi con un vasetto intero di ragù, mezzo chilo di pane e qualche biscotto. Lo so, facciamo schifo a mangiare!!! Le nubi a tratti ci mostrano Luna, stelle e Lario, ma verso le 22 tutto ormai è coperto. Sistemiamo tutto ed andiamo a dormire. Dormita spaziale, comodità totale e silenzio irreale, sembra di essere in grotta! Ritorniamo in vita poco prima delle 10, preparo del the al bergamotto e ci scofaniamo un pacchetto di biscotti al cioccolato, sistemiamo il tavolo in pietra e laviamo i piatti alla pozza d’acqua.
Il socio parte per conquistare una nuova cima, io sento il bisogno di restare qui a fare il pieno delle energie sprigionate da questo luogo. Torno al lago portando il fornelletto utilizzato spesso in grotta, l’inseparabile tazza delle grandi avventure e la caffettiera del bivacco. Mi godo la magnificenza dell’ambiente circostante attendendo che il suono del caffè in preparazione rompa il silenzio delle Montagne.
Le condizioni meteo stanno cambiando velocemente e quassù non si scherza, lo so bene, torno a ritirare i panni stesi e mi siedo sull’uscio ad attendere l’arrivo del socio e della pioggia leggendo il libro delle visite del Bivacco. Mangiamo schifezze e la pioggia arriva puntuale, sistemiamo tutto e prepariamo gli zaini, ma così non possiamo partire!
Quindi eccomi qui di nuovo ad ora: il socio ancora dorme ed io guardo le gocce scorrere copiose lungo i vetri delle piccole finestre ascoltando i tuoni che pian piano si avvicinano. Tiro di nuovo fuori il fornelletto per prepararmi un the bollente cercando di recuperare gli ultimi biscotti rimasti.
Ora stacco tutto e tengo la batteria del cellulare per la discesa…
Continuerò una volta a casa.
Esco e mi dirigo al lago Ledù per fare il pieno di acqua, diluvia davvero con gusto ed il temporale è sopra di noi. Spettacolo meraviglioso! Rientro e seduto al tavolo osservo le vette che circondano questo incredibile luogo, nel frattempo il socio si ridesta chiedendomi l’ora: sono le 14 soci, vuoi una tazza di the? Si grazie; cosa facciamo, chiede, restiamo anche questa notte? Ehm Teo, abbiamo finito il cibo… Ti credo ieri ci siamo mangiati un chilo di gnocchi! E va be’ avevamo fame gli rispondo! Grasse risate! Dai prepariamoci e scendiamo, tanto non smetterà. Sistemato e pulito il bivacco, lasciamo nella cassettina più del dovuto come ringraziamento a chi si prodiga per mantenere perfettamente questo luogo ed usciamo sotto una pioggia battente che un paio di volte ci farà perdere il sentiero proprio nel punto più delicato del ritorno, ma che poi tagliando a mezzacosta tra i mughi, scivolate e lastroni granitici ritroveremo senza troppi problemi.
Il diluvio ci accompagnerà sino al Ponte di Baggio, giunti all’ultimo gruppo di baite prima di scendere verso la chiesetta di Sant’Anna ci fermiamo alla fontana per strizzarci ancora una volta i calzettoni e svuotare l’acqua dagli scarponi. Veloci scendiamo lo scivolosissimo ciottolato che ci riporterà al Dangri ed in poco siamo al mezzo dove sgranocchiamo qualcosa e ripartiamo alla volta della SS36, poco traffico ed acqua battente dall’uscita di Fiumelatte in poi.
Alle 21 rientro a casa, svuoto lo zaino, butto tutto in lavatrice e mentre mi preparo la cena mi batto col felino per la conquista del territorio. Sono tornato amico! Doccia e libro, avventura finita.
Grazie Socio per tutto e grazie al CAI DONGO per la perfetta manutenzione del Bivacco Bruno Petazzi, vero gioiello dell’Alto Lario.
Era un po’ di tempo che Ivan voleva andare ad arrampicare da solo con me. Ultimamente i BADGERS più attivi sono alle prese ognuno con i propri problemi, con le proprie vite e con il fattore ferie, per cui riuscire a fare qualcosa insieme risulta un attimo incasinato da organizzare.
La scorsa settimana un nutrito (nel senso che ci nutriamo per bene) gruppo formato da Veronica, Daniela, Andrea, Ale, Mav ed io (guidati da Fabrizio Pina) è riuscito comunque a mettere insieme una giornata di canyoning nella spaziale Val Bodengo; ringrazio ancora tutti per la magnifica giornata, ci siamo divertiti come dei bambini in un grande parco giochi acquatico!
Josef è occupato con la sua splendida famiglia, Nicky già lavora, Keko organizza party selvaggi in piscina (ahahah), Bruna è ancora infortunata (ma sempre molto attiva e propositiva) e Birillo è alle prese con la scoperta delle Grigne e temo che per un bel pezzo per far qualcosa con lui, toccherà seguirlo nelle sue ravanate 😉
Quindi a me tocca “stare dietro” al vecchietto. Assicuro che non è cosa semplice, ma risulta essere sempre molto divertente ed istruttiva. Appuntamento mercoledì (17 Agosto 2016) alle 9.15 alla Stazione di Lecco. Puntuali partiamo ed in poco tempo, traffico pressoché inesistente, arriviamo a parcheggiare l’auto. Dividiamo il materiale ed iniziamo a salire. Condizioni meteo perfette, ci troviamo a ripercorrere per un breve tratto il sentiero che porta alla VIA DEI MAGNIFICI QUATTRO, ma la zona da esplorare è da tutt’altra parte e di tutt’altra fattura. Abbandoniamo il sentiero sicuro ed iniziamo a seguire le tracce degli animali che portano alla base di pareti praticamente identiche a quelle più famose dell’arco Dolomitico.
Lungo il cammino siamo circondati dalle marmotte che spuntano fuori da ogni roccia ed il silenzio totale di quel luogo magistrale viene a volte rotto solo dal loro classico richiamo; sembra di essere chissà dove ed invece laggiù in valle riesco quasi a scorgere la forma inconfondibile della montagnetta di casa. Iniziamo una ricognizione attorno alle pareti camminando su materiale di frana molto instabile e su paglioni non propriamente invitanti, il sole inizia a friggere la pelle e quindi decidiamo di cominciare da una parete completamente in ombra. Ivan sale con calma ed in silenzio, io allongiato ad una roccia con un cordino legato con un doppio inglese lo seguo assicurandolo, sì …ma dove se non mette mai niente!?!
Non ci fossi io salirebbe totalmente slegato come solo lui sa fare ed invece la sua ascensione è spesso interrotta perché attentamente mette e rimette friends e nuts per non creare troppa difficoltà a me che per secondo dovrò ripulire e riprendere il materiale. È incredibile come meticolosamente calcoli il punto esatto per assicurare la via e come sia in grado di vederla mentre la apre. Spende tempo per prepararmi l’uscita di un traverso non proprio rassicurante, dicendomi che preferisce perdere qualche momento in più di tempo ma evitare che nel caso di caduta io faccia un pauroso pendolo tra le due pareti. Paurosa è invece la tranquillità che ha a preparare il tutto in una posizione agghiacciante!
Nel frattempo inizio ad avere freddo (si lo so è incredibile) e mi scaldo le mani soffiandoci sopra e sfregandole, ma è arrivato il momento di partire. Salgo leggero col respiro tranquillo ed in poco tempo sono alle prese col primo friend che riesco a togliere velocemente recuperando il cordino, arrivo ad un kevlar infilato magistralmente in una clessidrina stupenda (quando Madre Natura ci si mette d’impegno crea cose stupefacenti) ma non riesco a fare abbastanza forza.
Cerco una posizione migliore ma la gravità si percepisce forte, lo strapiombo mi spinge fuori! Cerco il modo di trovare l’equilibrio ed incastro nel vero senso della parola la mano destra in una fessura e coi denti e la sinistra tento di sciogliere il nodo galleggiante del cordino. La fessura è bagnata e gelida e nel giro di pochissimo perdo completamente la sensibilità delle dita percependo un principio di congelamento, inoltre anche l’avambraccio comincia ad “inghisarsi” non poco.
Utilissima per imparare è stata l’ascesa fatta col buon Josef qualche tempo fa in Grignetta (Via Albertini 150m IV al primo Magnaghi, Via Lecco 140m IV+ al terzo Magnaghi, Via Chiappa-Mozzanica 50m V+ al terzo Magnaghi) dove spesso e volentieri mi lasciava materiale da recuperare nelle clessidre o nelle fessure per capire i movimenti giusti, per rimanere fermo in parete ed avere l’equilibrio sufficiente per tenere una mano libera da usare per recuperare cordini, moschettoni e rinvii.
Riesco a togliere tutto, ma non riesco a ripartire perché la destra è inutilizzabile, Ivan è dall’altra parte che mi assicura in sosta e non mi può vedere allora gli urlo di tenermi serrato perché devo far riprendere la circolazione alla mano, perché il passaggio chiave della via deve ancora arrivare.
Gentilissimo mi rassicura dicendomi che le prossime vie le faremo al sole, seguendomi perfettamente con la sicura. Ripresa la sensibilità salto fuori dal traverso e monto su un altro strapiombo e liberando l’ultimo cordino sono in cima. Ivan soddisfatto smonta la sosta e con il suo solito tono da presa in giro se ne esce con una delle sue: “Teo, girati! Perché quelle guglie ci stanno guardando?” Chi lo conosce non potrà non farsi che grassa risata immaginando il suo modo di parlare quando spara stupidate 🙂
Si comincia a scendere verso la parete esposta al sole, riusciremo poi a portare a casa altri tre tiri stupendi, sempre lasciando inalterata la Motagna e la difficoltà. Lasciamo solo un chiodo come testimonianza poco prima del passaggio chiave della via più stupenda della giornata. Un passaggio tecnico strapiombante valutato da lui in VIII+ ma che per la bellezza della salita non pensavo potesse essere di tale difficoltà; che poi, onestamente, questa cosa dei gradi non l’ho mai capita e mai la capirò: beata ignoranza!
Scendiamo pensando già alla prossima visita a quei luoghi e che a quanto pare sarà l’ultima in quanto in quella zona non c’è più altro da scoprire. In macchina giriamo cercando un bar aperto, ma alla fine ci ritroviamo a bere birra commerciale in bottiglia seduti all’ombra di una cartello segnaletico lungo la banchina della stazione di Lecco. Che disagio!
Una giornata stupenda, ricca di chiacchiere, racconti, risate e momenti di serietà (ben pochi) ma sopratutto di insegnamenti che solo la Montagna ed una persona che sta dedicando una vita intera a lei ti possono dare. Il treno per Milano arriva puntuale, il vecchietto sale sorridendo ed io me ne torno a casa con lo zaino carico di un’altra bellissima esperienza.