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Il primo giorno di scuola

Il primo giorno di scuola

E’ una mattina d’inverno e tutto è ancora buio. Io e mia sorella, cartella sulle spalle, usciamo di casa ancora assonati. Alla luce dei lampioni scendiamo oltre la curva di Santa Marta, camminiamo lungo lo scolo dell’acqua ed attraversiamo in curva la Provinciale tra i fari delle auto. Il viale Remo Sordo è una camminata spettrale tra le ombre ed il rumore del Lambro.

Sul pulman delle 7 e 35 c’è il solito casino. Un tempo avevo una morosa a tenermi compagnia lungo il viaggio, poi si è sposata con il mio migliore amico e non ne ho saputo più nulla. Mia sorella, che di solito è silenziosa, oggi è particolarmente allegra, si è fatta grande e se la cava da sola. Bene. Il mio amico Antonio, al contrario, è tranquillo come poche volte l’ho visto. E’ una giornata strana oggi.

Arrivamo in stazione ad Erba, di solito il pulman arriva fino al Liceo, su fino a Villa Amalia. Oggi è diverso ma ho tempo: entro in gelateria e compro un magnifico gelato. Certo, è inverno e fa freddo, ma avevo proprio voglia di un gelato. In quel momento arriva anche “Pontra”, il mio compagno di banco. Di solito lui e mia sorella non si sopportano e lui è sempre scortese con lei: una situazione imbarazzante per me che gli sono amico.

Oggi pare diverso, vanno d’accordo e ridono mentre ordinano un gelato. Si attardano persino a chiacchierare. Oggi è il primo giorno di scuola, non voglio fare tardi, non voglio fermarmi in paese, voglio fare le cose per bene. Li lascio lì, ci vediamo poi, non fate tardi!

Cammino con il mio gelato davanti alla stazione. Dal buio del giorno che si ostina a dormire emerge una ragazza bellissima, alta con le lunghe gambe inguianate in un paio di blu jeans. Ha lunghi capelli ricci e mori che le scendono fluenti sulle spalle. Mi guarda, osserva il mio gelato e si ferma. “Ti prego, offrimene un pezzetto, un morso alla cialda per favore!”. Mi confonde e prima ancora di darle risposta si allunga in avanti sul mio cono.

E’ un tripudio di labbra sensuali e cilia mentre i suoi denti bianchi affondano nel mio gelato. Sarebbe una visione in grado di sciogliere un sasso: io mi sento solo come un furioso calimero a cui stanno rubando la merenda. Lei mi sorride, mi ringrazia passandomi morbide dita lungo il mento e regalandomi un caldo bacio sulla guancia. La guardo allontanarsi verso i binari saltellando nelle sue scarpe con il tacco.

Forse avrei dovuto dire qualcosa, forse c’era un messaggio in tutto questo, era l’occasione per conoscerla, per sapere di lei. Mangio quello che resta del mio gelato: è una ragazza grande, dell’università, io sono solo un liceale, probabilmente si è solo presa gioco di me!

Continuo a camminare e scorgo una stradina che non avevo mai notato. C’è un negozio nuovo, una grande vetrina piena di spade giapponesi e disegni orientali. Mi fermo ad osservarla un attimo. Oggi non ho tempo, ma so che ci passerò ancora davanti molti altri giorni e forse, prima o poi, entrerò anche nel negozio per conoscerne il misterioso proprietario.

Ma è tardi, devo spicciarmi. Inizia a nevicare. Questo di solito sarebbe una scusa buona per fare tardi ma oggi è il primo giorno, oggi rivedo gli amici ed inzio un nuovo anno: no, non si può fare tardi oggi.

Quando mi avvicino alla scuola vedo l’esercito schierato, vedo un paio di blindati ed un sacco di uniformi che si agitano tra i ragazzi ammassati sul piazzale. Pessima idea: qualcuno è stato tanto stupido da fare il solito scherzo della telefonata anonima con la bomba. Pessima idea, da quando siamo entrati nell’era del terrorismo è uno scherzo che viene preso fin troppo sul serio!

Ritrovo tra gli altri ragazzi i mei compagni, uno ad uno: Luca, “Pirro”, Gerry, “Giussa” e gli altri. Poi l’esercito comincia a ritirarsi e gli studenti cominciano ad entrare attraverso il cancello ormai fradicio di pozzanghere e neve. Tutti entrano, ma nessuno dei mie compagni varca la soglia. Siamo tutti lì, seduti davanti al cancello nei nostri cappotti sotto la neve che cade: “Forza andiamo, ho proprio voglia di sedermi al caldo e cominciare a chiacchierare. Forza!”

“Valse, noi non entriamo” mi dice qualcuno. Perchè mi domando? Poi dalla memoria qualcosa emerge. Immagini confuse: ma io l’ho fatto il liceo? Vedo l’università, vedo Milano, vedo l’Africa e la mia vecchia casa in Viale Padova. Piano piano prendo coscienza: io l’ho già fatto il liceo, no, anzi,  l’ho finito! Ne sono uscito, sono fuori!

Ancora non ne sono convinto ma il mio primo pensiero è semplice e sciocco allo stesso tempo: “meno male che non ho comprato il diario!!”. Il secondo è per mia sorella. Anche lei deve aver finito il liceo, visto che è laureata deve averlo finito per forza. Meno male, può far tardi quanto vuole allora.

Gli ultimi militari se ne vanno ed io guardo i miei compagni. Accidenti quanto tempo è passato. Si, non vado più a scuola, niente sveglia all’alba, niente angoscia, niente appelli, niente carcere e nessun carceriere. Sono libero, libero così come solo un liceale oserebbe sognare eppure… eppure sono qui, di nuovo di fronte al cancello del mio liceo. Curioso, ma ancora immerso nel sogno mi interrogo sul suo senso: perchè la mia mente mi ha riportato qui?

Guardo i miei compagni che sembrano svanire come spettri mentre io cambio forma e cambio modo di pensare. Per un attimo ero stato di nuovo quel liceale timido ed impacciato per cui oggi provo un nostalgico affetto: ora sono di nuovo me stesso e guardo con sempre maggior distacco un passato antico. Abbraccio qualche amico, sussuro complimenti e lusinghe alla ragazza più carina come allora mai avrei osato fare. Poi tutto si affievolisce.

Il sogno, come nebbia, scompare aprendo gli occhi. E’ Agosto, sono nel letto della mia casa. E’ estate ma fa freddo stamattina. Annodo le mie gambe con quelle di Bruna che, calda, mi abbraccia ancora addormentata. No, decisamente no: non vado più a scuola ma la mia mente, a volte, pare dimenticarselo…

Davide Valsecchi

Chissà: forse oggi, come allora, faccio imperdonabili errori che un giorno mi parranno ingenuità degne di comprensione ed affetto.

Fratello, dove sei?

Fratello, dove sei?

Mississippi, fine anni trenta.
Everet: – Le spiace se ci uniamo a voi, vecchio?
Il Cieco: – Unitevi a me, figlioli. Unitevi a me.
Delmar: – Si lavora per la ferrovia, nonno?
Il Cieco: – Io non lavoro per gli uomini.
Pete: – Hai un nome, vero?
Il Cieco: – Io non ho un nome.
Everet: – Questo potrebbe essere il motivo per cui ha difficoltà a trovare un lavoro retribuito. Vede, nell’ambito del libero commercio…
Il Cieco: – Voi cercate una grande fortuna: voi tre che ora siete in catene troverete una fortuna, anche se non sarà la fortuna che cercate. Ma prima… prima dovrete viaggiare, percorrere una strada lunga e difficile, una strada irta di pericoli, mm-hmm. Vedrete cose… cose meravigliose da raccontare. Vedrete una… una mucca …sul tetto di una casa del cotone, aah. E, oh​​, tanti tanti fatti portentosi. Non posso dirvi per quanto sarà lunga quella strada, ma non temere gli ostacoli sul vostro cammino, poichè il destino vi ha accordato la vostra ricompensa. Anche se la strada è tortuosa, sì, e il vostro cuore scoraggiato e afflitto, voi seguite il vostro cammino, seguitelo fino alla vostra salvezza.

«O Brother, Where Art Thou?»

Io sono colui

Io sono colui

King till the end
King till the end

Io colui che ha amato, colui che ha regnato là dove le bestie più feroci straziavano le loro vittime, dove la giungla più tenebrosa era illuminata solo dalle magie pagane.

Io sono colui che ha amato ciò che non poteva possedere, colui che ha combattuto ciò che non poteva capire. Piccoli uomini meschini,  guardate il cielo e ricordate come cade un gigante che non avreste mai potuto render schiavo.

Il mio nome è Kong, King Kong!!

Davide “Birillo” Valsecchi – per la serie “impariamo dalle scimmie”…

La leggenda dei cedri del Libano

La leggenda dei cedri del Libano

I cedri di Asso
I cedri di Asso

Ho trovato una leggenda che parla di tre cedri del Libano e dei loro sogni prima di essere abbattuti. Visto che i cedri di Asso sembrano destinati a cadere per far posto ad una rotonda non ho potuto che essere colpito da questa storia. Ne ho trovate molte versioni ma, a furia di cercare, ne ho trovata anche una scritta da Paulo Coelho, il famoso scrittore brasiliano:

«Racconta una vecchia leggenda che nelle belle foreste del Libano antico nacquero tre cedri. Come tutti sappiamo, i cedri impiegano molto tempo per crescere e questi alberi trascorsero interi secoli riflettendo sulla vita, la morte, la natura e gli uomini. Assistettero all’arrivo di una spedizione da Israele inviata da Salomone e, più tardi, videro la terra ricoprirsi di sangue durante le battaglie con gli Assiri. Conobbero Gezabele e il profeta Elia, mortali nemici. Assistettero all’invenzione dell’alfabeto e si incantarono a guardare le carovane che passavano, piene di stoffe colorate.

Un bel giorno, si misero a conversare sul futuro. “Dopo tutto quello che ho visto – disse il primo albero – vorrei essere trasformato nel trono del re più potente della terra” “A me piacerebbe far parte di qualcosa che trasformasse per sempre il Male in Bene“, spiegò il secondo. “Per parte mia, vorrei che tutte le volte che mi guardano pensassero a Dio” fu la risposta del terzo.

Ma dopo un po’ di tempo apparvero dei boscaioli e i cedri furono abbattuti e caricati su una nave per essere trasportati lontano. Ciascuno di quegli alberi aveva un suo desiderio, ma la realtà non chiede mai che cosa fare dei sogni. Il primo albero servì per costruire un ricovero per animali e il legno avanzato fu usato per contenere il fieno. Il secondo albero diventò un tavolo molto semplice, che fu venduto a un commerciante di mobili. E poiché il legno del terzo albero non trovò acquirenti, fu tagliato e depositato nel magazzino di una grande città. Infelici, gli alberi si lamentavano: “Il nostro legno era buono, ma nessuno ha trovato il modo di usarlo per costruire qualcosa di bello!”.

Passò il tempo e, in una notte piena di stelle, una coppia di sposi che non riusciva a trovare un rifugio dovette passare la notte nella stalla costruita con il legno del primo albero. La moglie gemeva in preda ai dolori del parto e finì per dare alla luce lì stesso suo figlio, che adagiò tra il fieno, nella mangiatoia di legno. In quel momento, il primo albero capì che il suo sogno era stato esaudito: il bambino che era nato lì era il più grande di tutti i re mai apparsi sulla Terra.

Anni più tardi, in una casa modesta, vari uomini si sedettero attorno al tavolo costruito con il legno del secondo albero. Uno di loro, prima che tutti cominciassero a mangiare, disse alcune parole sul pane e sul vino che aveva davanti a sé. E il secondo albero comprese che, in quel momento, non sosteneva solo un calice e un pezzo di pane, ma l’alleanza tra l’uomo e la Divinità.

Il giorno seguente prelevarono dal magazzino due pezzi del terzo cedro e li unirono a forma di croce. Lasciarono la croce buttata in un angolo e alcune ore dopo portarono un uomo barbaramente ferito e lo inchiodarono al suo legno. Preso dall’orrore, il cedro pianse la barbara eredità che la vita gli aveva lasciato. Prima che fossero trascorsi tre giorni, tuttavia, il terzo albero capì il suo destino; l’uomo che era inchiodato al suo legno era ora la Luce che illuminava ogni cosa. La croce che era stata costruita con il suo legno non era più un simbolo di tortura, ma si era trasformata in un simbolo di vittoria.

Come sempre avviene con i sogni, i tre cedri del Libano avevano visto compiersi il destino in cui speravano, anche se in modo diverso da come avevano immaginato.»Paulo Coelho

Non sono certo bravo come Coelho ma mi piacerebbe essere in grado di fare qualcosa per quelle piante che ora sorvegliano l’ingresso di Asso, che hanno visto e vissuto le storie del nostro paese, sia quelle che conosco che quelle che sono state dimenticate. Sembra che presto saranno abbattute e se non è possibile salvarle vorrei almeno salvarne la memoria: Chi mi aiuta?

Alle elementari ricordo di aver fatto un disegno che aveva per tema il temporale. Dovevamo disegnare quello che vedavamo dalla finestra della classe, all’epoca, nel palazzo del comune: fulmini gialli, gocce di pioggia blu, la macchina del vigile ed il profilo stilizzato verde pastello dei due alberi. Questo era un temporale ad Asso 25 anni fa.

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps. Continua il dibattito su “Assese.it” ed anche l’iniziativa «Abbraccia il cedro e mandaci una foto». Immortalatevi con le due piante!

Il calore di una cucina

Il calore di una cucina

Kitchen Love
Kitchen Love

[Ascolta] Sprofondo nel suo divano, disteso in un oasi di pace nella sua cucina. Fuori nevica, Lei armeggia ai fornelli e lo stereo suona di parole lievi e chitarra acustica. Tutto mi sembra così strano. Ascolto immobile il suono delle posate, delle pentole, di Lei che canticchia cucinando un minestrone. Già il minestrone, lo evitavo come la peste da piccolo ma è tanto tempo che qualcuno non cucinava per me, disteso su un divano in contemplazione della cuoca.

Chiudo gli occhi perchè non ho la forza di muovere un muscolo, la volontà di rompere quell’attimo. Un paio di bicchieri di vino su un tavolo apparecchiato e qualche candela. Mi sfila di fronte con i pantaloni della tuta e mi infila in bocca un cracker con formaggio e miele. Chiudo gli occhi, troppe luci, troppi suoni, troppo calore. Chiudo gli occhi perchè qualcosa si muove dentro ed i miei occhi si sono fatti lucidi. Quanto tempo è che non mi sentivo a “casa”? Quanto tempo sono stato un disperato al vento?

Lei se ne accorge. Sorride ma non dice nulla, mi accarezza la zazzera e mi allunga un’altra tartina ridendo. Non so quasi nulla di Lei eppure mi fa sentire così bene, così maledettamente vulnerabile. Sciolgo i nodi della mente e mi lascio scivolare in questo mare caldo mentre la musica increspa l’acqua. Resta pure immobile, mio giovane Birillo, respira placido questo istante.

Quando l’ho vista la prima volta l’avevo trovata “bruttarella” e, incredibilmente, Lei mi aveva etichettato come il “belloccio stupido” di turno. Dice che è stato scompigliandole i capelli che si è ricreduta, forse ho ancora un po’ di magia nella punta delle dita. Magia, deve essere magica anche lei se è riuscita ad addomesticare anche il mio orgoglio: belloccio stupido, quasi non mi importa neppure più.

No, non mi importa. Sono lontano mille miglia da tutto, sono fuso con questo divano nella sua cucina e questo mi basta. Che sia felicità quella strana cosa che provo ora? Non so, ora non importa…

Davide “Birillo” Valsecchi

Galeotto fu quel libro

Galeotto fu quel libro

Discesa agli Inferi
Discesa agli Inferi

Adulterio. Tra tutti i peccati mi sembrò il più stupido ma, tantè, di cose strane fino ad allora ne avevo vedute parecchie. Davanti a me cammivano Dante e Virgilio, sdegnosi e superbi i due poeti si tenevano ben lontani dall’umile scribacchino di Asso avanzando tra il fango e la sofferenza di quest’Inferno con severa distanza.

Altri non avrebbe potuto rivolgermi le spalle con tanta superficialità ma per quei gironi  loro erano le  guide mie e, con pazienza,  solo seguirli da presso potevo. Quasi divertito fui da quell’ oscuro mondo pieno di meraviglie ma troppo innanzi al mio tempo mi ritrovavo per riconoscere miei contemporanei in mezzo a quei volti sconosciuti.

Ascoltavo la loro buffa lingua, così simile alla mia seppur diversa, cercando di capire cosa dicessero a quelli a cui si facevano presso scambiando parola. E fu allora che incontrammo Francesca, dal viso e dalla voce dolce e malinconica.

Vicino a lei un mezz’uomo piagniucolante le stava accanto senza proferir parola se non in pianto. Paolo Malatesta era il nome di quel disgraziato che parea essere in legame con la bella Francesca. Sebbene nel girone degli Adulteri mi ritrassi dall’idea di fare, all’Inferno, il pavone per quella giovane in barba al suo frignante compagno e mi feci sotto per ascoltare la loro storia:” Galeotto fu quel libro e chi lo scrisse…

Quale ira mi provocava una voce così dolce al fianco di una tale nullità. Ma il mio stupore si aggravò nello scoprire che Paolo conobbe Francesca come procuratore della promessa di nozze di Gianciotto. Il miserabile avea al fratello soffiato la donna, incredibile a sentire mi parevano tali parole!! Ma la famiglia, che scoprì la loro infatuazione, li punì con il sangue ed ecco la cagion del esser loro tra i dannati.

Leggere ed unite ora le lor anime volavan nel vento della passione che li avea travolsi scontando la loro colpa negli Inferi. “Ma scusa, li hanno lasciati assieme? Che diavolo di pena è lasciare due amanti assieme per l’eternità?!!”. La domanda mi sfuggì improvvisa ed il fiorentino mi fulminò superbo con gli occhi dietro il suo naso arrogante. Ma Virgilio mi rispose, con il fare gentile dei veneti, che l’amore legava i due troppo forte per essere diviso e che per questo erano del vento preda insieme .

Che ciò l’amore dell’uomo unisce neppure Dio può dividere, questo tu mi dici sommo poeta?” Le mie parole volaron per l’Inferno come bestemmia d’angelo e persino i demoni mi guardarono indispettiti per il mio ardire. Nasone e Virgilio sdegnosi allor si mossero lasciandomi addietro.

Che la forza dell’amore dell’uomo potesse superare il potere di Dio? Di questo io mi interrogavo. Quale grande vanto per la mia gente sarebbe tale immenso potere, il potere di amare. Ma al contempo guardavo Paolo. Come poteva un amante piangere così sommesso dopo esser stato condannato all’eternità con la sua amata, poteva davvero il tormento di quel vento essere più scosolante della separazione a cui tutti siamo condannati?

E fu allora che compresi, che vidi l’errore mio ma anche quello dei due poeti. Cappii: Paolo non amava Francesca e di fronte a lei, a quella creatura tanto bella, celava eternamente quel segreto a colei che  lo amava con tanto ardore. La sua pena era vivere in quel pianto, nel rimorso di non averle detto quella verità triste, di non aver avuto il coraggio patendo ora il senso di colpa. L’eternità con la donna che non amava e a cui aveva rubato il futuro. Il misero aveva ben ragione di pianger. Ed anche Francesca, che nel suo cuore sapeva la verità, non poteva che restare accanto all’uomo a cui aveva donato l’amore e la vita. Per l’eternità al fianco di un uomo che non la amava celandole il segreto:“Una botta e via”. Un biglietto per l’inferno…

L’amore che unisce due cuori lega due anime rendendole inscindibili persino a Dio ma era la mancanza di amore a vincolare i due, schiavi di una scelta sbagliata, di un sì vuoto dato forse nella speranza della passione vera. Quanti fastidi eviterebbe alla volte il parlar chiaro!!

Ripensai alla mia amata, colei che alberga nel mio cuore ormai perduta. Ripensai alle donne che ebbi a stringere cercando inutilmente di colmar quel vuoto. Ripensai alla tristezza di possedere ormai solo un cuore di sabbia che si sgretola tra le dita. “Amor, che a nullo amato amar perdona“. Quale errore è sperare di essere amati semplicemente amando.

Provai pietà per quelle anime e per il cuore mio anche. Li lasciai dietro i miei passi proseguendo nell’antro appresso ai miei due superbi compagni di viaggio. Da molto prima d’ essere qui attraversavo da vivo quest’ inferno che ora scontavano queste misere anime. Più in là, lungo il cammino, mi aspettava Ulisse, con lui avrei parlato delle sirene e, forse, avrebbe potuto capirmi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Quello che una donna sa…

Quello che una donna sa…

Miyamoto Musashi
Miyamoto Musashi

In questi giorni mi sto dedicando a qualcosa di diverso. Ho sempre avuto un buon rapporto con il mio corpo ed ho istruito la mia mente negli ambiti più strani. Sono sempre stato un ricercatore, uno sperimentatore.

Uno delle storie che più hanno affascinato è quella di Miyamoto Musashi, un generale giapponese diventato uno degli spadaccini leggendari del Sol Levante. Musashi è l’autore de Il Libro dei Cinque Anelli, un opera che spazia dalla filosofia alla letteratura trattando di strategia militare. Un libro che descrivendo l’arte della spada inanella citazioni e spunti su cui riflettere: “Lo spirito con il quale si sconfigge un uomo è lo stesso con il quale si sconfiggono dieci milioni di uomini.”

Musashi è diventato parte del folklore e la sua vita è racconata in uno dei più famosi romanzi a puntate giapponesi del ‘900. Era uno giovane scapestrato la cui famiglia era stata sconfitta durante le lotte tra i clan. In disgrazia la sua storia lo vede prima reietto e fuorilegge e poi, grazie ai mestri che incontra durante il suo viaggio, sempre più maturo, famoso e saggio fino al leggendario duello di spade contro Kojirō “Ganryu” Sasaki.

Il suo addestramento non sempre fu leggero, il famoso monaco Zen Takuan infatti lo bastonò per bene e lo rinchiuse in una torre un anno intero affinchè leggesse tutti i libri conservati nel monastero. Questo per insegnare a Musashi quanto la conoscenza sia la prima arma di un guerriero.

Così, visto che la spada spesso si confonde con la penna, mi sono lasciato trascinare da un amica in un dojo dove insegnano Katori Shinto Ryu e si imapra l’uso della spada giapponese. Birillo armato di spada di legno è particolarmente ridicolo!!

Una delle prime cose che ho imparato è il concetto di “centro” e cosa significhi prendere o perdere il “centro”. Vediamo se riesco a spiegare quella che è una piccola magia che trascende nella filosofia.

Il centro lo scopri quando i due contendenti si trovano di fronte e le due spade sono affiancate fino ad incorciarsi per le punte. In questa posizione i due sono in equilibrio paritetico puntadosi contro l’un l’altro le proprie spade. Poi uno dei due semplicemente ruota la propria spada e rivolge il filo verso l’altra spada e, con un semplice gesto, spezza l’equilibrio, prende il centro.

Le spade sono curve ed ora, se entrambi portassero un affondo diretto, solo la spada di colui che ha il centro raggiungerebbe il bersaglio mentre l’altra, seppure di poco, finirebbe inevitabilmente deviata fuori sagoma. Se perdi il centro puoi sono ritirarti in difesa o tentare un attacco suicida il cui esito può essere deciso solo dagli dei.

Puo sembrare un dettaglio sottile ma non lo è affatto. Qualche giorno fa ne ho visto l’applicazione comprendendo la differenza tra una donna ed una ragazza. Una differenza sottile ma abissale: ad una donna, che ti si para davanti con i suoi profondi occhi nocciola, il centro non lo puoi rubare.

Con i tuoi occhi azzurri come il cielo di montagna puoi aver giostrato facili duelli con giovani ragazze ma questa volta i trucchi non ti salveranno. Di fronte agli occhi di una donna lei ha il centro, puoi solo ritirarti o portare il tuo attacco, consapevole di poter non arrivare a bersaglio ed essere trafitto a morte.

Questa volta ho paura che sanguinerò parecchio, più del solito!!

Davide “Birillo” Valsecchi

La volontà perfora la roccia

La volontà perfora la roccia

tigreTempo fa mi sono ritrovato a discutere con una bellissima ragazza del valore dei sensi. Lei, citando Ghandi, mi disse: “Chi non controlla i propri sensi è come colui che naviga su un vascello senza timone,  destinato quindi a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio.

Io non ero affatto in accordo con questa frase, i sensi sono lo specchio su cui si riflette il mondo, la percezione passiva di qualcosa che sta al di fuori di noi.

Non possiamo controllare i nostri sensi così come non possiamo avere certezza della realtà che ci circonda. Inoltre passiamo la vita a confondere i nostri sensi e spesso dimentichiamo che quando qualcuno vorrà ingannarci lo farà cominciando proprio dai sensi.

Tuttavia controllando la volontà dietro le nostre azioni i sensi diventano solo accessori. E’ la volontà che “perfora la roccia” anche quando i sensi saranno confusi.

Onestamente non so perchè invece di invitarla fuori mi sono dilungato in questa strana diatriba tra sensi e volontà, forse il mio “sesto senso” suggeriva prudenza e così mi sono limitato a raccontare una delle leggende che mi è più cara e che forse non è cosi nota come credevo.

Ecco la leggenda da cui trae origine il detto “La volontà perfora la roccia“:

«In un villaggio indiano la giovane sposa di un cacciatore venne assalita ed uccisa da una tigre. Il marito, sconvolto dal dolore per l’amata, afferrò il proprio arco e si lanciò nel fitto della foresta per uccidere la tigre.

La rabbia e la tristezza avevano rapito la mente del giovane che ormai null’altro bramava che vendicare la propria sposa. Corse giorni interi senza riposare nel suo inseguimento. La fatica assalì il suo corpo ma il desiderio di punire la bestia lo sostenne incrollabilmente.

All’improvviso il cacciatore, stremato e furente, vide la tigre nascosta tra le fronde. Incoccò la freccia ed in essa riversò tutto il suo odio, tutta la sua tristezza per la donna amata e perduta. La freccia sibilò nella gingla quasi animata di vita propria bramando di colpire il bersaglio con tutta la furia di colui che l’aveva scagliata.

La freccia si abbattè con un suono violento sulla tigre ed affondò nelle sue carni per metà della sua lunghezza.

Il cacciatore abbassò l’arco ed ormai svuotato dai suoi tormenti si abbandonò alla fatica. Ma, alzando lo squardo, rivede la tigre, immobile nella giungla trafitta dalla freccia. Perchè non si era mossa? Perchè non era crollata morta? Il giovane allora si avvicinò alla bestia e solo allora si rese conto del suo errore. La tigre era solo un masso che della bestia aveva la forma. Ma la freccia era conficcata profondamente in essa, non era rimbalzata nè si era spezzata. La volontà del giovane era stata tanto forte da fargli perforare la roccia.

Il cacciatore si rese conto allora dell’inutilità della sua vendetta e decise di fare ritorno alla propria casa per piangere l’amata. Da allora, tuttavia, si diche che la voltontà perfori la roccia.»

“Volere è potere”. La volontà è potente, persino la potenza del destino prende il nome di volontà divina. La volontà è, contrariamente ai sensi, dentro di noi, potenzialmente sotto il nostro pieno controllo, siamo noi a crearla e ad alimentarla. Non è una manifestazione passiva del mondo ma bensì un nostro atto volontario.

Ma il difficile di controllare la volontà e capire ciò che realmente si vuole. “Cosa voglio davvero?” Questa è la domanda da porsi, la stessa con cui mi sono interrogato guardando la ragazza andar via ancheggiando mentre, con quello strano sorriso ammiccante, trascinava piacevolmente i miei sensi verso gli scogli.

Davide “Birillo” Valsecchi

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