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Grandine in ferrata!!

Grandine in ferrata!!

Il mercoledì mattina presenzio ad un incontro di equipe, solitamente a Valbrona, con gli psicologi ed i terapisti che seguono i partecipanti alle attività di montagna-terapia. Nella maggior parte dei casi la riunione si conclude prima di pranzo e posso godermi il pomeriggio libero vagabondando qua e là per i Corni di Canzo.

Ieri il tempo mi sembrava buono e così ho deciso di allenarmi un po’ sulla ferrata del Venticinquennale dei Corni. Mentre salivo da Valbrona verso Pianezzo il sole di giugno era talmente caldo che ho dovuto togliere la maglietta, oramai intrisa di sudore, e continuare a dorso nudo godendo della frescura del bosco.

In un paio d’ore ero all’attacco della ferrata e prima di “attaccare” mi sono messo a valutare il tempo attorno a me: sopra i Corni e per tutta la Vallassina il cielo era sereno salvo qualche piccola candida nuvola, l’unica preoccupazione sembrava essere una nube grigia che stazionava sopra la Grignetta al di là del lago. Tuttavia quella nuvola l’avevo tenuta d’occhio tutto il giorno e non sembrava intenzionata a muoversi.

Così mi sono infilato l’imbrago ed ho agganciato il set da ferrata iniziando la mia salita. La Ferrata dei Corni è in alcuni passaggi molto impegnativa, sia tecnicamente che fisicamente, ed è un buon modo per allenarmi nell’arrampicata mantenendo un buon livello di sicurezza anche in solitaria.

La prima parte è una lunga placca che sale dritta dal ghiaione per poi incunearsi in un canalino abbastanza protetto.

Superato un albero vi è un’altra piccola placca in salita e poi comincia un lungo traverso a salire fino alla scala.

Superata la scala, una ventina di metri completamente verticali, si attraversa una piccola porzione di prato e da qui si supera l’ultimo pilastro prima dell’uscita.

Ci sono dei passaggi davvero difficili da affrontare senza utilizzare le catene ma per la maggior parte del percorso è possibile arrampicare facendo buon uso degli appoggi e degli appigli che offre la roccia.

Io avanzavo tranquillo e sereno lungo il traverso che precede la scala. Ero piuttosto soddisfatto della mia salita ed apprezzavo i miei progressi rispetto alla ripetizione precedente: me la stavo davvero godendo!

Ero concentrato sui miei movimenti, valutavo le prese spostando l’equilibrio in modo continuo senza strappi.  Ero in un oasi si piacere quando ho sentito cadere sul braccio la prima gocciolina:“Ahia!” ho pensato tra me e me. Tuttavia ero quasi arrivato alla scala e quindi avevo alle spalle quasi i due terzi del percorso ed ero fiducioso di finire la ferrata prima che la pioggia cominciasse a farsi battente.

Quasi a voler negare questo mio pensiero ha cominciato a grandinare tutto di botto! Sentivo i piccoli pezzi di ghiaccio precipitarmi sulla faccia e sulle spalle ma non era solo quello che mi inquietava. La grandine si forma per effetto di squilibri termici che forzano le gocce d’acqua a repentini cambi di altitudine all’interno di un cumulo nembo. Quando le correnti ascensionali non riescono più a sollevare e trattenere i pezzi di ghiaccio questi cominciano a precipitare sotto forma di grandine.

Tuttavia questi sbalzi termici, tipici dell’estate, non generano all’interno di un cumulo nembo solo grandine ma anche un pericolo ben più grave: i fulmini!

Certo, aveva cominciato a fare freddo e mi cadevano pezzi di ghiaccio sulla testa, la parete stava rapidamente infradiciandosi ed era difficile trovare un appoggio non scivoloso, ma il vero problema era uno solo: ero aggrappato ad un dannato ed enorme parafulmine steso sotto forma di catena su tutta la parete sud del Corno Occidentale! Tutte queste riflessioni si sono concretizzate nella mia testa in un unico semplice pensiero: “oh cazzo, sto giro faccio la fine del topo arrostito!”

Con le “ali al culo” ho afferrato la catena a due mani ed ho cominciato a salire a tutta forza. Ormai ero oltre la metà: dovevo salire fino all’uscita e scendere la cresta il più in fretta possibile riparando nel bosco. Completamente zuppo credo di aver impiegato meno di cinque minuti per trascinarmi fuori dalla ferrata a forza di braccia ed una volta sulla cresta camminavo basso tra la roccia bagnata della cresta mormorando “per favore non prendermi, per favore non prendermi!”.

La situazione era però davvero curiosa: sembrava piovesse solo sopra la mia testa! Tutto intorno era sereno e la pioggia brillava al sole mentre mi precipitava accanto facendo risplendere ogni cosa: era come essere in mezzo a mille arcobaleni!

Una volta sceso in fretta fino al ghiaione, ormai inesorabilmente infradiciato, ho dovuto assistere ad un altro sfottò del tempo: con la stessa rapidità con cui aveva cominciato a grandinare mentre ero in parete aveva smesso appena avevo poggiato piede sul prato a ridosso del Crocifisso ligneo dei Corni.

Completamente bagnato ed affannato ero nuovamente sotto un cielo sereno illuminato da un caldo sole. Mi sono messo a ridere perché davvero sembrava che qualcuno si fosse messo di impegno nel prendermi in giro!

Questa è l’ennesima prova di come in montagna, anche alle modeste altitudini del nostro territorio, il tempo ha la capacità di cambiare repentinamente ed in modo violento. La nuvola che stazionava dietro la Grignetta ha impiegato un niente per attraversare il lago e sbattere contro i Corni e, dopo di lei, altre nuvole l’hanno seguita da est dando origine al temporale che ha imperversato durante tutta la notte.

Quindi la conclusione è sempre la solita: prudenza!

Davide “Birillo” Valsecchi

Vandali sul Corno Occidentale

Vandali sul Corno Occidentale

Qualche mese fa, complice una nevicata improvvisa ed un’inaspettato giovedì di sole, mi ero arrampicato  in cima al Corno Occidentale completamente coperto di neve. Durante la salita mi ero imbattutto in una lastra commemorativa ed in una piccola Madonna con il Bambinello che emergevano dalla coltre bianca. La foto che vedete qui sopra è stata scattata proprio quel giorno.

Sabato, insieme al mio socio Emanuele del Team Flaghéé, abbiamo percorso la traversata dei Corni ed è stato scendendo dal Passo della Vacca che mi sono accorto di qualcosa di strano. Tra le rocce della cresta, abbarbicato sul vuoto, c’era del pietrisco di colore aranciognolo sparso qua e là. Non essendo abituato a “far via il passo alle cose” mi sono fermato nel tentativo di capire cosa fosse. Ne ho raccolto qualche frammento e, guardandomi attorno, ho capito cosa fosse successo: “Hanno spaccato la Madonna!”

La Madonnina infatti non c’era più e sotto la placca di roccia c’erano altri frammenti di materiale smaltato e cocci. Ho pensato che fosse caduta, che si fosse staccata a causa del tempo ma, perlustrando meglio, ho dovuto purtroppo scartare quest’ipotesi.

Su una pietra abbandonata lì vicino c’erano i segni dello stesso materiale ed era evidente che fosse stata usata prima per diveltere la statuina e poi per frantumarla una volta a terra. Un’accanimento degno dell’ignoranza e della stupidità del gesto.

Confesso di aver provato una certa rabbia nello scoprire la verità. Non è tanto per il simbolo religioso, per la natura blasfema del gesto o per quant’altro. Non è per una questione religiosa che una cosa del simile mi indigna. Non è uno sgarbo ai santi o alle credenze di qualcuno, è un ingiustizia nei confronti di chi si impegnò nel proferire la propria speranza in un messaggio, a chi aveva portando lassù un oggetto tanto piccolo e delicato che tuttavia aveva saputo resistere alle intemperie tanto a lungo.

Un atto simile è come colpire con una pietra un anziano o un bambino: non trovo giustificazione per una cosa simile. Non è un affronto verso un dio o una religione, è un atto vile nei confronti di un uomo del passato che, negli ideali del proprio tempo, aveva lasciato una traccia di sè a protezione del cammino sulla montagna. Ogni cultura del pianeta ha tracciato a proprio modo un “segno” simile ed infrangerlo con violenza significa non comprenderne il valore umano intrinseco.

Nessun Alpinista, degno di tale nome e tramandatore della cultura della montagna, avrebbe mai compiuto un simile gesto. Spero che prima o poi la Montagna pretenda di riavere da lui ciò che egli ha tolto a tutti noi.

Davide Valsecchi

I Corni sono un patrimonio di tutti alla cui salvaguardia provvedono le Sezioni di Asso, di Canzo e di Valmadrera del Club Alpino Italiano (CAI), l’Organizzazione Sportiva Alpinisti di Valmadrera (OSA) e la Società Escursionisti Valmadrera (SEV). Sarà mia premura contattare queste associazioni affinchè si provveda a rimediare e a dare una risposta chiara a quanto accaduto: “Nessuno viene a fare l’asino sulle nostre montagne e a calpestare la loro storia!”

Due giorni a zonzo tra Corni e Moregallo

Due giorni a zonzo tra Corni e Moregallo

Venerdì e Sabato sono passati a trovarmi un paio d’amici e così, per sfuggire al maltempo che minacciava il week-end, ho organizzato una “due giorni” a spasso per le nostre montagne: un paio di “scammellate” ragguardevoli in effetti.

Venerdì la sveglia suona alle sei del mattino e venti minuti dopo si è già in strada a piedi. Risaliamo fino a Gajum proseguendo lungo il sentiero geologico che costeggia il fiume Ravella. Superiamo il Terz’alpe e proseguiamo verso la colma di Ravella e poi giù, oltre il grande faggio del Fo, fino alla fontanella del Sambrosera. Da lì si risale superando prima la Torre Marina e l’attacco della Cresta del 50° OSA e della Cresta GG OSA  raggiungendo lo Zucon da dove il sentiero emerge dal bosco per snodarsi tra le guglie del Moregallo fino alla sua cima.

Una volta in cima siamo rientrati passando da Pianezzo e dal sentiero che scende attraverso il bosco fino ad Oneda ed alla vecchia mulattiera per Valbrona: a valle in tempo per un piatto di spaghetti!

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Sabato la sveglia suona di nuovo alle sei. Il tempo è ancora coperto ma non sembra minacciare pioggia. Risaliamo nuovamente tutta la valle Ravella ma, giunti al Fo, iniziamo a salire verso il Corno Orientale. Superata la ripida salita che condude al più basso dei tre corni accompagno i miei soci alla scoperta dalla meravigliosa spaccatura nella roccia, un lungo corridoio tra celebri pareti, che si cela alle spalle del Pilastrello.

Da lì inizia la nostra salita al corno Centrale proseguendo poi verso la sommità del Corno Occidentale arrampicando attraverso il “caminetto”. Ormai il più è fatto, sono le undici e mezza ed il nostro viaggio inizia la sua discesa: prima il passo della vacca e poi la dorsale per Cranno. Alla una e mezza siamo già seduti sulla panca della Trattoria al Lambro ordinando spaghetti con la salsiccia e bevendo birra.

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In due giorni abbiamo macinato un bel po’ di strada e, confesso, ritrovarsi stravolti con i piedi sotto una tavola è stato un bel piacere. C’è qualcosa di “liberatorio” nel faticare in montagna, qualcosa che ti lascia svuotato e colmo allo stesso tempo.

Sudato ed affaticato sentivo le gambe pesanti e stanche mentre tracannavo birra e chiacchieravo con gli altri:  ero semplicemente abbandonato sulla seggiola della trattoria ma, per un attimo piacevolmente lungo, quello era il mio posto nel mondo. Alla Salute!

Davide Valsecchi

Nota: ho aggiornato il sistema di visualizzazione dei percorsi GPS. Ora dovrebbe comparire un tracciato altimetrico ed altre nuove funzionalità. Se qualcuno dovesse avere problemi nel visualizzare correttamente questo nuovo sistema è pregato di farmelo sapere in modo che possa “riparare” eventuali disfunzioni. Grazie =)

Traversata dei Corni di Canzo

Traversata dei Corni di Canzo

La Traversata dei Corni è un classico del nostro territorio, un percorso di incredibile bellezza panoramica attraverso il cuore dei Corni di Canzo e la sua storia alpinistica. Premetto subito, per evitare pericolosi equivoci, che il percorso è classificato per escursionisti esperti (EE) e richiede un’adeguata esperienza e preparazione nell’arrampicata su roccia.

La traversata permette di raggiungere uno dopo l’altro tutti e tre i Corni di Canzo passando dalle creste ed i canali che li circondano. E’ possibile effettuare la traversata sia da Est verso Ovest che vice versa. Io Sabato sono salito dal Corno Occidentale, il più alto (1373 metri), andando via via verso est e superando il Corno Centrale (1.368 metri)  e scendendo poi al Corno Orientale (1.232 metri).

Mi sono avvicinato ai Corni salendo dal Val Ravella, prima lungo il sentiero che dal Castello di Canzo raggiunge il Repossino e poi attaverso la mulattiera che collega il Primalpe ed il Second’Alpe imboccando quindi il sentiero numero 1 che risale fino al crocefisso ligneo di Pianezzo.

Qui, superando l’attacco della ferrata del 25°, si imbocca il sentiero che dal ghiaione risale la cresta verso la cima. Vi sono due canali di roccia che possono trarre in inganno: il sentiero non sale dritto ma piega verso destra fino alla cresta ed è abbondantemente segnato con bolli bianco e rossi. Una volta in cresta si supera l’arrivo della ferrata e si affronta l’ultimo passaggio verso la cima. Ci sono molti tratti esposti sullo strapiombo che offrono un panorama mozzafiato ma che richiedono gambe salde.

Una volta in cima si prosegue verso est imboccando il caminetto che scende sul lato opposto, è un diedro di roccia da percorrere in discesa con difficoltà di I° o II° grado. Esiste anche un sentiero meno impegnativo ma non è molto facile da individuare e, nonostante le difficoltà, il caminetto rimane l’opzione più protetta e meno esposta nel vuoto.

Puntando verso il Corno Centrale si supera la Coletta dei Corni (880 metri) percorrendo un sentiero che corre attraverso le piante. Una volta giunti nuovamente sotto la roccia si procede alla salita del Corno. Qui in passato mi è capitato spesso di sbagliare: il sentiero non imbocca le spaccature sulla destra (sud) ma sale attraverso un piccolo camino sulla sinistra (nord, verso Bellagio). La via di destra è stata “aperta” dalle capre ed è un po’ esposta e piena di sfasciume, il sentiero ufficiale, marcato con bolli rossi, è invece più protetto e fruibile sebbene anche in questo caso sia classificato EE.

Dalla cima del Corno Centrale parte ora uno dei sentieri meno frequentati e più particolari di tutto il gruppo dei Corni.  Seguendo i bolli rossi si passa sulla cresta che sovrasta l’incredibile parete Fasana: ci si ritrova a camminare in equilibrio tra i prati da un lato e l’abisso dall’altro! In alcuni tratti sono state attrezzate delle catene ma, nonostante i punti di roccia, credo che l’insidia maggiore resti l’erba e la possibilità di caduta sassi.

Alla base del sentiero ci si ritrova davanti all’antro, alla spettacolosa fenditura che solca la parete Nord Est dei Corni a ridosso del Pilastrello. Infilarsi nel ristretto spazio che separa le due enormi pareti significa addentrarsi nel cuore dei Corni e della sua storia alpinistica. Qui targhe commemorative riportano i nomi dei pionieri, in gran parte di Valmadrera, che tracciarno le prime ardite salite tra gli anni 40 e 50.

Accarezzando la parete la si sente liscia, leggermente umida e priva di appigli. Le asperità sono smussate ed il Vibram dei miei scarponi sembra non trovare grip negli appoggi. Ho esplorato con emozione il canalone superando gli sbarramenti e scivolando tra le due pareti: “Non è per nulla facile qui!” continuavo a ripetermi tastando la roccia ed immaginando lo sforzo ed il rischio che affrontarono i “vecchi” quasi 60 anni fa.

Due grossi massi ostacolano il passaggio attraverso il canion e richeidono una certa perizia per essere superati. Se si riesce a passarli si può uscire anche dall’altro lato della fenditura a condizione di sentirsi saldi nel procedere in discesa lungo una breve parete di roccia. In caso contrario è sufficiente tornare sui propri passi. Una volta riemerso dall’antro ho raggiungo il Corno Orientale ancora impressionato per la bellezza della Parete Fasana. Sono davvero molto soddisfatto del breve ma emozionante percorso attraverso i Corni.

Per chi, con le dovute competenze, volesse rendere più impegnativa l’escursione può concatenare anche la Ferrata del Corno Rat e la Ferrata del 25°. Due ferrate impegnative e, dato che una delle due andrebbe percorsa in discesa, sconsigliabili durante gli affollati fine settimana.

Visto che non erano ancora le dieci del mattino e mi sentivo ancora molto carico ho optato per una piccola deviazione sulla strada del ritorno. Ho infatti puntato Valbrona portandomi poi verso San Giorgio e da qui verso Crezzo e la cresta di Megna fino alla Croce: un’idea piuttosto “malsana” se devo essere onesto!

Dopo avere percorso i circa 9km  della Traversata ho aggiunto una variante di quasi 20kilometri:  circa 9km per arrivare a San Giorgio, poco più di 6km per risalire fino a Crezzo e raggiungere la Croce ed altri 5km per scendere nuovamente ad Asso e tornare a Scarenna.

Tuttavia, dopo tanta roccia, la fatica è stata premiata con un incontro speciale a tu per tu con la natura viva e sfuggente del nostro territorio:

Alla fine ho fatto “il giro delle quattro croci”. Se mai un giorno mi sentissi abbastanza “esoso” si potrebbe raggiungere persino quota “sei croci ed una madonna” aggiungendo la croce del Cornizzolo, la madonnia del Monte Rai e la croce del Moregallo. Tuttavia direi che come allenamento del Sabato sia stato già più che “sbarazzino” =)

Davide Valsecchi

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Orme sulla neve: il tasso

Orme sulla neve: il tasso

Giovedì, aprofittando della bella giornata di sole dopo la nevicata d’aprile, sono salito ai Corni. La neve era ancora inttatta e camminando verso la cima era facile distinguere nel bosco molte orme di animali. Molte mi erano note e bene conosciute ma tra queste ne ho incotnrata una piuttosto insolita nella mia esperienza.

Così ho fotografato la traccia e mi sono confrontato con alcuni amici, con Internet e con mio padre (il mio massimo esperto). La mia idea era che, data la forma e gli artigli, fossero di un tasso e così mi hanno confermato anche tutti gli altri.

Il tasso è un animale piuttosto curioso e, onestamente, mi è capitato molto di rado di incontrarlo. Poterne studiare le orme sulla neve è stata una piacevole scoperta che ora condivido volentieri con voi sperando, prima o poi, di riuscire a fotografare dal vivo uno di questi mustelidi.

Davide Valsecchi

Neve d’Aprile sul Corno Occidentale

Neve d’Aprile sul Corno Occidentale

Lo confesso:  nella sua “semplicità” è stata un’emozione intensa. Per tutta la settimana il tempo è stato incerto e mercoledì la neve ha coperto le cime di gran parte delle montagne oltre i mille metri. Contro ogni aspettativa le previsioni giuravano e spergiuravano che giovedì sarebbe stata una bella giornata d’Aprile e, incredibilmente, così è stato: un sole stupendo in un cielo azzurro.

Anche io ho scommesso sul bel tempo e così, giovedì mattina, sono pronto all’impegno. Risalendo lungo l’interminabile e ripida dorsale di Cranno punto ai Corni di Canzo rimanendo sorpreso dalla quantità di neve che via via vado incontrando. Supero il piano di candalino, la coletta dei Corni ed arrivo agli immacolati prati di Pianezzo: non una traccia infrange il candore della neve che brilla nella luce del mattino!

Attraverso il bosco fino alla colma di Pianezzo dove si trova il crocifisso di legno affacciato sulla valle Ravella. Da qui inizia la parte più difficile: la salita al corno occidentale innevato.

Risalgo in ghiaione che ora appare come un’uniforme distesa bianca e comincio a muovermi tra le roccette puntando verso la cresta. La neve si è accumulata e sprofondo oltre il ginocchio affondando le braccia oltre il gomito alla ricerca di appigli per i passaggi più difficili. La neve è scolpita in onde e sulla roccia corre un sottile strato di ghiaccio trasparente.

Mi muovo piano e mi fermo spesso a studiare la salita. Sono solo, senza corda, senza compagno e senza attrezzatura particolare salvo i miei guati: devo fare il doppio dell’attenzione usando il triplo della prudenza. Attorno a me ripidi canaloni mentre sul lato sud la parete offre un tuffo che supera i cento metri: imperativo è non scivolare e muoversi  “protetti”.

La salita è impegnativa, lavoro con le gambe e le braccia ma soprattutto mi impongo di lavorare bene con la testa. Studio i passaggi, la neve, il ghiaccio, la roccia ed il vuoto. Siamo “solo” sui Corni di Canzo ma la sfida è coinvolgente ed il rischio concreto.

Ripensavo ai grandi del passato ma anche agli alpinisti della nostra zona che su queste montagne si erano  fatti le ossa o addirittura avevano perso la vita. Ricordi di un alpinismo lontano che rivive concreto mentre affondo le mani nella neve in cerca di appigli. Cresta dopo cresta, passaggio dopo passaggio, finalmente raggiungo la croce sulla cima: 1370 metri, niente di eccezionale eppure quante emozioni!

Scatto qualche foto e piano piano mi porto sopra il caminetto che sale sull’altro versante del Corno Occidentale. L’ho percorso tante volte sia in salita che in discesa accompagnandoci bambini ed adulti ma ora, guardandolo pieno di neve ed affrontandolo in discesa, non mi sembra così elementare come lo ricordavo.

Ci vorrebbe un pezzo di corda, forse, ma mi limito a scendere con prudenza. Ben saldo con le mani alla roccia lascio che gli scarponi esplorino la neve in cerca di un sostegno solido ricordandomi, quasi come un mantra, che “si arrampica con le gambe e non con le braccia”. Alla fine, circondato dalla neve che mi viene appresso, anche il caminetto è superato.

Fradicio, nel sole che ormai scioglie la neve, mi avvio verso il corno centrale. Mi piacerebbe salirli entrambi e dalla forcella avanzo verso il corno costeggiando la cresta ed apprezzando la differenza tra i due speroni di roccia che caratterizzano i Corni di Canzo.

La salita è più facile della precedente ma ormai il sole è alto, è mezzogiorno e la neve inizia a sciogliersi, la roccia brilla di ghiaccio che si stacca e di acqua che cola in ogni dove. Rifletto sul da farsi studiando la via di salita ma il problema sembra essere la discesa: se scalda ancora c’è il rischio di scivolare scendendo sulla neve molle e la roccia bagnata. Mi avvicino ancora e poi, davvero  a malincuore, accetto il fatto di essere da solo e di non avere le condizioni per salire: “Non luogo a procedere: non puoi fare lo stupido sui Corni!”

Con un po’ di rammarico ritorno al rifugio della SEV ed inizio a “circumnavigare” il corno centrale costeggiando la roccia e la vertiginosa Parete Fasana. Giungo al Corno Orientale continuando il mio viaggio attorno alla roccia, in uno scenario innevato scopro pareti e canali sconosciuti studiando vie e percorsi commemorati da vecchie targhe ed oggi probabilmente quasi dimenticati. Il rammarico per non avere raggiunto la cima scompare di fronte alla voglia di scoprire che mi ha trasportato fin qui.

Scendo poi verso il Terzalpe e da lì verso casa. Il Gps dice 19 km e 7 ore di cammino ma non è in metri o in minuti che si misura la mia soddisfazione per un’inconsueta giornata ai Corni.

Davide Valsecchi

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Corni Number Five

Corni Number Five

Nel week end sono stato invitato a partecipare ad un seminario di tre giorni presso il rifugio demaniale Primalpe, la sede dell’Ecomuseo della riserva naturale Malascarpa. L’alpeggio, posto sotto i Corni di Canzo nella valle Ravella, è stato completamente ristrutturato ed è in grado di ospitare una quarantina di persone.

Il seminario, organizzato da Lega Ambiente, era incentrato sui nuovi mezzi di comunicazione e sulle strategie possibili per avvicinare i giovani, ma non solo, ad una partecipazione attiva nella tutela dell’ambiente. Venerdì sera, davanti al falò sotto la luna piena, eravamo circa una trentina di partecipanti provenienti un po’ da tutta la Lombardia e l’atmosfera era decismente festosa.

Sabato pomeriggio, dopo lunghi workshop e dibattiti, io letteralmente smaniavo: il sole filtrava attraverso le grate illuminando il soffitto a volta in sasso della sala attività ed io fremevo dall’idea di rivedere il lago dall’alto. Sono omai due settimame che sono rientrato dal Congo ed ancora non avevo avuto occasione di andare per monti.

Alle tre del pomeriggio si decide per una piccola pausa. Io saluto Silvia, la ragazza che gestisce l’alpeggio, con uno sbarazzino “Vado a fare due passi, ci si vede dopo”. Lei ride: abbiamo portato insieme diverse scolaresche in giro per la valle ed ormai mi conosce.

Scarponi, un paio di pantaloni  di cotone, un maglione ed un giacchino in pile senza maniche: ecco tutto il mio imbarazzante equipaggiamento mentre inizio a risalire il sentiero numero 5 verso la cima dei Corni.

Nonostante il sole caldo che illuminava un magnifico pomeriggio di Marzo quel lato della montagna, rivolto a nord ed nascosco alla traiettoria bassa del sole, è ancora coperto di neve e tratti ghiacciati. Facendo attenzione ai miei passi godevo di quell’imprevisto, ed un po’ nostalgico, incontro con  il “manto bianco”.

Arrivato a Pianezzo, il grande prato sotto il rifugio SEV, mi appare finalmente il lago e le due Grigne in tutta la loro magnificenza. Ormai ero lì, tanto valeva andare in cima ad uno dei due corni e dare uno sguardo anche verso Lecco.

Risalgo nella neve fino alla forcella ed attacco il Corno Occidentale arrampicando do lungo il “Caminetto”, un verticaleggiante diedro di roccia che porta verso la sommità.

Quel passaggio è catalogato come EE, escursionisti esperti, e risalirlo con la neve, lavorando bene con le braccia e rinsaldando ogni passo nelle parti ghiacciate, è stato un inaspettato divertimento (anche se un paio di guanti mi avrebbero fatto comodo!).

In cima vengo nuovamente investito dal sole e sono catapultato in una curiosa situazione: alle mie spalle la neve e l’ultimo retaggio d’inverno mentre la valle davanti a me  sembra preannunciare la primavera.

Mi fermo a fare qualche foto studiando di nuovo i monti di casa e mi rimetto in cammino per scendere. Sulla cresta del Corno Occidentale corre uno dei sentieri più panoramici e più aerei del nostro territorio: il passo della vacca.

Il “Caminetto” è forse tecnicamente più difficile ma ha il vantaggio di essere più “protetto” e meno esposto, il “passo della vacca” invece corre sulla cresta in equilibrio tra due strapiombi che, per quanto panoramici, sanno essere davvero suggestivi ed inquietanti se non ci si sente saldi sulle gambe, specie in discesa dove si fronteggia il vuoto.

Il sole aveva ormai sciolto gran parte della neve rendendo praticabile un sentiero che altrimenti avrebbe potuto diventare davvero pericoloso senza idoneo equipaggiamento (attenzione a non sbagliare: le catene sono l’arrivo della Ferrata dei Corni e non il sentiero!)

Mi sento in gran forma e le gambe riprendono ad andare da sole. “Dove sei finito?” mi telefona Silvia: “Arrivo, arrivo! Cinque minuti, sto tornando!” Raggiungo il sentiero numero 1 ed inizio a scendere quasi di corsa verso il Terzalpe e da lì nuovamente verso il Primalpe.

Alle cinque e venti rientro al seminario, la tabella dei sentieri riporta due ore e venti per salire alla vetta dei Corni dal Primalpe: io ci ho messo lo stesso tempo ma andando e tornando. In Africa mi sono beccato la malaria ma, tenendo anche conto della quantità di vino rosso trangugiata venerdì sera davanti al fuoco, posso considermi ancora in buona forma!

Inizia una nuova stagione ed è bello essere di nuovo a casa!

Davide Valsecchi

[Come sempre: prundenza andando in montagna. Anche percorsi normalmente facili possono diventare pericolosi con la neve.  La regola è sempre quella: mai fare il passo più lungo della gamba!]

Rumble in Valbrona Jungle

Rumble in Valbrona Jungle

Domenica mi annoiavo e la prospettiva era restarsene in casa tutto il pomeriggio a trafficare con il computer ed il lavoro arretrato. No,  non era proprio accettabile: “Vai a Valbrona? Mi molli da qualche parte lassù?”.

Infilo lo zaino e mi faccio lasciare più o meno a Candalino. Apro la carta del Triangolo Lariano. Sono equipaggiato di tutto punto ed armeggio con un lenzuolo di carta davanti agli incuriositi avventori di un bar: “Guardalo il milanese che va a perdersi nei boschi!!” avranno pensato. Quasi vero in effetti: la voglia di perdersi c’è tutta!

La carta mi serve per controllare i sentieri che sul fianco della montagna portano alla coletta dei corni. Verifico i mei riferimenti per iniziare, il resto verrà a caso. Accendo il Recorder Gps e si va!

Supero il vecchio seminario e mi infilo per un sentiero in disuso che corre sopra le scogliere che sovrastano la frazione. Il bosco è pieno di rocce che si alzano irregolari tra gli alberi, più sù mi imbatto in due piccole grotte. Ricordo aver letto la loro descrizione da qualche parte, forse in un vecchio libro: è una parte di mondo quasi dimenticata a due passi dal paese.

Mi distraggo un secondo e sopra di me si muove qualcosa. Sono in ritardo, mi ha visto prima lei ed è scattata per prima. Lei è una magnifica capriola adulta, salta tra i rovi guardandomi un’ultima volta prima di scollinare oltre il crinale. Provo a catturarla con una foto ma è inutile, è stata più brava lei questa volta.

Avanzo tra le roccette divertendomi nei passaggi più complessi. Tenendosi lontano dallo strapiombo non c’è gran pericolo: lo prendo come un allenamento, con un gioco. Sperone dopo sperone mi ritrovo al ripetitore della RaiTv. Seduto davanti alle antenne provo a scattare qualche foto ma la foschia si mangia la luce ed i pixel non rendono omaggio alla grande vallata sottostante.

Vado oltre, supero un vallone e mi trovo nei prati di Piazzo. Più a valle c’è un cancello che delimita questa zona, che sbarra la strada. Ormai però sono dentro e quindi proseguo per la carreggiata in terra battuta che attraversa il prato ed il bosco. Mi aspetto che salti fuori qualcuno che imbracciando “il docici” reclami la proprietà privata: nessuno si fa però vivo e continuo la mia gita.

Proseguo, supero la val Cavaletto e l’omino fiume. Qui è una miriade di sentieri e stradine. Scelgo a caso cercando di guadagnare quota sul fianco della montagna. Mi imbatto in un paio di baite e credo che una di queste sia quella dei pescatori, dell’associazione pesca sportiva di Valbrona.

Il bosco è sempre un posto curioso, alle volte pone degli indovinelli interssanti. Trovo una testa di animale e sparsi qui e là anche gran parte degli altri pezzi. Cosa sarà? Scatta il momento dell’anatomo patologo:  non è un cinghiale perchè mancano guardie e canini. Sicuramente è un erbivoro ed è di una certa stazza. Troppo grosso per essere una capra ma, visto che non ci sono le corna, è da escludere anche la mucca. Resta cavallo o asino, in ogni caso gli animaletti del bosco hanno fatto festa…

Altre baite, altri casottelli di caccia. Molti abbandonati, qualcuno invece forse ancora vivo. Siamo a due passi dal paese ma in questo breve tratto di montagna ci si potrebbe nascondere senza mai più farsi trovare: quasi una porta su un’altro mondo, una piccola tentazione.

Passo il fiumicciattolo della val di Valeuc e ritrovo il sentiero che da Ponte Castello porta alla Coletta dei Corni. Il mio “giro in giro” nei boschi è finito, mi acquieto seguendo il sentiero fino alla dorsale di Cranno. Il sole filtra tra gli alberi e mi regala qualche gioco di luce da catturare con la macchina fotografica.

Tra le piante scatta guardingo un animaletto. Credo di averlo disturbato durante la sua caccia. Con mia sorpresa è un enorme gatto bianco e grigio. Pare che non sia il solo ad essere diventato selvatico da queste parti!

Al Primalpe trovo il presidente del Cai di Canzo. Poco prima era lì anche Renzo, il presidente del Cai di Asso.

Come uno sciocco mi sono completamente dimenticato che le due sezioni avevano organizzato l’uscita conclusiva del “corso di ferrata” proprio ai Corni. Sono in ritardo sia per aggregarmi alla salita che per unirmi alla successiva mangiata. Peccato.

La compagnia è allegra e piacevole e così mi attardo. Forse anche troppo per la pazienza del Sole.

Mi incaponisco nel voler risalire nuovamente il crinale lungo il sentiero dello Spaccasassi. L’ora è tarda ed il sentiero è dannatamente imboscato di rovi e cespugli e, cosa più grave, è completamente a sbalzo sulle scogliere che sovrastano la marcita di Canzo.

Mi ritrovo al buio tra rocce e rovi, dallo zaino estraggo la fida pila frontale ed illuminando i miei passi, con il piccolo fascio di luce a led cerco di orientarmi in quella giungla strapiombante. Una vocina fastioda attacca con la solita litania:“Sei il solito stupido e questa volta finisce che ti schianti a due passi da casa!!”.

Mi sembra di essere nella versione brianzola del Blair Witch Project, il sentiero è ormai inghittito dalla vegetazione ed al buio si fa fatica a distinguerlo dai camminamenti delle capre. Mi aggiro tra le piante e le ombre. Tocca fare avanti ed indietro camminando tra i rovi cercando di non sbucare nel vuoto.

Succede. L’importante è stare “sereni” e fare le cose con calma. Mi siedo a riposare e spengo la frontale restando al buio: non voglio che qualcuno a valle, vedendo una luce immobile tra le rocce, si preoccupi inutilmente. Mi torna alla mente il “Viaggio al centro della terra” di Verne, quando il nipote del professore si perde nell’oscurità e, per non morire schiantando la propria testa contro le rocce, deve reprimere il terrore che lo aveva travolto. Come ho detto l’importante è stare “sereni” e fare le cose con calma, al resto si provvede un passo alla volta.

Quando avevo dodici anni mi ero messo ad inseguire proprio su questo crinale uno dei mei cani: quel bastardino di “Cico” si era messo a correr dietro alle capre che si erano date alla fuga sulle rocce e mi era toccato arrampicamici dietro pur di andare a riprenderlo. Nè io nè il mio cane eravamo precipitati allora, con una ventina d’anni d’esperienza in più posso farlo di nuovo anche questa sera.

La giacca mi ripara dal freddo e sotto i mei piedi si illumina tutta la valle. Lo spettacolo in cui mi sono imbattuto vale le tribolazioni. Il colpo d’occhio è notevole ed inconsueto. Sto diventando ingordo di tutto questo ed è preoccupante e piacevole al tempo stesso.

Luci di Canzo

Riprendo a salire, i rovi iniziano a diradarsi ed il sottobosco si fa sempre più aperto. Nel buio vedo il chiarore dell’orizzonte attraverso gli alberi. Sono di nuovo sul crinale e da lì a poco ritrovo il sentiero della dorsale di Cranno. Pare che l’abbia spuntata anche questa volta ed in tempo per tornare a casa prima del ritorno di Bruna.

Mentre scendo verso il paese mi chiedo quanti sappiano dell’avventura, delle emozioni e della bellezza che si nascondono a pochi passi da casa. Io ho visto l’Himalaya, ho visto le grandi montagne e le sterminate piane del centro Africa, eppure riesco ancora a “perdermi” tra queste piccole e strette valli come quando ero bambino.
Sono contento che questa sia la mia casa.

Davide Valsecchi

[Ps. resta ben chiaro per tutti che lo spaccasassi di notte è da annoverarsi tra le cose “DO NOT TRY THIS AT HOME”. Io stesso, visto l’esperienza, mi asterrò dal riprovarci. Avvisati…]

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