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Un istante d’ infinito amore

Un istante d’ infinito amore

Ogni tanto, quando sono triste, malinconico o sentimentalmente confuso, c’è un episodio che mi torna spesso alla mente. Risale a tanti anni fa, quando davvero ero più giovane e forse ancora più ingenuo di quanto sia oggi.

Era il 1999 ed io ero il più giovane della spedizione Hindokush99, una delle numerose spedizioni che il Cai Asso aveva organizzato in quegli anni.

Eravamo nel territorio più a nord del Pakistan, tra le montagne al confine con l’Afganistan. Avevamo avuto il permesso di esplorare una valle dove, a memoria d’uomo, nessuno straniero aveva ancora avuto occasione di entrare. Era una valle incredibilmente verdeggiante in mezzo a montagne brulle, arse dal sole e dal freddo.

Ci vollero quattro giorni a piedi per raggiungere il Lago Bhari, nella parte più nord della valle, e piazzare il nostro campo base a 3100 metri. Subito sotto il nostro campo vi era il villaggio di Mathanter, uno sparuto raggruppamento di case di legno e fango su un costone sopra il fiume.

Per qualche difficoltà linguistica io venni confuso per un medico. I miei rudimenti di medicina si limitavano però solo all’anatomia ed ai vari brevetti 118 presi militando nella croce rossa. Non ci fu modo di chiarire l’equivoco e così, per tutta la valle, io divenni il nuovo “local doctor” ed iniziarono le mie, piuttosto forzate, visite a domicilio.

Sotto l’occhio attento degli anziani del villaggio iniziai a visitare i bambini, i vecchi ed i malati. Per lo più erano ferite, abrasioni o scottature dovute al sole e alla quota. Usavo bende, mercurio cromo e qualche pomata. Con gli anziani ed i loro dolori me la cavavo con l’effetto placebo somministrando con grande serietà cucchiate di aranciata in polvere.

Sembravo cavarmela abbastanza bene e così decisero che avrei potuto visitare anche le donne del villaggio. Credo che fosse una cosa inconsueta perchè, all’improvviso, il villaggio si riempì di ragazze. Io avevo vent’anni ed ero parecchio lontano da casa, quella situazione era per certi versi imbarazzante ed anche piuttosto pericolosa visto che ero in paese rigidamente mussulmano.

Giovanissime ragazze, nei loro vestiti più colorati, si misero in fila perchè spalmassi la mia crema solare sulla punta del loro naso scottato dal sole. Le più piccole ridevano divertite civettando tra loro ed attendendo scherzose il proprio turno: sedevano davanti a me, allungavano il viso con gli occhi chiusi e lasciavano, parecchio compiaciute, che le incremassi per bene. Una volta fatto, si alzavano, ridevano e se ne andavano di corsa.

Era una situazione strana, per certi versi divertente. Non avevano mai visto uno straniero, specie uno biondo con gli occhi azzurri. Si divertivano in quello che probabilmente era uno strappo alla regola consueta. Io, dal canto mio, dovevo fare attenzione a non indispettire il capo villaggio perchè, da che mondo è mondo, le donne son donne e guai a chi le tocca: il fatto che io stessi loro incipriando il naso la diceva lunga sulla delicatezza della mia posizione.

Una dopo l’altra sfilaro via via tutte finchè giunse lei: era la figlia di un pastore, viveva in capanne di legno e fango ma il suo viso aveva i lineamenti più delicati che avessi mai visto, la sua pelle, resa scura dal sole di montagna, esaltava i suoi grandi occhi verdi e le sue labbra. Indossava un pesante vestito scuro decorato con ricami a forma di fiore e portava sulla testa un piccolo cappello rigido di lana. Viveva tra le montagne e le capre ma era bellissima.

Si inginocchiò davanti a me e, seria, protese in avanti il suo viso verso il mio. Al contrario delle altre non chiuse gli occhi ma rimase a fissare i miei. La sua espressione era forte e delicata allo stesso tempo: ci stavamo guardando, non solo vedendo. Senza pensare tolsi i guanti di lattice che avevo usato fino ad allora e, con la punta delle dita, iniziai ad accarezzarle il viso senza che i nostri occhi si separassero mai.

Misi in quel gesto semplice tutta la delicatezza che possedevo e, una volta terminato, rimanemmo seduti, uno di fronte all’altro, guardandoci per un altro interminabile attimo. Poi, con lo stesso contegno con cui si era seduta, si alzò e con un breve inchino della testa si alzò tornando a sedere tra le ragazze più giovani che sembravano ora divertite come non mai.

Ero rapito e qualcuno dei miei compagni, da dietro, mi diede uno scossone per farmi riprendere. Proseguii per un’altra ora a medicare i malati ed i feriti del villaggio: Lei immobile era seduta poco distante ed i suoi occhi non mi lasciavano nemmeno per un attimo.

Prima di sera il capo villaggio mi ringraziò offrendoci una pentola colma di yogurt acido che, mio malgrado e con con chili di zucchero, dovetti mangiare tra i presenti. Nei giorni successivi non scesi più al villaggio, i malati ora arrivavano da altri villaggi e li portavano direttamente davanti alla mia tenda al campo base. Volevo almeno rivederla e spesso mi sedevo sul promontorio ad osservare le capanne cercando di intravvederla di nuovo senza mai successo.

I giorni passavano e la nostra spedizione diede l’attacco a Cima-Asso, uno sperone di roccia di 5100 metri a strapiombo sul lago. Di ritorno dalla cima iniziammo a prepararci per il rientro smontando il campo e preparando gli asini ed i bagagli.

Era mattina presto quando ci mettemmo di nuovo in viaggio. La nostra piccola carovana percorreva un sentiero sul lato del fiume opposto al villaggio. Tutti i pastori sembravano dormire chiusi nelle proprie capanne e non c’era nessuno ad assistere alla nostra partenza.

Ero triste senza motivo e fu allora che la rividi. Era lei, con lo stesso vestito di quel giorno, a non più di trenta metri al di là del torrente. In piedi, immobile, ci guardava partire. Mi fermai e la guardai anche io mentre i portatori, gli asini, tutti i bagagli e probabilmente il mondo intero mi sfilavano accanto. Eravamo divisi solo da un fiume ma distanti come due galassie, ma lei era lì, l’unica del villaggio, e mi guardava con la stessa forza e dolcezza di quel giorno. Eravamo così vicini e così distanti ma, innegabilmente, eravamo lì, nello spazio di uno sguardo.

Sapevo che non l’avrei mai rivista, che non avrei nemmeno saputo il suo nome. Sapevo che probabilmente nulla ci avrebbe accumunato, che niente, oltre al essere un uomo ed una donna, ci poteva legare. Eppure, eppure quel giorno mi ero perso nei suoi occhi e forse anche lei,  in piedi silenziosa in un mattino grigio, aveva visto qualcosa nei miei.

Il tempo di un attimo, niente più che uno sguardo, un ricordo indelebile, un’illusione forse. Ogni tanto, dopo più di dieci anni, la mia mente vaga ancora tra le montagne dell’Himalaya in cerca di una ragazza che silenziosamente mi diceva addio.

Così, nel dubbio, la mente vaga, sogna e spera, ricordando quell’attimo, quell’illusione, quella speranza, quell’istante d’infinito ed inspiegabile amore racchiuso in un semplice sguardo.

Davide Valsecchi

Quando un comico non fa più ridere

Quando un comico non fa più ridere

«Il Cavalier Silvio Berlusconi è stato ricevuto al Quirinale dalla controfigura di Umberto II, l’ultimo re d’Italia. La scena nei modi e nella sua rappresentazione è la medesima del 1943, quando a Villa Savoia Vittorio Emanuele III comunicò al Cavalier Benito Mussolini il suo licenziamento.

In entrambi i casi il successore venne scelto dal regnante. Ieri fu Badoglio, adesso è Monti. La caduta del fascismo avvenne per una guerra mondiale persa. Quella del berlusconismo per un disastro economico di livello europeo.I liquidatori furono allora gli angloamericani, oggi i tedeschi e i francesi. Lo spread sopra i 500 punti ha cacciato queste caricature di governanti, di ministri e ministresse, non l’opposizione. Se fosse stato per il Pdmenoelle, questo governo sarebbe durato per sempre.

Un fantasma si aggira per l’Europa, quello del fallimento dell’euro. Il detonatore è l’Italia e il suo debito pubblico che vanno messi sotto tutela prima che sia troppo tardi. Ma è già troppo tardi. Nel frattempo però, come quando un’azienda fallisce, i creditori vogliono recuperare il massimo possibile prima del default italiano. Il Governo Monti ridurrà l’esposizione internazionale del nostro debito. La patrimoniale è cosa già fatta, insieme all’introduzione dell’Ici sulla prima casa e al taglio dei dipendenti pubblici.

Berlusconi è un vecchio zombie, era già morto politicamente nel 2008. Lo resuscitò Waterloo Veltroni, e le opposizioni, per tre anni che sono sembrati lunghissimi, lo hanno protetto in innumerevoli voti di fiducia e regalandogli deputati a piene mani, da Calearo a Razzi, per tacer di Scilipoti.

La Seconda Repubblica volge al termine. Ci ha fatto largamente rimpiangere la Prima. I partiti si sono impadroniti dello Stato e se ne sono nutriti. Chi grida “Elezioni, elezioni!”, non sa di cosa parla, o forse pensa solo alle poltrone. La data delle elezioni è già stata decisa a Washington, Parigi e Londra, con tutta probabilità sarà il 2013.

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale siamo un Paese a libertà limitata con basi americane che presidiano tutta la penisola. Ora siamo stati messi anche ai domiciliari. La politica economica non è più di nostra competenza, ma del FMI e della BCE. Riceviamo lettere dalla UE che sono l’equivalente di ordini, ultimatum.

Mussolini, all’uscita del colloquio con il re, fu caricato su un’ambulanza. Gli venne detto che era per proteggerlo. In realtà, il mezzo era pieno di Carabinieri che lo arrestarono. Ieri sera l’ambulanza non c’era davanti al Palazzo del Quirinale e neppure i Carabinieri. Peccato. Sarebbe stata una degna e appropriata uscita di scena.»

Questo è un articolo pubblicato da Beppe Grillo. Per qualche alieno che non lo conoscesse Grillo è un comico genovese che protesta su tutto e tutti fin da quando ero un bambino. Di solito dice sottili verità che spesso fanno ridere. Da qualche anno a questa parte però non fa più ridere come una volta, forse perchè tristemente le sue verità non sono più così sottili.

Non avrei mai pensato di pubblicare su Cima un suo pezzo ma credo che, dopo le tante “barzellette” dei politici, le parole di un comico professionista siano le più adatte.

Come disse Tremonti: “Suona l’orchestra sul Titanic che affonda…”.
Comincio già a sentier freddo…

Davide Valsecchi

Il ticket della libertà

Il ticket della libertà

I fatti degli ultimi mesi sono colmi di scontri di piazza, di riottose manifestazioni di protesta contrastate dalle forze dell’ordine tra i chiarori dei flash. Confesso che adoro le foto che appaiono sui giornali o sul web: mi affascinano le luci, le fiamme, le ombre, le divise e la drammaticità. Per i fotografi nostrani è fantastico: un comodo “vietnam” domestico senza le seccature ed i moralismi di una guerra con morti veri. La mattina sul “campo di battaglia”, la sera nella comodità di casa propria: periodo magnifico per i reporter.

Però non esageriamo, il Vietnam è un altra cosa ed altrettanto sono le rivoluzioni che sconvolgono il Nord Africa. In Grecia cominciano a far sul serio ma, si sà, i greci sono un 50% ateniesi ed un 50% spartani: per questo sono precipitati nel Default e per questo si faranno massacrare nelle piazze.

In Italia invece si gioca a torello sulle spalle di qualche poveretto che ha parcheggiato facendo attenzione solo al lavaggio strade. Si fa cagnara lasciando che i bambini si rincorrano a “guardia e ladri” mentre gli adulti, resi impotenti e poco lungimiranti dalla scarsa qualità della politica nostrana, si fanno mestamente condurre come pecore in greggi. Il più delle volte vanno al macello cantando e sventolando bandiere mentre i lupi si nascondono nei loro festanti ranghi o li osservano sereni e compiaciuti dai palazzi.

Tuttavia, signori miei, in questi mesi eminenti senatori hanno prostituito il proprio ruolo sotto gli occhi di tutti. In parlamento si pone la fiducia al miglior offerente, nell’emiciclo non paiono esistere più ideali da seguire se non il personale tornaconto. Onestamente come si fa a non essere incazzati? Si aspettavano davvero che nessun “povero cristo” provasse ad entrare nel tempio per rovesciare tale abominevole mercato? Il teatrino si ripeterà forse all’infinito: gente che crede di essere abbastanza disperata o coraggiosa da farsi crocifiggere ce ne è in abbondanza e l’ingordigia dei politici sembra senza fine. No, questo è solo l’inizio.

Roberto Maroni è il ministro dell’interno, è bravo quando fa il tastierista nei Distretto 51 ma non saprei giudicarlo nell’attuale gestione dei tafferugli di piazza. Lui stesso, nel 1998, fu condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Pena che successivamente fu convertita in una multa da 5.320 euro. Forse è per questo che ora sventola questa curiosa idea della “copertura patrimoniale” per poter accedere ad una manifestazione: in pratica se hai i soldi da lasciare a caparra, un paio di migliaia di euro a testa, puoi comprarti il diritto a protestare, se i soldi non li hai conviene tu stia zitto e quieto. Lui i soldi pare li abbia avuti e, visto che ora è ministro, sembrerebbe che furono anche ben spesi.

Una democrazia a sbarramento economico: strana deriva berlusconiana del pensiero leghista che, non più di una decina di anni fa, predicava incredibilmente di attaccare Roma con le baionette:«La lega avanzerà baionetta in canna paese per paese, villaggio per villaggio. Andremo a snidare anche nel profondo sud la partitocrazia!» Parole al vento visto che oggi in parlamento, dopo vent’anni, non solo comandano ancora i partiti ma gli stessi partiti ora non sono più popolati dagli eletti dal popolo ma dai figli, dalle amanti e dai faccendieri dei grandi leader. Partitocrazia ereditaria per uso personale…

Strano paese il nostro. Tutti stanno a guardare i sintomi e nessuno presta alcuna attenzione alla malattia. Come possono trovare la cura? Il paese è ora una gigantesca pentola a pressione al cui interno l’acqua sta andando in ebollizione. Tutti si preoccupano di zittire il fischio della valvola quando dovrebbero invece tentare di spegnere il fuoco. La valvola sta fischiando ma non è ostruendola che si eviterà l’esplosione. Tuttavia, sinceramente, credo che quelli che ci stanno svuotando la dispensa questo lo sappiano benissimo: per questo si affrettano!

I leghisti hanno predicato per anni che avremmo dovuto essere pronti a ribellarci agli abusi ed alle ingiustizie di uno stato disonesto e corrotto, essere pronti a schierarci contro i politici conniventi e spregiudicati che tengono in ostaggio il nostro futuro. Forse non sapevano affatto di cosa stessero parlando ma credo che la gente, da nord a sud, abbia ora davvero iniziato a dargli retta.

Questa è l’Italia, un paese di poeti, cialtroni ed avventurieri. Staremo a vedere…

Davide Valsecchi

«Abbiamo il dovere morale di liberare il nostro popolo da questa Italia schiavista. Il potere colonialista imbecille non capisce che il popolo aspetta solo il momento per attaccare, e quel momento verrà.» U.Bossi 2007 – Ministro per le riforme istituzionali.

The Big  Louise

The Big Louise

Mentre lavorava all’ospedale psichiatrico di Rhode Island durante il proibizionismo, Erickson venne a sapere di una paziente violenta conosciuta con il nome di Big Louise. La Grande Louise era infatti alta uno e novanta. Aveva lavorato in un bar clandestino come buttafuori. Il suo hobby preferito era stato camminare per la città di Providence alla ricerca di qualche poliziotto solo. Dopo averlo braccato lo picchiava, spesso gli rompeva un braccio o due e quindi lo spediva all’ospedale. Esasperato il capo della polizia portò Louise in tribunale dove fu riconosciuta insana di mente e pericolosa per gli altri.

A Louise non piaceva l’ospedale psichiatrico. La sua rimostranza era: “non voglio stare rinchiusa con una manica di matti!!”. Una volta al mese si scatenava e distruggeva il reparto. Prima di incontrare Erickson l’unico trattamento era quello di mandare 20 infermieri che potessero essere più forti di lei. Alcuni di loro finivano con qualche braccio rotto. Vi erano inoltre le spese per i danni provocati. Dopo che veniva bloccata, un’infermiera le faceva un’iniezione con un forte tranquillante, uno di quelli che fanno venire il mal di stomaco. Secondo Erickson la nausea creata dal farmaco era tale che le faceva vomitare tutto quello che aveva mangiato durante l’anno. Dopo aver ricevuto il farmaco lei veniva rinchiusa in una delle celle d’isolamento con nient’altro che un materasso. Lei rompeva sempre il materasso aumentando così l’ammontare dei danni.

Dopo aver ascoltato i dettagli, Erickson si presentò a Big Louise e le disse che desiderava una gentilezza da parte sua. La richiesta era che prima della prossima sfuriata lei si sarebbe seduta vicina a lui, su una panchina e che avrebbero parlato per 15 minuti. Lei rispose con sospetto e disse: ”mentre i o parlo con te gli infermieri verranno e mi bloccheranno”. Erickson rispose con serietà: ”se tu ti siedi vicino a me e mi parli,  mi assicurerò personalmente che nessuno, assolutamente nessuno, interferisca con te”. Lei un po’ riluttante accettò.

Un giorno Big Louise chiamò Erickson. Quando Erickson entrò nel reparto Big Louise stava camminando su e giù di fronte alla panchina. Erickson si sedete e lei sedette al suo fianco e chiese “intendi chiamare l’orda di infermieri perché mi blocchino?” Erickson disse “no Louise, voglio solo parlare con te. Dopo 15 minuti tu puoi fare tutto quello che ti pare. E io personalmente farò in modo che nessuno interferisca con te”.

Erickson era da poco nel New England così cominciò a parlare con Big Louise della primavera in New England. Louise continuava a guardare la porta del reparto. Dopo circa dieci minuti Erickson diede un segnale ad un’infermiera. Improvvisamente una decina di studentesse infermiere entrarono nel reparto. Stavano ridendo come se si divertissero moltissimo. Una delle infermiere afferrò una sedia e la scaraventò contro la finestra del lato sud del reparto. Un’altra afferrò  un’altra sedia e ruppe tutte le finestre del lato est del reparto. Quattro infermiere si avventarono su un tavolo e  ruppero tutte e quattro le gambe. Un’altra andò verso il telefono, strappò il filo dal muro e ruppe il ricevitore. Si stavano divertendo tantissimo. E Big Louise implorava: “ragazze, per favore smettetela, non fatelo. Non dovete fare così”. Non sopportava di vedere altri che si comportavano come lei era solita comportarsi. Dopo che le infermiere finirono, si rivolse a Erickson e disse “per favore dottor Erikson non mi faccia più questo scherzo”. Erickson rispose “io ti prometto che non lo farò più se tu non lo rendi necessario”.

Dopo due mesi Big Louise andò da Erickson e gli disse: “dottor Erickson puoi trovarmi un lavoro alla lavanderia dell’ospedale?” Erickson disse “tu vuoi un lavoro alla lavanderia dell’ospedale. Rompevi mica male le cose i primi tempi che eri qui. Io ti darò un lavoro in lavanderia se ti impegni a comportati bene”. Louise era disperata “farò qualsiasi cosa pur di uscire da questo reparto pieno di matte”. Erickson mandò Louise alla lavanderia dell’ospedale dove fece un ottimo lavoro. Dopo due mesi fu dimessa come paziente ed assunta come impiegata (Erickson, 1980)

Riferimenti:
(testo: tratto dagli aneddoti clinici di Milton H Erickson tradotti dalla dottoressa Consuelo Casula nel testo “Speranza e Resilienza”)
(foto: dettaglio di Brassaï America Photography, Easter Parade New York 1957)

 

In mezzo scorre il fiume

In mezzo scorre il fiume

Mio fratello stava davanti a noi, non sulla riva del Grande Fiume Piede Nero ma sospeso sopra la terra… libero da ogni regolamento, era un’opera d’arte.

Ed con altrettanta certezza e senza alcun dubbio capii anche che la vita non è un opera d’arte e che quel momento magico non sarebbe durato.

Perciò quando il sergente della polizia mi svegliò una mattina, prima che Jessie e io partissimo per Chicago, mi  alzati e non feci domande. Mi riaccompagnò a casa passando lungo il fiume così che io potesssi raccontare a mio Padre e mia Madre che Paul era stato colpito a morte con il calcio di una piastola e che il suo corpo era stato abbandonato su un viale.

“C’è qualcos’altro che puoi dirmi?” mi chiese mio padre “Quasi tutte le ossa della sua mano erano rotte.” Risposi.“Quale mano?” chiese ancora, “La mano destra.”

Col passare del tempo, mio ​​padre lottò più volte con se stesso per non chiedermi di contiuo se gli avessi detto tutto. Infine gli dissi “Forse tutto quello che realmente so di Paul è che era un magnifico pescatore”. “Sai dell’altro…” disse mio padre. “Era bellissimo” aggiunsi.

Quella fu l’ultima volta che parlammo della morte di mio fratello. Indirettamente, però, Paul era sempre presente nei pensieri di mio padre. Mi ricordo l’ultimo sermone che ascoltai non molto tempo prima della sua morte:

«Ognuno di noi, in un momento della propria vita, si troverà davanti bisognoso d’aiuto qualcuno che ama e, nel farlo, si porrà inesorabilemente la stessa domanda: “Sono disposto ad aiutare, Signore, ma come se è così grande il suo bisogno?”

Poichè è vero: non riusciamo ad aiutare quelli a noi più vicini, e non sappiamo quale parte di noi stessi sia meglio donare o molto più spesso quello che decidiamo di donare non è ciò che serve, non è ciò che vogliono.

E così sono coloro con cui viviamo e che dovremmo conoscere meglio coloro che ci sfugguono maggiormente, coloro che non capiamo. Ma possiamo ancora per amarli. Possiamo amare completamente anche senza comprendere fino in fondo.»

Ora quasi tutti quelli che ho amato e che non ho compreso nella mia giovinezza sono morti. Anche Jessie. Ma cerco ancora di essere vicino a loro.

Certo, ora sono troppo vecchio per essere un buon pescatore. Di solito vado a pesca da solo anche se alcuni amici dicono che non dovrei farlo. Ma quando mi trovo solo, nella penombra del canyon, tutta la mia esistenza sembra fondersi con la mia anima, con i mei ricordi, con i suoi del grande fiume Piede nero, con un ritmo scandito da quattro tempi e con la speranza che un pesce abbocchi.

Alla fine, tutte le cose si fondono in una sola e in mezzo scorre il fiume. Il solco del fiume fu tracciato dalla grande alluvione del mondo e scorre sulle rocce dall’inizio dei tempi. Sopra alcune rocce brillano gocce di pioggia senza tempo. Sotto le rocce si trovano le parole e alcune delle parole sono le loro.

Sono ossessionato dalle acque del grande fiume.

Davide Valsecchi

Traduzione dalla novella di semi-biografica di Norman Maclean “A River Runs Through It” e dall’omonimo film di Robert Redford.

I piqueteros della Vallassina

I piqueteros della Vallassina

Salta Sondrio ma qui in Vallassina tremano Lasnigo, Caglio, Civenna, Sormano, Magreglio, Barni e Rezzago!!

Improvvisamente il Paese Italia si è riscoperto in uno stato d’emergenza: da un giorno all’altro siamo diventati una specie di nuova Argentina, un paese costretto a manovre di salvataggio che pare il Titanic tra gli iceberg.

E badate: l’esempio del Titanic non l’ho citato io ma il Ministro all’Economia che, in modo curiosamente tragico, dava per assodato lo schianto e lanciava ombre ancora più tetre sulle infauste ed inique scialuppe del transatlantico: “è come sul Titanic: non si salvano neanche i passeggeri in prima classe”.

Il Titanic è affondato per mancanza di lungimiranza, non aveva infatti un radar per anticipare i pericoli, e la gente morì perchè non c’erano sciualuppe per tutti coloro che avevano pagato il biglietto, ma solo per quelli di prima classe.

L’Argentina è affondata perchè la sua classe dirigente, avida e corrotta oltre ogni limite, aveva piegato il paese con l’equiparazione peso/dollaro, con il commercio illegale di armi e droga, con la corruzione e la privatizzazione dei beni dello Stato.

La popolazione finì in miseria, la principale causa di morte divenne la denutrizione ed il paese sprofondò nel “default” che coinvolse anche altri paesi (i bond argentini).

Nonostante questo i politici restarono ben saldi al loro posto perchè, contrariamente a quanti si dice, certi topi non abbandonano la nave quando affonda. Solo una violenta rappresaglia civile invertì l’ordine delle cose. Un disastro immane che ancora oggi ha lasciato profode ferite nella storia e nella vita dell’Argentina.

Ieri guardavo sul web un documentario sui fatti accaduti tra il 1999 ed il 2002 (diario del saccheggio), aspettavo che i media raccontassero dell’incontro del Consiglio dei Ministri Italiano mentre ero agghiacciato dalle spaventose similitudini.

Saltano le Provincie, salta Lodi e salta Sondrio. Stento a credere come un territorio ampio al pari  quello di Sondrio, 3.211 Km² di valli e montagne, potrà essere smembrato tra le Provincie di Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Trento e Bolzano. Non ho i idea di come reagiranno i Valtellinesi a tutto ciò.

Anche in Vallassina tutto pare sul punto di cambiare:  Lasnigo, Caglio, Civenna, Sormano, Magreglio, Barni e Rezzago paiono condannati ad un futuro che li vedrà accorpati, uniti se non addirittura inglobati da altri comuni.

Ho riflettuto spesso su un’ipotesi simile, valutandone i pro e contro. Ma oggi siamo in crisi, oggi siamo in emergenza, ogni unione non nasce da una volontà comune ma da un dictat dall’alto. Non c’è la liberta di concordarne i modi o i tempi, di coinvolgere la popolazione, di creare un graduale passaggio. No, pare saranno spazzati via in virtù di un bene superiore a cui ormai credono in pochi: come gatti furiosi saranno chiusi in un sacco e bastonati fino a quando non diverranno quieti.

Qualcuno, come al solito, mi darà del comunista ma è vero altresì il contrario: più allontaniamo il potere dalla gente e meno ognuno di noi conta come individuo. Non voglio che sia la massa (e chi la manipola) a prendere le decisioni per me.

“Padroni a casa nostra”, “Il mio cuore gronda sangue”: quando si abbandonano agli insulti o ai gestacci  appaiono decisamente meno osceni di quando indossano la maschera del politico onesto…

Davide Valsecchi

Tutto questo accade all’alba di Ferragosto quando ogni scritto, ogni commento, ogni reazione sarà blandito dal ponte e dalla calura estiva. Quando leggerete questo scritto, probabilmente, tutto avrà già avuto inizio…

Grazie per gli Aurguri!

Grazie per gli Aurguri!

Grazie per gli auguri! Oggi mi sono svegliato più “aziano” in un uggioso giorno d’autunno scivolato, chissà per quale motivo, tra l’estate d’Agosto. Pare sia bel tempo ovunque ma qui in Vallassina non la smette più di buttar giù acqua. Ci regalerà il cielo un po’ d’azzurro? Io le candeline le ho soffiate!!

Ancora grazie e buon estate a tutti!!
Davide

Il Merlo (Turdus merula) raccontato nel 1869

Il Merlo (Turdus merula) raccontato nel 1869

In questi giorni sto trafficando su un sacco di cose: fermo al mio campo base a Scarenna approfitto del tempo a mia disposizione per ricerche e piccoli sviluppi.

Tra queste vi è una pila di libri molto vecchi che hanno catturato la mia attenzione e che mi sono stati affidati da un amico. Questi libri spesso hanno oltre cento anni di vita e sono tutti dedicati agli animali ed alla tradizione venatoria degli anni in cui furono stilati.

Quello che sto studiando ora è un libro che risale al 1869 ed è la traduzione in italiano di alcune dispense realizzate dal dottor Gloger Constantin Wilhelm Lambert (1803-1863), uno zoologo ed ornitologo tedesco tra i più noti dell’epoca.

Il libro è dedicato agli uccelli ed in particolare a quelli che potevano portare benefici all’agricoltura in cui, si legge nella prefazione, “…sta l’avvenire economico e la prosperità dell’Italia”.

Così, su questo libro che ha ormai quasi 150 anni, leggiamo ad esempio che i merli apparttengono al genere Tordo (Turdus) e che come tali sono “…agili uccelli di mezzana grossezza, con penne lisce, becco dritto, conico e compresso; la coda è più lunga delle ali e le dita ben provvedute di artigli. Tutti sono esclusivi abitatori di boschi; alla primavera mangiano insetti, vermi e lumache, nell’autunno qualche frutto”.

I due traduttori, i dottori Baroffio e Pretti, si impegnarono anche in una ricerca dei nomi vernacoli in uso nelle varie parti di Italia. Del merlo riportano, sempre riferendosi a quanto in uso nel 1869, i nomi dialettali: Veneto Merlo – Lombardo Merlo – Romagnolo Merel – Siciliano Merru – Sardo meridionale Muerra – Sardo settentrionale Merula – Napoletano Mierulu.

Tra i 49 uccelli descritti ho scelto quello che è i più comuni sui nostri alberi e che è facilmente riconoscibile per il piumaggio nero: il merlo appunto. Per meglio farvi comprendere vi riporto qui una porzione del libro.

Descrizione: – Corpo nero con becco giallo nel maschio; femmina ed i giovani sono di colore bruno con macchie grigio chiare al petto e becco bruno. Costumi: – E’ vivace, allegro, ma straordinariamente diffidente. Il maschio in primavera è un abile cantore. Quando s’appaia nidifica nelle folte boscaglie; la femmina depone da 4 a 6 uova; per l’educazione della prole i genitori fabbricano un secondo nido. Nutrimento e soggiorno: Trovansi nei luoghi boschivi ed umidi. Cercano il loro nutrimento nei cespugli, nelle siepi, sono avidi scpecialmente di lombrichi e vermi di ogni sorta, crisalidi e lumache; mancando questi non rifiutano i frutti dolci, come ciliegie, ecc. Utilità: – La cultura forestale riceve grandi benefizi da questo uccello, ad onta che talvolta si nutra anche di sostanze vegetali.

La vita di un libro è di per se affascinante ed osservare come fosse diverso il linguaggio (trovansi nei luoghi boschivi ed umidi) ci riavvicina al nostro passato e lo fa parlando di qualcosa che ancora saltella sui rami appena fuori casa e con cui possiamo tutt’ora confrontarci.

Tra le mani ho un libro un libro orginariamente in tedesco, poi tradotto e stampato a Firenze nel 1869 e successivamente acquistato nel 1957 presso una libreria di Bologna ed arrivato ad Asso per posta al costo di Lire 1100 comprensivo di Lire 100 di spedizione. A conferma di questo viaggio è allegata ancora la fattura con tanto di Marca da bollo di Lire 2 e recapito telefonico, a cinque cifre (33.309), della libreria.

Il fascino di questi libri del passato e l’attenta cura con cui sono stati conservati dal loro propietario mi hanno coinvolto e per preservane la testimonianza ed il ricordo e per questo sto, piano piano, provvedento a catalogarli al meglio delle mie competenze.

Chi volesse conoscere di più su questi libri, sulla loro storia e su quanto riuscirò a scoprire su di loro, può seguire la mia piccola avventura tra i libri nello spazio web che ho da poco realizzato ed ancora tutto in costruzione: libridicaccia.blogspot.com.

Ringrazio ancora l’attuale proprietario dei libri per avermi dato la possibiltà di studiare queste preziose testimonianze del passato.

Davide Valsecchi

Un ringraziamento anche a Paolo, mio padre, che colma le mie ampie lacune sugli animali con la sua decennale esperienza. L’uccello sulla copertina è ovviamente (per lui) una pavoncella.

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