Year: 2014

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Friend will be Friend

Friend will be Friend

Ieri, approfitando della neve del giorno prima, ho radunato un paio di ragazzi (uno non aveva mai messo i ramponi in vita sua) e ci siamo sparati una sgambata da Rongio al Rosalba. Al rientro Mattia mi chiama: “Le opzioni per domani sono due: Panzeri al Pilastro Rosso oppure Bonatti al Medale. Ma la Bonatti dall’attacco classico, non dalla ferrata. Pensa che è stato proprio Ivan il primo a liberarla!”

Un po’ basito rifletto su quello che ho appena sentito: “Hey ma la Panzeri è VIII°!! Davvero vuoi farmi congelare il culo sulle staffe con sto freddo!! Ma sei fuori! No, no! Non se ne parla proprio!!” Discutiamo un po’ e Mattia rilancia: “Invernale sulla normale di Maniaghi?” Per un istante l’idea mi tenta… Però ho degli scaproni pietosi che in sosta mi farebbero sicuramente penare e la “gitarella” al Rosalba inizierà a farsi sentire appena dopo il bagno.

“Naaaaaaaa…. ma qualcosa di normale?! Tipo che dopo domani ci facciamo un giretto al pizzo dei Tre Signori?! Poca neve, nessun guaio, foto eroiche e trionfanti con la picozza in pugno?!” Mattia scuote la testa: lui è impegnato martedì, o si va domani o niente. Accidenti, Bruna si ferma da me a dormire e mollarla all’alba per il Tre Signori sarebbe un po’ disdicevole (ammesso che le gambe reggano).

“Ma dai!! Non c’è nulla di normale che un Birillo abbuffato di panettone possa fare per star dietro al suo fulminato socio senza mettesi nei guai?!Dai!! Non mi tirare il collo anche a fine anno!!!” Scatta la contrattazione, tira, molla, meseda. Mi gioco una carta buona: “Solitudine alla rocca di Baiedo? E’ una via con un nome ed una storia! Sai che bel racconto!!” Mattia abbozza: “Già fatta….non va bene!”

Così, alla fine (con la Panzeri che aleggia come una spada di Damocle sulla mia testa) gioco il tutto per tutto: “Okay, pago io il parcheggio ed andiamo in Angelone?”

Ed eccoci quindi all’Angelone. Tuttavia visto che il mio socio è un pazzo fulminato esattamente come me ma in maniera assolutamente inversa e proporzionale, arrampichiamo in falesia solo con friend e protezioni veloci ignorando il libidinoso scintillio dei bolt resinati. “Dai dai, vedrai come sarà orgoglioso Ivan!” Mattia ghigna incastrato mani e piedi dentro una fessura… Pensare che io volevo andare in piscina!

Al ritorno mando la foto ad Ivan con un breve riassunto dei progetti fatti e di quelli messi in cantiere. Lui, che oltre ad essere il migliore tra noi nelle imitazioni è anche il nostro Druido-Guru-Filosofo, mi ha risposto così: “Certo avete mete tipiche di chi è vegliato nelle notti stellate da sogni senza fine meravigliosamente terribili. Il Destino vi culla benevolo e sornione.” Figata!

Ivan, Joseph e Gianka sono tra i più forti (e divertenti) con cui abbia arrampicato quest’anno. Tuttavia, oltre alle magnifiche salite fatte ai Corni (veri e propri gioielli!), il grande e straordinario risultato del 2014 è la “squadra”, lo strepitoso e sconclusionato gruppo che siamo riusciti a mettere in piedi!!

Mi guardo attorno e mi vedo circondato da alpinisti ed arrampicatori fortissimmi e carismatici, a cui fanno da spalla giovani arrambanti che fortissimi e carismatici possono davvero diventeralo. Come disse Mesner “le montagne hanno il valore delle emozioni che attribuiamo loro”: il viaggio con questa banda di pazzi furiosi non potrebbe essere più emozionante!

Grazie Mattia, Ivan, Joseph, Gianka, Stefano, Luca, Fabrizio, Simone, Mav, Andrea, Marzio, Claudia, Gianni, Antonio, Keko, Boris, Nicky, Francesco, Davide, Giovanni, Daniela, Umberto e “last but not least” Bruna. Abbiamo fatto tremare i pilastri della terra quest’anno! Grazie davvero!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Destinazione Rosalba

Destinazione Rosalba

“Facciamo due passi da Rongio al Rosalba?” Avevo gettato quest’esca ai Badger perchè, avendo nevicato il giorno prima, speravo abboccasse qualche pesce grosso della squadra. Inaspettatamente alla chiamata hanno risposto invece le mie due “aciughine” preferite: Boris e Niky. Non ero sicuro fosse un uscita alla loro portata: non ero mai stato da quelle parti e nelle relazioni si parla di 1000 e passa metri di dislivello tra roccette esposte che, nel nostro caso, saranno coperte da un leggero strato di neve. Tuttavia, visto che erano belli gasati, ho comunque “startato” la missione.

Da Rongio al baitello del Manavello si risale attravarso il bosco lungo un sentiero abbastanza battuto. Una salita piacevole e non troppo impegnativa. Se il Baitello è aperto si può trovare anche un riparo caldo e godere di uno strepitoso panorama.

Superato il baitello la neve si è fatta vergine e la traccia, visibile solo dai bolli colorati sui sassi, risale ripida ed al buio su per un canale. L’attacco era tutt’altro che invitante ed il vento gelido che soffiava giù dalla Grigne rafforzava quella sensazione di disagio. “Bene, se qualcuno ha qualcosa da dire è il momento di farlo. Se attacchiamo la prossima fermata è al Rosalba”. Il sentiero era troppo ripido ed esposto perchè lo potessero affrontare in discesa con quell’infido strato di neve. Potevano farlo in salita ma dovevano arrivare fino alla cresta per uscirne senza rogne. Decisi mi rispondono “Andiamo!”. Beata gioventù, se io fossi stato in loro avrei alzato la mano proponendo di gozzovigliare al Baitello!!

Il sentiero è ripido e l’aria si è fatta frizzantemente fredda. Boris sembra aver perso l’entusiasmo iniziale e scivola ad ogni passo. “Birillo, io metterei i ramponi!” La domanda mi incuriosice e divertito gli domando: “Ramponi? Qui? Fammi vedere un po’ come cammini piuttosto”. Lo osservo mentre avanza “Boris, non camminare sulle punte. Appoggia tutto il piede, compreso il tacco! E tieni il corpo dritto ed il peso centrale! Se ti sbilanci in avanti sulle bacchette è inevitabile che ti scivoli l’appoggio! Dritto e con tutto il piede!”
Piano piano migliora ma si capisce che è “intesito” dalla situazione “Accidenti, se non muoio di freddo rotolerò fino a Rongio!”. Nicky, al contrario, si diverte e con la sua camminata un po’ a papera se la cava bene sulla neve.

Superiamo un tratto di roccette viscide ed un successivo passaggio attrezzato con le catene. Finalmente siamo quasi all’uscita della cresta e, cambiando versante, siamo meno esposti al vento e riscaldati dal sole. Avanziamo sul paglione coperto di neve ed i miei soci si scambiano i ruoli: Boris sembra essersi ripreso mentre Niky sta andando in crisi per la fatica.

Pian piano risaliamo lungo il crinale erboso e, cresta dopo cresta, finalmente vediamo il Rosalba all’orizzonte. Per me è ora di fare un po’ di conto. Siamo finalmente usciti sulla cresta ma è già l’una del pomeriggio e, nonostante il sole sia caldo, ho a disposizione tre o quattro ore di luce prima che il sole tramonti. Attorno a noi è pieno di camosci che come schegge si rincorrono sui ripidi prati. Loro sono veloci, noi no. Per questo invece di puntare al Rosalba (comunque chiuso) inizio ad approntare il piano di rientro.

I miei soci cominciano ad essere davvero provati: “Birillo, fermiamoci a fare pausa un quarto d’ora, riposiamo e mangiamo qualcosa”. Ecco, questo è il momento esatto in cui gli “escursionisti” si mettono nei casini e rischiano di far parte delle statistiche del Soccorso Alpino.

D’inverno il tempo vola e passata la “mezza” devi mettere le ali al culo e puntare a rientrare: dilettarsi con un pick-nick su una cresta a 1700 metri di quota sotto la Grigna coperta di neve è l’idea peggiore che si possa avere!! Per prima cosa, anche fermandosi, non vi è assolutamente modo di riposare o recuperare forze. Tutto quello che si può ottenere è di prendere freddo proprio quando sarebbe meno opportuno. In secondo luogo anche se il freddo non bloccasse la digestione, con tutti i problemi che comporterebbe, il cibo ci metterebbe un paio d’ore prima di diventare energia fruibile. Inoltre chi ha tempo non cerchi tempo: gli imprevisti della discesa possono essere molti e farsi sorprendere in quota dal buio e dal freddo vero non aiuta di certo a risolverli.

La situazione rappresenta un curioso paradosso. Se fossero più in forze, più saldi e veloci sui piedi potremmo fermarci a fare qualche foto in più e a tirare il fiato godendoci il panorama. Tuttavia, proprio perchè sono stanchi, lenti ed incerti sui piedi, è imperativo continuare e cercare di perdere quota con calma e costanza.

“Non se ne parla nemmeno” Distribuisco un po’ di Golia alla liquirizia “Finchè non siamo scesi al bosco dobbiamo darci da fare e tenere duro. Questo è il momento in cui dovete reggere!” I mei soci brontolano, qualcuno addenta di nascosto un panino, ma continuano a camminare.

Boris si ferma ed infila i ramponi. L’idea può essere buona, dodici punte sono un po’ “hard core” ma sul paglione coperto di neve può dargli un po’ più sicurezza. L’altro lato della medaglia è rappresentato dallo “zoccolo di neve” che inevitabilmente (e pericolosamente) si forma sotto le punte in quelle condizioni.

Infilo i ramponi a Niky e riprendiamo il lungo traverso. Per Nicky questa è la prima volta che li usa: un inizio davvero curioso. Lo ossercvo con attenzione e dopo un po’ di cammino Nicky scivola. Non è la caduta di per sè a stupirmi quanto la sua reazione: con lo sguardo perso nel vuoto come una balena spiaggiata semplicemente si lascia scivolare completamente passivo. Esplodo in un ruggito di imprecazioni e gli ordino di fermarsi: la balena spiaggiata si rianima, punta i piedi e si ferma.

Niky è cotto ed anche Boris sembra preoccupato. Questa è esattamente la tipica situazione che la maggior parte della gente sottovaluta ed il momento esatto in cui in montagna deve saltar fuori il carattere delle persone. Il sole corre ma il tempo è ottimo, il vento è cessato ed io ho ancora il serbatoio della benzina bello pieno: sono allertato ma non preoccupato. Tocca a me darci dentro.

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Mi affianco a Niky marcandolo stretto e spiegando ad entrambi cosa fare, dove passare, come e dove appoggiare i piedi. Sono miei amici ma proprio per questo i miei sono formalmente “ordini” piuttosto imperiosi ed inquivocabili. Dobbiamo chiudere un lungo traverso abbassandoci fino al sentiero delle foppe percorrendolo poi fino al bivio che riporta a Mandello.

Lavoriamo bene tutti insieme e finalmente le difficoltà cominciano a diminuire. Come prevedibile più scendiamo più Niky e Boris sì rincuorano lasciando che il buon umore e l’entusiasmo tornino ad azzittire le difficoltà. Quando finalmente siamo di nuovo nel bosco, più o meno all’altezza dei Resinelli, per evitare l’amutinamento lascio che si siedano al sole e si ingozzino di panini al prosciutto. Io, senza nemmeno togliere lo zaino (detesto il freddo alla schiena!sono anziano!), estraggo dalla tasca una barretta di cioccolato osservandoli mentre si abbuffano.

Per loro quella di oggi è stata davvero un’esperienza fuori scala ed hanno toccato un po’ i propri limiti imparando (si spera) qualcosa di più su loro stessi. La fatica è qualcosa che, involontariamente, ci spinge ad assumere atteggiamenti che hanno il solo scopo di esibire e mostrare la stanchezza stessa. Pensateci: si ciondola, ci si trascina, ci si lascia andare e si assume un espressione da “madonna dolorante” piuttosto ridicola. Tutte cose inutile e controproducenti.

La fatica è qualcosa che si deve imparare a conoscere e che si deve comprendere. Quando si è stanchi si deve ottimizzare ogni gesto, conservare e gestire ogni movimento. Per farlo si deve insegnare alla “testa” a diventare la parte più forte di tutto il nostro corpo: tutto può cedere ma la testa deve reggere. Si deve diventare come dei pugili che si chiudono in difesa, incassano colpo su colpo, senza scoprirsi e gudagnando ogni secondo che li separa dal suono della campanella. Purtroppo è qualcosa che si impara solo andando al tappeto ed è per questo che serve avere degli ottimi “secondi” ed un buon allenatore quando accade.(…io che sono duro di comprendonio al tappeto ci sono andato più di una volta!)

Le due ore successive scorrono allegre e spensierate, rientriamo verso Rongio macinando gli ultimi chilometri e scherzando ad ogni passo. I miei soci hanno superato le difficoltà e le crisi: ora non sembrano nemmeno le stesse persone di poco prima. Sono davvero felice.

Quando arriviamo alla macchina è il tramonto: alle spalle abbiamo 12km e 1200 metri di dislivello percorsi su neve infida. Quando ci infiliamo nel primo bar è ormai buio. Ingollo la mia birra soddisfatto: ho fatto bene i miei conti e loro due non sono più le “aciughine” che erano al mattino. Bravi, davvero bravi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Salita dal sentiero 13b e discesa dal sentiero 12:

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Grignone: Canalone Ovest

Grignone: Canalone Ovest

Il BadgerTeam è a tutti gli effetti l’esercito personale di Birillo, la sua armata brancaleone. Come tale spesso è sconcluionato, incasinato e contraddittorio così come lo è lui: se i ragazzi avessero l’opportunità di imparare solo da me sarebbero davvero nei guai!! Fortunatamente la nostra piccola compagine è circondata da amici che, con le loro salite e la loro esperienza, sanno essere fonte sia d’ispirazione che d’insegnamento per tutti noi.

Nel giorno di Santo Stefano, come regalo per l’onomastico, Stefano, Luca e Giovanni hanno dato l’assalto al Canalone Ovest del Grignone. Tutti e tre appartegono al Corpo Nazionale del Soccorso Alpino in forza al nostro territorio ed attualmente sotto la guida del mitico “Fuma” (che un mesetto fà si è gentilmente reso disponibile nel seguire i ragazzi nei loro primi passi in ferrata: grazie ancora!).

Luca e Stefano sono miei compagni da quando eravamo pischelli ma ora, dopo essere entrati nel Soccorso, hanno fatto davvero un notevole salto di qualità. I canaloni della Grigna sono tra le mie mille fantasie ma ci vorrà ancora molto tempo e preparazione prima che i Badger possano essere in grado di affrontarli. Tuttavia sapere che qualche amico ha iniziato ad infilarci il naso è davvero stimolante!

Il canalone fu percorso per la prima volta in discesa da Giovanni Gavazzi, Julien Grange e Primo Ballati il 17 ottobre del 1874. Sarebbe interessante scoprire se c’è qualche parentela tra Primo Balatti ed il leggendario Benigno “Ben” Balatti che, sempre sulla Ovest, ha tracciato le strepitose MagicLine (TD-) e La Storia Infinita (TD+) nell’inverno del 2003. (Ben, ai miei occhi, è il re del Disgrazia, la regina delle mie fantasie!)

La descrizione che mi ha fatto Stefano è stata come sempre stringata: difficoltà AD 50°, III°, bello stretto, un po’ “magro” di neve con tre salti di roccia delicati perchè un po’ marciotti. Decisamente stringato!! Quindi non mi resta che mostrarvi qualcuna delle loro foto sperando possano stuzzicare le vostre fantasie per gli anni a venire.

Ancora complimenti!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Grignone – Canalone Ovest
26/12/214 – Giovanni Giarletta, Stefano Sepriano, Luca Beduzzi

Una luce anche ai Corni

Una luce anche ai Corni

La sera del 23 Dicembre le montagne, come da tradizione, si illuminano. Cornizzolo, Monte Rai, Palanzone, Monte Megna, Moregallo, Corno Rat: tutte brillano nella luce delle fiaccole o delle torce elettriche. Tuttavia, ogni anno, tra queste queste montagne vi è zona buia, una densa ombra nera il cui profilo svetta nel riflesso delle stelle: i Corni di Canzo.

Diversamente dalle altre montagne i Corni sono decisamente meno docili e “popolari” di notte: in buona misura è la loro stessa natura, il loro carattere severo, a confinarli nell’oscurità. Salire sulla cima dei Corni con il buio ed in inverno non è affare semplice, sicuramente non adatto alle centinaia di persone che si accalcano serene e festose sui grandi prati del Cornizzolo.

Tuttavia quella zona buia andava riempita, quel vuoto andava colmato: visto che i Corni sono le mie montagne toccava a me darmi da fare. Così, la sera del 23, insieme a mio fratello Kekko e a Simone siamo partiti da Oneda alla volta di Pianezzo con l’obbiettivo di illuminare anche il Corno Occidentale.

Visto che la neve ancora non si è fatta vedere era assolutamente impossibile usare le torce a fiamma. Il corno si eleva al di sopra di boschi ormai secchi, pieni di rovi e sterpaglie. Il pericolo che qualcosa andasse storto e che si “illuminasse” più del dovuto era qualcosa da scongiurare.

Per questo motivo nello zaino avevo una pesantissima batteria da 12 kili a cui intendevamo attaccare un grosso faro di fattura “artigianale”. Non eravamo certi dell’effetto ma volevamo comunque tentare l’esperimento. Trasportare la batteria si è rivelato un mezzo calvario a cui ci siamo pazientemente alternati tutti e tre.

Giunti al “caminetto” si deve risalire per una trentina di metri uno stretto passaggio di roccia abbastanza verticale di II° grado. A tratti un po’ esposto non è un passaggio particolarmente difficile sebbene al buio non sia assolutamente da sottovalutare: per Kekko quella era la sua prima volta in notturna sul corno!

Quando siamo arrivati alla croce anche tutte le altre fiaccolate stavano giungendo alla propria vetta. Dopo aver trafficato con i cavi anche la cima dei Corni ha iniziato a risplendere!

Nonostante il vento il mio cellulare ha cominciato a suonare. Mattia dal monte Rai: “Hey Birillo, vi vedo! Auguri!!” Renzo e Paolo da Megna: ”Vi vediamo, fate un sacco di luce! Auguri!” Mav dal Palanzone: ”Hey capitano! Anche da qui ti si vede!” Alle nostre spalle la ghirlanda di luce lungo la cresta Osa degli amici di Valmadrera e più sotto le luci all’uscita della ferrata del Corno Rat accese degli amici del Soccorso Alpino.

Eravamo solo in tre ma avevamo portato la luce ai Corni e su tutte le montagne circostanti avevamo amici che agitavano la propria luce per salutarci. Sì, credo non ci fosse modo migliore per colmare il vuoto, per illuminare il buio. Tanti auguri a tutti voi, amici miei!

Davide “Birillo” Valsecchi

I Tre giorni del Tasso

I Tre giorni del Tasso

Definiamo “intenso” tutto ciò che si manifesta con particolare forza e concentrazione, qualcosa di espressivo e penetrante condotto con grande energia, concentrazione e assiduità. Per questo “i tre giorni del tasso” sono stati un week-end piuttosto intenso. Volevo mettere alla prova i ragazzi e revisionare la mia capacità di “tenere botta”. Così li ho arruolati quasi tutti coinvolgendoli in un piccolo, ma intenso, tour de force.

In sequenza stretta: Notturna al Cornizzolo, Invernale in Grignetta ed Invernale al Legnone.

Ogni ”Badger”, a seconda delle proprie capacità e delle propria disponibilità, ha deciso a quale attività partecipare. Così venerd’ sera, dopo una rapida puntata per i saluti in Sede Cai, ci siamo ritrovati alle ochette del Segrino e da Campora abbiamo attaccato la cresta che conduce alla croce del Cronizzolo, illuminata per le feste.

Una classicissima che permette, a chi non l’abbia mia fatto, di scoprire la curiosa meraviglia delle luci di pianura. In squadra, attrezzati di frontale, Boris, Kekko, Nicola, Mav ed Io. La discesa in super relax a luci piacevolemente spente lungo la strada che porta alla Sec.

In branda alle due di notte siamo saltati fuori dal letto alle sei del mattino per puntare alla cima della Grignetta risalendo lungo la Cermenati. in squadra Boris, Kekko, Mav ed io. Boris e Keko non erano mai saliti in Grignetta con la neve e la loro era una specie di “prima volta” tutta da scoprire.

Dopo aver scorrazzato per la Grignetta ci siamo infilati al “2184” per scolarci un paio di birre e festeggiare. Rientrati a casa c’è stato giusto il tempo per un tuffo in vasca da bagno, un piatto di polenta della Zia e nuovamente in branda. La sveglia suona alle 5:30 ed alle sei una nuova squadra passa a prendermi: Marzio, Andrea e l’onnipresente Mav. La nuova destinazione è la vetta del Legnone.

Quando arriviamo ai Roccoli di Loerla il vento spazza la cima del Legnone innalzando altissimi pinnacoli di neve oltre la cresta. “Bagai, sembra un vulcano! Con un vento simile andiamo a dare un’occhiata alla Ca’ de Legn prima di decidere sul da farsi”. Il vento soffia freddo e fortissimo ma tutto intorno a noi l’orizzonte  esplode dilagando in un’alba strepitosa, fatta di montagne e neve dorata.

Finalmente alla “Ca’ De Legn” attendiamo che il sole illumini la cresta. Mav ed Andrea non sono mai stati sul Legnone, nemmeno in Estiva. Anche per me e Marzio questa è la prima volta con la neve. Il vento sembra calare ed attacchiamo. I passaggi “tecnici” non sono molti, tuttavia l’esposizione è davvero importante ed i ragazzi devono lavorare di picca e ramponi come mai hanno fatto prima. Finalmente, spazzati dal vento, raggiungiamo la cima che, con nostra assoluta sorpresa, si offre come un oasi: al riparo dai turbini ed accarezzata dal tepore del sole.

Godiamo di quell’insperata quiete e del panorama mozzafiato che si perde in ogni direzione. Poi, dopo le foto e le strette di mano di rito, iniziamo la nostra discesa. Sbraito, urlo, mi agito: “Non fare la fighetta!! Pesta quei ramponi e pianta bene la becca nella neve! Duro e cattivo! Forza! Duro e cattivo!! Non siamo qui per cazzeggiare!!” Sbagliare nei tratti più verticali significherebbe farsi uno scivolo verso valle di quasi cinquecento metri: qualcosa da evitare con assoluta determinazione! Tuttavia, nonostante la fatica e qualche crampo, la squadra è scesa sana e salva a valle (dove finalmente ho cominciato a rilassarmi!). Davvero bravi!!

Quasi tutti i membri del BadgerTeam, ognuno secondo il proprio livello, si è dato da fare questo week-end. Anche gli infortunati o quelli intrappolati dal lavoro hanno saputo, sebbene non presenti, rendersi comunque partecipi alle attività. Sono estremamente contento e soddisfatto: tutti hanno segnato il proprio punto accrescendosi di una nuova “prima volta”. Davvero bravi! In particolare voglio complimentarmi e ringraziare Mav che, standomi dietro tutti e tre i giorni, si è sparato una tonnellata di metri di dislivello e quintali di chilometri dormendo una manciata d’ore. Bravo Mav, grazie per il supporto!!

Nei prossimi giorni, con calma, riordinerò le foto e racconterò ogni singola salita con l’attenzione e la cura che merita. Tuttavia, visto che siamo diventati davvero un bel gruppo, mi piace l’idea di raccogliere tutte queste esperienze diverse in un unico articolo che coinvolga tutti.

Ora, con permesso, credo che crollerò in branda con un compiaciuto sorriso stampato in faccia: gioravagare tra le montagne non avrebbe lo stesso senso senza di voi.

Davide “Birillo” Valsecchi

A badger tale of Ice and Fire

A badger tale of Ice and Fire

«Ho scelto di circondarmi di pazzi, malati della mia stessa follia, per poterli chiamare “amici”. E in loro riconoscermi. – Boris» La squadra dei Tassi, il BadgerTeam, si raduna per festeggiare il compleanno di Kekko: prima una puntata in Birreria e poi al Centrale. Mav, il vichingo Ra’s al Ghul della truppa, si perde in un capannello di ragazze che letteralmente lo circondano. Il locale è pieno di musica assordante, Boris in camicia e maglioncino fa il brillante in mezzo a gente coperta di teschi, io intanto cerco di capire perchè continuino a dare fuoco al mio stramaledetto bicchiere! I tassi sono in festa ed i boccali di birra si ammassano sul tavolo: direi che va bene e lascio libero il branco prima di chiamare la ritirata in branda.

Al mattino il tempo è ancora pessimo ma nonostante la pioggia il morale è alto. Partiamo da Lecco e puntiamo verso Introbio e la val Biandino. Boris, Mav, Andrea, Marzio, Antonio e Birillo: ecco la squadra di oggi. La nebbia copre ogni cosa ed arriviamo mezzi fradici al rifugio Tavecchia risalendo il sentiero numero 40. Finalmente compaiono le prime colate di ghiaccio e la prima neve, la pioggia si trasforma e tutto attorno a noi si copre di bianco.

“La nebbia è il miglior tour operator del mondo. Guardati intorno: ora potresti essere in Pakistan, in Nepal o nelle Ande. Tutto sarebbe assolutamente identico!” Attorno a noi è tutto bianco e con pazienza certosina seguiamo le tracce nella neve risalendo fino al Rifugio Grassi.

Quando finalmente scolliniamo il bianco diventa assoluto, il rifugio appare all’improvviso quando ormai siamo sulla porta d’ingresso. Al suo interno Anna ed Amos ci accolgono con la loro consueta e comprovata ospitalità. Ci abbuffiamo a ridosso della stufa mentre dalla finestra teniamo d’occhio la traccia che lentamante si afflievolisce per la nuova neve.

“Bene bagai, andiamo!” Nevica bene ma la nebbia si è diradata e tanto basta per lasciarci godere la discesa. Quella di oggi è stata una bella sgroppata, la pioggia è stata una noia ma il giretto sulla neve valeva il fastidio. Giornate come queste non hanno molto da raccontare perchè sono sopratutto giornate da vivere e godersi.

Quando arriviamo all’auto ormai è buio ed il numero di “chiacchiere” fatte è incalcolabile. Un bellissimo fine settimana: bravi ragazzi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Eccovi un po’ di foto: quelle realizzate da Boris le potete trovare qui: http://daimario.tumblr.com

Placchette del San Martino

Placchette del San Martino

Da qualche giorno Bruna è un po’ come un disco rotto. Continua a ripetere tre cose “Voglio cambiare casa!”, “Devi venire a trovare i miei genitori per Natale!”, “Voglio un bambino!”. Direi che ce ne è abbastanza per terrorizzare uomini ben più saldi di me! Così, quando ha attaccato dicendomi “Non vedo una progettualità, non capisco dove stiamo andando” ho reagito d’istinto rispondendo con semplicità e determinazione: “Beh, andiamo ad arrampicare!”.

Così, per cambiare zona, l’ho portata alla placchette del San Martino.In venti minuti a piedi dalla macchina arrivamo alla falesia. Sono più o meno le dieci ed il sole, di questi tempi piuttosto raro, scalda gradevolmente la roccia. Caschetto in testa ed iniziamo a giocare un po’ sui docili monotiri del settore destro al cospetto della grande parete del Medale.

Il sole verso le due inizia a nascondersi dietro le nuvole e l’atmosfera diventa improvvisamente plumbea e cupa. Bruna infila la giacca mentre attacco la placca su cui corre una bella via in aderenza. Il mio modo di vivere le placche è davvero cambiato ed ora, con il giusto approccio, le trovo davvero molto più godibili. Il grado, un 6b, è al mio limite da primo: mi serve tempo e tanta tranquillità per provare a passare. Bruna, anche senza dirlo, comincia ad avere freddo e a brontolare. Così piego verso destra su un 5a pieno di lame e raggiungo rapido la sosta.

“Togli tutto che fa freddo! Io non salgo”.Mi grida Bruna mentre mi cala. Sono solo le tre del pomeriggio ma l’inverno è tornato a farla da padrone: la primaverile mattinata è ormai un ricordo. Raggiungo la mia bergamasca preferita, riempio lo zaino con tutta l’attrezzatura ed insieme ci ritiriamo verso casa. Infagottata nella giacca finalmente sorride, finalmente sereni come una semplice coppiettina.

Uff! Speriamo che nevichi, e tanto! Speriamo anche che il Natale passi in fretta perchè per me qui tira aria grama! Gulp!! Aiuto!

Davide “Birillo” Valsecchi

Back to where I belong

Back to where I belong

Io, Simone e Keko ci mettiamo in marcia da Cranno puntando ai Corni. Il piano è farsi un giro sulla ferrata del Venticinquennale ma io ho solo voglia di andarmene a zonzo, di curiosare, di mostrare a mio fratello quello che nel tempo ho scoperto.

Lungo la cresta inizio a girovagare, sono in caccia di qualche bel gigante di granito abbandonato in mezzo al bosco dall’antico ghiacciaio, qualcosa con cui far giocare i ragazzi senza dover salire fino in cima al lago. Bhe, gente, ho fatto scoperte! Sui sassi noti ho trovato piccole ma preoccupanti tracce di magnesite, mentre i new entry sono nudi, puri ed assolutamente interessanti!!

Inoltre a furia di cercare ho trovato qualcosa di completamente inatteso. Una bella bastionata calcarea di 30/35 metri, non strapiombante, densa di appigli e di strategiche piante poste ogni due o tre metri. Certo, di primo acchitto sembra una ravanata incredibile ma da subito mi ha ricordato la placca su cui ho arrampicato con Ivan al Pizzo d’Erna: stessa possibilità d’approccio.

Si può infatti creare dei solidi ancoraggi utilizzando piante e fettucce sbizzarrendosi poi con friend e nat nell’integrare i passaggi. I ragazzi, soprattutto Mav ed Andrea, hanno comprato un po’ di materiale (usato) da incastro e quello può essere un’ottimo spot in cui giocare ed imparare ad usarlo come si deve.

Cuorsamente, proseguendo nella ricerca, siamo finiti al leggendario “Peekaboo Creek”: un vero tuffo nella nostalgia. Il Peekaboo, così come lo battezzammo all’epoca, è un crinale dei Corni vicino al Testa di Fra dove si possono trovare dei grossi massi di roccia alti una decina di metri. Su quelle roccie io ed Fabrizio, il mio socio siciliano, abbiamo cominciato ad arrampicare combinando le cose più strane. Non avevamo nè chiodi nè friend, usavamo dei cordini e traversine di legno per assicuraci a degli speroni arrampicando con la corda dall’alto.

Mal equipaggiati, assolutamente impreparati, arrampicavamo in pieno inverno in un buco di culo del mondo rischiando ogni volta il disastro. Tutto perchè, per indole, l’idea di andare in una falesia attrezzata nemmeno mi sfiorava. Buona o cattiva quella era “la nostra cosa” ed era esclusivamente nostra. Non avevamo alcuna intenzione di mischiarci con nessuno, meno che mai con gli invasati di magnesite e quel loro guardarti strafottenti dall’alto in basso. Fanculo: eravamo due sfigati ma assolutamente hard-core!

Ritrovarsi al Peekaboo è stata una piccola sorpresa, tutto per me è cominciato e ricominciato da lì. Con grande e commovente stupore ho trovato dei chiodi ed un malconcio rinvio abbandonato a metà parete. Qualcuno ha avuto la nostra stessa idea ed ha dato inizio alla sua avventura: beh, chiunque tu sia sappi che io faccio il tifo per te!!

C’è ancora una lunga fessura verticale che all’epoca non riuscimmo a vincere, credo quindi che con grande gioia tornerò al Peekaboo con i ragazzi e magari anche con Fabrizio. Sarà come celebrare il mito delle origini e passare il testimone. Quanti sogni fatti su quelle rocce insignificanti!

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps: La placca nuova è una figata, ci stanno 6/8 linee ma state freschi se sperate vi dica dove sia prima di averci portato i miei!! 😉

May we never forget the sacrifices
My friends made for me

Se prometti di non diventarmi logorroico ora quella fessura la possiamo chiudere insieme del basso 😉

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