Year: 2021

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Le Notturne del Tasso

Le Notturne del Tasso

“Because the night belongs to us” cantava Patty Smith sul testo di Bruce Springsteen, ma la notte tra le montagne è spesso ancora un Tabù. L’oscurità diviene un confine invisibile e spesso invalicabile capace di separare il giorno, che appartiene agli escursionisti o più semplicemente ai gitanti, e la notte, che appartiene al mondo selvatico ed alle creature che lo popolano. Indubbiamente le montagne di notte si trasformano, indossano una coltre di magia che avvolge ogni cosa: la vista perde la propria efficacia mentre ciò che ci circonda si addensa di rumori e suoni misteriosi. L’Alpinismo, il regno dell’alta quota, conosce bene la notte: le cordate che procedono sul ghiacciaio al buio rubando ore all’alba, prima che il sole scaldi la neve. L’Escursionismo vive invece le “notturne” spesso solo come una stravaganza, un’eccentrica occasione per osservare le luci delle città dall’alto brindando a tarda ora. Spesso queste “fracassone” comitive riconoscono della notte solo il buio, non ne comprendono il silenzio o l’intrinseco mistero. Certamente si va in montagna per divertirsi, ma per divertirsi pienamente credo sia importante acquisire consapevolazza del luogo e del momento in cui ci si trova, altrimenti sarebbe meglio divertirsi altrove. Esistono posti ben più confortevoli per una gradevole bicchierata con gli amici. No, per me andar per monti la notte è come immergersi nelle acque buie del lago, significa lasciarsi avvolgere, ascoltare e, con un po’ di pratica, diventare parte di quel mondo selvatico e notturno che mi circonda. Inevitabilmente, se in compagnia di qualche buon amico, si finirà con fare un po’ di piacevole “caciara”, ma l’esperienza, nella sua interezza, sarà incentrata sull’ascolto, sull’osservazione, nell’incedere silenzioso tra le ombre in cerca del mistero “extra-mondo” che ancora non abbiamo colto. Ovviamente con il buio tutto diventa più complesso, cambia il modo in cui camminiamo, persino il modo in cui appoggiamo i piedi. Anche i luoghi che credevamo familiari di giorno diventano degli sconosciuti capaci di ingannare e burlarsi del nostro senso d’orientamento. Con una buona pila, o una potente frontale, possiamo far finta che sia come andar per monti durante il giorno, ma si rischia così di perdere la vera essenza della notte. No, andare in montagna di notte non è semplice, ma possibile imparare a farlo e, con adeguata pratica, questo può spalancare davanti a noi un mondo sconfinato ed inaspettato, una realtà in grado di influire in modo intenso sul nostro rapporto con il mondo naturale. La notte crea necessità a cui rispondere con virtù.

Come Accompagnatore di Media Montagna del Collegio delle Guide Alpine di Lombardia ho stilato un piccolo calendario di uscite per il Mese di Giugno, incentrato proprio sulle escursioni notturne così come ve le ho descritte. Traendo spunto dalla Speleologia, dove i neofiti sono chiamati da subito a procedere attraverso il buio, credo sia un ottimo approccio per insegnare le basi ai principianti così come un’opportunità speciale per chi ha già esperienza “diurna”. Le giornate di inizio estate, illuminate fino a tardi, permettono inoltre di bilanciare un’escursione sul confine tra giorno e notte: si parte con la luce, si rientra con il buio. Questo ci permetterà , senza puntarsi la frontale in faccia, di conoscerci, di discutere insieme delle attività che svolgeremo PRIMA che il buio trasformi tutto ciò che ci circonda (e forse anche un pochino noi stessi!). In particolare ho previsto un’escursione dall’impegno moderato, il martedì, ed una fisicamente più impegnativa, il giovedì. Probabilmente organizzerò anche delle escursioni la domenica sera interamente dedicate all’osservazione degli animali al crepuscolo, ma vista la particolarità e le peculiarità di questo tipo di attività sarà necessaria un po’ di pratica prima di potervi prendere parte. 

Per partecipare il Martedì è sufficiente un equipaggiamento base, che verificheremo insieme, ed una buona dose di impegno: di notte tutto il gruppo deve rimanere compatto ed unito, per questo è importante avere la volontà e la consapevolezza per affrontare le prime difficoltà. Per partecipare alle escursioni del Giovedì è necessaria una buona preparazione fisica ed è preferibile anche prendere prima parte a qualche escursione del Martedì. Per informazioni e chiarimenti sono a disposizione, non esitate a contattarmi (anche ad insistere se tardassi nel rispondervi!)

Il costo di partecipazione è di 20 euro a persona. Salvo significative condizioni metereologiche avverse le uscite sono confermate indipendentemente dal numero minimo di partecipanti: anche in pochissimi ma si va! Il numero massimo di partecipanti invece, visto la natura dell’attività, sarà comunque circoscritto. Niente cani (per loro, così come per il loro conduttore, la notte rischia di diventare troppo pericolosa), niente bambini o minorenni (probabilmente avranno questa possibilità a fine settembre), niente rompiscatole (la notte è un piacevole abbraccio in cui rilassarsi tutti insieme).

In linea di massima la partenza è prevista indicativamente per le ore 19:00 mentre il rientro è previsto per le ore 22:00/23:00. Il coprifuoco-covid è infatti esteso alla Mezzanotte dal 7 Giugno mentre verrà probabilmente rimosso dal 21 Giugno. Per ogni uscita, tenendo conto della situazione meteo, sarà fornito via via il dettaglio degli orari e degli aspetti organizzativi.  

GiornoDataDestinazioneDifficoltà
Martedì 8 giugnoCorno Orientale da Oneda    Intermedia
Giovedì10 giugnoMoregallo lungo la Cresta Sud-EstImpegnativa
Martedì 15 Giugno Monte Megna da Crezzo Intermedia
Giovedì17 GiugnoCornizzolo dalla Val PessoraImpegnativa
Martedì22 GiugnoPalanzone dalla Colma di SormanoIntermedia
Giovedì24 GiugnoSan Primo dalla Direttissima Sud Impegnativa
Martedì29 GiugnoCastel di Leves da MagreglioIntermedia

Equipaggiamento base: obbligatori scarponi o scaproncini dal collo alto, niente scarpette da ginnastica o da corsa. Al buio è difficile valutare distanze ed appoggi, è quindi importante proteggere le caviglie da storte o urti. Doppia pila frontale. Non importa che siano di buona marca, importa che le batterie siano cariche e siano due, in modo da avere un valido e rapido backup in caso di bisogno. Ni notte fa freschino, serve qualcosa nello zaino per coprirsi all’occorrenza, sopratutto quando non si cammina. Non serve una giacca da neve, ma di certo un maglioncino leggero. Una maglietta di ricambio: in salita fa caldo e si suda, in discesa bisogna coprirsi e restare asciutti. Un K-Way o una mantellina per riparsi dalla pioggia o anche solo dal vento. Un thermos con qualcosa di caldo è sempre piacevole, così come qualcosa di buono da smangiucchiare. A seconda delle proprie esigenze anche una piccola scorta d’acqua da bere. L’equipaggiamento giusto è qualcosa di estremamente persole, specifico per le proprie caratteristiche. Qualcuno ha biosgno di quasi niente, altri hanno l’assoluta necessità di avere qualcosa di particolare. Quindi non abbiate imbarazzo o titubanze nel farmi domande: siamo stati tutti principaianti ed il mio ruolo è insegnarvi ad essere autonomi anche in questi aspetti.

Aggiornamenti dal Bosco

Aggiornamenti dal Bosco

Nella nuova “casetta nel bosco” ancora non abbiamo una connessione stabile, quindi posso scrivere poco e pubblicare ancor meno (ancora per un po’!). Tuttavia la mia fototrappola, notte dopo notte, “cattura” momenti di vita raccontando quello che spesso non riusciamo a vedere nel bosco. In particolare tendo il mio tecnologico agguato nei passaggi obbligati che si creano sulla scogliera del Sasso della Cassina tra i boschi di Garavina ed i prati di Caprante. A valle della scogliera il passaggio è bloccato dal Lago e dalla Statale Lariana, per questo gli animali devono crearsi vere e proprie strade sfruttando le “debolezze” delle strutture rocciose. Strade comuni che uniscono animali di taglia e forma spesso differente. Ho infatti osservato cinghiali, mufloni, caprioli ma anche animali più piccoli come la faina.

Ecco un capriolo maschio, con delle belle corna, che esce dal bosco dopo una notte di intensa pioggia.

Ecco invece una bella coppia di mufloni maschi che, quasi guardando in camera, ci offre un ottimo primo piano delle corna e del pelo ormai quasi completamente cambiato.

Berto il cinghiale! Credo che questo giovane esemplare sia uno dei cuccioli in cui mi sono imbattuto il passato febbraio. Praticamente mi sono immprovvisamente ritrovato ad un metro da una “nidiata” di cuccioli: in quell’occasione la mamma di Berto, fortunatamente, non si è fatta vedere (o forse mi ha visto correrre via con tanta foga che ha desistito dal caricarmi!!).

Infine una scattante faina ripresa mentre corre a terra in un passaggio ben segnato dagli zoccoli di un ampia varietà di animali.

Nota a margine: il trasloco è concluso, quindi ora posso finalmente organizzare meglio il mio tempo e pianificare il calendario per le prossime escursioni. A presto!

Davide “birillo” Valsecchi

La Tana della Volpe

La Tana della Volpe

I miei tentativi di immortalare un tasso sono ancora infruttuosi: solo una volta, nel maggio del 2013, durante una salita notturna al Cornizzolo con mio fratello, mi è riuscito di “catturarlo” in foto (in coda potete trovare uno di quegli scatti). Ora vorrei però riuscire a realizzare un video e così, armato della mia nuova fototrappola, ho iniziato a “tenere d’occhio” tutte le possibili tane nei dintorni di Caprante. Molte di queste tane – relativamente vicine all’uomo – sono tane secondarie, spesso abbandonate oppure utilizzate solo temporaneamente o in specifici periodi dell’anno. Tuttavia, mentre mi occupo del trasloco e dei lavori di ristrutturazione, sono abbastanza vicine e decisamente comode per le mie ricerche. Il problema è che queste tane, salvo chiari segni nelle immediate vicinanze, possono essere abitate tanto da un tasso quanto da una volpe. In questo caso è toccata la volpe! 

La tana è scavata in uno strato sabbioso tra due strati di roccia calcarea. La zona infatti è quella delle vecchie miniere abbandonate del liscione dove un tempo, proprio sfruttando la geologia della zona, cavano la sabbia creando tunnel sotterranei tra queste “pareti parallele”. Se ci fate caso sono riuscito a prenderla quando “esce” e quasi mai quando “entra” nella tana. Questo perchè devo ancora imparare – con la pratica – a migliorare i settaggi ed i sensori in relazione allo scenario, tuttavia come primi risultati sono incoraggianti. 

Qualche sera prima, sempre tenendo d’occhio una tana realizzata in una catasta abbandonata di vecchi tronchi di pino, ho “catturato” non una ma ben due volpi. La prima, sempre per una questione di settaggi, appare da subito “in scena”, la seconda vi entra subito dopo. Mentre la seconda è in primo piano si possono osservare, in alto a sinistra, gli occhi della prima che brillano. 

Infine, per consolarmi, ecco una delle foto scattate ad un tasso nel lontano maggio di sette anni fa. 

Davide “Birillo” Valsecchi 

La Falesia del DeeJay

La Falesia del DeeJay

Le ultime settimane le ho trascorse a grattare, levigare, spazzolare, stuccare e pitturare. Sto infatti ultimando i lavori alla “casetta del bosco” e questo, insieme alle nanerottole, cannibalizza tutto il mio tempo. Oggi però, dopo la prima mano di “Fondo finitura all’acqua bianco opaco per legno da interno”, non potevo fare altro che aspettare asciugasse e così, approfittandone, sono andato a farmi un giretto fuori casa. Il piano era scendere lungo le cascate del fiume Caprante, che scorre da Valbrona al lago, per piazzare una fototrappola non troppo distante dalle gallerie abbandonate del Liscione. Le gallerie, in cui veniva cavata la sabbia, sfruttano la stratigrafia della zona: piani calcarei si alternano a strati di sabbia ed il tutto è stato “ribaltato” verticalmente dal tempo. In pratica è una serie di “creste” di roccia alternate a strati più friabili, il tutto con un bel fiume che ci passa in mezzo ed un fitto contorno di rovi. In pratica il posto ideale per un sacco di animali. Da quelle parti mi sono imbattuto in cinghiali, mufloni, volpi e caprioli. Tuttavia gli animali notturni, ed il tasso è uno di questi, restano più difficili da vedere. Per questo ho piazzato una fototrappola davanti all’evidente ingresso di una tana realizzata proprio in uno degli strati di sabbia tra i piani di roccia. Tra qualche giorno scopriremo se quella “casa” ha un inquilino. La missione era compiuta, avrei dovuto tornare al mio “bricolage” ma avevo ancora “voglia”. Così, ho girovagato ancora per un po’. Ho attraversato uno degli strati rocciosi sfruttando una piccola grotta naturale e mi sono goduto lo spettacolo di una delle tante cascate che forma il fiume Caprante prima di tuffarsi nel lago. 

L’idea era quindi scendere al Guancito e risalire verso Caprante ma, fortuna o sfortuna, mi sono imbattuto nel sentiero che dal Guancito risale al Ceppo e così, nonostante non avessi con me il GPS per tracciare, ho ripreso a salire. Il sentiero è quà e là malconcio ma assolutamente percorribile facendo attenzione ai rovi che ogni tanto trabordano. Giunto al Ceppo, ai piedi del Kosmopolitan, è scattato il Forrest Gump che è in me: visto che ero lì, e non capita mai di esserci a piedi, mi sono messo a curiosare lungo la strada che scende ad Onno. “E’ zona gialla, è martedì, pioviggina… se ti tirano sotto è proprio sfortuna!”. Ovviamente camminavo sporgendo la testa oltre il guard-rail per osservare le pareti sottostanti. Il mio timore non era tanto cadere, quanto che qualcuno si fermasse credendomi un aspirante suicida: l’aria stralunata di uno che cerca il punto giusto per lanciarsi in un piovoso martedì di pandemia c’era tutta! La prima cosa interessante è che, inaspettatamente, appena oltre il parapetto c’è un “sentiero”, già, ma intendiamoci bene, un sentiero per animali!! Nonostante si incredibilmente esposto sul vuoto sottostante – ed assolutamente improponibile per un essere umano privo di corda! – è molto battuto ed evidentemente molto usato: è tortuoso, complicato nei passaggi attraverso i canali, ma esiste e gli animali, stretti tra la roccia e la strada, lo usano per evitare entrambe. La tentazione era tanta, ma è seriamente improponibile infilarsi su quella traccia. Così ho continuato sulla strada studiando l’alto pilone prima della galleria. Mattia, due o tre anni fa, era andato a curiosare da quelle parti perchè, su un vecchio annuario del Cai Canzo, avevamo trovato traccia di una vecchia via d’arrampicata. Sul pilone ho infatti trovato degli spit ed una vecchia sosta con tanto di cordino e moschettone a ghiera. Tuttavia non credo sia la via che, in effetti, trovò Mattia: quella era una via molto più vecchia realizzata con chiodi a pressione e non spit. Quindi questa è qualcosa di più recente, anche se comunque datata e poco invitante. Continuando lungo la strada sono arrivato alla stretta galleria che, grazie ad una piccola traccia, è possibile aggirare all’esterno. Sempre all’esterno della galleria è possibile abbassarsi ed abbandonare la strada per addentrarsi in uno strato scenario post-apocalittico. Dall’alto, dalla strada, è possibile vedere la quantità di rifiuti che, ahimè, sono stati buttati di sotto. Tuttavia, quando sei “sotto”, la realtà supera la fantasia… e di molto! Lassotto c’è di tutto, e di tutte le epoche! Ovviamente disapprovo completamente questo comportamento ma, confesso, ho sempre avuto un’innata curiosità per tutto ciò che viene abbandonato nel bosco. Se l’umanità si estinguesse e la natura riprendesse il sopravvento sarebbero i rifiuti la principale testimonianza del genere umano… così, mentre mi aggiro tra simili assurdità abbandonate, mi sento un po’ antropologo ed un po’ sopravvissuto. Ma andiamo con ordine. La prima cosa che si può osservare è una significativa quantità di ossa. Inizialmente avevo il timore che, oltre al resto, quella fosse una discarica di carogne per animali domestici, una specie di cimitero per cani senza tasse governative. In realtà la maggior parte dei crani aveva le corna: questo esclude in parte la “teoria-canina” e rimarca come il sovrastante sentiero, quello oltre il guard-rail, sia significativamente pericoloso anche per gli animali che lo percorrono. Tuttavia le ossa sono la sola cosa naturale abbandonata da quelle parti: abbiamo davvero di tutto, dall’industriale al domestico, dall’amatorale al professionistico! Ci sono ovviamente paraurti, specchietti, ecc… frutto degli inevitabili piccoli incidenti che possono avvenire su una strada stretta come la Onno-Valbrona. Poi però ci sono interi “quarti” di automobili che qualcuno ha dapprima sezionato e poi buttato di sotto! Auto tagliate letteralmente in quattro pezzi, caricate su un camion e lanciate giù dalla scogliera… incredibile! Qualcuna molto vecchia, qualcuna invece più recente. Oltre a questo anche pezzi di moto: ho riconosciuto un vecchio Vespone giallo ed il manubrio di un vecchio Piaggio. Ma il campionario di stranezze prosegue: una tastiera, una radio, un’infinità di bottiglie e lattine, scarpe a profusione, copertoni di camion. Anche uno strano aggeggio ospedaliero. Il censimento potrebbe andare avanti all’infinito: un vecchio sci della Spalding, un “A-Team” rosso simile a quello che usava mia mamma negli anni ottanta. Credo sia un destro perchè l’etichetta “PrinaSport” – che se non ricordo male era in piazza a Pontelambro – si usava così ai tempi. La domanda però sorge spontanea: okay, il carrozziere con il camion e le macchine a pezzi voleva liberarsi dal rottame senza pagare e, via, tutto di sotto in una notte di pioggia. Ma gli altri? Gli altri che scusa hanno? Perchè buttare gli sci, la sdraio, l’imbottitura del divano giù dalla scarpata? Lo sbattimento per portare questa roba sulla Onno-Valbrona è lo stesso necessario per portare il tutto in discarica il sabato mattina? Questa gente è doppiamente stupida? Non saprei, l’unica cosa certa è l’impatto dell’uomo sul mondo negli ultimi 70/100 anni: incredibile, irreversibile, inarrestabile. I posteri, se l’umanità riuscirà a sopravvivere, ci considereranno degli idioti incivili. Prima o poi, quando saranno più grandi, porterò le nanerottole in un posto simile. Certo, si deve fare molta attenzione ai vetri, a non farsi male, ma è certamente istruttivo perchè offre un’importante punto di vista sulla società in cui viviamo, la società in cui dobbiamo distinguerci, in cui dobbiamo fare la differenza oltre che la differenziata. Nel frattempo, con molta schiettezza, non ci resta che sperare che questa gente muoia, male ed in abbondante quantità… 

Davide “Birillo” Valsecchi    

Animali e Coprifuoco

Animali e Coprifuoco

Qualche settimana fa ho pubblicato un articolo (link) per cercare di capire se davvero il cervo abbia iniziato a vivere nella penisola lariana: sono infatti sempre più insistenti le voci di avvistamenti recenti, anche nella costiera orientale della penisola. Io, come san Tommaso, ancora non l’ho visto ma, anche attraverso l’articolo, volevo fare il punto della situazione raccogliendo informazioni dai lettori. Certamente c’è la foto del 2015 di un avvistamento a Bellagio oltre ad alcuni avvistamenti, verificati ma sporadici, anche sul San Primo ed il Monte Puscio. Tuttavia questi casi, sebbene indicativi ed importanti, non giustificano il numero crescente di persone che, tra Valbrona e Magreglio, continua a riferire di aver casualmente incontrato il cervo. Possibile? Ancora non lo so, ma è certo che qualcosa sta accadendo. In molti mi hanno segnalato come nel Parco delle Groane (http://www.parcogroane.it/), che si estende da Bollate a Lentate, gli avvistamenti di cervi siano ormai frequenti e persino documentati con fototrappole: vi è infatti persino un inequivocabile video realizzato il 28 Gennaio del 2021 (link). inoltre sulla Milano-Meda, all’altezza di Uboldo e Origgio, è stata diramata un’allerta stradale e recentemente è stato investito un cervo nel comune di Barlassina, la notte di Domenica 21 Marzo 2021. Il cervo è un animale molto grande per gli standard a cui siamo abituati: caprioli, mufloni, cinghiali, camosci sono “piccoli” paragonati ad un cervo che, oltre ad essere più grande, ha bisogno di spazi più ampi. Come è possibile conciliare tutto questo con l’inevitabile intensificarsi dell’urbanizzazione man mano ci si spinge a sud verso Milano? Cosa sta cambiando? La risposta è probabilmente più semplice di quanto pensassi e dimostra, ancora una volta, quanto strano sia il periodo storico in cui viviamo e quanto ancora sia difficile percepire con chiarezza gli effetti trasversali e generali della “Lotta alla Pandemia”. Dal 6 Novembre del 2020 è infatti in vigore il coprifuoco: la notte, dopo le 22, non esce di casa quasi nessuno da ormai 5 mesi! Eccetto gli animali: l’assenza di traffico ha probabilmente favorito spostamenti impensabili prima del coprifuoco. Ecco quindi che abbiamo animali inaspettati laddove non c’erano prima: questi cinque mesi potrebbero davvero aver permesso al Cervo di spingersi sia tanto a sud verso Milano, quanto tanto in profondità, a nord, nella penisola lariana. Le teorie sulla capacità del cervo di attraversare il lago a nuoto diventano quindi ininfluenti: le strade sono deserte, può superare a piedi ostacoli urbani un tempo probabilmente inavvicinabili. Così mi sono detto: “Ma se è passato il cervo, che è un gigante, cos’altro può essere passato di più piccolo?”. Io questa risposta non ce l’ho, però con grande sorpresa mi sono imbattuto in un comunicato del Parco di Montevecchia (http://www.parcocurone.it/) che, a gennaio 2021, riportava la presenza di uno o più lupi nel proprio territorio. Gli articoli di giornale che ho trovato riportano come la presenza del lupo sia stata confermata anche dal DNA trovato sulle carcasse di alcune pecore uccise in Valle Santa Croce a Missaglia. Tutta questa faccenda mi lascia stupito: il lupo? A Montevecchia? Io il lupo non l’ho mai visto e, sinceramente, mai avrei pensato potesse spingersi in un’area tanto antropizzata come il quadrilatero “Milano – Como – Lecco – Bergamo”. Stando alle cronache è infatti assente dal territorio lecchese da oltre 75 anni e, da allora, strade e cosa sono aumentate esponenzialmente. Vi è forse una riflessione interessante da fare pensando al Cervo. Tutto ciò che avviene a sud, per colpa del coprifuoco, sembra accadere anche nella penisola lariana: accade lo stesso ma, per le peculiarità del nostro territorio (nonché una minore densità antropologica) ce ne accorgiamo meno. Se qualche giorno fa la domanda era “E’ passato il Cervo?”, ora la domanda si sta transformando: “E’ passato solo il Cervo?”.

Davide Birillo Valsecchi

Grazie a Luca e a tutte le altre segnalazioni!!

Cervo

Lupo

Fanculo la Pandemia!

Fanculo la Pandemia!

Sono nato negli anni settanta, ho vissuto gli anni ottanta, gli anni novanta, il nuovo millennio, la prima decade, raggiunto gli anni venti. Mio padre è in vantaggio solo per gli anni cinquanta e sessanta, ormai ho quasi il doppio degli anni che ci dividono, ho una moglie, due bambine. Questa rivelazione mi coglie all’improvviso, alla sprovvista: “Cristo … e nonostante tutto questo, Birillo, sei ancora un tale coglione!” Mia moglie sta preparando la cena cucinando della carne sulla piastra. Forse è l’odore, forse lo sfrigolio sulla ghisa, ma si riaccende un ricordo lontano. Un ricordo che risale ai tempi in cui vivevo in città, affascinato dai misteri delle metropoli, della vita urbana ed underground. Un ricordo di notti analogiche, senza gsm, con le cabine telefoniche e le schede prepagate. Notti passate in giro per la città, per locali e bettole segnate a penna sul Tuttocittà sgualcito. Notti di battaglia vagando sul pavè bagnato. Quando la musica si spegneva ed i buttafuori gettavano gli ultimi disperati sui marciapiedi tutto sembrava acquietarsi, ma in realtà iniziava il campionato hard-core per i nightriders. Stravolti e sconvolti ci si trascinava verso gli incroci e le rotonde di periferia in cerca di un “baracchino aperto”, di un’isola luminosa nel buio delle strade deserte. Un panino con la salamella calda ed una birra in bottiglia: una promessa sensuale come un bacio languido! Quei baracchini, nelle zone più deserte della città, erano crocevia di umanità notturna tra le più disparate. Gente di ogni tipo, qualcuno sobrio, qualcuno arrabbiato. Falene attratte dalla luce. Leoni e gazzelle che cercano di bere alla stessa pozza d’acqua nella notte africana. Io ero quasi sempre il più casinista del mio gruppo, lo stramboide con lo sguardo folle che saltella come un clown. Sorridevo al proprietario del baracchino e poi, con la bottiglia in mano, urlavo qualche sciocchezza, un brindisi strampalato per far ridere tutti i presenti. Così, prima di bere sereno, potevo farmi un idea di chi c’era, di chi aveva riso, di chi no, di chi ti aveva già squadrato, di chi poteva provare a derubarti tornando alla macchina, di chi voleva fare a botte per noia, di chi voleva solo gustarsi il finale della notte, magari chiacchierando con qualche sconosciuto. Già, birra e salamella dallo squallido. Che ricordi. Forse è più di 10 anni che non mi ritrovo nel cuore della notte a cercare un baracchetto. Bruna continua a cucinare, io riempio il bicchiere di birra. Ormai è Marzo, ma nel 2021 non ho ancora bevuto un boccale alla spina. Che follia. I baracchetti notturni, per via del coprifuoco, saranno ormai prossimi all’estinzione: travolti da un cambiamento che perdura da oltre un anno e che ancora fatichiamo a comprendere nella sua interezza. Bevo la mia birra e chiudo gli occhi. Per un instante sono nel futuro, un futuro incerto ma nuovamente affollato. Un futuro nella penombra di un baracchino, nel trambusto di una birreria accalcata con le panche ed i tavoli in legno. Un futuro in cui sgomiti gentaglia sudaticcia per raggiungere il bancone ed agganciare l’attenzione del barista. Un futuro in cui quello stramboide del Birillo afferrerà il bicchiere e, alzandolo storto sopra la testa, urlerà brindando: “Fanculo la pandemia!”. Un urlo di guerra a cui tutti risponderanno, rabbiosi e felici, brindando insieme in un unico e corale ruggito liberatorio: “Fanculo la pandemia!”. Dannazione, il “Valerio” del nuovo millennio. Certo, prima o poi finirà, ma non ne usciremo migliori, non andrà tutto bene. Ne usciremo a pezzi, con le ossa rotte. La pandemia è un mix concentrato agli steroidi di “11 Settembre” e “Subprime”: niente tornerà come prima. Il cielo è azzurro nella luce della primavera, ma i miei occhi non riescono comunque a vedere oltre la nebbia che ci avvolge. Chissà se un giorno, gomito a gomito al bancone con uno sconosciuto, capiterà ancora di guardarsi in faccia, agitare distrattamente il boccale e sussurrare con aria stravolta: “Viva!”. Quel giorno sì, avremo vinto, sarà davvero finita. Non resta che aspettare… Fanculo la pandemia: voglio una chiara alla spina!

Davide “Birillo” Valsecchi

Cervo nel Triangolo Lariano?

Cervo nel Triangolo Lariano?

Con la pandemia c’è stato un ritorno alle piccole baite, spesso troppo a lungo trascurate, nei dintorni dei piccoli paesi. In molti, godendo della libertà appartata di questi luoghi, hanno ripreso a frequentare con assiduità proprio i “baitelli del nonno”. Questo ha portato, paradossalmente, ad una maggiore presenza umana in posti normalmente deserti. Andando a zonzo mi capita quindi di “attaccar bottone” ed ascoltare racconti dove prima vi era solo silenzio: “Ho visto il cervo!” è una delle storie più gettonate. Tuttavia nel Triangolo Lariano il cervo non c’è, o quantomeno, non dovrebbe esserci… La penisola Lariana, come suggerisce il nome, è un triangolo di cui due lati, est ed ovest, sono “chiusi” dal lago mentre quello a sud è “chiuso” dalle strade provinciali che collegano Como e Lecco attraverso una fitta “cintura di paesi” ai piedi delle Prealpi Lariane. Il territorio all’interno della penisola è quindi “sigillato ed isolato” con quasi nessuna possibilità di contatto con le montagne del Comasco, piuttosto che quelle del Lecchese o dell’Alto Lago. Certo, le aquile delle Grigne, quando si stufano dei turisti, spesso si spostano sul Moregallo attraversando il lago: loro però volano! Per i camosci che vivono sul San Martino e sul Coltignone è quasi impossibile raggiungere il Moregallo perchè, per farlo, dovrebbero attraversare Lecco ed i ponti sull’Adda. A Como non abbiamo uno sbarramento netto come l’Adda ma i grandi centri abitati, come Grandate e Camerlata, sono un significativo ostacolo per animali di grossa taglia ed i cervi sono probabilmente tra gli animali selvatici più grandi che possono vivere sulle nostre montagne. Bisogna inoltre ricordare, per inquadrare bene la situazione, che nessuno dei grossi animali del Triangolo Lariano è realmente autoctono della zona: cinghiali, mufloni e caprioli sono stati introdotti o reintrodotti dall’uomo. Tra questi mi sentirei di dire che solo il piccolo capriolo ha le giuste caratteristiche per cambiare zona attraversando la periferia dei centri urbani. Anche il cinghiale è in grado di farlo, ma quando lo fa di certo non passa inosservato! Il Muflone invece non credo abbia mai raggiunto il Coltignone così come il Camoscio non è mai arrivato al Moregallo. Per questo mi sembra davvero incredibile che il Cervo, che è ormai abbondantissimo sulle montagne all’esterno del Lario, sia riuscito a raggiungere l’interno della penisola Lariana. Tuttavia la “voce” si è fatta sempre più insistente. Il cervo è un “alieno” per il nostro territorio: alcuni testimoni sono assolutamente “non-attendibili” (non distinguerebbero un cervo da Elvis Prisley!), altri invece, amici di amici, potrebbero essere maggiormente affidabili. Al momento però un testimone certo – qualcuno che abbia inequivocabilmente chiara la differenza tra un cervo ed un capriolo – ancora non l’ho trovato. Tuttavia ne ho sentite abbastanza per iniziare ad approfondire la faccenda. Io incontro regolarmente cinghiali, mufloni e caprioli. Chiunque ormai, con un minimo di attenzione e silenzio, può riuscire a vederli. Però non ho mai incontrato sulle nostre montagne un cervo o i segni della sua presenza. Devo ammettere che l’ambiente che normalmente frequento non è certamente quello adatto ad un cervo: troppo ripido e spesso troppo “imboscato”. I cinghiali tracciano nel sottobosco veri e propri tunnel tra i rovi, passaggi di cui spesso si servono anche caprioli e mufloni. Ma un cervo, le cui dimensioni sono assolutamente ragguardevoli, non vivrebbe mai in un luogo simile. Ha quantomeno bisogno di spazi in cui possa muoversi con libertà. Per intenderci: un capriolo adulto, anche bello massiccio, trova posto in uno zaino, per spostare un cervo serve invece un trattore ed un paio di uomini. Parliamo di animali che possono raggiungere e tranquillamente superare i 150kg di peso con un’altezza alla spalla superiore al metro e cinquanta. Grandi dimensioni richiedono quindi grandi spazi. Forse, ripeto forse, la Dorsale Occidentale e tutte le montagne ad Ovest del San Primo possono avere le caratteristiche giuste, forse. Tuttavia le segnalazioni mi arrivano dalla Dorsale Orientale e dalle montagne, più piccole e ripide, ad Est del San Primo. “Naaa… figurati il cervo da noi, chissà che han visto!” “No, no, non ci credeva neppure lui ma ha visto il palco! Era cervo!”. Io resto scettico, ma il dubbio ormai ha una sua solidità: ”Birillo, sei l’unico a non aver visto il cervo?”. Così ho fatto qualche ricerca online per vedere se questi voci avevano trovato eco sul web. In realtà ho trovato qualcosa che mi era sfuggito e per certi versi è una specie di “prova provata”. In un articolo del 2015 de La Provincia di Como c’è persino la foto del cervo, uno scatto realizzato a Bellagio con una fototrappola.

L’articolo (link) è in realtà un trafiletto con pochissime informazioni certe. La foto però non lascia dubbi: in qualche modo “qualcosa” è passato. L’articolo riporta come più accreditata la teoria che l’animale sia giunto a nuoto dalla tremezzina. Da Tremezzo a Bellagio sono quasi un chilometro e sette di nuoto: una nuotata impegnativa, uno specchio d’acqua che quando non è gelido, inverno, è assolutamente “trafficato” di imbarcazioni, estate. Non è uno scherzo attraversare il lago. Il record “umano” della Onno-Mandello, 1.5km di traversata, è di 20 minuti. Io non ho idea di quanto sia veloce un cervo a nuotare però immagino di certo che non conosca la direzione, che proceda sommariamente per tentativi, probabilmente di notte e spinto da un non ben precisato “stimolo” (quale esigenza lo spingerebbe ad attraversare?). I “nostri” 20 minuti, senza troppo tenere conto delle correnti, possono diventare tranquillamente un’ora e più, che nell’acqua del lago non è poco. Ho chiesto ad un amico zoologo ed anche lui è stato scettico: “La foto è inequivocabile, il fatto che però sia arrivato a nuoto è tutto da dimostrare. Certo, cervi e balene hanno antenati comuni ma resta una bella nuotata…”. Inoltre se diamo per buona la teoria del nuoto allora dobbiamo ipotizzare che possa accadere anche altrove, in zone magari più selvagge ed adatte al cervo. A Torrigia, sopra Laglio, il Monte Coltignone ed il Monte Preola si fronteggiano divisi solo da 700 metri d’acqua: tratto più breve e montagne meno antropizzate. Se passano da quelle parti è ancora più improbabile intercettarli. Tuttavia un singolo “cervo nuotatore” potrebbe fare ben poco oltre a sentirsi solo: ci vorrebbero più “coppie” per una sua diffusione come specie. Tuttavia le “voci” restano: che questo fantomatico cervo di Bellagio sia sia spostato verso sud raggiungendo i dintorni di Valbrona? Con tutto lo spazio che c’è sul San Primo ti infili verso le ripide e strette montagne orientali ed i suoi infiniti paesi? Davvero strano… anche per un esemplare tanto stramboide da compiere il grande salto a nuoto. Tuttavia se davvero non fosse solo, se come specie si stanno diffondendo, qualcuno dovrebbe aver visto qualcosa sul San Primo o sulla dorsale del Bollettone. Sono posti più adatti al cervo, di più ampio respiro e molto frequentati: se c’è qualcosa è sicuramente più facile avvistarla. Quella però non è affatto la mia zona, ci vado abbastanza di rado ed ora, con le restrizioni covid, sarebbe persino “illegale” spingermi tanto ad occidente rispetto all’Isola Senza Nome. Così questa mia riflessione vuole essere soprattutto una raccolta dati: se qualcuno ha qualche informazione, anche indiretta come la foto di un albero martoriato dalle corna o di una “fatta”, è invitato a condividerla. E’ davvero arrivato il cervo nel Triangolo Lariano? Sono l’unico a non saperlo?

AGGIORNAMENTO 12 MARZO 2021

In questi giorni, dopo la buriana di San Remo, a tenere botta sui Social Network è la super intervista di quei “due milionari scappati di casa” della Famiglia Reale Inglese: “Tutto ciò che ho so su queste faccende l’ho appreso contro la mia volontà!”. Internet purtroppo è diventato così: ti vomita addosso di tutto. Tuttavia l’Oracolo, quando si ha la pazienza di sottoporre una buona domanda, è ancora in grado di offrire importanti risposte. Ho infatti pubblicato questo articolo sul cervo nella bacheca di alcuni gruppi escursionistici e, con grande piacere, le segnalazioni di avvistamenti hanno cominciato a concretizzarsi sotto forma di commenti. Particolarmente interessanti quelli del gruppo Noi Amanti del Bolettone. I membri hanno infatti riportato diversi avvistamenti nel corso degli ultimi due/tre anni. Nello specifico esemplari maschi (probabilmente più facilmente riconoscibili) sia sul Monte San Primo che sul Monte Puscio. Un utente – e questo è il bello del confrontarsi con altri punti di vista – ha però spostato la mia attenzione dalle montagne alla pianura. Il mio presupposto è che i cervi arrivassero da Nord, dall’alto lago, dalle montagne al confine con la Svizzera a Ovest o quelle Orobiche ad Est. Diversi articoli e pubblicazioni riportano invece numerosi avvistamenti, con tanto di foto, video e ritrovamenti di corna, nel Parco delle Groane, quindi a Sud! Anzi, incredibilmente a Sud! Il parco, con i suoi 38 ettari, è infatti più vicino a Milano che alle Prealpi Lariane: una macchia verde in una distesa di case, strade e palazzi.

Vi è persino un video del 28 Gennaio del 2021 (link), quindi recentissimo.

Se si sono spinti così in basso, tra i centri abitati, è molto probabile che tutta la zona attorno a Cantù, pianeggiante e boscosa, sia ben popolata di cervi. Questi animali dimostrano quindi un buona – forse inaspettata – capacità nel destreggiarsi tra i centri abitati. Inoltre gli avvistamente nelle Groane “smontano” gran parte delle teorie sul “Cervo Nuotatore” arrivato nel Triangolo Lariano attraversando il lago. Quello individuato a Bellagio, così come quelli sul San Primo o sul Puscio, sono probabilmente entrati nella penisola da Sud, probabilmente “bucando” tra Como ed Erba. Questo spiegherebbe gli avvistamenti più a Nord. Il fatto che sull’Isola Senza Nome (il gruppo montuoso tra Cornizzolo e Moregallo) non ci siano avvistamenti, salvo quelli più recenti sul versante Nord dei Corni di Canzo e sul Monte Megna, conferma però come i laghi, la superstrada, le cave e l’Adda siano invece ostacoli molto più difficili da superare. Questi esemplari, probabilmente entrati da Sud Ovest, si sono spinti a Nord lungo la Dorsale Lariana ed ora, tornando a Sud, hanno attraversato la Vallassina e la piana di Valbrona. Bisognerebbe verificare quindi gli avvistamenti nella zona di Cantù e nel Parco del Monte Barro.

Probabilmente non nuotano, ma quello che è certo è che si spostano moltissimo!

AMM-Birillo

AMM-Birillo

Il 2020 è stato un anno decisamente importante e difficile, ma tra i mille eventi accaduti ve n’è uno di cui non vi ho mai raccontato: l’abilitazione come Accompagnatore di Media Montagna (AMM) in forza al Collegio Regionale delle Guide Alpine di Lombardia. Un percorso formativo iniziato nel 2019 e che si è concluso positivamente con l’esame di abilitazione regionale lo scorso Ottobre. Per oltre un anno sono stato “apprendista” – silenzioso ed inaspettatamente ubbidiente – agli ordini delle Guide Alpine che ci hanno condotto, istruito e valutato. Ciò che però ha caratterizzato, ed in qualche modo reso speciale il nostro anno di corso, è stata però la Pandemia: travolgendo ogni cosa, ha inevitabilmente condizionato anche le nostre attività. Nella tempesta che è stata, e che ancora oggi ci affligge, è stato proprio il corso con le Guide Alpine a dare ritmo e metodo al mio modo di affrontare la situazione. La nostra classe ha dovuto necessariamente integrare un “addestramento“ specifico anti-covid: abbiamo affrontato lezioni sanitarie dedicate con medici ed infermieri coordinandoci, fin dal giorno del “paziente zero”, con le direttive speciali formulate in collaborazione con Regione Lombardia. Una volta terminati i lunghi mesi del primo lockdown siamo stati spediti nuovamente in montagna: già, ci hanno rimesso in sella e spedito all’attacco! Eravamo trenta allievi provenienti da tutta la Lombardia e dovevamo osservare scrupolosamente ogni precauzione: se anche solo uno di noi fosse stato contagiato o sottoposto a quarantena tutto il corso sarebbe stato sospeso o bloccato. Nonostante le difficoltà abbiamo portato avanti, oltre alla didattica on-line (mai sperimentata nei corsi precedenti), più di cinquanta giornate di attività in ambiente a cui aggiungere quelle di tirocinio in affiancamento. Le prime uscite, impauriti e fuori allenamento dietro le mascherine, sono state surreali. Poi, con metodo e costanza, il covid è diventato uno dei tanti fattori di rischio da comprendere e mitigare durante la conduzione di un’escursione in ambiente montano: qualcosa che tutti possiamo e dobbiamo imparare ad affrontare. 

Ora come AMM, recitando la legge nazionale che regola questa figura, sono legalmente e professionalmente abilitato all’insegnamento delle tecniche escursionistiche ed all’accompagnamento di persone in escursioni in montagna. Inizialmente i miei obbiettivi, intraprendendo il corso, erano due. Il primo quello di consolidare e strutturare “I Tassi del Moregallo” sempre più come una vera “scuola di montagna”. Il secondo di riprendere la attività di “Montagnaterapia”. Tuttavia i tempi in cui viviamo e l’esperienza fatta hanno in parte modificato questi obiettivi rimarcando un’urgenza diversa. Molte persone, ancora oggi, vivono con pericolosa superficialità la situazione in cui viviamo. Molte altre invece – e sono quelle a cui mi sento più vicino – vivono nell’incertezza, spesso chiusi in casa, quasi segregati, in attenta osservanza dei DPCM o scoraggiati dalla paura. Gli effetti delle privazioni che stiamo sostenendo, nel tentativo di porre fine alla pandemia, sono ormai visibili sia nella psiche che nel fisico.

Le montagne, specie quelle meno “famose” ed “affollate”, sono lo scenario ideale per rispettare il distanziamento e le norme anti-covid, non necessitano alcun lavoro di “adeguamento”. Sono lo spazio idoneo per ritrovare metodo e serenità nel confrontarsi e condividere con gli altri dopo le importanti limitazioni alla socialità che abbiamo sostenuto fin qui. La nostra mente ha bisogno di spazi aperti, il nostro corpo di sperimentare la corroborante fatica del muoversi. Quindi il mio obiettivo, in questo contesto tanto particolare, sarà insegnare ad andare in Montagna affinché la Montagna possa donarci ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno ora. Tuttavia “andare in montagna nel modo giusto” forse non è mai stato tanto importante come ora. “Chi cammina da solo non ha nessuno verso cui voltarsi” recita un vecchio proverbio giapponese, un proverbio che inizio a comprendere solo ora. Per mesi infatti, dopo la fine del corso, ho vagato in montagna da solo e posso quindi dirvi per esperienza: “non è abbastanza”. Da soli, sempre, non è abbastanza. Per questo voglio formare e condurre gruppi, voglio che il mio esplorare torni ad essere un’esperienza condivisa. Solitudine, immobilità, insicurezza sono i grandi pericoli che dobbiamo affrontare e superare nei giorni a venire. Rimbocchiamoci le maniche, zaini in spalla e diamoci da fare: in marcia!

Al momento “navighiamo a vista”, la situazione sanitaria è in costante mutamento così come le restrizioni vigenti. Probabilmente prima di Aprile sarà impossibile dare vita a qualche iniziativa pratica e strutturata. Tuttavia posso già darvi qualche anticipazione. Le mie escursioni saranno maggiormente focalizzare sul “gusto di andare in giro” più che sul prestigio di raggiungere qualche meta importante. Punterò su itinerari stravaganti, inconsueti, decisamente trasversali ai grandi flussi. Capiterà di girovagare giornate intere in un fazzoletto di terra così come di compiere grandi traversate scavalcando montagne e valli. Scoprire posti nuovi, magari sconosciuti ai più, evitare con astuzia, creatività ed ingegno le “masse”. Ogni escursione integrerà lezioni di cartografia e pianificazione, non si disdegna la possibilità di spingersi anche “fuori-sentiero”, traendo esperienza ed insegnamento da questo tipo di progressione. Ci saranno escursioni “dure” per gli esperti, escursioni propedeutiche per i neofiti che, con dedizione e pazienza, esperti lo diventeranno.

Ho attivato un nuovo portale web dove pubblicherò informazioni e calendari: http://www.lariotrek.it. Come è intuibile il nostro campo d’azione saranno le montagne che si affacciano sul Lario ed inevitabilmente quelle dell’Isola Senza Nome, che sarà la nostra casa e palestra per molte delle attività.

Fino a Pasqua vivremo ancora una volta le difficoltà di un LockDown parziale, nella speranza che non diventi totale come purtroppo lo fu lo scorso anno. Se però siete interessati a partecipare alle prossime attività, ognuno con il proprio livello e condizione fisica, vi invito a contattarmi in modo da pianificare e modulare al meglio il calendario delle escursioni che andremo ad intrapprendere insieme.

Ho mantenuto il riserbo su questo progetto per oltre un anno. Raccontarvelo ora è liberatorio ed elettrizzante: bene, iniziamo!

Davide “Birillo” Valsecchi
Nostromo dei Tassi del Moregallo
Accompagnatore di Media Montagna – Collegio Guide Alpine Lombardia.

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