Author: Enzo Santambrogio

CIMA-ASSO.it > Articles by: Enzo Santambrogio
FlashBack

FlashBack

foto001

[Enzo Santambrogio] Che cosa è un FlashBack? Beh è una cosa strana da raccontare è un po’ come… vivere due volte una stessa situazione… e molte volte accade davvero! Tu te ne stai lì, seduto al tavolino di un bar in un posto imprecisato del mondo, quando un evento, normale per tutti quelli che ti stanno accanto ma anomalo per te, fa scaturire un ricordo che ti estranea completamente dalla situazione che stai vivendo in quell’istante e ti proietta altrove !

Be a me capita spesso con i miei trascorsi di vita, ma in alcuni casi è più forte di altri, più potente o per lo meno più forte, vivido, reale. Tu ste ne tai li tranquillo in un pomeriggio di fine agosto con una birra in mano, gelata, seduto in un anonimo baretto a contemplare il porto di Zanzibar, con il suo andirivieni di turisti, e locali indaffarati nel solito tram tram quotidiano Africano quando takkkkkkkk… ecco l’elemento scatenante che si presenta prepotentemente alla tua memoria rilassata.

Parte tutto con una musica che viene dal finestrino di un taxi parcheggiato a lato del bar, una musica che da subito non riconosci tra il rumore di altre macchine che passano, ma che di colpo fa breccia nella tua mente. La canzone è “The Boys Are Back in Town“ dei The Lhin Lizzy e subito la mia mente piomba in una sorta di visione a occhi aperti: una camera di Varanasi, in India, dove io sdraiato sul letto madido di sudore con gli occhi chiusi ascoltavo Davide che ossessionato da quella canzone batteva sui tasti del piccolo PC scrivendo il diario di viaggio che pubblicava poi su Cima.

Si quel folle montagnino la sentiva e risentiva per ore, forse per via del fatto che gli ricordava che eravamo alla fine dei tre mesi tra Ladakh e India, che ne aveva  piene le palle e tornare a casa era ora mai roba di pochi giorni (…forse perchè montava un video gocciolando sudore sulla tastiera!!! ndr). Ma sta il fatto che nonostante pure a me piacesse all’inizio, dopo la trentesima volta, ne avevo le palle piene epreferivo andare sulle sponde del fiume Gange a contare i cadaveri che passavano portati pigramente dalla corrente piuttosto che subirmi la trentunesima replica della canzone.

È incredibile come i ricordi si ripresentino a noi nei momenti più diversi della vita, ma la cosa bella è che ti riportano indietro, un po’ come una macchina del tempo, e ti fanno rivedere quello che hai fatto o che hai vissuto, le sensazioni, gli odori e l’atmosfera di quel frangente, che al momento non sembrava importante ma che a quanto pare meritava un posto nella tua memoria.

Sarei curioso di sapere cosa Davide si ricorda di quei giorni chissà come li ricorda lui , visti dal suo punto di vista, sicuramente diverso, ma interessante di sicuro.

Chissà quanti altri ne avrò nel corso della mia vita, di belli e di brutti. Ma una cosa è sicura , se mi vedete sorridere con lo sguardo perso o con la faccia triste con una lacrima che mi solca il viso, non disturbatemi sto solo ricordando, non sono pazzo.

Enzo Santambrogio
http://www.enzosantambrogio.com/


Buon Compleanno Enzo! Tieni a mente quello che diceva sempre il vecchio Jack Burton: «I consigli del vecchio Pork Chop Express sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo. Basta che vi ricordiate quello che fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell’occhio e gli dice: “Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura”. »

Davide “Birillo” Valsecchi

Te lo ricordi anche questo?

Mwana wa mbwa

Mwana wa mbwa

enzo-santambrogio

[E.Santambrogio: Zanzibar – Giugno 2016] Qualche settimana fa un mio fundi, uno che ora lavora alla costruzione del nuovo fronte del porto, si è presentato alla porta di casa mia con una borsa e lo sguardo di chi è gia sicuro di uscirne con qualche cosa di buono. Mi dice: «Boss Kazi, ho una cosa per te!»

Io ovviamente gli rispondo che di “fesciate” ne ho gia fin troppe, ma ovviamente mi conosci e la curiosità mi  divorava. Alla fine ho ceduto e gli ho chiesto di mostrarmi il contenuto della borsa, che appariva abbastanza pesante.

Lui la adagia per terra e ne estrae un “qualche cosa” avvolto in una maglietta. Incomincia ad aprire piano piano fino a mostrarne il segreto: una palla di cannone, cazzo!! Una fottuta palla di cannone, dei fottuti “12 minuti caldi a Zanzibar”!! Non ci potevo credere!

Inizia la lunga trattativa: finisce con 10,000 scellini dai 100,000 con cui era partito, più una birra appena finisce il ramadam.

La cosa cadeva a pennello perche erano settimane che Albert, il vecchio incursore dei Comsubin che vive giù a Kiwengwa, mi chiedeva di passare a trovarlo accusandomi di essermi dimenticato di lui e minacciandomi, cameratamente, di tagliarmi la gola se mi fossi presentato a mani vuote senza un regalo. Di solito passo a trovarlo quando ho qualche lavoro da quelle parti e, puntualmente, mi ricordo solo all’ultimo momento di portargli come qualcosa come presente, anche solo il tabacco da pipa. Finalmente potevo rimediare!

Dunque pochi giorni fa, avendo un po di tempo libero, mi sono armato di buona volontà e sono andato in città per prendere il secondo “dalla dalla” (* gli sgangherati pulmini locali) che mi avrebbe portato a Kiwengwa. Ovviamente l’impresa è fallita: per razzismo verso i bianchi mi lasciavano a terra dicendomi che il cassone era pieno, salvo poi far salire sotto il mio naso altri indigeni. Al secondo tentativo fallito la mia parte buddista ha impedito all’istinto del bastardo di usare il mio zaino, e la relativa palla al suo interno, come incisivo strumento di persuasione spiccia. In effetti la mia parte buddista teneva conto anche di quanto sarebbe stato complicato spiegare alla polizia di una dittatura militare come mai me ne andassi in giro con una palla di cannone nello zainetto Invicta!!

E dunque fuori un trenta scellini e via: taxi fino alla meta. Passo prima da alcuni amici e poi a piedi lungo la spiaggia fino alla casa del vecchio Albert. Non pensavo che portarsi a dietro una palla di cannone pesasse così tanto, ma alla fine meta raggiunta!

Grido dal giardinetto «….Albertttttttttt vecchio mastino africano sei a casa?»
Risposta di lui…. «Chi sei? figlio di un cane randagio…»
Io «Sono Enzo…»
Lui «Vieni avanti  bastardo… vedi che non mi sbagliavo sul figlio di un cane!?»

Lo saluto e mi fa accomodare sulla poltrona della sua veranda, piena di trofei appesi, dalle corna di bufalo alle teste impagliate degli animali più strani. Mi mostra pure un suo piccolo tesoro scovato di recente: un dente di 12 cm di un mastodonte preistorico. Gli chiedo la provenienza e mi risponde che a portarglielo è stato un suo fundi. Poi ridiamo insieme: è possibile che abbiano pescato un esemplare vivo, dopo otto milioni di anni,  ma essendo ignoranti come capre se lo siano mangiato !

Poi, ovviamente, lui parte con le sue storie, di quando lavorava nella narcotici per l’ONU e andava con la sua squadra a distruggere i campi dei cocheiros in giro per il mondo. Fino a raccontarmi di quando in tre, 30 anni fa, cercarono rubargli la moto mentre rientrava qua, a casa sua a Zanzibar: ne uccise due e ferì il terzo, erano tutti ricercati da 5 anni ed incassò pure la taglia come nel vecchio west.

In poche parole, caro Davide, tu da tutto questo ne avresti tirato fuori una bella storia:  te lo devo dire ho sempre ammirato come raccontavi le avventure che vivevamo in maniera limpida e romanzesca. Mi manca leggere cose nuove legate a fatti simili !

Comunque alla fine me ne sono ritornato a casa con il ricordo di una bella giornata, anche se era partita male. Un saluto da quelli di Zanzibar !

Enzo Santambrogio
http://www.enzosantambrogio.com

“Cima” è una corazzata: una vecchia, lenta ed anacronistica nave da battaglia concepita per incassare colpi e sfidare le tempeste. Una nave su cui sventola la bandiera dei Badgers, un tasso bianco su sfondo nero, per ricordare che sono stati due pirati ribelli a dare inizio a quest’avventura: you are always welcome, Enzo!! «D.”B”.V»

birillo_enzo

birillo ed enzo ladakh

La vecchia Valassina

La vecchia Valassina

Vecchia Vallassina«Vaa a trùhaa ul nono che lè sù al Valasina!»«va a trovare il nonno che è su al Valassina» É certo che ci andavo! Dopo il bacio sulla guancia, di rito, c’era sempre o il ghiacciolo alla menta o la gazzosa o, se ero fortunato, tutti e due.

E allora giù di corsa per la strada che da dietro il cimitero mi portava in paese passando davanti al consorzio, da lì imboccando la strettoia si sbucava davanti al cafferino del signor Vittorio dove spesso trovavo mio padre che parlava e beveva con gli amici, poi di nuovo su per la via principale del paese per altri 80 metri. Ecco ero arrivato. Eccomi al Valassina!!

Prima di entrare aspettavo sempre un paio di minuti davanti alla porta per farmi coraggio, ero pur sempre un bambino di 7/8 anni e mi preparavo ad entrare nell’ultimo baluardo assese dedicato esclusivamente agli uomini. Un bel respiro e poi aprivo la porta e salivo per quei cinque scalini, venivo subito invaso da fumo di sigarette senza filtro, toscani e profumo di dopobarba, di quello che usava solo il Leandro, dal nome tipo “milliers de fleurs”; i nonni sapevano tutti di quello!!

Un vociare assordante fatto di grida, bestemmie ed imprecazioni varie mi stordiva mentre cercavo con lo sguardo di individuare mio nonno Carletto che si trovava da qualche parte lì in giro, il problema era appunto trovarlo e soprattutto raggiungerlo quando lo vedevo. Dovevo passare infatti tra i tavoli dove si giocava a carte, se la partita era tesa non venivo neppure notato ma se gli avventori si stavano annoiando ed erano attenti venivo fermato ad ogni tavolo per le solite pacche sulla testa o le tirate di orecchie in segno di benvenuto al grido di “uhee Santambrosin se feet chi ?”. E poi giù “patoni” come se piovessero! Io ero onorato di tutto questo interesse per me, un po’ meno la mia testa e le mie orecchie!!

Fatto il bacio di turno stavo lì buono buono fino a quando il nonno capiva che mi stavo rompendo ed allora mi diceva “ thee… tal voot ùl ghiacciol? “. Al mio gesto di consenso partivo come un razzo al bancone del bar dove come un commodoro al timone della sua nave in posa solenne stava il Gianino, re indiscusso di quel regno.

Io che non riuscivo nemmeno ad arrivare al piano del bancone dovevo mettermi in punta di piedi con le cento lire in mano e agitandomi come un indemoniato cercavo di farmi vedere dal Gianino. Non che non mi vedesse ma si divertiva ad ignorarmi o a farmi ripetere quello che volevo per almeno 10 volte con la scusa che con tutto quel rumore non ci sentiva!
Alla fine, ottenuto il tanto agognato premio, mi mettevo a girare per la stanza apprendendo nuove bestemmie al ritmo di una ogni leccata di ghiacciolo.

Quando l’estate diventava troppo calda il popolo del Valassina si spostava al campo di bocce che si trovava a pochi passi dal cortile interno, in una zona con un po’ di piante e ben ventilata, dunque fresca. Qua le bestemmie lasciavano il posto a urla del tipo “ boccia al volooooooo……puntoooo! Segna e taas, imbesuiiii! “. Grandi schiocchi e silenziose rullate di bocce che non arrivavano mai a destinazione, lanciate con precisione chirurgica da nonni cecchini  che dopo la terza mista (spuma con il vino) diventavano dei novelli campioni.

Boccce di AssoLa zona era formata da quattro campi da bocce in fine sabbia e alle estremità gli assi di legno per fermare i tiri troppo potenti fatti da nonni agitati che si giocavano il tutto per tutto con l’ultimo colpo alla nitroglicerina. Quando in un campo si giocava la partita finale e l’ultimo tiro era quello che decideva il risultato, tutti gli sguardi si spostavano sul campo interessato. Allora anche il vociare si placava per qualche interminabile secondo e tutti attendevano in religioso silenzio l’esito.

Poi il nonno partiva con una classe e una la leggerezza degna di un ballerino classico con la mano abbassata che si alzava man mano che faceva quei due o tre passi, poi la boccia sciabolava nell’aria e il ciocco lo si sentiva a più di cento metri di distanza. Se il punto veniva fatto e la partita vinta c’era un’ovazione degna di uno stadio con tanto di applauso, mentre se il nonno “ciccava“ partiva una ola di mani che imprecavano e relative bestemmie al seguito.

Poi tanto finiva sempre allo stesso modo: nonni vincitori e nonni vinti andavano dal Gianino e brindavano con la mista o si disfavano di acqua e Cinar dato che d’estate il rosso era vietato per un semplice motivo: Il Gianino come rosso usava il Manduria in cui, per via della sua gradazione alcolica, ci potevi mettere dentro un coltello che rimaneva in piedi da solo dal gran che era spesso e alcolico, ma i nonni erano quasi tutti reduci di guerra e non bevevano altro.

E così al Valassina tra una briscola e una partita alle bocce si passava il tempo. Senza dimenticare le epiche mangiate serali dove mio padre mi portava in alcune occasioni del tipo riunione soci pro loco o pescatori o qualsiasi altra cosa servisse per avere la scusa di mangiare con gli amici.

L’Edvige dava prova di tutto il suo talento culinario, spignattando dietro i fornelli con l’abilità di una grande chef. I suoi piatti forti, accolti sempre con grandi plausi, erano il gatto in salmì e le balle di toro, roba che a me faceva pure schifo ma dato che la mangiavano i grandi non potevo essere da meno se volevo diventare come loro!
Così ad ogni boccone rigiravo questi “manicaretti“ in bocca per delle decine di minuti fino a quando mio padre con uno scapellotto non me lo faceva ingoiare.

Ricordo ancora con nostalgia quelle giornate al Valassina e non solo perchè lì ho preso le mie prime piccole ciuche al grido di “schiàà bef giò un guten che ta se li smort mè su nòò cusèè!” ma anche perchè ormai le persone che ricordavo con affetto sono scomparse e la stessa Valassina non è più quella di quei tempi.

Ha cambiato diverse volte gestione diventando un ristorante “tipicamente di lusso“ dove ancora troneggia il bancone bar in stile liberty, raro esempio di come lavoravano i nostri mobilieri. Sono cambiati gli avventori e al posto di fumo e bestemmie ora si sente parlare di new economy o di business e al posto delle manate sui tavoli si sentono solo il rumore composto delle posate.
Sono tornato a volte a mangiare lì e stando seduto al tavolo mi sono rivisto la sala piena di gente, io in piedi davanti a mio nonno a osservarlo mentre giocava a quei giochi con le carte che non sono poi mai riuscito ad imparare!

D’altronde tutto finisce e tutto cambia, l’unica cosa positiva di tutto ciò è che almeno la trattoria Valassina, antica gloria, non è diventata un garage o un appartamento come molte realtà di Asso.
Diciamo che si è solo cambiata di abito per adeguarsi hai tempi e non morire!
Beh… che dire. Auguri Valassina, ovunque tu stia andando in Bocca al lupo!

Con Affetto, Enzo Santambrogio

Creative Commons
Licenza Creative Commons. Questo articolo è coperto da diritto d’autore, perciò sia il testo che le immagini non possono essere pubblicate a meno di non citarne espressamente la fonte da cui sono tratte.
Theme: Overlay by Kaira