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Discesa d’Adda: diga di Corbellina

Discesa d’Adda: diga di Corbellina

Diga di Corbellina
Diga di Corbellina

Questa diga si trova sulla sponda orientale a Corbellina, frazione di Fara Gera d’Adda, mentre su quella occidentale a Groppello d’Adda. E’ una struttura abbastanza complessa a ridosso di una fitta boscaglia. Posso dirvi che è fitta perchè ho dovuto infilarmici per andare a piedi a studiare la diga ed il modo in cui superarla. Siate sempre prudenti, scendete a terra e fate cento o duecenti metri a piedi di sopraluogo se siete dubbiosi su come affrontare un ostacolo.

La sponda da tenere avvicinadosi è quella orientale (sinistra per chi scende lungo il fiume) che costeggia il bosco. Dove l’Adda fa una piccola curva si immette un piccolo fiume che corre tra le piante. Sia se procedete a piedi che in barca lungo la riva fate attenzione perchè il fiumiciattolo è piccolo ma spinge e, se lo attraversate a piedi, può darvi qualche difficoltà. Noi l’abbiamo incontrato dopo un grosso temporale che può averlo ingrossato ma, visto che ho fatto il bagno attraversandolo (l’acqua ruzzava ed era alta quasi alla vita), volevo avvisarvi.

Come vi dicevo la struttura della diga è complessa: vi è uno sbarramento sul fiume, sul lato occidentale, e l’inizio di un piccolo canale sul lato orientale.  Avvicinandosi tutto appare poco chiaro e l’approdo sembra non arrivare mai: in realtà si trova a poco più di una decina di metri dalla chiusa ed è poco visibile dal fiume perchè risale parallelo ed opposto al corso del fiume. Senza i consigli di Daniele al Sant’Anna non lo avremmo mai trovato e mai mi sarei avvicinato tanto alla chiusa. Per questo motivo sempre prudenza, fate comunque un salto a piedi a controllare che la corrente non sia troppo forte prima di avvicinarvi. [Coords: 45.529259 9.534894]

Una volta a terra dovete affrontare un piccolo viaggio a piedi risalendo lungo la strada sterrata che aggira una casa ed il suo giardino affiancando anche un allevamento ittico. Si deve poi superare il piccolo ponticello che scavalca il canale orientale. E’ difficile sbagliarsi perchè sul lato a sud del ponte vi è una  grossa statua a grandezza naturale di Cristo che troneggia sulla diga. Quando l’avete superata ormai siete fuori dai guai: procedente lungo la strada cercando il rientro sul fiume che vi è più comodo. In tutto sono circa 400 metri su una strada sterrata dove si può utilizzare anche il carrellino.

Gli ostacoli successivi sono sul territorio di Cassano d’Adda e non vanno affatto presi sotto gamba. Sono stramazzi, tracimatoi e deviazioni in cui si deve fare molta attenzione.

Davide “Birillo” Valsecchi

Discesa d’Adda: prima diga di Groppello d’Adda

Discesa d’Adda: prima diga di Groppello d’Adda

Diga di Groppello d'Adda
Diga di Groppello d’Adda

Dopo la diga del Sant’Anna, a Fera Gera d’Adda, si devono affrontare ancora due dighe prima di raggiungere Cassano d’Adda.

La prima di queste, nel territorio di Groppello d’Adda,  ha l’approdo sulla sponda orientale (sinistra per chi scende lungo il fiume) una ventina di metri prima della chiusa [Coords: 45.541988, 9.528595]

L’acqua è tranquilla in quella porzione di fiume e l’approdo sembra fosse attrezzato anche per metttere in acqua piccole barche anche a monte della diga. Poco distante vi è infatti una strada sterrata, che però non abbiamo percorso, con cui è possibile raggiungere l’argine.

Si deve tirare fuori dall’acqua la canoa ed aggirare una costruzione recintata che fa parte della diga: il sentiero, che costeggia la cinta, è abbastanza piccolo e porta direttamente al di là della diga dove l’argine diventa prato. Non è ancora possibile rimettere in acqua la canoa perchè poco più avanti vi è uno stramazzo che conviene superare ancora a piedi.

In tutto sono circa 350 metri da affrontare a terra. Il sentiero è in terriccio ed è quindi possibile anche trascinare canoa di grosse dimensioni senza troppo rovinarne il fondo, difficilmente si riuscirebbe ad usare il carrellino.

Sul lato occidentale parte un canale che alimenta una struttura industriale e da cui è buona cosa tenersi alla larga!!

La diga successiva dista poco più di un chilometro e va sempre affrontata sulla sponda orientale (sinistra per chi scende il fiume), conviene quindi tenersi su quel lato del fiume da subito.

Davide “Birillo” Valsecchi

Discesa dell’Adda: diga di Olginate

Discesa dell’Adda: diga di Olginate

Diga di Olginate
Diga di Olginate

Uscendo dal Lago di Como sul ramo orientale si superano i tre ponti di Lecco e ci si immette nel lago di Garlate delimitato a sud dalla diga che lo separa appunto dal lago di Olginate.

La diga ha lo scopo di regolare il flusso d’acqua in uscita dal Lago di Como regolando la portata d’acqua dell’Adda. Gli enti pubblici infatti “vendono” l’acqua del lago sia alle centrali idroelettrice che alle coltivazioni a valle. La diga ho lo scopo di mantenere il flusso costante contrastando i periodi di secca e le piene.

Discendendo in canoa la diga è un ostacolo che va affrontato con prudenza e che richiede un  piccolo alaggio, il traino ed il trasporto a terra. Il lago di Garlate è particolarmente calmo ma, in prossimità della chiusa, la corrente può diventare molto forte ed improvvisa in base allo stato di apertura della chiusa.

Si deve per tanto avvicinarsi mantenendosi sul lato occidentale (a destra seguendo il senso del fiume) in modo da poter attraccare negli spiazzi posti un centinaio di metri a monte delle chiuse. Vi sono i cartelli che segnalano il pericolo ma, visto che con le chiuse non si scherza, avvicinatevi con prudenza mantendovi in sicurezza su questo lato del lago.

L’approdo [Coords: 45.804367, 9.411795] è agevole anche se avete canoe di grosse dimensioni come lo era la nostra. A seconda del livello del lago ci sono dei lunghi scalini da risalire ma non danno luogo a particolari difficoltà. Appena sopra la rampa dell’approdo vi è la pista ciclabile che costeggia la riva superando la chiusa ed il successivo ponte stradale.

Il primo prezzo della ciclabile è su ghiaia e strerrato e, dopo una ventina di metri, diventa asfaltato su strada. Il tratto da percorrere prima di poter tornare in acqua dipende dalle dimensioni e dalla tipologia della vostra canoa. Se avete un kayak leggero potete utilizzare le strette scalette metalliche poste a duecento metri a sud della chiusa. In alternativa, se la vostra imbarcazione è più ingombrante vi è uno scivolo a circa cinquecento metri più avanti.

Nota: vi è buon baretto lungo la ciclabile tra l’approdo ed il ritorno al fiume dove tirare fiato o fare rifornimento d’acqua o bevande.

Il fiume prosegue in un sussegguirsi di anse e bacini che non presentano particolari difficoltà o pericolo. Ci sono alcuni ponti lungo la discesa ma le campate sono abbastanza ampie ed il fiume, fino a Paderno, fisulta navigabile anche con piccole imbarcazioni. Superato Imbersago, dove vi è la chiatta di Leonardo, si raggiunge Paderno dove è necessario affrontare con prudenza una lunga serie di chiuse e rapide. (presto esposte anche qui).

Davide “Birillo” Valsecchi

River Horse

River Horse

Ippopotami
Ippopotami

Due giorni fa eravamo a zonzo sulle colline di Kolo. I locali dicono che siano infestate dalle iene ma noi, fortunatamente o aimhè, non ne abbiamo vista nessuna. Oggi invece eravamo sul lago Babati che, zanzare apparte, si è  dimostrato un posto magnifico. Il lago non è molto grande ma oltre a cormorani, acquile urlatrici ed un infinità di altri colorati uccelli, offre la possibilità di incontrare uno dei miei animali preferiti: l’ippopotamo.

Non so bene perchè “Ippo” mi piaccia tanto. Forse perchè, nonostante l’aria pacioccona, è uno sciupafemmine poligamo che passa il tempo a “spezzare in due” i coccodrilli. Sì, un tipo decisamente interessante!!

Apparte questo in molti credono che l’ippopotamo sia un animale aggressivo e pericoloso. Questo è vero solo in parte. Per la maggior parte dell’anno in realtà è un animale pacifico e tranquillo che si può facilmente avvicinare. Tuttavia è estremamente protettivo nei confronti dei cuccioli e riesce ad essere davvero violento nel tutelarli. Nel periodo in cui ha i piccoli conviene decisamente stargli alla larga. Ovviamente noi siamo arrivati a Babati nel pieno di questo periodo!!

Ma, necessità virtù, abbiamo trovato lo stesso una piccola e scassata canoa e, in compagnia di George il pescatore, ci siamo addentrati tra i canneti del lago. Quello che non mi aspettavo è che “Ippo” facesse un simile fracasso: soffia, sbuffa, muggisce e quando si muove sembra di sentire Godzilla che avanza.

Un paio di volte ci siamo avvicinati a mamma ipopotamo più del dovuto: era ancora nascosta nel fitto dei rami quando ha cominciato a “ruggire” in modo inquietante scuotendo le canne come un mostro preistorico. Abbiamo cominciato a pagaiare tra le alghe quasi da olimpionici!!

Anche se con qualche brivido e difficoltà mi ha fatto molto piacere vedere, finalmente dal vivo, questo gigante dalle zampe corte e le orecchie a sventola.

Domani ci spostiamo nuovamente fino al villaggio di Katesh, alle pendici del Monte Hanang. Ci vorranno un paio di ore di pulmino ma avremmo i due giorni successivi a disposizione per organizzare la salita. Dal lago Babati si vedeva in lontananza la montagna e mi è sembrata molto bella: un vulcano inattivo di 3417 metri che si alza tra le colline e la pianura.

Prima di chiudere vorrei però riportate qui per Voi un passaggio sugli ippopotami di uno dei miei autori preferiti: Alexander Lake. Eccovi la storia di uno tra i più strani ippopotami che sia andato a spasso per l’Africa.

I primi esploratori africani, come Livingstone, Stanley, Speke, Du Chailly, Burton, Grant e Baker descrissero l’ippopotamo come un animale feroce ed aggressivo. Non solo essi non conoscevano l’indole di questo animale ma mostrarono di credere a tutte le atrocità che gli indigeni raccontano a proposito dell’ippopotamo. Peggio ancora le narrarono come storie autentiche… Il più famoso tra gli ippopotami erranti fu Hubert, un ippopotamo di tre tonnellate, che al principio del 1940, si scosse dai piedi il fango della sua nativa palude nello Swaziland e partì per andare a scoprire le meraviglie del Sud Africa. Per più di trenta mesi Hubert sconvolse le teorie degli zoologi e degli scienziati, compiendo la travesata del Transvaal e del Natal, alla media di un miglio al giorno, e viaggiando sempre su strade di grande comunicazione o su quelle secondarie. Percorse più di mille miglia, visitando i villaggi, i kraal, le fattorie e le città. La maggior parte dei giornali d’Africa e d’Europa seguirono giorno per giorno la sua impresa. Poichè avvenne di frequente che le piogge cadessero poco dopo il suo passaggio in un dato distretto, i Kaffir incominciarono ad adorarlo come il Dio della Pioggia. Perfino alcuni bianchi lo adorarono. Fu un viaggio trionfale. Nelle fattorie e nei villaggi accoglievano il grande “cavallo di fiume” con mucchi di squisiti cavoli, di sedani e canne da zucchero. Quando non si era provveduto in tempo al suo pasto andava nei campi e, facendo uso dei suoi enormi denti, si procurava il cibo da se. Gli piaceva stare in compagnia della gente ma mostrava scarso interesse per le automobili. Sembrava che avesse uno spirito religioso perchè sostava sui sagrati delle chiese più a lungo che in qualsiasi altro posto. Per tre giorni si sentì a cosa sua in un monastero buddista e se ne andò soltanto dopo aver mangiato la maggior parte dei fiori e dei firgulti che c’erano nel giardino. Ogni tanto passava una giornata nei templi indù. Presso Johannesburg, a circa duecento miglia dallo Swaziland, Hubert prese bruscamente la direzione sud-est e si diresse verso Durban. La città organizzò un accoglienza trionfale per l’arrivo di Hubert, ma questi si fermò alla periferia della città per partecipare ad un banchetto a base di canna da zucchero. Benchè fosse stato proclamato “protettore della Provincia del Natal” e gli fosse stata accordata la protezione della polizia, sfuggì all’accoglienza popolare girando al largo ed entrando nella città da Parco Vittoria. Là consumò un pasto a base di fiori esotici prima di imboccare la West Street. Si servì senza complimenti di guiave e di nespole del Giappone quando passò davanti alle bancarelle della frutta, e sostò a lungo davanti ad un cinema guardando con interesse un manifesto che rappresentava Judy Garland. Mentre masticava un cavolo, alzo il grosso muso e annusò l’aria. Acqua! Lasciandosi cadere di bocca pezzi di foglie di cavolo si precipitò verso il serbatoio della città e prese un bagno. Per farlo uscire fu necessario adescarlo con carote, sedano e fieno. Stufo della gente che cercava di grattargli il dorso uscì dalla città dirigendosi vesto East London. Aveva percorso duecentoventicinque miglia e se ne stava un pomeriggio nel bel mezzo della strada rimirando dei fiori rosso vivo quando una canaglia d’un bianco lo uccise con una fucilata. Gli indigeni dicono che l’assassino fosse un contadino boero ma la polizia non fu mai in grado di accertarlo. Nel 1953 una statua di Hubert fu innalzata nel Parco Vittoria dai cittadini di Durban

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