Year: 2013

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Sparso e Confuso Tour 2013

Sparso e Confuso Tour 2013

«Nella pazzia disorientante del respiro della locomotiva corre l’eterno perdente: punta dritto alla sua morte. Sente i pistoni che raschiano, il vapore che lo colpisce in fronte. Il vecchio Charlie ha rubato la manopola ed il treno non si fermerà: non c’è modo di rallentare.

Vede i propri figli scendere alle stazioni, uno dopo l’altro. La sua donna ed il suo migliore amico che si divertono a letto. E lui si trascina per il corridoio, sulle sue mani e sule ginocchia. Il vecchio Charlie ha rubato la manopola ed il treno non si fermerà: non c’è modo di rallentare.

Sente il silenzio che ulula: prende al volo gli angeli che cadono, ma l’eterno vincente ha preso lui per le palle. Raccoglie la Bibbia di Gedeone ed apre a pagina uno. Credo sia Dio, credo che sia lui ad aver rubato la manopola. Ed il treno non si fermerà, non c’è modo di rallentare.»

Come ogni anno interrogo “cima” chiedendo “Cosa è successo quest’anno?”. Prendo le immagini di copertina di ogni articolo che ho scritto e monto il tutto in un breve filmato. Il guaio è che il destino ha voluto lo facessi dopo una full immersion nei “Jethro Tull” e dopo aver rivisto “Runaway Train”(A trenta secondi dalla fine).

La parabola che ne è uscita è illuminante, un misto di esaltazione e rammarico.

“Non c’è belva tanto feroce che non abbia un cuore e qualche senso di pietà. Ma io non ne ho alcuno, sicché non sono una belva.” Sono in fuga dalla mia prigione, in piedi sul tetto della furiosa locomotiva che è la mia vita. A volte il cuore si riempie di paura e dubbio, ma la maggior parte del tempo urlo come un folle allegro nel vento, nel vento che si schianta sulla mia faccia. Vedo amici ed  amanti volare via, vedo i miei abiti ridursi a brandelli ed il mio volto irrigidirsi in una maschera spaventosa.

Ho gettato la maniglia del freno e non ho intenzione di rallentare: questo è un treno che non si può fermare, questa è la mia sola gioia, la mia sola libertà!

Ci si vede nell’anno nuovo!

Davide “Birillo” Valsecchi

Annuario 2013

Annuario 2013

Mentre la pioggia cade copiosa sull’abbuffata natalizia non resta altro che rivangare il passato recente. Quest’anno, alpinisticamente, è stato davvero uno spettacolo: mentre faccio un po’ di bilanci non posso che rimanerne ancora stupito! Su tutto troneggia quanto fatto nell’arrampicata, soprattutto perché erano dieci anni buoni che non infilavo più le scarpette.

Quest’anno infatti ho ripreso ad arrampicare e, lo confesso, all’inizio ero piuttosto titubante. La maggior parte dei miei soci avevano un livello estremamente superiore al mio e dovevo recuperare sia nella tecnica che nella forma. Ricordo con un sorriso le prime salite al gruppo dei Pilastri ai Corni e la brama con cui osservavo la parete Fasana.

Poi un giro in libera sulla Crestina OSA insieme a Simone e qualche altro esperimento alla Falesia di Scarenna mentre sostituivo i pezzi dell’equipaggiamento ormai vecchi di oltre quindici anni.

La svolta è però arrivata quando a giugno ho iniziato a fare coppia con Mattia che, tra noi, è un fuori-classe! Mattia ha avuto la pazienza di addestrarmi dandomi modo di recuperare il tempo perso. Qualche uscita insieme all’Angelone, all’anti-medale ed alla falesia del tramonto, poi battaglia dura ai Corni di Canzo!

Già, quest’anno è iniziata “La Riconquista dei Corni”. Con il naso all’insù ci siamo avventurati nella storia attraverso le grandi pareti dimenticate dei Corni di Canzo. La via Fasana, la via Criss, la via Attilio Piacco: ecco lo strepitoso tris del Corno Centrale. Davvero non avrei potuto sperare di ottenere così tanto in così poco tempo!

A queste vanno aggiunte la via del Camino al Gruppo dei Pilasti, la via del Camino alla Torre Desio, Attenti a Quei Due (sia normale che nella variante SEM, sia estiva che invernale). Mentre, solo per via della neve, è mancata la possibilità di tentare anche le vie del Corno Orientale.

Oltre a dare battaglia sulle vie dimenticate dei Corni abbiamo avuto l’occasione di ripetere alcune strepitose classiche: la Cassin al Medale, la via Lunga al Dito Dones, la Fasana al Sigaro Dones, lo Spigolo Dorn ai Maniaghi (tutte alle porte dell’inverno).

In sette mesi una vera abbuffata costellata da rocambolesche avventure (il temporare sulla Criss o il recupero dall’alto sull’Attilio Piacco!) Non posso che esprimere un sentito e doveroso ringraziamento a Mattia: «anche se non c’è modo di farti desistere, nemmeno quando sarebbe ragionevole farlo, è stato uno spettacolo arrampicare con te quest’anno, grazie!»

Il 2013 è stato però davvero intenso anche su altri fronti. All’inizio dell’anno, insieme a Giovanni e Franco, si è bighellonato in alta quota. In realtà le cime raggiunte non sono state moltissime ma le esperienze fatte sono state piuttosto curiose. Dai quattro giorni bloccati dalla bufera alla Capanna Margherita , al Bernina in mezzo ai pazzi: gente e sassi che volavano da tutte le parti!! La lista delle salite è: Cassandra, Strahlhorn, Monte Rosa, Bernina.

Sul fronte delle ferrate va aggiunta (finalmente) la via Ferrata del Monte Coglians in Friuli ed alcune salite in invernale nel nostro territorio.

Il 2013 è anche il mio primo anno nell’ambito della speleologia e da neofita non posso che essere soddisfatto di quanto fatto: Zelbio, Fornitori, Nicolina, Grotta di Lino, Area58, La Fusa. Inoltre mi ha fatto davvero molto piacere vedere un mio articolo pubblicato su “Q4000”, l’annuario del Cai Erba: non vedo l’ora che lo Speleo Club Erba riprenda i corsi per aggregarmi nuovamente alla compagine di inarrestabili scalmanati!
(Il gruppo Speleo mi ha dato davvero molto! Grazie!)

Quest’anno ho percorso il “Grand Tour” solo una vola sola, in invernale a Febbraio, ed ho fatto davvero  pochi trek lunghi sul Lario a conferma di come questo sia stato un anno “più tecnico”. A tutto questo va aggiunto in coda anche il trek di 5 giorni di  “stile alpino” all’Etna dove mi sono goduto tanto l’esplorazione quanto il “campeggio”: mi piace andare a zonzo in totale libertà!

Direi che andata bene, posso davvero essere contento. Un grazie a Mattia, Simone, Giovanni, Stefano, Luca, ai “Veterani” Renzo e Franco, al Gruppo Speleo ed ai membri della “Squadra”: è stato un privilegio fare cordata con voi!

Davide “Birillo” Valsecchi

«Attenti a quei due»: prima ripetizione invernale

«Attenti a quei due»: prima ripetizione invernale

mattia-attenti_a_quei_due-invernaleCi ritroviamo sotto la Parete Fasana con il naso all’insù: è il 21 Dicembre, primo giorno d’inverno. «Sarebbe la prima ripetizione assoluta in invernale, ma hai visto come è ridotta?! Cola acqua da tutte le parti!!» Attorno a noi è tutto coperto di neve, una pioggerellina mista a neve sembra rinforzare. Nello zaino abbiamo tonnellate di materiale ma tutto sembra esserci contro. «Sarebbe davvero strepitoso riuscirci, la via la conosciamo, le soste sono vecchie ma buone, però…  però  infilarsi in quell’oceano in questi condizioni sarebbe davvero da stronzi. Già, davvero da stronzi. Questa è la nostra parete: dobbiamo solo aspettare che non piova. Non possiamo mancarle di rispetto violentandola così: ci ha già preso a calci in passato!»

Restiamo in silenzio un attimo. Poi decidiamo «Facciamo un regalo di Natale a Renzo e Giorgio, facciamo la prima invernale di Attenti a quei due!!» La via che i due veterani hanno aperto due anni fa ha un passaggio tosto di 6a ma è attrezzata alla perfezione e, salvo alcuni tratti dove la roccia è friabile, è completamente protetta.

Ci spostiamo sul Corno Occidentale ed attacchiamo. Il freddo alle mani è violento, i guanti si inzuppano e non resta che procedere senza mentre la roccia sembra mordere le dita. Alla prima sosta Mattia infila le scarpette e comincia a lavorare in aderenza sulla roccia bagnata.

Le dita non mi si scaldano, il dolore sembra travolgermi mentre inutilmente cerco di rimediare. Nella mia testa urlano mille maledizioni e recriminazioni che si trasformano in rabbia. Perché? Perché sono appeso quassù? Perché faccio questo a me stesso? Perché tanta sofferenza? Il mio mondo si incrina e a due mani colpisco la roccia urlando in silenzio. No, dannazione! No!

L’ultima volta che una cosa simile mi era successa ero a seimila metri in India, quella volta mi si erano congelati i guanti: dolore e paura avevano raggiunto nuovi primati quella volta. Il ricordo non aiuta affatto. La crisi dura un istante, probabilmente Mattia nemmeno se ne accorge. Poi, rapida come era arrivata, se ne và, morendo in un respiro più profondo: le mani tornano mie così come il coraggio. La mente è il motore, il resto è un optional.

Riparto, scavalco il traverso ed appeso alle clessidre risalgo fino alla sosta successiva. Arrampico con gli scarponi: ad ogni movimento mi domando stupito come i Grandi abbiamo potuto fare così TANTO in simili condizioni!

Il terzo tiro è la placca a graspoli. Mattia lavora in artificiale fino al passaggio chiave oltre la placca. Lì non c’è nulla da tirare e tutto è invaso da una viscida patina bianca. Trattengo il fiato mentre prova il passaggio. Due movimenti morbidi e Mattia è passato. Si ferma e ride a fiato corto: è stata dura anche per uno come lui!

Sulla placca mi tiro su di braccia sfruttando i fix, gli scarponi scivolano e sgambetto come un cartone animato.  Nel passaggio chiave sono nei guai. Non ho nulla da tirare, le prese “buone” sono tutte in alto e di alzarmi con i piedi non c’è  modo. Faccio un paio di tentativi ma sono inchiodato al fix. «Dannazione, non riesco a passare!» Inizia a piovere per davvero. Devo fare qualcosa. «Fanculo… tieni che provo fuori via!» Mi sposo sulla destra fino a raggiungere un crinale. Mi appendo ad alcune lame e mi tiro su fino ad un cengia dove un “coccodrillo” di roccia inizia a ballare sotto le mie mani! «oh cazzo… Okkio che pascolo in mezzo alla schifo!» Accarezzo il coccodrillo sperando si acquieti mentre mi sposto di nuovo verso sinistra rientrando in via sopra il passaggio chiave.

«Cazzo, cazzo, cazzo!!» Attacco la longe in sosta e tiro fiato. Sistemo il reverso e Mattia riparte. Mancano due tiri, dovrebbero essere facili ma il destino non vuole darcela vinta. Mattia, con il suo tocco morbido, appoggia la mano sotto il diedro su un melone di roccia che inizia a dondolare (chiunque altro avrebbe fatto il disastro!). Il gelo ha trasformato gli equilibri rendendo gli incastri instabili. «Occhio, questo balla e soprattutto non so cosa tien sù! Provo a passare ma ho paura di prenderlo dentro con lo zaino. Occhio!» Direttamente sopra di me c’è una massa informe di sassi incastrati che, dondolando, mi salutano dall’alto: se quella roba parte io sono fottuto, davvero fottuto!

Mattia passa oltre il diedro, chiama la sosta ed inizia a recuperami. Avanzo tra roccia, neve e terra sfruttando il Vibram degli scarponi. Tiro un respiro e scavalco le rocce traballanti infilandomi in una fessura sulla sinistra. Mi incastro nel diedro con lo zaino e letteralmente striscio all’indietro su un piccolo terrazzo. Allungo le mani e mi raddrizzo puntando i piedi ed attaccandomi al rinvio. Mentre lo faccio il terrazzino su cui stavo cede di botto, mi ritrovo a penzoloni appeso al rinvio mentre una scarica di sassi grandi come palloni da basket rimbalza sulla parete centrando gli alberi sottostanti. Spavento non è il termine adatto…

«Hey, smettila di demolire la via!» mi sfotte allegro Mattia dalla sosta. Il tiro successivo è un altro passaggio sullo sfasciume e poi, finalmente, la cresta: siamo furi. Abbiamo attaccato alle 10 e mezza, siamo usciti entrambi alle 14.

La cresta è piena di neve ma ormai tutto è alle nostre spalle. La paura, la fatica, il freddo: tutto è rimasto sulla parete,  con noi solo uno strano tepore nel profondo nel cuore.

Buon Natale!

Davide “Birillo” Valsecchi

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Frozen Swiss

Frozen Swiss

Uno dei migliori compagni d’avventura con cui mi capita di infilarmi nei guai è mio Padre: il “vecchio” ha una tonnellata di stile, è assolutamente imprevedibile e nonostante abbia passato da poco i 60 è ancora terribilmente tosto, tanto nel camminare quanto nel bere!

Nel Week-End, io ed lui, siamo andati a far visita ai nostri parenti in Svizzera aggregandoci a mio cugino Marcus ed ai Cacciatori di Amriswill. A due passi dal lago di Costanza ci siamo sparati tre giorni a spasso nel “Wald”, la foresta. Mentre in Italia regnava il sole sull’altro lato delle Alpi imperversava la nebbia ed il gelo rendendo lo scenario davvero suggestivo sebbene fossero settimane che non nevicava.

Eccovi qualche foto. Questa è il tipo di avventura troppo “impegnativa e compromettente” per poter essere raccontata 😉

Davide “Birillo” Valsecchi

Prima volta in Grignetta

Prima volta in Grignetta

La squadra è dispersa, inghiottita dal periodo natalizio: c’è chi è costretto a lavorare anche la domenica, chi è precettato dalla morosa o chi, come Gianni, si sta dando fa fare per organizzare la consueta fiaccolata natalizia.

Così, ancora una volta, la squadra si riduce ad un duo e mi diverto un po’ ad alzare il livello. Questa volta tocca a Maurizio, un altro “piccolo” del nostro gruppo. La meta è la Grignetta: vera e propria cattedrale dell’alpinismo locale e probabilmente mondiale.

“Mav” non è mai salito in cima alla “Sentinella”, questa è la sua prima volta. Per questo, studiando il sole e la neve, decido di proporgli un bel tour completo. Partendo dai Resinelli percorriamo la Direttissima (che fu tracciata originariamente da Fasana) risalendo attraverso le guglie fino al Canale Angelina. Visto che il canale non è invaso dalla neve decido di risalire da qui, puntando ad incrociare il Sentiero Cecilia: questo tratto di salita, spesso su placche, è davvero divertente.

Fino ad ora abbiamo avuto la fortuna di camminare a favor di sole ma l’ultimo tratto, quello che risale fino alla cresta Cermenati, è all’ombra e per questo invaso da neve ghiacciata. Una vecchia traccia ha reso il sentiero una specie di insidiosa scala gelata ma Mav se la cava bene ed anche senza ramponi (che cmq abbiamo nello zaino) risaliamo senza problemi.

Sulla Cresta un via vai di gente che discende dalla cima affrontando l’ultimo tratto innevato. Poi su, al bivacco Ferrario a guardare il panorama! La gente ci guarda in modo strano e borbotta quando passiamo. “Ce n’è di gente strana in giro!”. Mi fermo un attimo squadrandoli e cercando di capire che accidenti abbiamo da discutere. Poi capisco.

Il mio socio è un colosso biondo di un metro e novanta con il quarantasei di piedi. Ma oltre a questo ciò che lo rende davvero curioso è che ha sempre caldo in modo quasi cronico. Attorno a noi è tutto coperto di neve e quelli sulla cima, avvolti nelle giacche, cercano al sole riparo dal vento e dal freddo. Il mio socio, che sembra un vichingo, invece è allegramente in maglietta a maniche corte con un compiaciuto sorriso stampato in faccia. (Grande Mav!)

D’inverno il tempo corre e per questo ci affrettiamo a scendere: puntiamo all’uscita del Canale Federazione discendendo il tratto attrezzato con le catene. La roccia è incrostata di ghiaccio ma il mio socio se la cava bene e, sebbene lo tenga d’occhio con la consueta apprensione, non mi da motivo di preoccuparmi.

Nuovamente sulla Cresta raggiungiamo i Maniaghi e scendiamo per il saltino del Gatto. Qui,  dopo aver lasciato alle spalle tutti i tratti più impegnativi, ci sediamo finalmente al sole a mangiare un boccone. “Non male la Grignetta, vero? Ce n’è di roba da vedere!”.

Rimane che scendere fino alla piazzola dell’elicottero, tagliare il canalone Porta ed attraversare i prati fino a ricongiungersi al Cermenati. Una birra ai Resinelli ed anche questa “prima” è archiviata con successo e soddisfazione!

Davide “Birillo” Valsecchi

Corno Orientale: il gigante silenzioso

Corno Orientale: il gigante silenzioso

Dei tre Corni di Canzo è  quello che spesso viene considerato il meno importante, quello più “facile”. Sulla sua sommità, a poco più di 1230 metri di quota, è posta una grande croce raggiungibile comodamente seguendo un pianeggiante sentiero che parte dal rifugio SEV. Dopo aver superato l’imponente spettacolo della Parete Fasana ed il gruppo dei Pilastri, raggiungere la cima del Corno Orientale sembra davvero poca cosa. Sui versanti Ovest e Nord Ovest sono infatti presenti diversi facili sentieri.

Anche per noi, che proveniamo della Vallassina, il Corno Orientale è spesso poco più che un “piattone” posto ad Est dei due Corni. Spesso ne apprezziamo il valore solo risalendo dal Corno Rat per affrontare la traversata integrale dei quattro Corni. Anche in questo caso ci si avventura per lo più lungo il tratto attrezzato della propaggine rocciosa che affianca il Corno Orientale più che sul Corno vero e proprio.

Vi è un lato, un anima nascosta, del Corno Orientale che il più delle volte non è visibile e che per le sue caratteristiche è spesso trascurata se non addirittura temuta. Posta al buio dei versanti Nord e Nord Est vi è la grande parete, un’odissea di roccia liscia e strapiombante che si innalza dal ghiaione per quasi 260 metri (praticamente due volte la parete Fasana!).

E’ una parete che affascina e spaventa dove in passato sono state tracciate principalmente solo ardite vie in  artificiale che i pionieri affrontavano armati di staffe e chiodi a pressione.

Domenica scorsa, seguendo nella neve le tracce del mio socio  Mattia che mi aveva preceduto di qualche giorno, mi sono avventurato sotto la grande parete per “toccare con mano” la natura indomita di quel tratto di roccia. Con me c’era Andrea che, probabilmente, non è riuscito a comprendere a pieno perché all’improvviso abbia iniziato a comportarmi come un bambino la mattina di natale.

Ai piedi della parete c’era una distesa di stalattiti di ghiaccio infrante. In molti punti la parete infatti si fa strapiombante e l’acqua che cola dai tetti si trasforma in canne di ghiaccio che, con i primi raggi del mattino, si lanciano nel vuoto precipitando verso il basso.

Eccitante, davvero eccitante. La parete è liscia e strapiombante, percorsa solo in alcuni punti da bellissime spaccature che, tuttavia, sono raggiungili solo dopo aver superato placche all’apparenza impossibili. Se la Fasana era caratterizzata da alte increspature di roccia sormontate da una gigantesca onda, la parete Nord del Corno Orientale è un mare in tempesta in cui bordate paiono arrivare da tutte le parti!!

In quell’oceano Pietro Paredi ha tracciato una via dedicata a mio nonno, Luigi Paredi: con il naso all’insù verso la roccia grigia non posso che ascoltare il richiamo di famiglia.

Ma se le placche sono un rebus tutto da risolvere sul versante NE si innalza il bellissimo diedro della “Via Dell’Oro”, via tracciata nel 1939  proprio dai due fratelli Dell’Oro, Pierino e Darvino. Lasciatoo Andrea in un punto sicuro e mi sono arrampicato per un canale: trovare la piastrina che ne segna l’attacco è stato come trovare il bandolo della matassa, l’inizio di una nuova avventura.

L’inverno, la roccia viscida e fredda impongono pazienza, quando la primavera arriverà a scaldare di nuovo la parete sarà tempo di dare l’assalto al terzo Corno. La Dell’Oro e, se saremo in forma, anche la magnifica Stella Alpina e la sua strepitosa lama che corre sotto il grande tetto.

Davide “Birillo” Valsecchi

Moregallo: Oh Johnny, I hardly knew ye.

Moregallo: Oh Johnny, I hardly knew ye.

Il resto della squadra è disperso per qualche mercatino natalizio e con me c’è solo Andrea: ventenne, 46 di piede, un paio di scarponi nuovi di pacca ed una maglietta dei DropKick Murphy. Mentre gli offro la colazione gli assesto una manata sulle spalle: «Bene socio, oggi siamo solo io e te. Questo significa che possiamo fare un po’ di baccano!» Lui ride: oggi ci divertiremo un po’.

Molliamo la macchina alla chiesetta di San Martino a Valmadrera e ci infiliamo nella valle del fiume Inferno risalendo il sentiero delle vasche. Il sole ha già iniziato a filtrare nella gola e non c’è ghiaccio sulle rocce bagnate mentre risaliamo lungo le cascate.

Tappa veloce a San Tomaso e poi rapidi verso la sorgente di Sambrosera e l’attacco del Canale Belasa. Andrea regge bene, la giornata è magnifica. Raggiunta la bastionata del “Grissino” mi viene voglia di esplorare e lascio Andrea sulla traccia per infilarmi negli infiniti canali laterali. Più mi guardo intorno e mi viene voglia: «In primavera dovrei portarci la squadra: armati di fittoni, chiodi e corde potremmo davvero divertirci a ravanare qui in mezzo!».  Il versante Sud-Est del Moregallo è un odissea di canali, cenge, creste e guglie che davvero in pochi hanno esplorato: tutti quelli che lo hanno fatto ne hanno amato la natura intimamente selvaggia.

«Andrea, te la senti?» Lui annuisce ed iniziamo ad arrampicarci lungo la parete erbosa che ginge il lato del Belasa seguendo una parvenza di sentiero tracciata dai mufloni. «Ci alziamo un po’ per fare due foto: occhio mi raccomando!». Superiamo una prima guglia e ci innalziamo su una cresta. Poi lo agguanto e lo tiro a me senza parlare: davanti a noi due mufloni non si sono ancora accorti della nostra presenza e pascolano nel sole. Quei due sono i primi mufloni che Andrea abbia mai visto in vita sua!!

Dall’uscita del Belasa puntiamo all’uscita della Cresta OSA. Poi, incuriosito, abbandono ancora la traccia tirandomi dietro il fidato “bocia”. Sulla parete sottostante il “ponte di pietra” trovo una lapide che non avevo mai visto. Con un po’ d’acqua metto a risalto l’incisione ormai invisibile: “Mario Vicariotto  13/12/1910 – 23/08/1971”. La montagna conserva la memoria di chi fu.

Sempre andando a zonzo trovo quello che stavo cercando da tempo: una grotta! Seguendo le tracce dei mufloni trovo infatti una nicchia incassata nella roccia. Profonda quattro metri è alta due e larga quasi altrettanto. Le bestie la usano per trovare riparo dalla pioggia e dal vento ma potrebbe starci comodamente una tenda da due oppure tre o quattro sacchi a pelo in estate. Ora anche sul quel versante ho un nuovo bivacco!!

Raggiunta la cima ci godiamo uno dei panorami migliori di tutto il triangolo lariano:

A Est: le Grigne, il Pizzo dei Tre Signori, l’Arena, Il Cancervo, il Venturosa, i Campelli, il Ponteranica ed il Resegone. A Nord: la catena del Cavregasco, la Granizirola – Gino – Bregagno- Grona, il Crocione e il Galbigia. A Ovest: le cime innevate dell’Oberland Bernese, il San Primo, Il Leone, il Generoso, i Mishabel, l’imponente Rosa, l’inconfondibile Cervino, il Palanzone, il Gran Paradiso ed i dirimpettai Corni di Canzo. A Sud: il Rai, il Cornizzolo,  il Prasanto, il Corno Birone ed il monte Barro.

Uno sguardo che spazia sulla punta di Bellagio e sui tre rami del Lago di Como, sull’Adda e sui laghetti di Annone, Pusiano e  Garlate. Il Moregallo è il Re Selvaggio del Triangolo Lariano, la grande ed inesplorata frontiera: «Vedrai, quando avrò abbastanza gente è quassù che verremo estati intere a dare battaglia!»

Scesi lungo la cresta ci infiliamo nel grande buio che avvolge il canale alla base del Corno Orientale, l’altra infinita parete dei Corni di Canzo. La leggendaria Fasana con i soi 130 metri è la principessa dimenticata, la Nord-Est dell’Orientale con i suoi 260 metri è il vero gigante silenzioso. Se quest’anno abbiamo corteggiato e conquistato la principessa, la prossima primavera sarà il momento di sfidare il gigante!!

Così il povero Andrea si ritrova ad inseguire un folletto ipereccitato scendendo lungo  un ghiaione coperto di neve a ridosso di una parete verticale e strapiombante da cui, allegramente, precipitano stalattiti di ghiaccio: un posto magnifico e terribile!!

Quando, finalmente, torniamo a San Tomaso è giusto pagare pegno: «Ti sei meritato una birra, amico mio. Grazie per avermi accompagnato in questa esplorazione! Sei stato davvero bravo!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Corna di Medale: Via Cassin

Corna di Medale: Via Cassin

«Vista dai più alti sobborghi di Lecco, la Corna di Medale si presenta come un ciclopico muro. Per quattrocento metri a picco si erge sopra Malavedo e sembra un unico lastrone di calcare. Se la si guarda pare protendersi, sporgendo in alto e rientrando alla base, ma quando la luce radente ne svela i segreti, l’occhio che la percorre scrutandola nota i punti più facili ma anche i più difficili, che sono i tetti: ed a quei tempi per vincerli non conoscevamo né la manovra della doppia e tripla corda, né le staffe.» Riccardo Cassin

Rileggere il diario di Riccardo Cassin è certamente il modo migliore per avvicinarsi alla grande parete che sovrasta Lecco e che è stata lo scenario della prima importante via tracciata da questo gigante dell’Alpinismo Mondiale.

Nel suo diario troviamo il racconto dell’assalto in tre atti portato alla parete: il primo nel 1930, quando Cassin fece il suo primo “volo” restando ferito al volto da una roccia; il secondo, nel 1931, insieme al “Boga” in cui furono sorpresi dal temporale e costretti a bivaccare in parete accucciati in una piccola nicchia; il terzo, quello decisivo, portato la domenica successiva, in cui la parete fu finalmente vinta.

Trecento sessanta metri di parete e dodici tiri di corda: ecco quello che appare quando ci si trova alla base del Medale con il naso all’insù e l’imbrago alla vita. Nonostante il tempo, l’unto e gli stereotipi, affrontare la Cassin al Medale significa addentrarsi nella Storia alpinistica con la “esse” maiuscola.

Via Cassin – Corna di Medale

«… i particolari di questa salita sono talmente impressi nella mia memoria che nel rammentarli ho la sensazione di viverli nuovamente;… la soddisfazione provata nell’aver superato il caminetto del masso che mi volò addosso nel primo tentativo…; le luci familiari del nostro sobborgo…; un enorme masso a tetto, che sembra ostruire la via; la fenditura che permette il passaggio a destra, dove il masso si appoggia alla parete, lo spigolo che porta all’antecima e finalmente la vetta!». Riccardo Cassin

Molti passaggi sono resi sdrucciolevoli dall’unto che ormai ricopre la roccia e spesso si è costretti a riparare fuori via o ad azzerare (il traverso ormai è una pista da pattinaggio: si è costretti ad attaccare in verticale!). Buona norma è quindi considerare un grado in più rispetto alle difficoltà dichiarate.

Nonostante questo appare evidente in tutta la sua magnificenza come i “Grandi” siano davvero “Grandi”. Immaginare un giovanissimo Cassin che negli anni 30 arrampica a vista su una simile parete inviolata, un colossale muro che per ben due volte lo ha respinto in modo brutale, ci dà la misura della sua eccezionalità alpinistica.

Trovarsi accanto alla grotta in cui Lui ed il Boga bivaccarono sotto l’acqua è stato come visitare un santuario. Nonostante l’unto è stata una salita fantastica e spesso, concentrato sui movimenti, mi sono ritrovato a mormorare: «Signor Riccardo: accidenti che passaggio! Accidenti davvero!!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Come sempre un ringraziamento a Mattia che ancora una volta si è dimostrato un eccellente capo-cordata. (Lui non ha avuto bisogno di azzerare nulla…)

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