Era tanto che mi ripromettevo di montare una clip sulla strada che attraversa il Ladakh e porta da Leh fino a Srinagar nel Kashmir. Una strada di grandissima importanza nel nord dell’India che costeggia prima il confine con la Cina e poi quello con il Pakistan attraversando la zona del Drass che fu invasa nel 1999.
Io ed Enzo l’abbiamo percorsa due volte nel 2009. La prima volta era di notte, con ricordi magnifici e terribili (veramente terribili!!) fatti di una luna piena che illumina gli abissi tra le montagne. La seconda volta partimmo invece di mattina presto ma giungemmo a Scrinagar solo a tarda notte ed il viaggio fu altrettanto terribile ma riuscimmo a scattare fotografie durante il giorno.
Richiede dalle 16 alle 20 ore di viaggio attraverso le montagne superando valichi che toccano anche i 5000 metri. Sono spazi incredibili dove i pesanti camion arrancano spesso tra il fango e la neve e dove la strada in terra battuta corre scavata nella roccia (specie l’ultimo passo!!).
Di per sé è una piccola avventura che i locali affrontano di buon grado consapevoli che il rischio di incidenti sia altissimo. La Farnesina sconsiglia nel modo più asoluto di percorrere in auto quella strada ed io, che l’ho fatta due volte, posso dirvi che hanno pienamente ragione.
Ma lo spettacolo che offre è magnifico. Noi l’abbiamo percorsa per risparmiare evitando il volo aereo sebbene, a conti fatti, non fu un gran risparmio. Se volete percorrerla siete avvisati, il mio consiglio, se proprio volete azzardare, è di non farla tutta in un solo giorno, prendetevi il vostro tempo e le vostre precauzioni. Questo vi aiuterà a godervi il magnifico panorama e a non correre troppi rischi.
Quando abbiamo fatto un “mezzo frontale con tuffo nel vuoto” contro un camion io ho cercato di scendere dalla jeep ma, aprendo la portiera, trovai solo il vuoto: ancora oggi ricordo quella terribile sensazione come un attimo di vita “troppo” intenso. Non prendete alla leggera questa strada!!
“Questioni di lana caprina”: un detto occidentale per etichettare i discorsi privi di senso o futili. Ma fino al 1800 l’Europa credeva veramente che la lana di capra non esistesse essendo il pelo delle nostre troppo corto per essere tosato e considerato lana. Solo un Generale di Napoleone di stanza in Egitto portò alla corte di Parigi qualcosa in grado di sfatare questa convinzione, affascinando al contempo tutta la nobiltà dell’epoca: una morbidissima pashmina.
Pash, il termine persiamo per lana che contaminato dalla lingua hindi è diventato Pashmina, il nome utilizzato per indicare sia gli splendidi scialli che la morbidissima fibra di lana Cashmere con cui sono realizzati. Una meraviglia in grado di competere con la seta e che giunse a Parigi dall’Egitto, dove era stata importata dai mercanti arabi dall’Oriente, dal Tibet e dall’Impero del Mogul, il Kashmir appunto.
La capra Hircus, tipica delle regioni fredde dell’Asia, è coperta da un folta e soffice peluria che si distingue per le eccezionali capacità di termo-regolare il corpo dell’animale rispetto all’ambiente esterno, proteggendolo sia dalle basse sia dalle alte temperature. Tosata e cardata questa peluria permette di realizzare una fibra ed un tessuto soffice e morbido ed increbibilmente caldo: Chasmere all’inglese, Cachemire alla francese o semplicemente Kashmir.
Srinagar è la capitale del Kashmir, Enzo ed io abbiamo avuto occasione di visitarla tre volte lo scorso anno. E’ una citta mussulmana, un tempo capitale dell’Impero del Mogul diventata poi un importante centro di controllo da parte dei Britannici fino all’indipendenza dell’Inda. Sorge a ridosso dell’acqua e, grazie alle case galleggianti, si estende anche sul lago stesso.
Durante i nostri viaggi abbiamo potuto comprendere come i locali lavorino questo particolare tipo di lana, proveniente dal vicino Ladakh, una regione a ridosso delle montagne himalayane e dove abbiamo trascorso quasi due mesi. Abbiamo assistito alla lavorazione e alla creazione di tessuti pregiati realizzati sopratutto per i vestiti tradizionali delle famiglie abbienti indiane e per gli occidentali. Il tessile, sebbene ancora con tecniche artigianali, è una delle risorse principali di quest’area che per molti anni è stata quasi stritolata dal conflitto Indo-Pakistano.
Al mondo esistono solo tre grossi produttori di Cashmere: gli Inglesi, che importarono le capre Hircus nel nord della Gran Bretagna, i Cinesi e gli artigiani della regione del Kashmir/Ladakh. I famosi maglioni di Cashmere inglese sono stati oggetti di culto nella moda per molti anni in passato e tutt’oggi rappresentano un indumento di prestigio oltre che di innegabile qualità. Tuttavia oggi giorno molto dei tessuti inglesi sono realizzati con lana importata dalla Cina, spesso non alla pari per qualità con gli altri produttori.
Proprio per la sua popolarità il Cashmire è spesso vittima di falsificazioni e prezzi esorbitanti. Spiegare a parole la differenza tra una vera pashmina ed una non orginale è complesso, sopratutto per le imitazioni realizzate con l’Angola, una fibra ottenuta dalla pelliccia di coniglio. Tuttavia durante il nostro viaggio abbiamo avuto “tra le mani” moltissimi tessuti pregiati imparando a conoscerli. La differenza si sente nel tatto ed è evidente dopo un po’ di esperienza.
In Ladakh ho comprato due pashmine una per me (blue) ed una per mia per mia sorella (rosa), che era appena diventata mamma. Le migliori sono quelle naturali e non tinte ma mi sono lasciato traviare dal colore. Perchè il ragalo fosse vissuto ho portato la pashmina rosa con me fino ai 6000 metri della cima dello Stock Kangri e per tutto il viaggio attraverso l’India. La pashmina blue, che indosso anche ora, è sempre con me quasi ovunque ormai.
La mia gola è sempre stata pestifera e per questo mia madre mi aveva affidato, pro tempore, un foulard di seta appartenuto a mia nonna quando ero stato la prima volta in Pakistan. Quando faceva troppo caldo legavo, per non perderlo, il foulard alla cintura (attirando fin troppa attenzione!!) mentre, al contrario, anche attraversando il deserto la pashmina si è dimostrata confortevole restando a guardia della mia gola. Che siate alla ricerca di un oggetto da “esibire” in città o da “sfruttare” nelle situazioni più impervie non posso che consigliarvi questa meraviglia orientale.
Mi piacciono gli aereoporti. Ci sono donne magnifiche, bellissime, camminano a grandi falcate come dee tra gli uomini inguainate in lucenti stivali ed eleganiti vestiti. Gambe lunghissime e sguardo fiero. Mi piacciono, tuttavia mi incuriosisce sempre la strana specie di uomini che si trascina instancabilmente e silenziosamente loro appresso. Sono stretti mano nella mano con tanta grazia ma hanno dipinto sul volto una maschera rigida di una tristezza inconsolabile ed infinita. Ho paura che quei poveretti stiano pagando un prezzo troppo alto per tanta avvenenza. Decisamente non è roba per me. “Culo alto ci fo’ un salto” Santambrogio cita il Conte Mascetti e riequilibra i mei pensieri. Mi alzo e schiero il più accattivante dei mei sorrisi da single impenitente. Mi piacciono gli aereoporti.
Siamo una bella squadra io ed Enzo ma le ore di viaggio cominciano ad accumularsi ed instancabilmente avanziamo aereoporto dopo aereoporto, paese dopo paese. Ad ogni salto lo scenario cambia, cambiano gli attori, cambia persino il teatro e lo spettacolo ma i protagonisti del gioco restano sempre gli stessi: siamo noi. Ad ogni salto cambia qualcosa ma a cambiare sono per lo più le regole ed ogni volta devi adattarti. Cambia la lingua, i costumi, il senso di guida, il fuso orario, la morale, la buona creanza e la religione. Tu cambi con loro e quando ti acorgi che la legge, teoricamente assoluta, diventa realtiva cominci a vivere un po’ al di sopra delle righe. Ti rendi conto che le uniche regole che valga veramente la pena di rispettare sono solo quelle che ti sei dato da solo, le altre sono solo note nel manuale d’istruzioni per affrontare la giornata.
Finalmente, dopo ventiquattro ore, siamo arrivati a Srinagar. L’aereo si appoggia alla pista mentre il capitano si affretta a gracchiare nell’altoparlante che questa è zona militare e che il governo proibisce ogni tipo di fotografia o ripresa all’interno dell’area aereoportuale. Mentre frena all’impazzata con i motori indietro a tutta forza al fianco delle ali sfilano gli accampamenti dei soldati, gli hangar mimetizzati perchè siano ben visibili così come lo sono i vecchi caccia parcheggiati a bordo pista, probabilmete immobili da secoli. L’arte militare ha sempre avuto un tocco di teatro. Qui siamo a Srinagar tuttavia, la presenza militare è la più alta di tutta l’India. Qui gli uffici pubblici e le pompe di benzina sono circondate dal filo spinato e presidiate da soldati armati, questa è la capitale di un territorio conteso da tre super potenze d’oriente: India, Cina e Pakisan. Superiamo i mille controlli salutando altrettanti ufficiali e compilando altri moduli. Poi siamo fuori, sul piazzale. Scalcinati taxi con i loro autisti cercano di accaparrarci come clienti ma tra la folla spunta Mr Kotroo ed il suo autista. E’ un piacere vedere un vecchio amico in mezzo a tante facce. Siamo di nuovo in Kashmir, che tempo fa? Fa un freddo terribile!!
Il Kashmir è la regione più a nord dell’India, chiusa tra la catena montuosa Himalayana e la catena del Pir Panjal. Per quasi un millennio il territorio era popolato sopratutto da Hinduisti e Buddisti fino a quando, agli inizi del nono secolo, si diffuse la religione Mussulmana e l’intera area entrò sotto il controllo dei monarchi Mogul. Solo l’arrivo dei Britannici ed il trattato di Amritsar pose la regione sotto il controllo degli Inglesi fino alla proclamazione della Repubblica Indiana.
Ora la regione è contesa tra l’India, la Cina ed il Pakistan mentre si agita al suo interno una forte spinta indipendentista.
Durante il nostro viaggio in India (luglio 2009) abbiamo visitato la città di Srinagar, capitale del Kashmir. Edificata tra le acque del lago Dal Lake, 1,730 metri sul livello del mare, è conosciuta nel mondo come La Venezia d’Oriente.
Abbiamo avuto la fortuna di stringere buone amicizie nella città sull’acqua ed in particolare con Altaf Kotroo, capostipite della famiglia Kotroo, incontrato a Lhe, in Ladakh.
Il nonno di Altaf, per noi amichevolemente AK (“Eichei”), era uno dei capi che presiedeva il consiglio delle House Boat, le case galleggianti, il cuore della vita sul lago. Suo padre, invece, è uno degli chef più famosi della città ed un mago nel coniugare i piatti locali con i gusti occidentali, la nostra salvezza tra i piccanti cibi indiani!
Altaf è uno dei più noti ed esperti collezionisti d’arte ed antiquariato del Kashmir, grazie al suo aiuto abbiamo potuto scoprire e visitare alcuni dei più rinomati artigiani della regione: tessuti, tappeti ed intaglio nel legno. I tessuti del Kashmir, Suoni da un passato di seta,Il mercato sull’acqua e gli altri articoli su questo territorio sono stati realizzati grazie alla sua conoscenza.
Ora, mentre l’inverno avanza tra le montagne e le acque del lago Dal, torneremo ancora in India per continuare l’esplorazione di questo affascinante territorio che è il Kashmir.
Il nostro viaggio, raccontato come sempre nei diari web di Cima-Asso.it, avrà inizio il 6 Dicembre con rientro previsto per il 13 Dicembre. La squadra sarà quella classica: Enzo Santambrogio e Davide “Birillo” Valsecchi.
Rispetto ai tre mesi spesi in India tra Maggio e Luglio può apparire come un viaggio breve, tuttavia l’opportunità di essere ospiti dei Kotroo, di vedere le montagne ed il Lago Dal d’inverno è irripetibile. Altaf, inoltre, ha organizzato nuovi incontri con gli artigiani locali promettendo di mostrarci meraviglie del passato della sua terra. Una nuova occasione per meglio comprendere le tradizioni e la cultura di questo territorio spesso poco conosciuto.
Ancora scarponi ed equipaggiamento pesante per un nuovo viaggio ad Oriente, ci aspetta la neve del tetto del mondo!!
Il cashmere è una una fibra tessile, morbida, setosa e vellutata relizzata con il pelo della capra hircus tipica della regione Indiana del kashmir da cui ha origine il nome. Il, Karshmir, tuttavia, è tristemente noto anche per essere una regione turbolenta afflitta da conflitti interni ed internazionali.
Durante il nostro viaggio in Ladakh abbiamo passato molto tempo laggiù ed onestamente non abbiamo avuto alcun tipo di difficoltà ma si sà, il mio approccio ai problemi è piuttosto ruvido, ci sono comunque molti aspetti da tenere presente per visitare in sicurezza quella regione.
Ho avuto occasione di parlare con molti Kashmiri, di essere intervistato da un giornale locale in lingua inglese e di farmi un idea generale sulle situazione attuale e sulle sue cause. Prima di raccontarvi quello che ho capito dovevo prima documentarmi un po’ perchè le fonti laggiù non sempre erano complete o attendibili.
Il kashmir è una regione, forse l’unica, a prevalenza mussulmana di tutta l’India ed è posta sul confine del Pakistan, una nazione che fino al 1947 era parte dell’India e che ha avuto origine proprio da spinta indipendentista della popolazione islamica durante la fondazione della repubblica indiana. Il pakistan è la seconda più grande nazione Islamica al mondo ed anche questo non è da trascurare.
Uniti sotto il dominio Britannico per tre secoli, India e Pakistan, subito dopo l’indipendenza, entrarono in guerra tra loro proprio per il controllo del Kashmir.Quando nel giugno del 1999 vi fù l’invasione da parte del Pakistan del Drass e di Kargil si sfiorò, essendo entrambi armati dell’atomica, il conflitto nucleare ({en:Kargil War}). Incredibilemente io ero a meno di 200km dallo scontro scalando Cima-Asso proprio qualche mese dopo la tregua.
Il fronte Indo-Pakistano non è l’unico su cui si affaccia il Kashmir, a nord, sul confine con la Cina ci sono altre tensioni in atto per il controllo delle zone del Aksai Chin e dello Shaksgam. Per di più lo Shaksgam è stato ceduto dal Pakistan alla Cina nel 1963 ma l’India, che era ancora in pieno conflitto con il Pakistan, non riconosce tale accordo e ne rivendica ancora il possesso. In pratica una {it:mexican standoff} tra tre colossi per un pezzo di terra desertica.
Ma se tutti si tirano la giacchetta per avere il kashmir i Kashmiri sono animati da un enorme spinta indipendentista interna che è la ragione dei numerosi scontri che spesso fanno risalire questa zona alle cronache. Il governo indiano, consapevole di questa realtà, ha incrementato al massimo la presenza militare (giustificata anche dai conflitti internazionale) ma, limitando per sicurezza al minimo la possibilità per i locali di arruolarsi, ha fatto si che lo stesso esercito indiano sia percepito come una forza d’occupazione.
Lo stesso vale per le più alte cariche politiche e burocratiche che non sono accessibili ai locali ma affidati “agli indiani”. In questo cocktail non dobbiamo dimenticare che la popolazione è mussulmana e se le cariche pubbliche sono viste come ostili la gente si rivolge alla giuda delle cariche spirituali, degli Himan e dei leader indipendentisti di natura islamica.
Ma alla fine come è questo Kashmir e questi Kashmiri? Non ho peli sulla lingua, la mia opionine sugli indiani era abbastanza esplicita, e quindi il mio giudizio positivo sul Kashmire è sincero, tutto sommatola una terra molto bella e che ho molto apprezzato. I kashmiri non sono male come gente ma, e questi sono ma importanti, si deve tenere ben presente che sono gente mussulmana al centro di una situazione e di un conflitto molto complessi.
Se volete visitare Srinagar sarà sicuramente un ottima esperienza, il lago è meraviglioso. E’ scontato che se non volete avere problemi dovete conoscere qualcuno di fidato sul luogo, non dovete dare troppo attenzione alla presenza dell’esercito e fare attenzione ai momenti critici come elezioni o scioperi. Non è per tutti ma è abbastanza “sicuro” per essere alla portata di molti, sicuramente piacevole starsene sul lago.
Non credo che tornerò nel sud dell’India ma vedere le montagne del Kashmir d’inverno è qualcosa che mi interessa molto.Non mi dispiacerebbe tornarci. Il K2, per intenderci, è da queste parti!!
Oggi ci siamo recati in posta a Srinagar, la capitale del Kashmir. Abbiamo passato il filo spinato ed i controlli armati, consegnato ai soldati le macchine fotografiche e finalmente, dopo essere stati perquisiti, siamo entrati nel palazzo. La struttura era anche abbastanza moderna nel design, probabilmente anni ’70, ma credo che da allora nessuno vi abbia più fatto manutenzione: ora era tutto un groviglio di cavi, confusione, sporcizia e carta ammassata.
Gli impiegati, comunque ben vestiti ed educati, non sembravano affatto prestare attenzione a quella strana scenografia degna di un cartone animato giapponese post-atomico. Era buffo ritrovarsi in un ufficio postale stile “Akira”: mi aspettavo che da un momento all’altro i rivoluzionari facessero esplodesse qualcosa!!
Noi dovevamo cambiare 500 euro a testa, due banconote accartocciate, ed abbiamo dovuto riempire un po’ di moduli e salire due piani fino alla tesoreria. Qui un buffo ometto con il collare ortopedico, rinchiuso dentro una gabbia, ci ha consegnato i soldi: 1000 euro in pezzi da 1000 rupie. La banconota da mille è il taglio indiano più alto ed è rara come la nostra banconota viola da cinquecento euro. Con mille rupie mangi due volte in due in un ristorante per occidentali di buona qualità, ma va tenuto presente che con 50 rupie puoi mangiare tranquillamente in un piccolo ristorante indiano. Hanno monete da cinque e due rupie ed una miriade di centesimi che non ho mai visto. Un euro vale all’incirca 65.90 rupie ma qui il cambio spesso oscilla semplicemente tra le 64 e le 65 rupie: ognuno prova a farci la “cresta”.
Il buffo omino mi sorride, dietro le sbarre, ci rifila una montagna di banconote da mille. Sorride mentre zitto-zito cerca di intascarsi il disavanzo del cambio in pezzi da mille: 200 rupie. Mi guarda con un sorriso idiota stampato in faccia mentre gli faccio capire che vengo da Asso, che gli hanno già spezzato il collo, che deve smettere di ridere e deve spicciarsi a darmi i soldi che mancano. Sono meno di cinque euro ma non puoi cercare di fregarmi solo perché sono straniero. Smette di ridere dietro i suoi stupidi occhiali da contabile e con le sue piccole mani mi allunga le rupie che mancano. Contiamo il malloppo, che è enorme, e gli lasciamo duecento rupie di mancia: goditele imbroglione, che ti vadano in medicine!!
Quello che ci troviamo in mano è qualcosa su cui vale la pena di riflettere: mille euro di questi tempi sono una cifra da non sottovalutare in Italia, sono due milioni delle vecchie lire, ma trasformati in rupie sono una montagna di banconote. Se entrate in un negozio di alimentari per comprare qualcosa o non hanno il resto a darvi o devono svuotate la cassa del negozio e di quello vicino. Noi ne abbiamo un tappeto in camera!!
All’improvviso sembrava di essere nel passato, niente più India ma il vecchio cuore della seta comasca, la vecchia Ti.co.s.a. o la vecchia Oltolina.
Il direttore della fabbrica governativa per la produzione della seta ci ha accompagnato in una zona dismessa dell’impianto:“Qui teniamo ancora le vecchie macchine, alcune sono ancora perfettamente funzionanti”.
L’erba è alta fuori dall’edificio ed entrando ci troviamo davanti i vecchi telai che occupano la grande sala: la luce filtra dal soffitto tra la polvere che copre queste vecchie glorie abbandonate di cui ho solo sentito parlare, macchine prodigiose che avevano portato Como, ma anche la nostra Asso, a competere in tecnologia e qualità con il mondo.
Il direttore impartisce qualche ordine agli operai, danno corrente all’edificio e la macchine rumorosamente si animano. Trama e ordito in movimento mentre le navette schizzano da un lato all’altro del telaio. I nostri nonni conoscevano modelli e funzionamento, i nostri padri, allora bambini, le hanno viste lavorare incessantemente, risorsa per i lavoratori di intere valli. Io credo di essere uno dei pochi della mia generazione ad averne vista una in azione. Incredibile che con un simile passato sia dovuto venire fino in India per vedere qualcosa di simile.
Eccovi un piccolo filmato di questa meraviglia da museo ed alcune foto di come potevano apparire le nostre aziende poco più di una generazione fa.
Se i ragazzi della Farnesina vi dicono “state alla larga da quella strada” hanno i loro buoni motivi, tutti lì da vedere in ogni dannata curva che collega Leh a Srinagar!! Questa è la seconda volta che percorriamo questa strada, il racconto del primo viaggio è in questo vecchio articolo. Avevo scritto bello chiaro che si dovrebbe evitare tale percorso ma qualche giorno fa la strada che collega Leh con Manali è stata nuovamente bloccata, interrotta da una grossa frana che è costata la vita ad un paio di persone in transito. I prezzi per un biglietto aereo sono letteralmente triplicati nel giro di quindici giorni, così ci siamo detti:”Perchè no? Facciamoci un secondo round con quella strada maledetta!!”.
Due mesi fa i passi erano stati appena aperti e c’erano muraglioni di neve alti oltre tre metri, noi viaggiavamo di notte a bordo di una Jeep shared-taxi che faceva la spola tra le due città. In totale eravamo in otto, schiacciati come sardine avevo gente che mi dormiva addosso da entrambi i lati mentre i fari nella notte illuminavano le curve sul barato e le montagne innevate. Gli autisti, che si davano il cambio ogni due ore, correvano il più in fretta possibile per poter arrivare a Srinagar in tempo per organizzare una corsa di ritorno il mattino stesso. Quattordici ore di strada sterrata e neve vissuti pericolosamente troppo in fretta!!
Questo giro pensavo di essermi fatto furbo: jeep privata ed autista consigliato dal nostro amico AK, partenza la mattina presto per poter godere di tutta la luce della giornata. Credevo potesse bastare, ma mi sono clamorosamente sbagliato ed il secondo round è stato ancora più duro e massacrante del primo: questo giro ho avuto realmente paura di chiudere la partita e salutare la folla!!
Andiamo con ordine però, le prime dieci ore di viaggio sono state in verità molto piacevoli: la strada è quello che è, per lo più sterrata e a strapiombo, ma alla luce del sole fa molto meno impressione ed il panorama è talmente meraviglioso da rendere trascurabile ogni difficoltà. Lo scenario cambia in continuazione mostrando una natura magnifica e sempre diversa. Bene, ora dimenticatevi quello che vi ho appena detto sul panorama: quella strada è semplicemente da evitare!!!
Pensavo di avercela fatta, mancavano poco meno di 45km sui 530 da percorrere, solo un passo e poi via, strada liscia fino a Srinagar. L’altra volta questo passo, illuminato solo dai fari e dalla luna piena mi era piaciuto tantissimo: la strada era letteralmente scavata nella neve e costeggiata per lo più a muraglioni bianchi altri oltre tre metri. La salita stava andando bene, qualche difficoltà quà e là per dei buchi troppo grossi nella strada ma nulla di preoccupante. Aveva cominciato a grandinare ma neppure questo sembrava un grosso problema. Arrivati in cima sembrava fatta, si doveva solo scendere.
Quando hai 12 ore di jeep nelle ossa speri soltanto che l’ultima ora fili lisci ma a quanto pare la strada voleva la sua rivincita prima del gong. Erano ormai le otto e la grandine si era trasformata in pioggia battente ed il cielo ormai era buio, di nuovo notte, di nuovo fari. Scendendo ricordavo quel passaggio, uno di quelli esposti proprio prima di una curva cieca. La strada è totalmente sterrata ed è a strapiombo su un baratro di oltre 200 metri, non c’è appello o speranza se si sbaglia. Larga poco più di una corsia non permette a due veicoli di restare affiancati e non mi arrischierei a piedi su quei bordi, figurarsi in macchina.
E’ in quel momento che un pensiero mi sfiora: “Chissà che casino se dovessimo incontrare ora un camion che sale”. Nella vita basta chiedere alle volte. Dalla curva spunta uno di quei variopinti bisonti meccanici, sale sbuffando e dando di abbaglianti perchè non ha intenzione di dare strada. Il nostro autista è un montagnino e non sembra intenzionato a discutere se non con il clacson. Questi due imbecilli semplicemente si puntano come se lasciare spazio precipitando nella scarpata fosse un’opzione percorribile!!! Io ero seduto davanti ed essendo la guida inglese a sinistra ero sul lato che dava sul bordo. Sentire i freni bloccare le ruote e sentire la jeep scivolare sulla ghiaia in cerca di uno spazio nel lato esposto della strada è qualcosa che ricorderò a lungo. Il sangue ha abbandonato le gambe che disperatamente cercavano di opporsi al barato: bloccato nel mio sedile potevo solo sperare che tutto si fermasse prima che la strada finisse!!
Dio ci ha messo una pezza e ci siamo fermati, incastrati a mezza curva tra il camion ed il bordo. L’autista ha dato un bacio al suo anello, il suo portafortuna, e ha cominciato ad insultare l’autista del camion, anch’esso bloccato a mezza curva. I due hanno cominciato a discutere su chi dovesse spostarsi e dare strada mentre un altro camion si accodava al primo. Io sarei sceso volentieri da quella dannata jeep se ci fosse stato abbastanza terreno su cui appoggiare i piedi aprendo la portiera!!
Retromarcia nel fango, lasciamo passare una decina di camion e finalmente riusciamo a passare la curva. Lo spettacolo dall’altra parte è terrificante: tutta la strada a salire del passo è illuminata da una fila infinita di camion. In una strada a strapiombo e ad una sola corsia significa un maledetto incubo vissuto sul bordo di un barato!! Eravamo così vicino alla fine!!
La situazione era questa: la strada è in terra battuta ed è grande una corsia, quei bisonti di camion sono dei vecchi rottami agghindati come carnevale che stracarichi danno fondo a tutte le loro ridotte per salire lungo il passo. Hanno i peggiori pneumatici ricostruiti del pianeta ed affrontano uno dei terreni più difficili per simili pachidermi. L’unica possibilità per scendere, tralasciando la piombata diretta dalla scarpata, era riuscire a spostarsi lungo il bordo da uno spiazzo all’altro fermando i camion e lasciandoli passare un po’ alla volta.
Significa che ogni dieci o quindici metri ci si doveva fermare e discutere con una colonna di autisti e ad ogni fermata gli aiuto-autista dei camion dovevano bloccare con i cunei o con i sassi per aiutare qui bestioni a ripartire in salita. Si caricavano dando gas al massimo e poi dentro le marce sperando che non slittasse troppo e riuscisse a mettersi lentamente in moto lungo la salita. Quasi trecento camion significano una montagna di soste per percorre i quindici chilometri che restavano per uscire dal passo.
La pioggia non accennava a smettere creando un nuovo problema: all’improvviso tutti i camion hanno cominciato a dare fondo ai loro clacson e si sono messi a sgasare come una mandria impazzita mentre gli autisti urlavano ed imprecavano senza che nessuno potesse realmente muoversi: “Vengono giù i sassi!!” . Non si va nè avanti nè indietro, siamo bloccati lassù e la montagna comincia a scrollarsi sotto la pioggia: eravamo quasi arrivati, maledetta strada questo giro hai intenzione di farmi paura per davvero!!
Io non parlo la lingua dei camionisti e posso solo capire quello che mi traduce l’autista ed ormai è più il tempo che passiamo fermi a discutere sotto la pioggia di quello a bordo della jeep. Ero rassegnato, questo giro o finivano giù per la scarpata o ci diventavo vecchio su quella strada. Poi forse il cielo ha avuto pietà di me ed ha inviato il più improbabile dei soccorsi in mio aiuto: una croce-rossa!!
Una sgangherata ambulanza con una strozzata sirena ed un pallido lampeggiante blue si fa strada piano piano tra i camion scendendo dal passo.Ci raggiunge e ci sorpassa arrampicandosi sul bordo opposto della corsia fermandosi ed inevitabilmente nella strettoia che tieni bloccati. Dal mezzo scende un militare ed il marito della donna che viene trasportata. Il nostro autista parla un po’ con loro mentre il militare si avvia a piedi impartendo ordini a tutti i camionisti fermi lungo la strada.
Dopo anni di servizio ad insultare chi si piazza all’inseguimento delle ambulanze del 118 mi toccava farmi strada seguendo la croce rossa!! Il militare coordina i camion ed avanziamo sempre solo di una ventina di metri al colpo ma finalmente avanziamo con un po’ di metodo sebbene sempre sul bordo del precipizio. Sassi che vengono a basso nella poggia, camion che non ripartono, qualcuno ha persino bucato e nella notte si sentono solo i clacson e gli strilli degli autisti che discutono e litigano. Welcome in Wild India!!
Quindici chilometri di passo in cinque ore!!! Siamo partiti da Leh alle otto e mezza dopo una magnifica colazione in una giornata di sole, siamo arrivati a Srinagar a mezza notte sotto la pioggia, distrutti. Lo spettacolo che offre quella strada è magnifico ma ha vinto anche il secondo round ed ho veramente paura che se mi azzardo ancora a sfidarla mi metterà KO una volta per tutte. Come dice la Farnesina: “state alla larga da quella strada!!” e non accusatemi poi di non avervelo detto!!