Coll’Asso Gröp: i Dart Fighters di Asso

Coll’Asso Gröp: i Dart Fighters di Asso

Coll'Asso GroupAd Asso, nella “Tana delle Tigri” che qui chiamiamo Fuego, si allena una squadra di implacabili cecchini armati di freccette da competizione e di boccale di birra.

Coll’Asso Gröp, questo è il temibile e temuto nome della squadra di freccette assese giudata dall’indiscusso Capitan Balla.

I “Nostri” sono appena tornati da una delle competizioni più prestigiose nel loro calendario. Per il terzo anno consecutivo hanno partecipato alla Finale del Campionato Nazionale 2008 che si è tenuta Domenica 11 Gennaio a Salsomaggiore Terme, specialità 301 Single Out.

La squadra, che vedete nella foto, era composta da Daniele Colombo, Mathias Duroni, Andrea Della Torre, Nico Gramegna, Giorgio Pina, Stefano Ballabio, Christian Battistiol e Luca Paredi (dall’ alto a sinistra). Questi ragazzi, tutti classe anni ’80, si allenano in questo nobile sport da bar da quasi cinque anni dando vita ad un gruppo allegro ma competitivo.

A Salsomaggiore i “Nostri” hanno passato il primo girone vincendo la prima partita contro una squadra di Venezia e la seconda contro una di Perugia ma, come abbiamo detto, questo è uno sport da bar e si gioca freccetta nella destra e bicchiere nella sinistra, non basta la mira. Non è ancora chiaro se sia stata la tensione agonistica o la pressione alcolica a frenare la corsa al vertice della nostra squadra, tuttavia sono tutti d’accordo, è stata una giornata molto “allegra”!

Ancora complimenti a questi ragazzi, hanno trovato uno sport in grado di appassionarli e portarli alle competizioni nazionali ma sopratutto hanno saputo mettere assieme un bellissimo gruppo di amici. Bravi…..remove the darts!!!

Arrampicare? Un gioco da bambini!

Arrampicare? Un gioco da bambini!

Arrampicare

30 bambini con il loro entusiasmo invadono la palestra d’arrampicata di Valbrona ogni mercoledì sera. Per il secondo anno consecutivo qui si tiene un corso d’arrampicata sportiva rivolto esclusivamente ai più piccoli.

E’ difficile immaginare che tra i nostri paesi  ci siano così tanti piccoli sportivi pronti a confrontarsi con il mondo verticale, spesso temuto ed evitato dai “grandi”. Giochi a squadre, a coppie ed  individuali che avvicinano senza alcun timore i bambini a questa salutare disciplina sportiva, caratterizzata dal divertimento ma anche  da forti elementi affettivi e sociali.

L’arrampicata infatti è un piacevole strumento che porta naturalmente a stringere rapporti interpersonali, alla comunicazione, alla fiducia reciproca. Così ci si trova ad incitare il compagno appena conosciuto, ad assicurarlo per evitargli la caduta o a dargli un consiglio per riuscire a salire. I bambini arrampicano sia sulla parete boulder, con la caduta protetta da materassoni, sia sulla parete più alta con imbragature e corde in totale sicurezza.

Tutto ciò è reso possibile dalla sinergia nata tra diverse persone e realtà associative locali. L’associazione “La Sportiva Valbronese”, la scuola d’alpinismo “Alto Lario”, l’Istituto scolastico comprensivo di Asso ed un’istruttrice F.A.S.I. collaborano durante ogni  lezione per garantire il divertimento verticale dei bimbi in assoluta sicurezza.

Il solo entusiasmo dimostrato dai piccoli arrampicatori basta a far capire come un iniziativa di questo genere sia un vero momento d’apprendimento, di crescita personale e sociale.

Quindi, “grandi”: imparate!!

foto by Della®
La vecchia Valassina

La vecchia Valassina

Vecchia Vallassina«Vaa a trùhaa ul nono che lè sù al Valasina!»«va a trovare il nonno che è su al Valassina» É certo che ci andavo! Dopo il bacio sulla guancia, di rito, c’era sempre o il ghiacciolo alla menta o la gazzosa o, se ero fortunato, tutti e due.

E allora giù di corsa per la strada che da dietro il cimitero mi portava in paese passando davanti al consorzio, da lì imboccando la strettoia si sbucava davanti al cafferino del signor Vittorio dove spesso trovavo mio padre che parlava e beveva con gli amici, poi di nuovo su per la via principale del paese per altri 80 metri. Ecco ero arrivato. Eccomi al Valassina!!

Prima di entrare aspettavo sempre un paio di minuti davanti alla porta per farmi coraggio, ero pur sempre un bambino di 7/8 anni e mi preparavo ad entrare nell’ultimo baluardo assese dedicato esclusivamente agli uomini. Un bel respiro e poi aprivo la porta e salivo per quei cinque scalini, venivo subito invaso da fumo di sigarette senza filtro, toscani e profumo di dopobarba, di quello che usava solo il Leandro, dal nome tipo “milliers de fleurs”; i nonni sapevano tutti di quello!!

Un vociare assordante fatto di grida, bestemmie ed imprecazioni varie mi stordiva mentre cercavo con lo sguardo di individuare mio nonno Carletto che si trovava da qualche parte lì in giro, il problema era appunto trovarlo e soprattutto raggiungerlo quando lo vedevo. Dovevo passare infatti tra i tavoli dove si giocava a carte, se la partita era tesa non venivo neppure notato ma se gli avventori si stavano annoiando ed erano attenti venivo fermato ad ogni tavolo per le solite pacche sulla testa o le tirate di orecchie in segno di benvenuto al grido di “uhee Santambrosin se feet chi ?”. E poi giù “patoni” come se piovessero! Io ero onorato di tutto questo interesse per me, un po’ meno la mia testa e le mie orecchie!!

Fatto il bacio di turno stavo lì buono buono fino a quando il nonno capiva che mi stavo rompendo ed allora mi diceva “ thee… tal voot ùl ghiacciol? “. Al mio gesto di consenso partivo come un razzo al bancone del bar dove come un commodoro al timone della sua nave in posa solenne stava il Gianino, re indiscusso di quel regno.

Io che non riuscivo nemmeno ad arrivare al piano del bancone dovevo mettermi in punta di piedi con le cento lire in mano e agitandomi come un indemoniato cercavo di farmi vedere dal Gianino. Non che non mi vedesse ma si divertiva ad ignorarmi o a farmi ripetere quello che volevo per almeno 10 volte con la scusa che con tutto quel rumore non ci sentiva!
Alla fine, ottenuto il tanto agognato premio, mi mettevo a girare per la stanza apprendendo nuove bestemmie al ritmo di una ogni leccata di ghiacciolo.

Quando l’estate diventava troppo calda il popolo del Valassina si spostava al campo di bocce che si trovava a pochi passi dal cortile interno, in una zona con un po’ di piante e ben ventilata, dunque fresca. Qua le bestemmie lasciavano il posto a urla del tipo “ boccia al volooooooo……puntoooo! Segna e taas, imbesuiiii! “. Grandi schiocchi e silenziose rullate di bocce che non arrivavano mai a destinazione, lanciate con precisione chirurgica da nonni cecchini  che dopo la terza mista (spuma con il vino) diventavano dei novelli campioni.

Boccce di AssoLa zona era formata da quattro campi da bocce in fine sabbia e alle estremità gli assi di legno per fermare i tiri troppo potenti fatti da nonni agitati che si giocavano il tutto per tutto con l’ultimo colpo alla nitroglicerina. Quando in un campo si giocava la partita finale e l’ultimo tiro era quello che decideva il risultato, tutti gli sguardi si spostavano sul campo interessato. Allora anche il vociare si placava per qualche interminabile secondo e tutti attendevano in religioso silenzio l’esito.

Poi il nonno partiva con una classe e una la leggerezza degna di un ballerino classico con la mano abbassata che si alzava man mano che faceva quei due o tre passi, poi la boccia sciabolava nell’aria e il ciocco lo si sentiva a più di cento metri di distanza. Se il punto veniva fatto e la partita vinta c’era un’ovazione degna di uno stadio con tanto di applauso, mentre se il nonno “ciccava“ partiva una ola di mani che imprecavano e relative bestemmie al seguito.

Poi tanto finiva sempre allo stesso modo: nonni vincitori e nonni vinti andavano dal Gianino e brindavano con la mista o si disfavano di acqua e Cinar dato che d’estate il rosso era vietato per un semplice motivo: Il Gianino come rosso usava il Manduria in cui, per via della sua gradazione alcolica, ci potevi mettere dentro un coltello che rimaneva in piedi da solo dal gran che era spesso e alcolico, ma i nonni erano quasi tutti reduci di guerra e non bevevano altro.

E così al Valassina tra una briscola e una partita alle bocce si passava il tempo. Senza dimenticare le epiche mangiate serali dove mio padre mi portava in alcune occasioni del tipo riunione soci pro loco o pescatori o qualsiasi altra cosa servisse per avere la scusa di mangiare con gli amici.

L’Edvige dava prova di tutto il suo talento culinario, spignattando dietro i fornelli con l’abilità di una grande chef. I suoi piatti forti, accolti sempre con grandi plausi, erano il gatto in salmì e le balle di toro, roba che a me faceva pure schifo ma dato che la mangiavano i grandi non potevo essere da meno se volevo diventare come loro!
Così ad ogni boccone rigiravo questi “manicaretti“ in bocca per delle decine di minuti fino a quando mio padre con uno scapellotto non me lo faceva ingoiare.

Ricordo ancora con nostalgia quelle giornate al Valassina e non solo perchè lì ho preso le mie prime piccole ciuche al grido di “schiàà bef giò un guten che ta se li smort mè su nòò cusèè!” ma anche perchè ormai le persone che ricordavo con affetto sono scomparse e la stessa Valassina non è più quella di quei tempi.

Ha cambiato diverse volte gestione diventando un ristorante “tipicamente di lusso“ dove ancora troneggia il bancone bar in stile liberty, raro esempio di come lavoravano i nostri mobilieri. Sono cambiati gli avventori e al posto di fumo e bestemmie ora si sente parlare di new economy o di business e al posto delle manate sui tavoli si sentono solo il rumore composto delle posate.
Sono tornato a volte a mangiare lì e stando seduto al tavolo mi sono rivisto la sala piena di gente, io in piedi davanti a mio nonno a osservarlo mentre giocava a quei giochi con le carte che non sono poi mai riuscito ad imparare!

D’altronde tutto finisce e tutto cambia, l’unica cosa positiva di tutto ciò è che almeno la trattoria Valassina, antica gloria, non è diventata un garage o un appartamento come molte realtà di Asso.
Diciamo che si è solo cambiata di abito per adeguarsi hai tempi e non morire!
Beh… che dire. Auguri Valassina, ovunque tu stia andando in Bocca al lupo!

Con Affetto, Enzo Santambrogio

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Iscrizioni alla scuola d’infazia di Asso

Iscrizioni alla scuola d’infazia di Asso

AssoOggi passeggiavo dalle parti delle scuole andando verso il cimitero. Passando vicino al nuovo Asilo ho letto un cartello che ho ritenuto interessante pubblicare:

Le iscrizioni alla scuola dell’infanzia per l’anno scolastico 2009/10 si ricevono dal 12 Gennaio 2009 al 16 Gennaio 2009 dalle ore 9.30 alle 11.30 presso la sede della scuola in via Rimembrenze, 14. Per informazioni telefonare alla scuola 031-670251

Dopo aver aperto “la via delle mamme” mi divertiva l’idea de “la gazzetta delle mamme”. Spero possa essere utile.

Sempre in quella zona, complice il bel tempo di oggi, ho scattato una foto carina di quel punto di vista su Asso. Si vede il monumento al centro della rotonda davanti alla scuola media Segantini di asso, si vede il nuovo asilo, la torre di Asso ed uno dei due Campanili che sovrastano la città. Alle spalle si ha un innevato fondale offerto da piazza dorella e dal palanzone.

Ho provato anche a catturare il parco giochi, che si trova li affianco, ed il viale alberato ma il muro del cimitero non voleva saperne di lasciarmi arretrare oltre!!

Quello che mi ha colpito di questa foto sono i colori. Qualche tempo fa vi era stata  una grossa discussione sulle scelte cromatiche dei palazzi scolastici fatte dall’Architetto Gagliardi. Qualcuno diceva che erano troppo forti, altri che non erano nella tradizione del paese altri semplicemente che erano brutti e stavano male.

Io stesso non ero molto convinto all’epoca e oggi mi sono fermato apposta a fotografare per farmi un idea. Devo ammettere che non stanno affatto male e, sebbene siano colori intensi,  una volta visti d’insieme trovo che diano un senso di profondità alla struttura fondendosi però all’interno del paesaggio.  E’ una cosa curiosa, riescono a “staccare” senza “sparare”, creando anzi una buona armonia con quello che sta intorno. La vecchia scuola bianca era un pugno in un occhio al confronto.

I colori, mi hanno spiegato, hanno una tinta ed una saturazione scelta in modo da rendere una parete meno riflettente e quindi maggiormente in grado di assorbire il calore del sole durante i mesi freddi. E’ importante anche la posizione per la scelta dei colori, rivolti a nord sono infatti quelli con una maggiore saturazione. Questi piccoli accorgimenti sembrano funzionare in modo concreto per il risparmio energetico.

Quando ad Asso si esprime un paere comunque vada si sbaglia, siamo dei brontoloni alle volte, ma se qualcuno chidesse a Birillo, che poi sarei io, cosa ne pensa di quei colori risponderei: “Bhe, sai che alla fine mi piacciono, non sono male.” Ipse dixit…

Biblioteca: Tina Modotti – Tra arte e rivoluzione

Biblioteca: Tina Modotti – Tra arte e rivoluzione

Tina ModottiLa verità ci rende liberi, quindi confesso: Ieri sera ero in preda alle allucinazioni dell’influenza (oggi non va molto meglio!!) ed avevo messo il cuore in pace per la mia partecipazione alla discesa notturna in bob dal San Primo con gli altri ragazzi. Inoltre, nel pomeriggio, la Signora Imogene mi aveva personalmente telefonato invitandomi alla presentazione di un libro in biblioteca. Avevo inserito l’appuntamento nella bacheca del sito ma non avevo avuto il tempo di scrivere un articolo e fare ricerche, sapevo quindi poco e nulla sia del soggetto del libro che sul suo autore.

La Signora Imogene, tuttavia, è sempre molto gentile e l’impegno con cui organizza questi incontri culturali è ammirevole, non me la sono sentita di mancare e alle nove mi sono precipitato in biblioteca. La sala era gremita in tutti i suoi posti e, oltre ai soliti, c’erano un sacco di facce nuove.  C’erano un sacco di insegnati delle scuole locali.

Sebbene un po’ imballato dalla febbre faccio due chiacchiere con i presenti e mi diverto a rifiutare con qualche scenetta i soliti baci con la scusa dell’influenza. Questi incontri sono un ottima occasione di ritrovo ed ormai sono frequentati da persone di tutte le età. Per intederci, qualche signorina carina con cui fare due chiacchiere in allegria c’e’ sempre.

La scrittrice era una persona speciale, Letizia Argentieri è infatti la sorella della Dottoressa Argenteri della storica farmacia Del Nero di Asso e, cosa che non sapevo, è insegnante presso l’Università di San Diego in California.

Per quanto riguarda il soggetto del libro non sapevo nulla di Tina Modotti e ritrovarmi lì, colto dalla febbre, ad ascoltare le storie di un eroina rivoluzionaria comunista che ha militato nelle brigate internazionali durante la guerra civile Messicana al fianco di uno che si faceva chiamare Comandante Carlos ma che in realtà era italiano mi è sembrata veramente una punizione divina ingiusta. Certo, ho fatto a palle di neve sul sagrato della chiesa durante la messa del nuovo parroco, ma così si esagera!!

No, scusate l’ironia, confesso di non essere molto appassionato dalle figure politiche di quel periodo e ancor meno da quelle comuniste. Questo sia perchè non ho preso parte a quel perido storico, comunque importantissimo, sia perchè le avverse propagnade hanno profuso tanto impegno del mitizzare o domonizzare questi personaggi che ho perso la speranza di farmi un’idea concreta sia sul loro messaggio che sulla loro personalità.

Proprio per questa mia distanza dal soggetto devo fare i complimenti alla signora Letizia, il suo libro, contrariamente ad altri, si propone come un analisi storica avvallata da note e documenti molto attenta a capire l’artista che si cela dietro il mito. Il libro si focalizza infatti sul periodo fotografico della Modotti e puo’ essere un ottimo spunto per chi vuole conoscere questo personaggio in modo sincero.

Ci tenevo a scriver il pezzo, nonostante la febbre, perchè è stata una bella serata a cui è valsa la pena di partecipare nonostante gli acciacchi. Certo ora i fantasmi di Stalin mi perseguiteranno duranti i deliri dell’influenza ma tutto sommato mi va abbastanza bene, l’ultima volta che ero malato stavo leggendo un libro su Gengis Khan e sognavo di finire bollito nella steppa!!

[ora prometto che mi torno a letto a guarire!! scusate gli svarioni ed i deliri ]

Lo Stuka ed il mitragliere di un bombardiere da picchiata!!

Lo Stuka ed il mitragliere di un bombardiere da picchiata!!

Picchiarello lo Stuka italiano
“Picchiarello” lo Stuka italiano

Se avrete la pazienza di seguire questa mia storia fino alla fine vi prometto che ne avrete soddisfazione. Lasciate però che vi parli prima di un aereoplano della seconda guerra mondiale, lo Stuka.

Questo era il nome con cui veniva chiamato lo Sturzkampfflugzeug, letteralmente “aereo da combattimento in picchiata”. Uno dei migliori bombardieri di precisione del secondo grande conflitto in uso presso l’esercito tedesco.

Lo Stuka puntava il proprio bersaglio a terra e si lanciava in una frenetica picchiata in grado di raggiungere un accellerazione di oltre 6 G prima di sganciare con precisione il proprio ordigno e cabrare di nuovo verso l’alto. All’epoca non vi erano le moderne tute a compressione differenziata e non vi era tecnologia in grado di ostacolare il brusco deflusso del sangue dovuto alla fortissima accelerazione verso l’alto. Il pilota , quindi, tendeva a svenire al culmine dello sforzo.

I progettisti tedeschi risolsero il problema realizzando un sistema di richiamo automatico della barra, da attivarsi prima della picchiata, capace di riportare in quota l’aereo dopo l’attacco dando il tempo al pilota di riprendersi. I piloti dello Stuka dovevano essere pronti ad una folle picchiata alla cieca!

L’aeroplano ospitava due militari, un pilota ed un mitragliere di coda. Nel 1939 anche l’allora governo Italiano si interessò a questa formidabile aeromobile e riuscì ad ottenerne dalla Germania un lotto di 50 esemplari a cui fecero seguito altri esemplari durante la guerra fino ad un totale di 159 apparecchi. Nonostante la sua tremenda efficacia come bombardiere era tuttavia un aereo piuttosto vulnerabile, lento e poco manovrabile rispetto ai caccia alleati e, senza un adeguata protezione, era facile preda tra i cieli.

Questa è la fine della premessa ed ora comincio a raccontarvi la storia vera e propria. Manco a farlo apposta inizia in trattoria da “Le Zie”. Tra le persone che pranzano abitualmente con me vi è un signore molto anziano con due profondissimi occhi azzuri. Alla venerabile età di 92 anni viene in trattoria da solo accompagnato solo dal suo bastone, si siede e mangia con un appetito da lupo nonostante gli anni.

Il suo nome è Alfonso Balbiani, parla poco ma quando comincia a raccontare, rigorosamente in dialetto,  è molto difficile non esserene affascianti.

Il signor Balbiani era durante la seconda guerra mondiale era uno dei mitraglieri di coda degli Stuka in forza all’Aviazione Italiana nella guerra in Libia. E’ stato insignito delle medaglia di Bronzo per meriti in combattimento ed un bel giorno, nel più irreale silenzio della trattoria, ci ha raccontato l’incredibile combattimento aereo che gli è valso tale onoreficienza. Uno scontro tra i cieli durato oltre mezz’ora tra l’apparecchio del Signor Balbiani, rimasto isolato, e la squadriglia di caccia alleati che ha cercato di abbatterlo.

Ci ha descritto, sempre in rigoroso dialetto, tutte le componenti del suo aeroplano, la disposizione delle parti corrazzate ed il funzionamento del suo mitragliatore. Non credo di avere la forza narrativa per rendere giustizia a quel racconto, posso soltanto dirvi che riuscì a sfuggire alla squadriglia nemica e ad abbattere uno degli areoplani che gli davano la caccia. Con i suoi vivi occhi ed il suo sorriso ci ha raccontato come ha abbattuto l’aereo nemico spiegandocelo con disarmante semplicità (in dialetto): “Il mio pilota era bravo, riusciva a volare basso quasi a filo del terreno. Gli altri non riuscivano a fare altrettanto e per spararci dovevano venire giù in picchiata, prenderci di mira, farci fuoco contro e poi rialzarsi in fretta. Ma lo stuka era robusto, aveva la corrazza ed io mi nascondevo dietro la mitraglia quando sparavano. Quando tiravano su il muso io li vedevo lì, belli, con le ali contro il cielo e tutta la pancia scoperta. Era come sparare alle anatre. Uno l’ho colpito bene, è precipitato cadendo nel deserto. Alla fine siamo riusciti a tornare alla base con l’aereo. Ci è andata bene.”

Sorride nei suoi 92 anni mentre io mi domando quanto sia spaventoso battersi per la vita in un duello aereo sui cieli di Libia, sparando alle “oche” dopo che ti hanno sventagliato di piombo l’aereoplano. Trenta minuti sono un eternità!!

Non potevo non tributare un articolo a questa storia e al Signor Balbiani, al di là della guerra e dei suoi anni è realmente una persona ammirevole con un senso civico ed una morale d’altri tempi. Tornato dal conflitto ha infatti lavorato come apprendista e con pazienza è riuscito a realizzare a Canzo un’officina meccanica specializzata nella realizzazione di componenti per auto, l’Officina Meccanica Balbiani appunto. Nonostante l’età ha sempre seguito l’attività fino al momento della chiusura avvenuta all’inizo dell’anno. Ora si annoia un po’ dice.

Ciò che sconvolge di questa figura, forse romantica e forse d’altri tempi, è che nonostante la sua età abbia rifiutato per ben due volte la pensione che tutt’oggi non percepisce. “Non ne ho bisogno. Che il governo la dia a chi serve“. Un senso civico inusuale nella vorace era moderna!!

Il Signor Balbiani è sicuramente il decano della trattoria ma il suo esempio ed il suo schietto modo di fare deve essere di insegnamento. Complenti Signor Alfonso, come usa dire sempre lei: “Finchè siam qui andiam bene!

Gio Ponti, Salvatore Fiume e l’Andrea Doria

Gio Ponti, Salvatore Fiume e l’Andrea Doria

Andrea Doria - Fiume Oggi voglio raccontare una storia che non è Assese. Sì, voglio spingermi al di là del ponte della Vallategna e raccontare una storia  che coinvolge i nostri “cugini” di Canzo. Questo perchè alle volte appena al di là della porta di casa, nascono e vibrano storie che portano i nostri piccoli borghi a confrontarsi con il palcoscenico del mondo, nostro malgrado.

Nel 1946, lasciando la propria casa di Ivrea, si trasferì a Canzo uno degli artisti emergenti dell’epoca, Salvatore Fiume che convertì una vecchia filanda nei pressi della stazione di Canzo-Asso nella propria residenza.

Nei mie ricordi di bambino rivedo ancora quel vecchio biplano che svettava sul tetto di quella grande industria/villa. Doveva essere una persona molto eccentrica per parcheggiare, a mo’ di polena, un aereo lassù!! (Cosa darei per rivedere almeno una foto di quell’apparecchio!!)

Non starò a dilungarmi sulla storia del Signor Fiume, questo è un compito dei Canzesi, voglio bensì raccontarvi una storia di conincidenze.

Nel 1950, infatti, Fiume viene contattato dall’architetto Gio Ponti che all’epoca aveva quasi 60 anni ed era un progettista  rinomato e rivoluzionario che stava per culminare la propria carriera con il Palazzo Pirelli (il pirellone) a Milano. Fiume aveva invece solo 35 anni  e dopo aver esposto alla triennale di Venezia era nel suo periodo di massimo splendore.

L’architetto coivolse il pittore di adozione Canzese alla realizzazione di uno dei capolavori nautici con cui l’Italia intendeva rinnovare il proprio splendore nel mondo dopo la fine della seconda guerra, il transatlantico Andrea Doria.

La magnifica nave, fiore all’occhiello dei cantieri Ansaldo di Genova Sestri Ponente, varata il 16 giugno del 1951 era riconosciuta, in quel momento, come la nave passeggeri più grande, più veloce e sicura dell’intera flotta di Stato. Salvatore Fiume dipinse su una tela lunga quasi cinquanta metri (48X3m) un’ ideale città italiana del Rinascimento, evocando nello stile i capolavori di Piero della Francesca, Masaccio e Paolo Uccello, cosicchè chi avesse viaggiato verso il Nuovo Mondo non avrebbe sofferto la nostalgia dell’Italia.

Un’ opera enorme inserita in un arredamento raffinato in stile anni 50 ma con il meglio dell’evoluzione tecnica di quel periodo; un gioiello italiano che in parte aveva origini appena al di là della cascata che separa Asso e Canzo.

Ma la storia poi si complica ulteriormente quando la magnifica nave fu speronata nel 25 Luglio del 1956 da un ex-transatlantico svedese, lo Stockholm. Per  una fitta nebbia e per un’ errata lettura del radar da parte del suo comandante la nave svedese colpì a morte il lussuoso transatlantico italiano condannandolo ad 11 ore di agonia prima dell’affondamento.

Uno dei più gravi incidenti marittimi dell’epoca moderna ed uno dei primi seguiti quasi in diretta dai media dell’epoca. La stampa di tutto il mondo si concentrò sull’avvenimento. Il gigantesco quadro di Fiume affondò con la prestigiosa nave ed ancora oggi si trova sul fondo dell’oceano.

Per uno strando giro del destino nei bar di Asso e Canzo la gente si ritrovò a discutere di una tragedia sulla bocca del mondo quasi fosse propria. Quasi posso sentirli mentre, in stetto e colorito dialetto, discutono di come il grande quadro del pittore siciliano fosse affondato con la nave italiana che portava i ricchi in America.
Chiacchiere da Bar per storie del mondo nate appena al di là della Vallategna…

Il ciotolato e la cattiva comunicazione…

Il ciotolato e la cattiva comunicazione…

CafferinoSun Tzu, generale e scrittore cinese del V secolo a.C, è universalmente riconosciuto come l’autore di uno dei più importanti trattati di strategia militare che siano mai stati scritti nell’antichità: l’Arte della Guerra. E’ considerato oggi come un testo fondamentale per manager, esperti di marketing e politici.

L’aneddoto riportato dallo storico Sima Qian sul dibattito tra il re Helu di Wu e Sunzi ha molti significati, il più semplice è: “prima di cominciare a mozzare teste conviene essere chiari“. Ecco quello che intendo fare.

Qualche giorno fa su “La Provincia” è apparso un articolo che non mi è affatto piaciuto su Asso. L’ultimo di una lunga serie di articoli dove si mette in cattiva luce la mia Asso per fini probabilmente politici.

L’articolo in questione è questo, non è mia intenzione entrare in alcuna polemica politica o giornalistica ma voglio solo esaminare un evidente problema di comunicazione che non giova a nessuno. Nell’articolo si legge:

«Il ciotolato sconnesso della via centrale del paese è indecoroso ed è un pessimo biglietto da visita!!»

Quindi è molto furbo urlarlo ai quattro venti con un giornale? Ce lo ripara il giornalista forse?
Quel “porfido” risale all’inizio del secolo scorso, fu posato prima dell’edizione del 1928 del Circuito del Lario, vi hanno corso sopra Nuvolari e Ascari, è uno dei simboli distintivi  del nostro paese che ne caratterizza in modo profondo la natura del centro storico. Non è un pessimo biglietto da visita ma uno dei patrimoni del nostro paese che la cittadinanza dovrebbe tutelare e preservare. Ecco cosa mi sarebbe piaciuto leggere…

Che il porfido vada sistemato è indubbio, ma è un patrimonio da volorizzare, non qualcosa che chi, non conoscendo Asso se non per l’articolo, possa percepire come un segno di incuria o di trascuratezza. Qua e là è sconnesso, certo, ma non è di sicuro in condizioni pietose come sembra da quel testo.

Nell’articolo si legge inoltre:

«..sarebbe poi opportuno intervenire nei confronti di alcuni cittadini invitandoli a tinteggiare la facciata delle loro case…»

Certo, dopo averli fatti passare sul giornale provinciale come dei “barboni” affacciati ad una strada diroccata ne saranno di certo felici…

Il borgo di Asso è antichissimo ed il centro storico ha tutti gli evidenti problemi di una viabilità e di un architettura antica. Chi resta a vivere in centro non è di certo facilitato e trovo ingiusto che venga oltraggiato sul giornale.

Mi hanno insegnato che “il linguaggio forma il pensiero” e che quindi agiamo nella stessa maniera in cui sappiamo esprimerci. Direi che è importate quindi imparare a pensare e a parlare in modo costruttivo.

Come Sun-Tzu parlerò chiaro e mi ripeterò per tre volte se serà necessario: Basta dipingere Asso come un cumulo di problemi per potersi attribuire le soluzioni. Servono opportunità, i problemi siamo capaci di vederli anche da soli. Non voglio più leggere simili articoli che non rendono giustizia al nostro paese.

PS: chiunque pensi di poter sostituire quel porfido con l’asfalto si avvia lungo sentieri buii e pericolosi…

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