Year: 2012

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Canalone Porta e Cresta Sinigallia

Canalone Porta e Cresta Sinigallia

Carlo Porta, poeta. Giovanni Segantini, pittore. Leone Sinigaglia, compositore. Mario Cermenati, pittore. Antonio Stoppani, naturalista e patriota. Nomi illustri a cui si aggiungono quelli di Emilio Comici, Riccardo Cassin, Walter Bonatti, Carlo Mauri, Daniele Chiappa e tanti altri. Quando calchi il suolo sacro della Grignetta devi farlo con reverenza  perché tra le sue guglie vive la storia e la leggenda.

«Andiamo!»  Fabrizio ed io abbiamo parcheggiato sullo sterrato alla base del Canalone Porta, lo squarcio che sul lato occidentale della montagna sale fino alla vetta, oggi nascosta dalle nuvole autunnali. Il “porta” è un EEA con alcuni passaggi su roccia di II° e III°.

Ottocento metri di dislivello tra i sassi del torrente Grigna, una creatura schiva e quasi mitologica che mostra la sua terribile furia solo durante le grandi piogge trasformandosi in lingua di neve nei mesi invernali.

Continuiamo a salire, superiamo “la finestra” addentrandoci nel cuore gotico della Grignetta. Dopo un’ora il piazzale sabbioso da cui siamo partiti sembra ancora sconfortantemente vicino, poi ci inghiotte la nebbia e restiamo soli con la grande montagna.

Il Sigaro Dones e poi ancora su, fino a raggiungere i torrioni dei Maniaghi e finalmente la cresta verso la cima. Superiamo gli ultimi tratti e poi ripariamo nel bivacco Bruno Ferrario: siamo astronauti in un mondo alieno fatto di nuvole, roccia e cieli azzurri.

Poi arriva il momento di tornare sulla terra, ai piedi della montagna. Discendiamo la cresta Sinigallia, superiamo il “Saltino del Gatto” aggirando la magnificenza dei Maniaghi. Poi la roccia si fa prato ed un gregge di pecore ci accoglie, ci riporta tra gli uomini dopo aver lasciato alle spalle sentieri leggendari.

Che emozione intensa la Grigna!

Davide Valsecchi

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Catherine in Africa

Catherine in Africa

Credo che se negli anni ottanta fossi stato un ventenne avrei probabilmente preso una strepitosa “cotta” per lei che, gambe ed occhi azzurri a parte, è un piacere per gli occhi mentre arrampica.

Classe 1960, Catherine Destivelle, è stata la prima donna al mondo ad aver compiuto in solitaria (ed invernale!) la salita della Nord dell’Eiger, questo dopo aver dominato per anni la scena agonistica dell’arrampicata sportiva.

Cercando sul web ho trovato un vecchio documentario dove Catherine, all’epoca ventottenne, affronta la salita di un Cliff roccioso di 200 metri ai margini del deserto del Mali. Questa breve clip del 1987 definisce “lo stato dell’arte” dell’arrampicata e della documentaristica di quegli anni.

Il filmato è commentato in inglese ma le immagini parlano quasi da sole e posso descriverne brevemente alcuni dettagli senza rovinarvi la visione. Catherine raggiunge il villaggio dei Dogons di Sanga ed è accolta in modo festoso: tutti infatti vogliono vedere la donna biancha che scalerà la montagna senza corda!

La popolazione locale infatti utilizza delle artigianali corde per discendere dall’alto fino alla fortificazione ed al cimitero che anticamente le popolazioni pigmee scavarono nella roccia della parete per scappare alle incursioni delle tribù vicine.

Catherine, accompagnata dalla trombetta dello stregone medico e dai canti dei bambini, tenta l’impensabile: arrampicare a mani nude dal basso!

Il ritorno dell’africano laghéé

Il ritorno dell’africano laghéé

Fuori piove, un clima davvero inclemente con chi è ormai abituato al sole africano. Forse invece è stato proprio lui a mettere in valigia i monsoni tanzani portando qui tutta questa dannata pioggia. Comunque sia è tornato e, credetemi o meno, quella mattina prima di rincontrarlo sapevo che c’era qualcosa di diverso nell’aria.

Lui chi? Bhe Lui è il più famoso e famigerato dei miei soci e dei miei compagni d’avventura: il 50% della folle ed incosciente squadra che erano “I due di Asso”. Dalla neve delle montagne himalayane ai serpenti della giungla africana, recitava lo slogan: sembra di parlare di un’altra vita.

Bhe, è tornato. Ci siamo ritrovati senza preavviso in trattoria e, come avviene da due anni a questa parte, non ci siamo rivolti la parola o il saluto. Sulle pareti della sala ci sono storici ritagli di giornale con le fotografie dei nostri viaggi e noi, seduti quasi fianco a fianco, con attenzione rivolgevamo la faccia altrove schivando gli sguardi.

Perché? Il perché è complicato, all’epoca eravamo una “cellula d’assalto” straordinaria ma per evolverci era diventato necessario separarsi, dividersi, ognuno per la propria strada. Purtroppo il processo di “mitosi cellulare” non è così indolore come si possa credere.

Ci siamo presi cura l’uno dell’altro nei posti più terribili ed ora sembra che ci si stia mettendo lo stesso impegno nell’ignorarsi: tuttavia “litigati” è decisamente meglio che “indifferenti” ed io, dopo averlo ascoltato quasi tutti i giorni per quattro anni, forse un po’ di “silenzio” me lo merito!!

C’è stato solo un episodio curioso: guardandolo mi è uscita una domanda quasi d’istinto “Ma hai perso uno degli orecchini?” e lui, quasi di riflesso, mi ha risposto “Mi si è rotto qualche giorno fa”. So quanto ci tiene a quei vecchi orecchini d’argento e se si è semplicemente rotto troverà il modo di aggiustarlo. Tuttavia, consapevoli di esserci involontariamente parlati, siamo subito ripiombati nelle proprie trincerate posizioni. Questo è quanto ci siamo detti negli ultimi due anni: piuttosto zen…

Io sono il tipo di persona che con un piede gli terrebbe ben ferma la testa sul ceppo del boia, così come sarei pronto a menar le mani per salvarglielo quello stupido collo se solo rivedessi la scintilla dell’amicizia che è stata. Lui al contrario, più anziano di me di quasi 11 anni, è un vecchio gufo egocentrico che nonostante le buone qualità preferisce mostrare la parte più arrogante, presuntuosa ed “artistica” di sé: difficilmente farebbe il primo passo.

Così oggi mi va di spezzare una lancia a suo favore, di raccontarvi ancora qualcosa di lui. Normalmente non so quasi nulla di quello che combina salvo che vive e “traffica” (nel senso buono del termine) sull’isola di Zanzibar. Voci di corridoio mi hanno raccontato come abbia allestito una mostra a Como ora che è qui.  Mi sarebbe piaciuto partecipare all’inaugurazione, specie perché non sarei stato ospite gradito, ma il destino vuole che la stessa sera abbia una riunione dei Club Alpini del Triangolo Lariano: niente Ok Corral, quindi.

Se non ho capito male è una mostra dedicata alle cinotipie, un metodo di stampa che in questi anni  ha imparato a padroneggiare con una certa maestria, di vecchie cartoline comasche inviate per posta dall’Africa: MailArt, credo si chiami. Onestamente, se finalmente mi è concesso essere critico sull’artista, mi aspettavo qualcosa in più: sei stato via due anni in Africa e mi torni con le cartoline di casa degli anni ’30?! Forse un po’ troppo retorico e pretestuoso da parte di chi ha lasciato il campo per un posto al sole…

Tuttavia credo che la sua “nostalgia” per quei luoghi sia sincera e quando il mio vecchio socio si concede la “debolezza” di essere “autentico” ha sempre avuto qualcosa di importante da esprimere e da cogliere.

La storia si è sviluppata in modo curioso. Mi piace pensare che quando saremo ormai troppo vecchi per essere offesi faremo un’ultima grande avventura insieme, fino ad allora daremo battaglia ognuno per proprio conto.

Salutatemi quel vecchio gufo: parte delle piume che ancora conserva mi appartengono!

Davide Valsecchi

I Camosci del Resegone

I Camosci del Resegone

I primi ad insegnarmi ad andare in montagna furono degli anziani cacciatori che seguivo tra i monti occupandomi dei loro cani. Gente alla maniera vecchia da cui ho imparato a rispettare il silenzio del bosco e a conoscere i grandi animali che vi abitano.

Quando sono stato un po’ più grande gli alpinisti mi hanno insegnato ad arrampicare e a raggiungere le cime rocciose ed innevate che fino ad allora mi sembravano irraggiungibili. Qualcosa in questi lunghi anni credo di averlo imparato ma di certo non dimenticherò le lezioni impartite dalle quelle figure-grigio verdi che, in un passato ormai remoto e quasi scomparso, custodivano i segreti più profondi di questa natura selvaggia.

Spesso chi frequenta la montagna lo fa in modo distratto e rumoroso, presi dalle proprie mire alpinistiche gli escursionisti sembrano ciechi a gran parte di quello che li circonda e che, a loro insaputa, li osserva invece con attenzione. Per questo, quando mi è possibile, cerco di uscire per monti quando nessun’altro lo fa, quando sulla montagna regnano solo il silenzio e le ombre.

Sul Resegone non vi erano altri esseri umani ad eccezione di noi. In quell’oceano solitario fatto di prati e rocce puntavamo alla cima. Il ragazzo che era con me era stupito: «Gli siamo arrivati a meno di cinque metri! Eravamo vicinissimi! Io i camosci li avevo visti solo sull’etichetta del formaggio!!» Ancora rido ripensando al suo meravigliato stupore: a volte si deve diventare invisibili, a volte semplicemente si deve dare prova di essere parimenti selvatici.

Erano il sole ed il silenzio a dominare la montagna ed in quella solitudine è stato “facile” ed “emozionante” avvicinarsi a quegli animali scattando qualche foto con la mia modesta macchina fotografica (FujiFilm FinePix S2950).

Giunti sulla vetta del Resegone, alla punta Cermenati, abbiamo abbracciato il panorama che ci circondava e, seduti con i piedi a penzoloni sulla roccia, avevamo la consapevolezza di essere stati accettati con benevolenza da quella sconfinata magnificenza. Grazie.

Davide Valsecchi

Buon Compleanno Fabrizio!

Buon Compleanno Fabrizio!

Ieri era il compleanno di Fabrizio e per lui, classe ’76 come me, volevo che fosse una giornata speciale: per il nostro siciliano, nato sui lidi di un’isola tra i flutti del mare, quello doveva essere il primo “natale” tra le montagne del lago!

Avevamo a disposizione solo il tempo di una mattina ed abbiamo quindi puntato su di una meta facile ma di grande effetto: in tutta la sua bellezza autunnale il Palanzone sarebbe stato il teatro migliore per la nostra festa.

Una lunga camminata sul crinale del Lario, avvolti e travolti da un panorama che non ha eguali: il cielo, il vento, le montagne ed il lago davano il meglio di se stessi mentre Fabrizio era letteralmente entusiasta.

Questa è la mia terra. Conosco i nomi, conosco i luoghi ed ho osservato i suoi orrizzonti stando sotto il sole quanto sotto la pioggia. Tuttavia a volte il mio sguardo si focalizza solo sulle difficoltà, sui passaggi irrisolti o sui percorsi inesplorati. Altre volte i suoi confini mi vanno stretti ed una furia interriore preme perchè mi spinga oltre.

Io lo confesso: questa è la mia terra ma a volte è nella meraviglia che travolge questo forestiero amico il momento in cui ne colgo e ne apprezzo tutta la sua bellezza.

Grazie e benvenuto tra i miei monti!

Davide Valsecchi

All’orizzonte, lontano oltre la pianura, un gigante si lasciava osservare in tutta la sua magnificenza.

Corno Birone: Dario e William (EE)

Corno Birone: Dario e William (EE)

Mercoledì, stando alla previsioni, avrebbe dovuto essere la giornata migliore dell’intera settimana prima del brutto tempo che minaccia il week-end: fortunatamente le previsioni sono state più che soddisfatte!!

La mia destinazione era il il Corno Birone, uno sperone roccioso posto sulla parete Sud-Est del Monte Rai che domina direttamente sui laghi di Oggiono e Annone godendo di un’eccezionale vista sia sulla piana che sulle più alte montagne circostanti.

Per iniziare la mia salita ho dovuto fare ricorso ai mezzi pubblici: alle otto e mezza ho preso il treno fino ad Erba e da lì mi sono imbarcato sul pullman che da Como si dirige a Lecco. Raggiunta Valmadrera sono sceso alla fermata più vicina alla chiesa del Santuario dedicato a San Martino. La chiesa, realizzata nel XIII secolo riadattando una piccola fortezza militare, domina la piana, è facilmente visibile anche dall’autobus ed è il riferimento più semplice per iniziare la salita visto che la maggior parte dei sentieri partono proprio nei suoi pressi.

Alla palina che si trova poco oltre la chiesa ho imboccato il sentiero Dario e William, un sentiero EE che si innalza sulla spalla destra della valle che scende sotto il Corno. Il sentiero Lucio Vassena, invece, percorre la spalla sinistra della valle ed il tracciato dei due percorsi resta quasi sempre reciprocamente visibili. La nostra fidata palina indica inoltre il sentiero per San Tommaso e per la traversata verso il Sasso Preguda.

Il sentiero delle Vasche invece parte più in basso, sulla strada che conduce a San Martino prima di raggiungere la chiesa.

Il sole era molto caldo e la salita, dapprima morbida tra i prati, si è fatta via via sempre più ripida ma mai particolarmente tecnica. Solo nella parte finale si dove fare un po’ più di attenzione giustificando la classificazione EE (Escursionisti Esperti).

Grandi e ripidi prati tra le rocce in un ambiente totalmente disabitato, guardandomi intorno continuavo a chiedermi: “Beh, dove sono i mufloni? In un posso simile non possono non esserci!”. Ed infatti, osservando in silenzio il prato, li ho finalmente trovati: tre grossi maschi con grandi corna ricurve, seduti nell’erba si godevano il sole incuranti della mia presenza.

Il sentiero prosegue poi sempre sul fianco destro del corno risalendo prima su una cresta e poi tagliando lungo una striscia d’erba a ridosso di una scogliera rocciosa sotto cui si cammina fino a raggiungere la grande croce che domina il corno. Il sentiero è ben segnato ed è difficile sbagliare strada.

Giunti alla cima si gode di un panorama spettacolore! Davanti si ha il Monte Barro ed alle sue spalle il Resegone e le montagne della Valcava che digradano verso Bergamo.

Risalendo verso nord abbiamo il monte Due Mani, il Coltignone, il San Martino ed oltre le due Grigne. Si intravvede anche il Legnone, il Pizzo dei Tre Signori ed il Pizzo Arera nella Bergamasca. Alle spalle il Monte Rai, il Cornizzolo, il Prasanto e la cresta del Malascarpa, i Corni di Canzo ed il Moregallo.

Verso sud primeggia il lago di Annone mentre tra le nebbie della pianura si distinguono le sagome dei grandi palazzi di Milano: si distingue bene la grande lancia sommitale che caratterizza il nuovo palazzo in zona Garibaldi e più in là, un po’ sfuocato, anche il profilo quadrato della torre Velasca.

Poco più in basso, alle pendici del Cornizzolo, si trova la magnifica Basilica di San Pietro al Monte, patrimonio storico della nostra terra: una meraviglia medioevale ancora oggi minacciata dalla sciagurata idea di aprire una nuova cava!!

Dal Corno Birone ho proseguito la mia salita fino alla cima del Monte Rai e, superato il crinale, mi sono imbattuto nella bellezza brillante del Monte Rosa e di tutto l’arco alpino occidentale, Monviso compreso, che risplendeva all’orizzonte.

Qua e là si intravvedava il “Lago Grande”, il Lario, ricordandomi quanta bellezza sia racchiusa nella nostra penisola lariana e quanto incredibilmente lontano si possa vedere dalle nostre “privilegiate” montagne.

Per la discesa ho puntato direttamente verso valle scendendo lungo il crinale del Prasanto che porta alla Chiesetta di San Miro: prima delle 13:30 ero già comodamente seduto in trattoria dalle Zie qui ad Asso.

Questa è una gita fisicamente impegnativa che però non richiede molto tempo se si è ben allenati e si mantiene un buon ritmo: un’escursione “veloce” che in giornate come questa è in grado di dare grandissima soddisfazione!

Davide Valsecchi

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Moregallo: Freaky Friday

Moregallo: Freaky Friday

Venerdì è stata una giornata spassosa o, come direbbe il mio siculo socio, “spacchiusa”. Ad essere onesti non ne abbiamo imbroccata una e siamo rotolati da un guaio al successivo, tuttavia lo spirito scanzonato che ha pervaso la giornata l’ha resa impagabile.

Visto Fabrizio ha da poco comprato il set da ferrata volevo fargli fare un po’ di esperienza affrontando la Ferrata del Corno Rat. Per ora si è cimentato con i Corni di Canzo, la Grignetta e la ferrata del Ventiquennale ma, sebbene se la sia sempre cavata, la sua esperienza è ancora molto limitata e devo sempre fare attenzione a stimolarlo senza però metterlo troppo alle strette e mantenendo alta la sicurezza.

Venerdì mattina siamo quindi partiti di buon ora per salire dal belvedere di Valmadrera fino a San Tommaso ed all’attacco della ferrata. Qui abbiamo incontrato una coppia di ragazzi di Valmadrera che, vista la bella giornata, avevano avuto la nostra stessa idea. Dato che la nostra era una salita “di studio” abbiamo correttamente lasciato loro il passo in modo che potessero godersi la ferrata senza essere ostacolati.

La ferrata del Corno Rat è molto verticale ed ha dei tratti molto difficili, in particole l’attacco, che possono essere superati solo in due modi: di forza o di mestiere. La prima placca infatti non lascia alternative, o sai come muovere il tuo peso sfruttando i pochi ed unti appigli o devi “rasparti fuori” usando le braccia e tirando sulla catena.

Salendo ho cercato di mostrare a Fabrizio il modo migliore per affrontare la salita, dove riposare e dove sfruttare la parete. Una volta arrivato oltre la metà mi sono fermato ad aspettarlo osservandolo.

Il “ragazzo”, mio coetaneo, ha buona volontà ed è in buona forma ma il Corno Rat fa selezione e non fa complimenti nel farlo. Dopo le prime frazioni, superate con grande sforzo, il nostro buon Fabrizio sperimentava il senso più vero della parola “fatica”. Non avendo esperienza era costretto a lavorare tutto di braccia spendendo un’enorme quantità di energie dando fondo a tutte le sue risorse.

E’ una sensazione che va provata per essere compresa: gli avambracci, stressati dallo sforzo, iniziano ad irrigidirsi ed i muscoli smettono di rilassarsi facendo tramare le mani. Quando succede le braccia diventano completamente inaffidabili e fuori uso.

Sapevo che poteva succedere e così, godendomi il sole, ho lasciato che Fabrizio si assicurasse alla parete  con la “longe” così come gli avevo mostrato ed ho calato lo spezzone di corda da trenta metri che avevo portato con me propio per quell’eventualità. Attrezzata una piccola sosta gli ho fatto sicurezza con il buon vecchio “mezzo barcaiolo” aiutandolo a salire fino dove ero io.

Visto che nessun’altro stava affrontando la ferrata ci siamo fermati, ben assicurati alla sosta, godendoci il sole e discutendo con tranquillità della situazione. Per Fabrizio, nato e cresciuto su un isola, la montagna è una completa scoperta ed ha la grande capacità di trarre insegnamento da ogni difficoltà ed esperienza. Giunti a quel punto proseguire oltre sarebbe stato un inutile ed improbo sforzo per lui e così, sempre con il buon “mezzo”, abbiamo affrontato a tappe la discesa fino all’attacco.

A terra prendevo bonariamente in giro il mio socio  ma ci tenevo che nonostante il “Fail” sul Corno Rat potesse trarre dalla giornata una soddisfazione appagante. Per questo abbiamo cambiato i nostri piani e, zingarando per il bosco, abbiamo puntato al Canalone Belasa ed alla cima del Moregallo.

Ad essere onesto ero soddisfatto di quell’esperienza in ferrata. Le difficoltà insegnano molto più dei facili successi ed ero contento di come tutto fosse stato fatto in piena sicurezza e tranquillità. Il canalone Belasa, un sentiero attrezzato EE, era per Fabrizio un’alternativa impegnativa ma abbordabile e piacevole.

Visto che frequento quel canale abbastanza spesso ho cominciato a fare “bouldering” sulle piccole placche che fiancheggiano il tracciato. Ero di buon umore ed  avevo superando  anche un paio di passaggi di grande soddisfazione piuttosto ostici, così ho piazzato il treppiede e la telecamera per fare una ripresa ricordo di Fabrizio mentre superava un passaggio attrezzato. Poi, visto che eravamo lì, ho attaccato una placchetta forse un po’ troppo bagnata dando vita alle comiche: Birillo gambe all’aria!

Confesso che era tanto che non “volavo” in quel modo! Nel filmato, di cui Fabrizio mi ha estorto la pubblicazione dopo la terza birra a fine giornata, si vede solo in parte il tuffo fatto sui sassi della cengia sottostante ma fortunatamente questo rende abbastanza comico il tutto: privo di reali conseguenze  (forse il mio orgoglio) si può anche scherzarci sopra.

Si vede bene il momento in cui la punta degli scarponi è scivolata di poco più un centimetro squilibrando tutto il corpo e facendo saltare anche la precaria presa delle mani: come disse Al Pacino nel celebre discorso “…scopri che la vita è questione di centimetri…”. Comunque sia essere preda della gravità e vedere il mondo accelerare è davvero una sensazione strana. Il cervello mette fortunatamente il “pilota automatico” aiutandoti a compiere gesti atletici che a mente fredda forse non verrebbero.

Dopo aver cercato di “camminare” sulla parete ho potuto solo distendermi allungando le gambe senza tenderle. Quando ho “toccato” terra ho cercato di assorbire quanto più possibile la caduta con i muscoli delle gambe senza “inchiodarle” e rotolando poi di fianco in quello che è il Mae ukemi del judo o la capriola dei paracaduti: è in quel momento partono gli automatismi ed il “fattore culo” che ti permettono di rotolare indenne tra le pietre dissipando l’energia rimanente della caduta.

La faccia di Fabrizio, pietrificato in cima alla parete, era impagabile ed io, tutto sommato, ero piacevolmente soddisfatto di essermela cavata senza danno ed elettrizzato dall’inatteso “brivido”. Insieme abbiamo riso sviscerando l’accaduto e continuando la nostra salita: ora avevamo qualcosa a testa per cui sfotterci vicendevolmente!

Raggiungere la verdeggiante cima del Moregallo è stato liberatorio per entrambi e seduti sull’erba abbiamo mangiato i nostri panini godendoci gli scorci di lago tra le nuvole. Non ne avevamo mandata dritta una ma forse proprio per questo avevamo imparato molto.

La montagna con ruvida delicatezza ci aveva “bacchettato”, punzecchiato senza danno e ci avevo mostrato ad ognuno di noi  limiti e capacità per poi accoglierci nella meraviglia della sua vetta. Una giornata scanzonata e sconclusionata che mi sono goduto in ogni suo accidentato e vivo momento!

Davide Valsecchi

Grignone: tutti in festa al Brioschi

Grignone: tutti in festa al Brioschi

Lo storico rifugio Brioschi, posto sulla cima della Grigna Settentrionale (2.410 m), è stato recentemente incoronato “Rifugio più amato dagli italiani” da un sondaggio popolare ripreso da numerosi quotidiani nazionali. Per festeggiare l’evento i due giovani ed intraprendenti rifugisti hanno informato gli “amici” via facebook che il rifugio sarebbe stato aperto già da Venerdì. (RifBrioschi)

L’occasione, complice la nevicata della scorsa settimana, rendeva il Brioschi una meta ideale ed accattivante. Venerdì mi sarebbe piaciuto salire lassù con Fabrizio ma per lui, ancora neofita, quella sarebbe stata una “prova” troppo impegnativa non disponendo ancora nè dell’equipaggiamento nè dell’esperienza necessaria. Tuttavia, venerdì sera, rientrando dal roccambolesco “vagabondaggio” sul Moregallo, ricevo la chiamata dal “Presidente”: «Andiamo in Grignone domani. Abbiamo un posto in macchina. Vieni?» A volte basta volere e le cose avvengono da sole!

Il sabato mattina sono un giovinastro in mezzo ai “Veterani”: oltre a Franco e Renzo anche Aldo ed Italo, amici in forza al Cai Canzo. Giunti al parcheggio del Cainallo, mentre infiliamo scarponi e ghette, incontriamo anche Vittorio di Valbrona (un grandissimo della nostra valle!) in coppia con un paio di amici. La destinazione è comune: il Brioschi attraverso la cresta innevata del Piancoformia.

La giornata è nebbiosa, umida e sembra minacciare pioggia. Il bosco è invaso dai colori autunnali delle foglie cadute mentre sopra di noi una fitta coltre di nebbia avvolge e nasconde la montagna. Superata la bocchetta di Prada e la Chiesetta dedicata alla Brigata Partigiana Garibaldi iniziamo la nostra salita lungo la cresta incontrando la neve che si fa, via via, sempre più abbondante.

La neve è buona, tanta, abbastante compatta ma non ghiacciata. Il vendo invece soffia freddo ed impietoso sferzandoci il viso ogni volta che sulla cresta superiamo i canali che risalgono dalle profondità nebbiose ed invisibili della montagna. La nebbia si confonde con la neve e siamo avvolti da un universo completamente bianco in cui avanziamo seguendo la traccia e la conformità della roccia: oltre i cinque metri tutto si perde nell’invisibile.

Raggiunta la bocchetta del Canale Guzzi troviamo la palina, ormai inghiottita dalla neve, che indica la via Guzzi che scende al rifugio Bietti. Invasa dalla neve e a precipizio appare come un’incontaminata visione: affascinante e terrificante! Con la neve le Grigne mostrano tutta la loro natura selvaggia di montagna vera e magnifica!

Lungo la salita un altro aspetto delle Grigne si mostra in tutta la sua bellezza. Nella neve spesso si aprono piccoli “sfiatatoi” laddove le straordinarie e famose grotte sottostanti lasciano sfuggire verso l’esterno parte del loro calore. Giunti infatti all’ingresso della grotta “Viva le donne” la neve scompare allontanata dal calore che fuoriesce dalle profondità della terra: fuori il vento soffia gelido mentre già sulla soglia il tepore della grotta si fa gradevole ed avvolgente. La roccia, ovunque ghiacciata, qui si fa umida e tiepida.

Per superare i tratti finali di cresta più ostici e ghiacciati ci abbassiamo sul fianco avanzando con i ramponi nella neve più soffice fino a raggiungere finalmente le catene dell’ultimo tratto del canalino che conduce alla vetta. ll vento ha sagomato cristalli di ghiaccio su ogni cosa abbia osato opporglisi e tutto sembra avvolto da un’artistica ed implacabile morsa gelida.

La salita si fa ripida ma le difficoltà tecniche sono ormai alle spalle e, passo dopo passo, saliamo verso la cima dove ci attende, avvolto dal gelo e dalla nebbia, “Il rifugio più amato dagli italiani”. Evviva!

Foto di rito e poi dentro nel rifugio a festeggiare! Un piatto di zuppa, poi polenta e formaggio fuso nel calore del mitico Brioschi. Il rifugio fu inaugurato il 10 ottobre 1895 con il nome di Capanna Grigna Vetta. Nel 1926, a seguito di un ampliamento finanziato in gran parte da Luigi Brioschi, cambiò nome in Rifugio Luigi Brioschi. Nel 1944, durante la Seconda guerra mondiale, venne demolito, e ricostruito in seguito nel 1948. L’ex-gestore Fulvio Aurora ha curato il rifugio per venti anni mentre la nuova gestione è in mano a due giovani ed intraprendenti ragazzi, anch’essi ex-rifugisti: Emiliano ed Alex.


Lungo la via di discesa il nostro gruppo ha fatto tappa anche alla Bogani per una tazza di te e poi, mentre il giorno volgeva al termine, siamo rientrati al Cainallo facendo nuovamente rotta verso il Triangolo Lariano e le nostre case.

Io ve lo devo dire: i nostri “veterani“, quei “vecchiacci indomiti ed intrepidi”, sono una delle migliori compagnie con cui si possa avere la fortuna di affrontare la montagna e, ve lo posso garantire, sono uno dei gruppi più spassosi, casinisti e divertenti che io conosca. Andar con loro è sempre un piacere, un insegnamento ed un privilegio!

Davide Valsecchi

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