Causa il LockDown di Natale – ognuno deve fare la sua parte! – passo il tempo su vecchi libri, investigando nel passato mentre tengo teso l’orecchio alle nanerottole che dormono. Il mio piano è riordinare finalmente il materiale raccolto e proseguire con la “WikiPedia” dedicata all’Isola Senza Nome: un progetto iniziato anni fa ma per lungo tempo interrotto a causa di problemi tecnici e/o pigrizia del sottoscritto. Tuttavia, sfogliando una pubblicazione del Saglio del 1957, è emersa una nota storica molto interessante che ho pensato di condividere subito. Chi ben conosece il sentiero EE che attraversa il Corno Centrale da Est a Ovest rimarrà piacevolemente sorpreso – o quanto meno così è stato per me – nel leggere questo breve trafiletto (quantomeno per le date ed i nomi!).
Corno Centrale – Per il Versante Sud, ore 1:10; facile. – E’ la via percorsa nel 1896 da A.Andina e R.Ferrari. – Dal rifugio (NDR: all’epoca era il rifugio era l’Alpe Pianezzo, non la SEV), seguendo quel sentiero pianeggiante che si porta sul verde sperone settentrionale del Corno Centrale, s’abbassa ai piedi della Parete Fasana e, costeggiati i Pilastri, si raggiunge il crinale erboso un poco al di sopra della Bocchetta di Leura (ore 0.40). Dalla Bocchetta ci si alza per la cresta verso la base dei Pilastri e l’inizio di quella caratteristica spaccatura che li separa dal Corno Centrale. Per una scarpata erbosa si riesce alla breve bastionata del versante meridionale e la si risale, senza via obbligata e speciali difficoltà, fino alla vetta (ore 0.30-1.10)
La breve bastionata è il tratto roccioso oggi attrazzato con catene, quello che ciclicamente è soggetto a piccoli grandi crolli. Francamente il vero “Passaggio a Sud” sarebbe quello che, superata la Torre Desio, permette di rimontare obliquamente dal canalone Sud sfruttando il “traverso delle capre” giungendo appena sopra l’uscita della via delle Caverne. Questo è il solo modo per salire effettivamente da Sud senza affrontare itinerari alpinistici. Si tratta però di una “ravanata” per chi conosce il posto più che di un vero sentiero. Il Saglio, nella sua pubblicazione, probabilmente descrive quindi quello che oggi è il sentiero EE della Cresta Est. Una traccia oggi molto frequentata e che, grazie a queste poche righe, appare come pressoche ignota finchè A.Andina e R.Ferrari, nel lontano 1896, decisero di “passar sù”. Quasi me li immagino, senza sapere nulla di loro, mentre osservano il Corno Centrale dalla cima del Corno Orientale: “Secondo me di là si passa… andiamo?”.
Piccole grandi perle di alpinismo indigeno…
Davide “Birillo” Valsecchi
Qui sopra un estratto della carta sentieristica dei sentieri (fonte OpenStreetMap) mentre sotto un dettaglio del “Traverso delle Capre” (o sentiero delle caverne) sul versante sud del Corno Centrale (che, probabilmente per sensati motivi, non compare nella sentieristica).
La notte del 23 di Dicembre, quando la normalità avvolgeva la quotidianità del periodo natalizio, le montagne si illuminavano grazie alle consuete fiaccolate. Quella storica e super-affollata sul Cornizzolo, quella alla Croce di Megna, al Palanzone ed al San Primo. Oltre a queste le luci della Crestina Osa sul Moregallo, quelle del Soccorso Alpino sul Corno Rat, gli AsenPark sulla Cassin al Medale e tante altre ancora. I Corni di Canzo invece rimanevano al buio. Le fiaccolate dei monti vicini erano più famose ed invitanti. La cima del Corno Occidentale è stretta ed esposta sui lati, specie con il buio e la neve. Anche la salita per il caminetto, ma soprattutto la discesa, può essere piuttosto ostica con la roccia bagnata o il ghiaccio. Non è decisamente una passeggiata alla portata di chiunque.
Mia mamma diceva sempre che sono un “Bastian Contrario”, probabilmente sono come l’indiano arrabbiato del “Piccolo Grande Uomo” e cerco solo di lavarmi con la sabbia ed asciugarmi con l’acqua. Sta di fatto che nel 2014 decisi che non sarei andato alle fiaccolate a cui andavano tutti, non sarei salito sulle montagne che salivano tutti. Le mie montagne sono i Corni di Canzo e quindi avrei portato “luce nel buio” lassù. A darmi man forte, mentre trascinavo sulla cima una vecchia batteria d’auto ed uno sgangherato faretto, c’erano mio fratello e il marito di mia sorella. L’anno successivo si unirono alla stramba idea anche altri membri dei Tassi del Moregallo. La batteria divenne sempre più piccola e leggera mentre il faretto fu sostituito da ghirlande a led via via sempre più tamarre. Divenne un nostro rito: qualcuno si occupava di portare su le luci, qualcuno ripercorreva la ferrata. Il nuovo bivacco invernale del Rifugio SEV offrì il riparo in cui festeggiare sfuggendo al tagliente e gelido vento che spesso soffia dal nord del lago. A salire in cima al Corno eravamo sempre – fortunatamente – in pochi, ma grazie alla Sev, che negli ultimi anni teneva aperto il rifugio preparando la trippa, anche a Pianezzo si festeggiava in allegria.
Tuttavia lo scorso anno, il 23 Dicembre del 2019, qualcosa è cambiato: ero terribilmente malato, con la febbre alta e bloccato nel letto. Per la prima volta non potevo essere in squadra, dovevo lasciare che i Tassi se la cavassero da soli senza le “padanti e petulanti” raccomandazioni di “Nonno Gufo Birillo”. Già, ero ammalato: quando poi è scoppiata la pandemia la mia natura scaramantica non ha mai smesso tormentarmi per il “cattivo presagio” di quel rito a cui ero venuto meno. Già, perchè il 2020 è stato un anno davvero strano.
Assillato da mille timori avrei desistito anche quest’anno se non si fossero mossi con decisione mio fratello e Simone: “Solo noi, siamo tutti congiunti e siamo il gruppo della prima volta”. Non potevo tirarmi indietro: “Okay, ma senza luci: la notte deve passare senza vederci”. Così, per rispettare il coprifuoco delle 22, siamo partiti più presto del solito. Alle 17:40 eravamo già in cima, la neve non aveva dato grandi problemi ed eravamo saliti con rapidità, quasi con “urgenza”. Lo spettacolo era insolito ed a tratti disorientante: le strade di Lecco erano affollate dalle luci della auto in colonna per lo shopping prima del lockdown, le montagne erano invece buie e silenziose. La fiumana umana del Cornizzolo non c’era, nè le luci sospese della Osa. La croce di Megna era buia, così il Barro, il Palanzone, il SanPrimo. In quel momento, per un istante, non ho più avuto paura ma solo rabbia: avrei voluto avere con me fari immensi per urlare alla notte che passerà, passerà senza spegnere le nostre luci. Ma una pioggerellina soffiava da Nord mentre noi tre, soli, riempivamo i bicchieri di carta in cui bere il the evitando il collo della bottiglia. Un brindisi senza abbracci, neppure tra fratelli. No, non servono fari: la notte passerà solo se avremo pazienza, prudenza e disciplina, passerà solo se useremo la notte stessa per proteggerci dai mostri che nasconde. Dobbiamo restare in silenzio, vigili ed invisibili. Forse, attendendo l’alba, anche noi dovremmo diventare mostri. Perchè è una mostruosità allontanare chi ci è caro, negarsi a coloro a cui si è legati dall’affetto. Perchè è una mostruosità trovarsi lassù, soli noi tre, senza gli altri che sono sempre stati con noi. Ma l’alba arriverà e torneremo uomini, torneremo liberi, torneremo ad abbracciarci. Questa notte non passerà mentre sono malato in un letto: questa notte spezziamo il cerchio e diamo luce ad un nuovo ciclo.
Questa notte siamo tenebra, tenebra in difesa della luce.
“Chi difende tutti difende se stesso, chi pensa solo a se stesso si distrugge.” Niky passa a prendermi in macchina. Parcheggiamo sul tornante, apro il cancello, accendiamo il GPS: iniziamo… Niky non arrampica – forse orami neppure io – ma è sempre stato un fidato e leale compagno nelle mie ricerche. In questo strano 2020 è stato uno dei pochissimi “Tassi del Moregallo” con cui ho fatto attività, ma nonostante questo in tutto ci saremmo visti al massimo cinque volte. Sembra incredibile, ma ora più vogliamo bene a qualcuno meno riusciamo a stargli vicino. Siamo una flotta di navi dispersa tra le onde in tempesta, dobbiamo evitare le collisioni e resistere finchè il mare non si placa. “Noi samurai siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini.” Guardo i prati tra gli ulivi di Caprante, tra qualche mese le nanerottole abiteranno qui e potranno correre libere. Sarà la baia in cui cercare riparo, il porto sicuro da dove dare vita a nuove rotte: un’isola nei territori isolati dell’Isola senza Nome.
C’è ancora molto lavoro da fare, ma oggi siamo di pattuglia, oggi si esplora. Il sentiero che scende al “Liscione”, la spiaggia dove il fiume Caprante sfocia nel lago, il ponte accanto al Ristorante Juancito, è ormai ben visibile e battuto. Ricordo quando i volontari di Valbrona, ormai una decina di anni fa, hanno iniziato a sistemarlo (vedi Link ). Vi è però un’altro sentiero, ancora molto “selvatico”, che permette di scendere al lago e che ho scoperto da poco. Quest’estate avevo già fatto un rapido sopralluogo, incuriosito da una cartello in legno che, davanti al “Roccolo”, indica “Garavine”. La traccia un tempo doveva essere ben battuta: in passato, probabilmente, era una delle poche vie d’accesso a Valbrona salendo dal lago. Le altre due sono appunto Riva Liscione e Ceppo Palazzolo. Ora invece è in abbandono e poco visibile, ostacolata in molti punti da numerose piante cadute. Alcune di queste piante cadute sono state tagliate – qualcuno ha provato a sistemarlo – tuttavia il passaggio è ancora in alcuni tratti difficoltoso. In estate l’avevo percorso tutto fino al lago, giungendo alla sponde nel punto in cui sulla provinciale si incrocia una scala in sasso con uno sgangherato corrimano in ferro. Ci tornavo quindi con Niki, ed il suo nuovissimo GPS, volevo iniziare a fare qualche rilevazione. La particolarità di tutta la zona è data dai “due piani” che la contraddistinguono.
Dal Liscione si innalza infatti una “scogliera” – alta oltre 50 metri – che rimonta obliqua il pendio risalendo verso Oneda. La muraglia risale dai 200 metri del lago fino ai 647 metri del “Sass de la Cassina”, grossomodo alla curva della prima stanga lungo la strada privata per Oneda. Questo muro trasversale separa la parte sovrastante, dove si trova Caprante e tutte le cascine, da quella sottostante per lo più selvaggia e completamente disabitata. La provinciale Lecco-Bellagio, obiettivamente sconsigliabile a piedi, segna il confine “a valle” di questa zona che nonostante tutto mi è ancora in buona parte sconosciuta. I punti deboli di questi muraglia, a tratti decisamente impressionante, permettono – spesso non senza difficoltà – di scendere da un piano a quello sottostante. Per il momento ne ho individuati tre, percorribili a piedi, ma con prudenza li descriverò più avanti (magari dopo avere approfondito le mie ricerche ed i vari toponimi).
Per ora, crocevia di questa nostra esplorazione, è una faggio su cui è stato scritto a vernice rossa “Oneda – Lago – Caprante”. Dopo aver tracciato il sentiero a lago, aggiungendo qualche ometto lungo la via, è stata la curiosità a vincere sugli obiettivi della giornata: “Niky, ti va di cercare un passaggio verso il Nautilus?”.
Beppe e Carla gestiscono il Rapanui da anni: il loro locale sulla spiaggia, ai piedi della Nord del Moregallo, è inevitabilmente una seconda casa per me (…ed anche per le nane!). Il mio rammarico è sempre stato non poterci andare a piedi da Valmadrera. Per via delle cave e della galleria oggi è possibile solo salendo e scendendo – andata e ritorno – dalla cima del Moregallo. Prima o poi troverò una linea che collega “Passo400” alla “Torre Manzoni”, dubito però che sarà mai un itinerario da frequentare assiduamente (specie senza corda e chiodi!).
Da Caprante invece mi pare già più fattibile e le opzioni sono due: la prima è alzarsi fino alla prima stanga di Oneda, scendere nelle viscere del Moregallo per riemergerne sul sentiero del 50°Osa o sul vecchio sentiero di manutenzione delle linee telefoniche. Nella mia testa, salve qualche buco da colmare, la traccia c’è quasi tutta anche se non sarà comunque una passeggiata in senso stretto: è una linea tutta da verificare. La seconda è una linea forse più docile ma tutta da scoprire: un itinerario a mezza costa che si allunghi verso il Nautilus rimanendo sopra la strada provinciale, e sotto la muraglia della Cassina, fino alla spiaggia della nuova cava. Da lì attraverso le grate della galleria del Melgone. Tutta quella zona è stata interessata dagli smottamenti che hanno portato alla chiusura della strada il mese scorso, tuttavia alcuni vecchi “Bolli Rossi” – ritrovati quasi sbiaditi su sassi e piante, suggeriscono che qualcosa di simile un tempo esistesse. Così, come archeologi della sentieristica, io e Niky ci siamo messi all’inseguimento dell’invisibile. I primi ritrovamenti sono incoraggianti, per entrambi gli itinerari.
La zona si è rivelata impervia ma anche incredibilmente affascinante: la muraglia della Cassina, in tempi geologici antichi, è in molti tratti crollata dando vita a vallate di strutture rocciose che, con grande mia gioia, ricordano le mitiche “roccie degli elfi” sui fianchi meridionali del Moregallo dove vivo ora. Una “torre nel Bosco” è apparsa imprevista e colossale come una visione carica promesse e calcare ruvido, mentre una mastodontica “stele liscia” ci ha squadrato silenziosa dall’alto in basso!! (che voglia di arrampicare di nuovo!!)
Dove non vince la roccia è la vegetazione ad avere la meglio. Completamente immerso in un labirinto di rovi avevo lasciato Niky a fare la guardia alle mie spalle. Cercavo un passaggio verso la valletta successiva quando un fracasso di sassi ha iniziato a cadere: ero stato troppo silenzioso e, davanti a me, avevo sorpreso una coppia di cinghiali che ora si era lanciati in una fuga disordinata. Il Verro Nero puntava verso l’alto cercando di darmi il giro fuggendo alle mie spalle, dietro di lui una grossa femmina dal manto grigio marrore. Entrambi scalciavano sassi sulla sdrucciolevole terra argillosa. Io al riparo dietro una pianta li osservavo divertito: “Niky!! Niky!! Fatti sentire o ti arrivano addosso!” Niky, sull’altro lato del roveto, mi risponde tranquillo e tanto basta perchè la romantica coppia cambi nuovamente direzione puntanto verso l’alto. Tutta la zona è intensamente popolata da mufloni e cinghiali: questo è solo il più ravvicinato degli incontri odierni. Visto che i rovi paiono insuperabili senza un paio di forbici (che come un pivello ho dimenticato in attrezzeria) abbandoniamo la rotta verso il Nautilus per alzarci verso le pareti della Cassina.
Nella parte più alta della muraglia vi è una storica falesia di arrampicata sportiva che credo risalga agli 90. Una 50ina di monotiri ammucchiati su due settori (Vedi Link). Più recentemente ne è stata realizzata una seconda, sulla quale non trovato documentazione, salvo forse un trafiletto su ResegoneOnLine e vecchi link rotti risalenti al 2017. Ero stato in questa seconda zona circa 10 anni fa, accompagnato da una ragazza forse inconsapevole di cosa significasse “accompagnarmi al lago” (poveretta! Che avventura le feci fare quel giorno!!). All’epoca c’erano solo qualche spit e dei barattoli di “chimico” nascosti dietro alcune rocce, il resto era una buia e misteriosa parete coperta dalla vegetazione. Ora tutta la zona è stata stravolta e per certi versi brutalizzata: io capisco la quantità di lavoro, impegno e dedizione necessaria per realizzare qualcosa di simile, però il risultato – estraniandosi dagli obiettivi dell’arrampicata sportiva – è sconsolate. La parete – che strapiomba in un grande tetto a pancia – è ora coperta da oltre un centinaio di piastrine, ad ognuna delle quali penzola un rinvio. Le piante – che facendo ombra alla parete ritardano l’asciugatura della roccia – sono state abbattute, gettate nella valle sottostante o riutilizzate per creare terrazzi artificiali. Corde fisse, come ghirlande, penzolano ovunque dando l’impressione di essere in un cantiere incompiuto. Il materiale di disgaggio è abbandonato ed ammucchiato nella valle sottostante. Certo, alcune ferite saranno sanate dalla natura, con il tempo, altre invece rimarranno indelebili.
Io ho fama di essere un “talebano no-spit” ma oggi mi guarderò bene tanto dall’esprimere giudizi troppo critici quanto dal dare qui indicazioni su come raggiungere la falesia. La quantità di cartelli “proprietà privata – divieto d’accesso” disseminati sulle piante circostanti suggeriscono che i malumori sono già iniziati: probabilmente neppure i proprietari della baite e dei terreni circostanti hanno gradito un approccio tanto invasivo all’arrampicata. Io mi limito a sperare, ad attendere un equilibrio che ancora non c’è. Ma chissà, anche io, tracciando sentieri nel bosco, difetto forse del giusto equilibrio e mi macchio dello stesso peccato? Forse l’equilibrio soltanto non basta, bisogna spingersi oltre il semplice bilanciamento di forze e volontà contrapposte: quello di cui abbiamo bisogno non è statica equità, ma “armonia”, nel senso più ampio possibile.
Con Niky abbiamo poi percorso in discesa tutta la cresta della muraglia passando dalla nuova e spartana croce, realizzata con tubi innocenti ed una vecchia campana che probabilmente nasconde una storia da cercare.
Mentre scrivo questo mio primo capitolo del Diario Esplorativo di Caprante le notizie dal mondo si accalcano, o forse si assembrano. Nei prossimi giorni ci attende il LockDown di Natale mentre dalla Gran Bretagna giungono inquietanti voci di “mutazioni” del virus. La Normalità, o quella che un tempo trovavamo tale, appare sempre più lontana. La speranza per questo Natale è che responsabilità, intelligenza e cooperazione ci donino finalmente l’armonia necessaria per uscire da questo problema. Nel frattempo tanti auguri, ma non tenetevi stretti.
E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante, cancella col coraggio quella supplica dagli occhi: troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante, e quasi sempre dietro la collina è il sole. Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente? Ma perché tu non vuoi spaziare con me, volando intorno la tradizione come un colombo intorno a un pallone? E con un colpo di becco, bene aggiustato, forarlo e lui giù, giù, giù… e noi ancora, ancor più su! Planando sopra boschi di braccia tese. Un sorriso che non ha né più un volto, né più un’età.
E respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini, ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini. E più in alto e più in là, se chiudi gli occhi un istante: ora figli dell’immensità.
Se segui la mia mente, se segui la mia mente, abbandoni facilmente le antiche gelosie. Ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti? Le anime non hanno sesso, né sono mie. No, non temere, tu non sarai preda dei venti. Ma perché non mi dai la tua mano, perché? Potremmo correre sulla collina e fra i ciliegi veder la mattina (e il giorno). E dando un calcio ad un sasso, residuo d’inferno, farlo rotolar giù, giù, giù… e noi ancora, ancor più su! Planando sopra boschi di braccia tese. Un sorriso che non ha né più un volto, né più un’età.
E respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini, ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini. E più in alto e più in là, se chiudi gli occhi un istante: ora figli dell’immensità.
In realtà non è colpa mia: io non volevo mettermi nei guai, anzi! Probabilmente è il Karma che stuzzica la mia vera natura sopita. Settimana scorsa avevo fatto una piacevolissima passeggiata dal Sasso Preguda fino a San Pietro al Monte lungo il sentiero “Luisin”: un tracciato logico ed elegante che, a mezza costa, attraversa Moregallo, Corni di Canzo, Monte Rai, Prasanto raggiungendo poi il Cornizzolo. Mi ero quindi messo in testa di continuare in “orizzontale”, cercando un modo di raggiungere Campora, sopra Eupilio, mantenendomi tra i 600 ed i 700 metri di quota: il piacere di camminare tra i monti ma “in piano” e all’infinito! La zona del Cornizzolo tra Civate, Suello ed Eupilio – sebbene sia parte dell’Isola Senza Nome – mi è però poco familiare. Inoltre è in gran parte “incasinata” dalle Cave e per questo anche le relative carte sentieristiche sono per lo più scarse ed incomplete. Toccava andare a vedere di persona! San Pietro al Monte è molto bello, ma l’idea di tornarci solo per continuare la ricerca non mi allettava e così, passando per la Val dell’Oro, ho puntato al Crotto del Capraio. Il piano, da qui, era risalire lungo la Cresta Raton fino al Ceppo della Guardia, poi cercare di traversare in piano. Fin dall’inizio sentivo la voglia andare a zonzo e così sono passato prima dalla Baita Linate per poi farmi un giretto alla Falesia dei Laghetti (mi piace quel posto!). L’idea di puntare verso il “Priel” era buona ma al bivio successivo avrei dovuto tenermi alto seguendo il Sentiero Curnen per poi provare a “tagliare” ancora a quota 600. Invece, purtroppo, sono sceso fino al Priel e a quota 470: quindi mestamente basso! Per continuare la mia ricerca non mi restava che imboccare la “direttissima” e tornare in alto per vedere dove si poteva passare. Alzandosi fino a 900 metri è più facile concatenare i vari sentieri, ma io cercavo una “soluzione” che fosse prevalentemente in piano, su un sentiero più o meno ben battuto e all’incirca tra i 600 ed i 700 metri: una specie di “prolungamento” del Sentiero Luisin. Mentre risalivo la Direttissima – tallonato da un ragazzone con un enorme zaino/parapendio sulle spalle – un inaspettato cartello mi si para davanti: “Palestra di Roccia”. «Cos’è questa stramberia sul Cornizzolo?!» Così decido di andare a vedere, spinto anche da una teoria abbastanza strampalata: «Birillo, chi se la fa tutta sta strada – la direttissima per di più – per una falesia sportiva? Secondo me, visto che il sentiero traversa in piano, dall’altra parte c’è una via d’accesso più comoda che fa al caso nostro!». Non saprei dirvi del perchè mi vengano idee simili… ma ero intenzionato a verificare la mia teoria! Il sentiero che porta alla falesia è abbastanza buono: non è evidentissimo ma degli ometti aiutano a non sbagliare. Tuttavia nel tratto finale, quando si raggiunge la grande placconata su cui si arrampica, si abbassa di una trentina di metri sfruttando catene e grossi pioli metallici arancioni. Una tipologia di tracciato “fuori target” per il mio piano! Tuttavia, visto che ero lì, sono sceso comunque a curiosare. In verità ricerche fatte successivamente (mentre vi scrivo ora) riportano che quella è la falesia “Val Cepelline”, attrezzata più o meno nel 2009 da un ragazzo di nome M.Suriano per il Gruppo Difesa Natura Suello. Cinque o sei tracciati tra il 5b ed il 6a (credo).
Più o meno sapete come la penso, “fittonare” una montagna che ha già subito tanto come il Cornizzolo non mi sembra una gran pensata. Al giorno d’oggi usare il trapano per arrampicare lo considero piuttosto anacronistico, di sicuro denota una mancanza di “creatività” nell’approcciare e risolvere il problema, oltre ad una spiccata indole al consumismo. «Lo faccio per gli altri! Dovreste dirmi persino grazie!» e’ la giustificazione più gettonata. Un’altruismo “peloso” che spesso serve solo a gratificare se stessi. Di questo però ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento, non ho intenzione di mettermi a bisticciare con le solite “represse prime donne inespresse” che montano su per difendere il diritto al proprio “giocattolo a batteria” (…parlo del trapano). Quindi possiamo sancire “pace plenaria” dichiarando la Val Cepelline come una delle “falesie storiche dell’Isola” e che come tale vada tutelata e compresa inquadrandola nel suo periodo storico. Inoltre, visto che all’epoca in cui è stata realizzata la Cava era ancora in espansione, credo avesse persino il nobile scopo di arginarne l’avanzata sostenendo la difesa del Cornizzolo. Quindi nessuna obiezione… salvo forse per i nomi! Tutto lo sbattimento di realizzare una piastrina inox incisa e fissata con quattro bulloni per un nome come “Banana Spit”? Certo, non è una pattonata come i “sassetti pitturati” alla hippie-freak, ma “No spit no Party” non è che brilli per poesia o inventiva… Probabilmente solo i vecchietti si ricordano del giovane George Clooney e del tormentone pubblicitario a cui fa riferimento… Seriamente: mi fa specie perchè sembra portare il “mezzo”, lo spit, ad avere più rilevanza del “fine”, la via o quanto meno il suo nome o la sua identità. Rimarca la pretestuosità di come forse, senza spit, la via – o la distinzione tra le varie vie ad un metro l’una dall’altra – non avrebbe neppure ragione d’essere. Invece “Cava la Cava” mi piace già di più, ha un tocco ribelle….
Orbene, tornando a noi: sul fondo della falesia viè, ormai inghiottita dalla vegetazione, una catena che scende ulteriormente verso il basso accompagnata da un paio di pioli. In qualche modo mi sembrava che avessero tentato di ampliare ulteriormente la falesia o che avessero davvero provato a tracciare un sentiero d’uscita sull’altro lato o quanto meno verso il basso. Così mi sono calato sulla catena e sono andato a vedere. Le piante mi impedivano di vedere eventuali salti e così, attraversando sul bordo di una placca, ho tagliato di lato. Quando ormai era evidente che la mia teoria era sballata e che mi ero infilato in una “ravanata”, ho iniziato a ridere: ”Party vuol dire festa, ma anche gruppo – No spit No Party – Io spit non ne ho, ecco perchè mi metto nei casini da solo!!”. Traversando sempre verso sinistra ho raggiunto il bordo di un canalone decisamente agghiacciante ma a suo modo incredibilmente affascinante: il lato sinistro del canale era una compatta placca che risaliva tutta la sua lunghezza, il lato destro invece una serie di stratificazioni, come pagini di un libro, che sono collassate utilizzando la placca dell’altro lato probabilmente come scivolo verso il basso! Come dice sempre il vecchio Guero: “Nel dubbio vai verso l’alto!”. Così, divertendomi un sacco, ho cominciato salire cercando i punti deboli di quella “parete” (tale per via della pendenza) fatta di radici, terra e rocce che affiorano verticali al terreno: un susseguirsi di lame verticali, a volte anche alte, che si alternano con terrazzi o ballatoi erbosi. In pratica gli strati calcarei si sono ribaltati inpennando verso l’alto: quelli che hanno resistito si stagliano verticali come lame o placche, quelli collassati formano invece ripiani o balaustre percorribili comodamente in orizzontale. Salire era quindi come rimontare enormi gradini fuori scala con “alzate” e “pedate” delle dimensioni più svariate. Ovviamente non è un posto da prendere alla leggera: se fiondi giù arrivi infondo, ti fai tra i 30 e 50 metri di piomba. Tuttavia quel tipo di ambiente e progressione è probabilmente ciò che mi diverte di più: non arrampichi, non cammini, “nuoti” fluido – ed in costante equilibrio – attraverso le difficoltà. Bisogna – con grande serenità – ponderare ogni passo, evitare di “tirare” ma limitarsi a “spingere”, lasciare che il proprio peso si “innalzi” verso l’alto rimanendo distribuito su tutti i punti d’appoggio. Per ironia della sorte, o forse per telepatia, è proprio il Guero a scrivermi in quel momento! Per fare prima a rispondergli gli mando un selfie e lui, divertito, comincia a prendermi in giro per i baffi: “Baffo Kid, che fai? Cornizzoleggi?!”.
La salita piano piano si abbatte formando un dosso erboso sempre più appoggiato. Con grande sorpresa trovo un sentiero, ben marcato, falciato di fresco ed orizzontale. Forse fa al caso mio! Così lo percorro prima verso destra raggiungendo una casotta – dove sono riposti pale e picconi in buono stato – e successivamente il sentiero della Direttissima. Quindi potrebbe davvero fare al caso mio! Lo ripercorro nuovamente verso sinistra ma, giunto nella valletta, torna ad essere assediato dalla vegetazione: chiunque lo stia sistemando probabilmente si è per ora fermato prima. Tra i rovi ed i rami intravedo una specie di parapetto formato da pali e da tre linee di catene: più che un sentiero escursionistico sembra un sentiero di servizio della vecchia cava, oggi abbandonato. Le protezioni sono datate, ma decisamente abbondanti e relativamente in buono stato. Nonostante la vegetazione e le spine continuo a seguirlo sebbene si abbassi di quota rapidamente. E’ una situazione strana: tornare indietro sarebbe un vero sbattimento, ma proseguire alla cieca – e magari finire dentro la cava o in qualche vicolo cieco – può diventare un problema, specie con la quantità di canali che si incontrano. Lungo la traccia incontro una specie di collettore dell’acqua dove tubi, proveniente da ogni dove, confluiscono in un unico grosso tubo che, semisepolto, scende verso il basso. Questo è incoraggiante perchè, quantomeno, garantisce la presenza di un qualche sentiero – probabilmente semi abbandonato – che ne permetteva la manutenzione. La quantità di catene e parapetti infatti aumenta e mi imbatto persino in una grossa scala metallica a gradini. Guardandola ero sorpreso: portare fin lì un affare del genere non è uno scherzo! A lato di questa scala a gradini, su una placca rocciosa, era posizionata una vecchia scala a pioli a modi ferrata. Credo che nessun associazione escursionistica possa approntare un lavoro simile e di sicuro quello doveva essere un sentiero di servizio realizzato dalla Cava.
Tuttavia più in basso il tracciato corre all’esterno delle recinzioni che delimitano la cava. Recinzioni ormai inglobate dalla vegetazione e sui sono ancora visibili i cartelli “divieto d’accesso zona mineraria” e “pericolo mine”. Ancora più in basso il sentiero, così come la recinzione, un po’ si perde ed un’ultima serie di catene mi porta – piacevolmente – a degli orti ed al ponte di legno da cui parte la via Crucis per il Priel. L’idea di scendere sull’asfalto non mi alletta, taglio quindi per un sentierino, una puntata veloce al “Sasso Bicicola”, alla Cava Vecchia e quindi nuovamente al Crotto del Capraio chiudendo l’anello verso casa.
Conclusioni: Birillo devi imparare a restare sul sentiero! Non hai più l’età per bighellonare fuori traccia! Il mio piano, la ricerca del “passaggio orizzontale”, è per il momento fallito. Tuttavia, visto che non vado spesso fin da quelle parti, è stato comunque piuttosto interessante come giretto. Le carte disponibili sono davvero scarse ma le informazioni oggi raccolte sono molto utili per meglio interpretare i tracciati su OpenStreetmap MTB. Molto probabilmente esiste un tentativo per raggiungere la falesia dal basso senza passare dal Priel, ma la valletta in questione pare davvero ostica. Quello che è certo è che posso finalmente confrontarmi con i Kahuna della zona che e – a quanto pare – ad itinerari del genere hanno già pensato da tempo! Quindi la possibilità di trovare una buona linea che colleghi il “Senterun” da Canzo con San Pietro al Monte e Sasso Preguda c’è davvero: tocca cercare!
Nota Bene: Le informazioni qui raccolte hanno valore prettamente storico/documentaristico. Sono luoghi – quelli NON inseriti nella sentieristica ufficiale o NON ben tracciati e segnalati – decisamente pericolosi. Non andate a curiosare da quelle parti se non avete ben chiaro quello che state facendo: in passato si sono verificati molti incidenti seri – anche mortali – in quei canaloni verticali.
Con grande tempesta, tuoni e lampi la nostra avventura incominciò. Il mare in burrasca e i forti venti, il grande veliero affondò. Tutta la notte cercammo gli assenti ma più nessuno si salvò. E trascinati da forti correnti finalmente terra si toccò. Ora siamo su quest’isola, poche le comodità ma come in una grande favola noi viviamo in libertà. Sembra un paradiso l’isola qui non c’è malvagità mai la vita si fa gelida regna la serenità. Ma quando buio si fa, verso sera scende la paura, il grande fuoco s’accenderà, la capanna resterà sicura, tutti in coro si canterà, ninna nanna nella luna chiara ed il piccino s’addormenterà. Vita libera sull’isola, piccola comunità, la natura ci fa regola con la sua maternità Il sole già alto su nel cielo, i pappagali parlano di già, le trappole pronte attendono al suolo, oggi buona caccia si farà. La piroga è scesa in alto mare, quanto pesce porterà. Al campo muore l’ultimo fiore, nel vecchio mondo più si tornerà.
In realtà stavo cercando senza successo dei toponimi dei Corni di Canzo e così, nella mia ricerca, ho tentato la fortuna nella vecchia pubblicazione “Valmadrera: montagne e itinerari alpinistici” realizzata da Giorgio Tessari e Gianni Mandelli nel lontano 1979 (ormai più di 40 anni fa!). Come era prevedibile, attratto dai mille dettagli che racchiude quel libro, ho dimenticato la mia ricerca originale e mi sono perso tra quelle pagine iniziando a vagare nel tempo passato attraverso i territori dell’Isola Senza Nome. Curiosamente mi sono ritrovato a Civate, alla Falesia del Pozzo.
Pagina 166: PALESTRA IN LOCALITÀ POZZO (Civate) Questa palestra, scoperta di recente, si trova poco lontano dalla frazione Pozzo di Civate ed è raggiungibile percorrendo la strada che conduce allo stabilimento STAR Black & Decker di Civate. Si sale per strada a stretto transito verso la frazione Pozzo; superatala si devia verso sinistra in direzione di un evidente promontorio roccioso. Per frequentare questa palestra non occorrono relazioni, poiché all’attacco di ogni via è stato scritto sulla roccia il nome di ognuna di esse e le rispettive difficoltà. L’altezza della parete rocciosa va dai 20 ai 40 metri; le vie sono descritte partendo da destra a sinistra e sono tutte in arrampicata libera.
Itinerario N. 85 Via del Fulcin – Difficoltà AD sup. – Primi salitori: Vassena Felice, Dell’Oro Augusto (nessun chiodo usato).
Itinerario N. 86 Via Normale – Difficoltà D sup. – Primi salitori: Soci della S.E.C., fin sotto lo strapiombo; Mandelli Gianni e Rusconi Carlo hanno terminato la via (trovati infissi 3 ch.).
Itinerario N. 87 Via Moma – Difficoltà TD inf. – Primi salitori: Butti Mosè, Mandelli Gianni (2 ch.).
Itinerario N. 88 Via Conchodon – Difficoltà D sup. – Primi salitori: Corti Romano. Dell’Oro Augusto (3 ch.).
Itinerario N. 89 Via Ouverture – Difficoltà D sup. – Primi salitori: Vassena Felice, Crepaldi Claudio (1 ch.).
Itinerario N. 90 Via dei Satanici – Difficoltà AD sup. – Primi salitori: Vassena Felice, Dell’Oro Augusto (nessun ch.).
Itinerario N. 91 Via 3 Aprile – Difficoltà TD – Primi salitori: Vassena Felice. Dell’Oro Augusto (nessun ch.).
Itinerario N. 92 Via des Clochardes – Difficoltà AD – Primi salitori: Tessari Franco,Mandelli Gianni (nessun ch.).
Francamente in questo breve testo ci sono un sacco di cose che mi hanno colpito. Innanzitutto “scoperta di recente”: fa abbastanza impressione pensare a quella falesia, ormai storica e frequentatissima, nei suoi albori. Stupisce anche il riferimento all’ex stabilimento Black & Decker, oggi raso al suolo ed abbandonato nel centro di Civate. Poi c’è “all’attacco di ogni via è stato scritto sulla roccia il nome”: ci sono infatti dei “segni” rosso/arancione, in buona parte sbiaditi, che ho sempre cercato di leggere con scarsissimo successo. Inoltre stupisce, visto che è oggi abbastanza inconsueto nelle falesie sportive, leggere i nomi degli apritori: oggi è infatti più comune leggere solo il nome di colui che le ha attrezzate. In alcuni punti traspare persino la storia della via che, giustamente, è definita “Itinerario”. Infine quelle dicitura sibillina ed ammiccante “(nessun ch.)”: nessun chiodo! Presumo che la descrizione si riferisca unicamente alla parete che oggi è chiamata “PALESTRA VECCHIA” ed è incredibile pensare che, all’epoca, ci fossero solo 9 chiodi.
Così, incuriosito, ho cercato la falesia anche nella seconda edizione della guida, pubblicata però nell’ottobre del 1996. Quindi 17 anni dopo la prima ma ormai 25 anni fa! Nella prima edizione, quella del 1979, le “Palestre” erano elencate alla fine del volume ma erano presentate con lo stesso stile alpinistico con cui erano riportati tutti gli altri itinerari classici censiti: c’era la palestra della Val dell’Oro, Della Corna Rossa e Del Pozzo. Nell’edizione del 1996 qualcosa cambia già nella forma e nel linguaggio: le “palestre” ora hanno una sezione dedicata “Falesie: arrampicata sportiva”. Anche gli autori sembrano essere differenti da quelli del resto della pubblicazione: “testi e disegni di Pietro Corti in collaborazione con Delfino Fomenti”.
Non si parla più di una palestra in località Pozzo, bensì di “AE. FALESIE IN VALLE DEGLI ORTI”. Non ho idea di cosa sia quell’ “AE”, ipotizzo che stia per “Appendice E” così come “AA” per il Corno Rat , “AB” per Corna Rossa, “AC” per la Valle dell’Oro, “AD” per la Falesia del Fiume.
Nella descrizione dell’avvicinamento si fa ancora riferimento allo stabilimento della Black & Decker ed infatti ho poi scoperto, in una pubblicazione del 2016, che l’azienda – nata nel 1945 – era rimasta attiva fino al 1998: solo nel 2014 è stato poi demolito così come è oggi.
Dal 79 al 96 sono passati “solo” 17 anni ma è subito chiaro che le cose in quella palestra “scoperta di recente” sono decisamente cambiate: “Questa falesia è oggi molto apprezzata per il buon numero di tiri divertenti su difficoltà abbastanza contenute. Le prime vie vengono aperte sulla falesia di destra da Gianni Mandelli, Augusto Dell’Oro, Felice Vassena e Claudio Crepaldi negli anni ‘70. Nel 1988/89 Alessandro Ronchi, con la collaborazione del C.A.I. Vimercate, attrezza a spit diversi itinerari di arrampicata sportiva sulla parete principale e quindi, quando la falesia diventa molto frequentata, lo stesso Ronchi la riattrezza ad anelli resinati nel 1993.”
Non abbiamo più 8 itinerari ma 26 vie di cui buona parte realizzate su una nuova parete. Si legge poi: “Roccia ottima e molto articolata a lame, spaccature, gocce e reglettes; arrampicata elegante con movimenti tecnici e scarsa continuità. A causa dell’assidua frequentazione, molti appigli sono diventati unti. In occasione della riattrezzatura, Ronchi ha quindi spatolato di resina le prese e gli appigli più scivolosi. Un gran lavoro da certosino del bravo Alessandro…”
Interessante è osservare come, anche con quel “Un gran lavoro da certosino del bravo Alessandro…” (che ancora oggi si occupa con grande passione della manutenzione della Falesia!), sia cambiato il “tono” ed il linguaggio delle descrizioni: meno formale e più “friendly”. L’autore lascia spazio alle proprie impressioni e a giudizi soggettivi.
Scoprire che nel ‘96 era già considerata “unta” fa in qualche modo rabbrividire, specie perchè allora erano passati solo 17 anni mentre oggi dobbiamo aggiungerne altri 25 ed una frequentazione probabilmente anche più massiccia. Incredibile l’impatto umano sulla roccia, anche solo con il semplice tocco!
Nel 96 si descriveva l’attrezzatura del ‘93 come “ottima ad anelli resinati (sika) ragionevolmente ravvicinati; catene alle soste.” Cercando poi su Internet ho scoperto che il “Settore Nuovo”, quello più piccolo tra la Falesia Vecchia e la Nuova, è stato “attrezzato da Enzo Nogara a fine anni ’90” (quindi di certo dopo il 96). Sempre attraverso Internet scopro parte della storia recente: “Attrezzatura ottima a fix. Nel 2017 è stata effettuata la manutenzione straordinaria dalla Comunità Montana Lario Orientale Valle San Martino – Progetto di Regione Lombardia per il Sistema Falesie Lecchesi.”
Con un po’ di tristezza, soprattutto dal punto di vista storico, tocca prendere nota di come, scorrendo tutti gli elenchi delle vie che ho recuperato, sia rimasto “in listino” solo uno degli 8 Itinerari originali: Moma. Toccherà andare a cercarlo!
Nota finale del Birillo: confesso che è stata quella dicitura, “(nessun ch.)”, a stimolare la mia ricerca e che, come spesso accade, ho scelto il titolo del pezzo – in questo caso “Nessun Chiodo al Pozzo” – prima ancora di cominciare a scrivere. Alla fine, dopo aver fatto le mie ricerche e trascritto tutti i dati, mi serviva una foto per accompagnare l’articolo. Nel mio archivio però, nonostante le molte e piacevoli ore trascorse da quelle parti, non ce ne era nessuna: eppure dovevano esserci perchè, dopo Scarenna, tutti i Tassi del Moregallo hanno iniziato ad arrampicare al Pozzo.
Tuttavia non ho trovato nulla… ad eccezione di quella che vedete pubblicata qui sopra: una foto davvero curiosa, che avevo dimenticato di aver fatto e che non poteva che rubarmi un sorriso divertito! In qualche modo il destino ha voluto ricordarmi come al Pozzo, quantomeno nel 2019, ci siano ancora “itinerari senza nome e nessun chiodo”.
Davide “Birillo” Valsecchi
Per completezza storica, ma anche per la curiosità di confrontare gradi e descrizioni con le guide contemporanee, ecco l’elenco delle vie del ‘96:
FALESIA PRINCIPALE
1. NUOVA SUELLO . 25 mt. 5 (5+ UIAA)
Arrampicata divertente su buoni appigli e strapiombino a metà.
2. FRUTTI DI BOSCO . 25 mt. 5+ (6 UIAA)
Ripido muretto in entrata con ristabilimento; in seguito movimenti tecnici ed eleganti su buchi e lamette.
3. MAGICO LIPTON . 20 mt. 6a
Placchetta iniziale di dita (evitabile sullo spigolino di sx), poi strapiombino appigliato e belle spaccature oblique a dx. Discontinua.
4. UNA GITA SUL PO . 20 mt. 6a
Sezione iniziale con diffili allunghi, seguiti da uno strapiombino atletico. Uscita più semplice su lame.
5. CHI RONFA TONFA.. 18 mt . 6b
Sale un lamone ed una placchetta verticale con movimenti strani, che richiedono decisione. Uscita più semplice.
6. PUNIRE IL CORPO . 22 mt. 6
Breve rampa verso dx, poi spostamento a sx su tacchette e strapiombino. In seguito bei movimenti su ottimi appigli ed uscita su placca compatta.
7.JAMES BOND . 25 mt. 6b+
Dopo un facile risalto, la via sale una stretta placca leggermente strapiombante su tacche e lamette. Tiro abbastanza continuo.
8. DONNE IN ATTESA . 25 mt. 62+
Dal risalto si supera una bella placca aggettante con allunghi su tacche. Uscita in dulfer, poi elegante diedro ben appigliato.
9. VIA NOMENTANA . 25 mt. 6b
Duro boulder iniziale di difficile lettura, poi placchetta tecnica a piccole tacche e pilastrino finale su splendide concrezioni.
10. METALKALINE . 25 mt. 6c
Placca nera slavata e strapiombo atletico con difficile allungo da appiglio rovescio.
11. ALTA TENSIONE. 22 mt . 6b+
Parallela e simile alla precedente; chiave sullo strapiombo.
12. CREDOLIN . 8 mt. 6a
Placchetta su piccole tacche e buchetti.
13. SPIT QUIZZER . 8 mt. 6c
Boulder di dita su appigli scavati.
14. RAMBO BAMBO . 12 mt. 6a
Plachetta verticale a tacche.
15. FROLLO ROLLO e SCHWARZENEGGER. 12 mt. 6a+
Simile alla precedente; più continua.
16. CRIC & CROC.. 25 mt. 5+ (6 UIAA)
Iniziano insieme su lama e muretto verticale. Dalla cengetta soprastante CRIC va diritta in placca con arrampicata divertente; CROC sale parallela pochi mt a dx con difficoltà analoghe.
17. SENTIERO VERTICALE . 25 mt. 6a+
Inizio su muretto tecnico verticale fino ad una nicchia, da cui si esce con difficile allungo che richiede decisione. In seguito bella placca, leggermente appoggiata, con piccole concrezioni.
18. PLACCATEVI . 20 mt . 6a
Arrampicata divertente su lame e buchi con singolo centrale.
19. SENSO UNICO . 20 mt. 6a+
Entrata atletica su strapiombino, poi più facile fino ad una cengetta. Seconda parte su placca verticale con bei movimenti tecnici ed un difficile spostamento a dx.
20. DIVIETO DI SOSTA . 20 mt . 6b
Facile placca iniziale. Dalla cengetta si sale un bellissimo muro verticale di precisione su piccole tacche, con un movimento di aderenza-allungo.
21. SCIOLA ‘87. 18 mt. 6b
Dopo la placca iniziale molto appigliata, superare un tratto ripido di difficile lettura; uscita in leggero strapiombo.
22. DEMOTIVATO MISCREDENTE.. 18 mt. 6a
Simile alla precedente, ma più semplice.
23. CAVALCA IL CAMMELLO . 18 mt . 5 (5+ UIAA)
Divertente arrampicata su lame; discontinua.
FALESIA DI DESTRA
24. GIRO DI DAMA . 20 mt. 6a
Inizio su placca verticale con piccoli appigli; in seguito lame più facili.
25. VERTICAL DREAM. 20 mt. 62+
Superare un fessurina cieca con movimenti tecnici e poco intuibili, poi bella placca compatta.
26. MOMA.. 20 mt. 5 (5+ UIA A)
Inizio su lamette e strapiombino, poi diedro grigio con splendidi appigli.
MAXINE: Oggi a scuola uno dei miei studenti è venuto a consegnarmi il suo diario. Il suo nome è Jimmy. È un bravo ragazzo. Si sforza davvero. Ho notato che aveva un graffio sulla fronte, e così gli ho chiesto come se l’era fatto. Mi ha detto che lo aveva scritto nel suo diario e mi ha chiesto se volevo leggerlo. Così l’ho letto durante la mia pausa pranzo. Raccontava di come Jimmy ed i suoi amici stessero giocando alla guerra. Sai …la guerra.
CALVIN: Certo. Fucili giocattolo e tutto il resto.
MAXINE: Jimmy era dalla parte cattiva. Stava interpretando uno dei cattivi. Era salito su albero, ma mentre si nascondeva ha perso l’equilibrio ed è caduto atterrando proprio su uno dei suoi amici che stavano sotto. Tutti i bambini sono accorsi, volevano assicurarsi che entrambi stessero bene. Tutti tranne uno: questo ragazzo salta fuori e spara a tutti i cattivi …e poi si vanta di aver vinto, da solo! E immagino che tecnicamente l’abbia fatto: gli altri bambini non hanno dovuto aiutarlo. Così i cattivi hanno perso. Credo che Jimmy si senta davvero male per l’intera faccenda. Non saprei …non sono esattamente sicura di cosa volesse chiedendomi di leggere il suo diario. Tuttavia ha scritto tutto in modo così dettagliato: quello che è successo deve averlo davvero colpito!
CALVIN: Beh. Probabilmente Jimmy vuole sapere cosa ne pensi tu di un ragazzo del genere. La tua opinione è probabilmente importante per lui.
MAXINE: Tu cosa ne pensi? Del ragazzo che ha sparato ai cattivi?
CALVIN: Non lo so. Un bambino così cresce per essere una persona importante, credo. Come un …come il capo in una fabbrica o … forse il presidente. Non lo so. I bambini sono tosti.
MAXINE: Ma che tipo di ragazzo eri tu?
CALVIN: Io? Io sarei il ragazzo che Jimmy ha schiacciato quando è caduto dall’albero.
“I just killed a man. The monster lived on. And in the end, the war was won by heroes. Not me. Do you understand?” (The Man Who Killed Hitler and Then The Bigfoot )